sabato 7 gennaio 2017

Per il ritorno al Socialismo rivoluzionario e autogestionario, contro la globalizzazione e per l'autogoverno. Articolo di Luca Bagatin

Il mese scorso scrivemmo di come il 2016 si stesse chiudendo con le richieste della gran parte dei popoli d'Europa e Stati Uniti d'America, di maggiori politiche in favore del popolo, di sovranità e di autodeterminazione.
Questo ciò che è stato possibile rilevare relativamente al risultato del referendum sulla Brexit, alle proteste francesi relative alla deregolamentazione del lavoro attraverso la Loi Travial ed alla vittoria alle primarie dei repubblicani francesi del candidato avverso al globalista Sarkozy, oltre che la non presentazione alle elezioni presidenziali francesi del globalista Hollande; alla vittoria di Trump alle elezioni presidenziali USA ed alla vittoria dei NO al referendum costituzionale in Italia.
Donald Trump, negli USA, ha già annunciato il ritiro del Grande Mercato Transatlantico (TTIP), che avrebbe inglobato l'Europa al mercato statunitense, con immensi svantaggi per i mercati europei, per le produzioni locali, per i diritti dei lavoratori e per la tutela dell'ambiente. Inoltre Trump ha annunciato una dura lotta alle imprese che delocalizzano ed anche questa misura sembra davvero finalmente prendere in considerazione il mercato interno e la necessità di privilegiare le produzioni locali ed i lavoratori autoctoni ed i loro diritti, evitando peraltro di sfruttare altrove manodopera a basso costo e magari senza tutele sindacali.
Ecco dunque come il tanto demonizzato Trump che, per quanto sia un ricco magnate del quale non ci fidiamo per questo totalmente, appaia al momento come il paladino di quella che potrebbe essere definita la “sinistra del lavoro” (o, meglio, socialismo delle origini), contrapposta alla “sinistra del capitale”, fighetta e liberal dei Roosevelt, dei Kennedy, dei Clinton, degli Obama ed in Europa dei Blair, degli Hollande, dei Prodi e dei Renzi.
In Europa, allo stesso tempo, anche Marine Le Pen ed il suo Front National, abbandonate le vecchie ricette liberiste di Le Pen padre, appaiono molto più disposti ad accogliere e promuovere misure sociali e di autarchia economica, contrapponendosi alla globalizzazione portata avanti, in Francia, sia dalla destra che dalla sinistra ed a tutto svantaggio dei poveri, dei lavoratori e dei diseredati.
Detto ciò ci viene in mente un grande statista socialista, l'ultimo che l'Europa abbia conosciuto e di cui ricorre a giorni il diciassettesimo anniversario della morte: Bettino Craxi.
Bettino Craxi, erede della tradizione socialista originaria di Proudhon, Pierre Leroux, Garibaldi e della Comune di Parigi dalla quale mutuerà il simbolo del garofano rosso, attuerà e proporrà politiche di rilancio del Made in Italy e della sovranità nazionale; avvierà un dialogo costruttivo con i Paesi mediterranei e arabi di matrice laico-socialista; si contrapporrà, quando necessario, allo strapotere ed alle ingerenze degli Stati Uniti d'America in Italia; si opporrà alle privatizzazioni slevagge; rimarrà ancorato all'anticomunismo, rafforzando comunque i legami con il socialismo latinoamericano che, nel corso degli Anni '90, sarà l'embrione di quel Socialismo del XXI secolo che ha dato vita alla rinascita di quel continente, pur oggi osteggiata dalle élite.
E saranno proprio quelle élite economico-finanziarie che, con il concorso della “sinistra del capitale”, contribuiranno alla caduta di Craxi ed al suo esilio forzato.
Bettino Craxi, per molti versi, può essere paragonato ad un altro grande statista: Charles De Gaulle. Presidente francese ricordato per aver rimpatriato le riserve auree, condannato le politiche israeliane in Palestina e quelle statunitensi in Vietnam, aver fatto uscire la Francia dalla NATO e consolidato il sistema del welfare. Celebre peraltro la sua frase: “Odio i socialisti perché non sono socialisti, mentre odio i miei perché amano troppo il danaro”.
Craxi e De Gaulle, due grandi statisti che – pur formalmente schierati l'uno a sinistra e l'altro a destra dell'agone politico – hanno saputo andare oltre le ideologie e gli steccati, ovvero oltre la destra e la sinistra, recuperando ideali popolari, populisti nel senso positivo del termine e repubblicani e socialisti originari.
Come ricorda infatti il filosofo francese Jean-Claude Michéa nei suoi saggi, il socialismo non è né sarà mai di sinistra né di destra, ovvero non sarà mai borghese e capitalista, ma sarà sempre dalla parte del popolo, per l'autonomia, l'autogestione, l'antimperialismo e la democrazia autentica e diretta.
Aspetti che i socialisti europei di oggi, ormai trasformatisi in liberali, indistintamente “progressisti”, “cosmopoliti”, hanno completamente dimenticato, proponendo e riproponendo ricette di illusoria redistribuzione della ricchezza (anziché proporre una seria liberazione dalla schiavitù del lavoro e del salario); di deregulation del mercato del lavoro (anziché garantire la stabilità lavorativa ed economica per tutti, come dovrebbe essere in una società di liberi, eguali ed emancipati) e di libertà utili solo ai ricchi, alle imprese ed alla borghesia benestante, anziché proporre e promuovere l'uscita progressiva dal sistema capitalista e l'autogestione delle imprese e dell'attività politica, attraverso assemblee e comitati popolari aperti a tutti.
In questo senso, dunque, o il socialismo è rivoluzionario e libertario o è liberal-capitalismo. O torna a Pierre Leroux, Proudhon, Bakunin, Sorel, Garibaldi e Mazzini e riprende le prospettive di Bettino Craxi, ma anche di Juan Domingo Peron, Hugo Chavez, Evo Morales, Rafael Correa, i coniugi Kirchner, José Pepe Mujica e altri e dei pensatori contemporanei quali Michéa, Alain De Benoist, Eduard Limonov e Serge Latouche, oppure rimarrà al servizio della “sinistra del capitale” e del Re di Prussia, ovvero della schiavitù del lavoro e del salario e della “delega elettorale in bianco”, senza permettere ai cittadini di co-gestire sia la propria attività che trarne la propria stabilità economica, senza sfruttare il prossimo e autogovernandosi.
Il questo senso occorre porsi in un'ottica libera dall'interesse egoistico e dunque dal danaro, al fine di tornare ad una società ove si produce per consumare e non si consuma per produrre e quindi per lucrare – egoisticamente - sulla merce e sul lavoro. Ovvero occorre puntare ad un sistema fondato sul baratto e sul dono reciproco, nel rispetto massimo della natura e dell'ambiente, oltre che dell'essere umano.
Queste potrebbero essere alcune possibili prospettive per costruire una Civiltà (dell'Amore !) degna di questo nome, che tenda alla libertà dal bisogno, alla comunanza di tutti gli esseri viventi all'interno della propria comunità d'origine, alla liberazione dal giogo della schiavitù e dell'interesse egoistico, così come si svilupparono le più Antiche Civiltà della Terra, a partire da quelle matriarcali.

Luca Bagatin

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