mercoledì 31 gennaio 2018

"La rivolta delle élite - Il tradimento della democrazia" di Christopher Lasch. Articolo di recensione di Luca Bagatin

Già nel 1994, se non prima, il sociologo statunitense Christopher Lasch individuò - analizzando la società statunitense - una separazione radicale fra le élite al potere e le masse popolari, fra il liberalismo ed un rinnovato populismo.
Di recente, non a caso, la casa editrice Neri Pozza ha rieditato l'ottimo saggio dal titolo "La rivolta delle élite - Il tradimento della democrazia", opera nella quale Lasch individua la crisi profonda della democrazia moderna.
In essa l'autore rileva come le élite liberali siano completamente scollegate dalla realtà e dal lavoro produttivo, il cui legame con esso è unicamente legato al "consumo" e ad una "realtà" parallela fatta di cosmopolitismo fine a sè stesso, di una visione sostanzialmente "turistica" del mondo, ove per "far carriera" occorre spostarsi e gettare alle spalle ogni legame con la propria terra d'origine.
A tale visione, Lasch, contrappone diversamente il populismo originario del People's Party americano ed una visione comunitaria dell'esistente, fondata su valori egualitari, sull'autogoverno e la mutua collaborazione.
E' dunque, secondo Lasch, il declino delle comunità fondate sull'autogoverno che mette in discussione il futuro della democrazia. Esse sono state infatti sostituite da non-luoghi quali ad esempio il "centro commerciale" periferico e le città sono diventate una sorta di bazar ove boutiques e hotel di lusso sono praticamente inaccessibili ai residenti medesimi, alcuni dei quali si rivolgono al crimine organizzato quale "unica via d'accesso al mondo scintillante che viene loro seducentemente presentato come l'incarnazione del sogno americano".
Lasch esalta dunque le comunità di quartiere e la complementarietà fra città e campagna e dunque una visione democratica dell'esistente. Visione democratica, secondo Lasch, assai poco incoraggiata finanche dal giornalismo, il quale, lungi dal fornire spunti di discussione e di dibattito fra le persone della comunità medesima, si limita a diffondere informazioni, con la conseguenza finale che il popolo statunitense - bombardato dall'informazione stessa - rimane sempre più disinformato in quanto non ha spunti di ricerca ed approfondimento. E tutto ciò, rammenta Lasch, in quanto oggi lo scopo principale della stampa è quello di diffondere pubblicità commerciale o comunque promuovere qualsiasi cosa: da un candidato politico ad un prodotto di consumo, senza entrare nel merito delle sue qualità effettive e ciò riduce la possibilità per i cittadini di formarsi una propria opinione personale e di discuterne, come invece dovrebbe avvenire all'interno di una comunità.
Queste, in sostanza, le premesse per una società democratica, che Lasch fa coincidere con una forma di democrazia diretta su larga scala, fondata sulla formazione in luogo dell'informazione, sull'etica della responsabilità, del dovere e su principi di eguaglianza economica, ponendo dei limiti alla ricchezza e all'accumulo tipico delle società capitalistiche.
Christopher Lasch afferma dunque che oggi sono le élite, ovvero i gruppi che controllano il flusso di danaro e dell'informazione, che dettano legge e che controllano la cultura ed i termini del dibattito pubblico e questo non può che essere un vulnus per la democrazia. Le masse hanno così via via perduto interesse per la rivoluzione e la ricerca di emancipazione e si sono uniformate al modello unico borghese, spesso politicamente corretto, ove "i giovani professionisti si sottopongono a un duro, difficile regime di esercizi fisici e di controlli dietetici al fine di esorcizzare la prospettiva della morte - per mantenersi in uno stato di eterna giovinezza, per essere eternamente belli e sposabili - (...)".
In tutto ciò Lasch mette in discussione anche il cosiddetto principio "meritocratico" sul quale si fondano le élite liberali borghesi, affermando che "la meritocrazia è una parodia della democrazia" in quanto essa offre opportunità di avanzamento a chiunque abbia talento, purtuttavia tali opportunità non sono il sostituto di valori quali la civiltà, la cultura e la dignità, che sono il vero fondamento di una democrazia. In questo senso Lasch afferma che le élite meritocratiche non sentono affatto di avere degli obblighi nei confronti della comunità che intendono guidare, ma a loro interessa unicamente apparire diversi rispetto alla massa. Egli conclude dunque che l'unico scopo della meritocrazia delle élite è quello del garantire espansione economica e giudicare le persone unicamente sulla base della loro capacità di produrre. Questo, in sostanza, è il principio sul quale si fonda una società mercificata, mercantilistica e nient'affatto democratica.
"L'aristocrazia del talento", dunque, non è altro che un'ennesima forma di oligarchia.
Christopher Lasch, nel suo saggio, rammenta come i socialisti delle origini e, dunque, i populisti, abbiano sempre considerato l'indipendenza, l'autosufficienza e la capacità di autogoverno attraverso l'assunzione di responsabilità, come l'essenza stessa della democrazia, in polemica contro ogni forma di produzione su larga scala e centralizzazione politica. Egli fa quindi risalire il movimento per i diritti civili alla tradizione populista e rammenta come Martin Luther King ribadiva come i neri dovessero assumersi le proprie responsabilità relativamente alla propria sorte e raccomandava loro laboriosità, sobrietà e sforzo costante per migliorarsi.
Mentre, dunque, la tradizione liberale sostiene che la democrazia può esonerare qualsiasi virtù civica e morale (sdoganando magari aspetti quali l'egoismo), sollevando i cittadini di ogni dovere nei confronti della comunità, quella populista, viceversa, pone l'accento su responsabilità, virtù civica e carattere dei cittadini e ciò al fine di garantire convivenza e democrazia.
La democrazia, secondo Lasch, dunque, necessita di un'etica spiritualmente più stimolante rispetto alla mera "tolleranza" propagandata dai liberali, in quanto la tolleranza è solo l'inizio della democrazia e non il suo fine. Il maggior pericolo per la democrazia, secondo il sociologo statunitense, è dunque non già l'intollerenza, bensì l'indifferenza, il cinismo dilagante e la paralisi morale. Tutti aspetti, peraltro, incentivati dai non-luoghi di cui sopra: dai mezzi di comunicazione di mero intrattenimento e di lavaggio del cervello pubblicitario e dai centri commerciali ove acquistare compulsivamente, i quali hanno soppiantato i bar di quartiere ed i luoghi di socializzazione, di conversazione e di dibattito.
Un tempo erano proprio quelli che Lasch definisce i "posti terzi", i bar, i luoghi di socializzazione, il punto di ritrovo degli intellettuali, dei rivoluzionari, dei giornalisti, degli uomini politici ecc... Erano luoghi nei quali discutere, argomentare, confrontarsi guardandosi negli occhi. Oggi i cosiddetti "social"network stessi, invece, sono il loro esatto opposto e sono l'ennesimo non-luogo, l'ennesimo "centro commerciale" ove masturbare la mente, abbeverarsi di informazioni e pubblicità fini a loro stesse e con l'unico scopo ultimo di indurre le persone al consumo illimitato di contenuti decisi e veicolati dalle élite. Tutti aspetti già previsti e segnalati da Christopher Lasch oltre vent'anni fa, quando internet nemmeno esisteva.
Il mondo reale delle persone si contrappone dunque a quello irreale delle élite, che, siano queste di destra o di sinistra, disprezzano il popolo e lo considerano rozzo e incolto, non permettendo ad esso l'accesso a quegli strumenti necessari alla sua stessa emancipazione ed elevazione.
Populismo e socialismo originario contrapposti a liberalismo e mercantilismo. Responsablità, senso del dovere e dell'onore, socialità e pubblica decenza, contrapposte a consumismo illimitato, deregolamentazione, produttivismo, amoralità, asocialità, mero intrattenimento. Democrazia diretta e autogesionaria contrapposta a democrazia rappresentativa ed elitaria. Democrazia contro oligarchia, in sostanza.
Queste le contrapposizioni messe in luce dall'ottimo saggio di Christpoher Lasch. Attuale oggi più che mai e testo fondamentale per capire il momento presente ed il futuro che ci attende.

Luca Bagatin

lunedì 29 gennaio 2018

Intervista di Luca Bagatin alla tour operator Elisa Avalle a proposito di Cuba

Elisa Avalle, 34enne piemontese, un passato nel marketing e da qualche tempo novella tour operator a Cuba, celebre Isola dei Caraibi.
Ho avuto la possibilità di porle alcune domande in merito.

Luca Bagatin: Hai vissuto diversi anni a Cuba e oggi hai deciso di aprire una agenzia di tour operator proprio nell'Isola. Cosa puoi dirci relativamente a Cuba, al suo popolo e come mai hai deciso di aprire una attività proprio nell'Isola caraibica ?
Elisa Avalle: Sono arrivata a Cuba per la prima volta nel 2011, quando decisi di aprire un'attività con la mia amica cubana che conoscevo da tempo, a Milano, grazie ad amicizie in comune.
Lei viveva da anni nel nostro Paese. Devo dire che mi sono recata a Cuba più per curiosità e per la possibilità di aprire un ristorante, piuttosto che per l'attrazione nei confronti dell'Isola.
Ricordo che in quegli anni stavo passando un momento delicato della mia vita. Ero stanca di una Milano "finta", fatta unicamente di apparenze. Ho un passato da modella e devo dire che è un "mondo" totalmente nevrotico... Quindi volevo in qualche modo scappare ed evadere da tutto ciò che riguardava l'ipocrisia e la finzione. Desideravo un cambiamento e sentivo che ne avevo assolutamente necessità per poter "salvare" me stessa.
Quando la mia amica Dayma, quindi, mi ha proposto un viaggio all'Avana e di prendere in considerazione l'idea di aprire un'attività, ho accettato.
La mia prima impressione su Cuba non fu molto positiva, a dire il vero. Mi sembrava tutto molto vecchio...come se il tempo si fosse fermato. Macchine vecchie, palazzi pericolanti...non c'era nemmeno internet ! Ricordo di essere andata nel panico totale ! Non potevo connettermi con il mondo, proprio io che ero abituata ad avere sempre il telefono in mano !
La mia prima reazione è stata quindi: "Bene, questo non è il Paese per me e voglio tornare a Milano al più presto".

I giorni comunque passavano e, mano a mano che iniziavo a conoscere le persone, la storia ed i luoghi, ho capito una cosa importante. Non era Milano, la moda e tutto ciò che mi circondava che non funzionava. Ero io stessa il mio problema. Avevo dimenticato la bellezza delle piccole cose, della semplicità e dell'umiltà.
Ho così iniziato a riscoprire me stessa, l'amore per il prossimo. A sorridere alle persone senza pensare a nulla. Ho riscoperto la spontaneità, l'essere me stessa senza tacchi e senza trucco.
Cuba mi ha permesso di ritrovare la mia vera anima e per questo le devo molto ed amo quest'Isola con tutta la mia forza.
Se oggi mi sento una donna felice, forte e non me ne frega nulla dei modelli e dei preconcetti che ci inculcano i media attraverso la finzione, è solo grazie a Cuba.
Nell'"imperfezione" cubana ho trovato la perfezione di umanità e felicità attraverso il prossimo.

Luca Bagatin: C'è chi sostiene che Cuba sia una dittatura. Che ne pensi ? Cosa rispondi a chi lo sostiene, secondo la tua esperienza ?
Elisa Avalle: Sostengo che Cuba sia una nazione i cui ideali di libertà e sovranità siano stati difesi da una rivoluzione voluta dal popolo e per il popolo. Cuba è una realtà nella quale ogni cittadino è uguale all'altro. Tutti hanno diritto allo studio, all'assistenza sociale, all'assistenza medica, senza diseguaglianze.
Possiamo dire la stessa cosa del nostro Paese, che, se non puoi permettertelo, all'Università non puoi certo andare ?

Luca Bagatin: Le autorità governative e la "burocrazia" ha in qualche modo intralciato la tua attività di tour operator ?
Elisa Avalle: Quando ho deciso di tornare a lavorare a Cuba, dopo che la mia prima attività - che stiamo per ampliare - ha avuto molto esito, non ho fatto altro che bussare alle porte delle istituzioni e parlare in modo trasparente. Non mi sono "venduta" per ciò che non ero, ma semplicemente ho raccontato cosa avevo già fatto a Cuba, la mia attività di marketing ed eventi in Italia e che cosa volevo fare sull'Isola. Mi hanno ascoltata attentamente ed hanno apprezzato la mia onestà e grande passione.
Il mio progetto non è solo creare un tour operator a scopo di lucro, ma anche e soprattutto un progetto culturale ed ecosostenibile. In questo senso le autorità cubane mi hanno aiutata ed appoggiata e sono sempre disponibili per consigli e confronti su tutto. Sono dunque contenta del fatto che siano entusiasti del mio progetto !

Luca Bagatin: Che ne pensi dell'embargo imposto dagli Stati Uniti d'America a Cuba ?
Elisa Avalle: Penso che debba finire questa storia assurda e fatta di ingiustizie. Gli statunitensi, come popolo, amano molto Cuba e i cubani, così come i cubani vivono molto dell'influenza statunitense dovuta alla vicinanza geografica. Reputo quindi l'embargo totalmente assurdo e la dimostrazione che a volte i popoli sono più saggi dei propri governanti. Infatti gli statunitensi, nonostante il blocco, conrinuano a visitare Cuba.
Cuba, invece, non impedisce affatto ai cubani di andare negli USA come e quando vogliono, purchè vengano accettati dallo Stato ospitante, ovviamente.

Luca Bagatin: Come immagini il futuro di Cuba ed il tuo futuro lì ?
Elisa Avalle: Spero che Cuba non perda ciò per cui ha tanto lottato, ovvero la sua sovranità popolare e culturale. Mi immagino una Cuba non diversa, ma che porti avanti i valori che il suo popolo ha saputo difendere.
Il mio futuro lo vedo tra l'Italia e Cuba. Se l'Italia è la mia terra d'origine, Cuba mi ha in un certo senso adottata e dato la forza per andare avanti.
A Cuba non devo vergognarmi di essere donna per fare business o pensare che qualcuno mi cerchi per secondi fini. E brutto dirlo, ma l'Italia è un Paese estremamente maschilista, sia politicamente che culturalmente. I clienti italiani entravano nel mio ristorante e cercavano il "marito" o il titolare e non accettavano che fossero due donne a portare avanti un'attività...
In Italia deve cambiare profondamente il modo di pensare e la sua cultura patriarcale, cosa che penso non avverrà purtroppo mai.
In Italia c'è la mia famiglia e quindi mi dividerò sempre fra i due Paesi, ma dipendesse solo da me non avrei dubbi nello scegliere chi mi ha dato tanto e non mi ha mai considerata "meno" perché sono donna o straniera.

Luca Bagatin

lunedì 22 gennaio 2018

Sulla libertà. Articolo di Luca Bagatin

A chi mi chiede perché io abbia abbandonato i miei ideali liberali del passato e sia diventato profondamente anti-liberale rispondo: perché sono sempre stato dalla parte delle libertà. Ma ciò presuppone rispetto e amore. Allorquando mi sono reso conto che il liberalismo economico ha distrutto ogni valore sentimentale, per trasformarlo in valore mercantile; allorquando mi sono reso conto che il liberalismo ha distrutto il mondo antico dell'onore e del dovere nei confronti dei nostri simili, per trasoformarlo in edonismo e sfruttamento dell'essere umano sull'essere umano (magari condito da mera compassione), allora ho capito che la libertà non è dei liberali.La libertà è altrove.
La libertà non è nella modernità.
La libertà non è mettere in vendita la propria verginità, sia essa fisica o mentale.
La libertà non è andare in giro a picchiare il prossimo per "sentirsi fighi" o parte di un "gruppo".
La libertà non è nemmeno quella di acquistare in un centro commerciale o cambiare il proprio piano telefonico con una tariffa più vantaggiosa.
La libertà non è quella di avere un lavoro ed esserne sfruttato o di avere un lavoro e sfruttarlo per il proprio profitto e tornaconto personale.
La libertà non è nemmeno quella di dire ciò che ci pare scrivendo dei commenti sui social network.
La libertà non è fare il turista a vita prendendo a prestito usi e costumi altrui, senza conoscere i propri.
La libertà non è sfruttare l'emigrante qui o nella sua terra d'origine.
La libertà è amore per il prossimo. E' la libertà di conviersare con il prossimo al bar. Conoscerlo. Parlargli di persona. Confrontarsi con lui o con lei. Non perdere tempo con chicchessia attraverso lo schermo di un computer o di uno smartphone.
La libertà è anche identità, recupero e rispetto per le proprie radici e origini e per quelle altrui. E' quindi libertà da ogni razzismo e recupero di ciò che i nostri avi ci hanno lasciato nei secoli.
Ed è rispetto per l'origine altrui, appunto, e per la sua terra d'origine.
Libertà è socialità autentica non "social". E' socialismo, ma socialismo vero. E' dunque socializzazione di tutto. E' comunità. E' comunismo senza dittatura, volendo riprendere una frase che utilizzò il Vate Gabriele D'Annunzio all'epoca della Reggenza del Carnaro.
La libertà è autogestione, ma, come scrisse il sociologo Christopher Lasch: "Quando il mercato esercita il diritto di prelazione di qualsiasi spazio pubblico e la socializzazione deve "ritirarsi" nei club privati, la gente corre il rischio di perdere la capacità di divertirsi e quella di autogovernarsi" (da "La rivolta delle élite").
Libertà è qualche cosa che può essere ricercata e mai ottenuta sino alla fine.
Così come l'amore.
E' un incessante processo di evoluzione interiore che si riverbera, inevitabilmente, anche nel mondo della materia.
Ma non è materia. E' spirito. E' conoscenza. E' libertà dal bisogno. E quindi dal mercato.

Luca Bagatin

sabato 20 gennaio 2018

Non andrò a votare, ma, in Italia, invito a votare per il Partito Comunista. Articolo di Luca Bagatin

Di fronte ai soliti sbarramenti elettorali ed a raccolte firme "a discrezione", ovvero ove a doverle raccoglierle sono unicamente le liste che non fanno parte di gruppi parlamentari o non hanno ottenuto accordi con nessuno di tali gruppi, c'è da chiedersi davvero dove sia la democrazia in Italia.
La democrazia è rappresentanza di tutti e personalmente da tempo credo nella democrazia diretta, in apposite assemblee popolari ove chiunque possa dire la sua e dare il suo contributo civile e civico alla vita pubblica. Senza necessità di partiti elettoralistici o di poteri centralizzati.
I partiti, come dico da tempo, dovrebbero e potrebbero, molto più utilmente, tornare alla loro funzione originaria di scuole di pensiero e di formazione intellettuale e politica. Che è quanto manca alla società mercantilistica, consumistica e modernista di oggi e, dunque, al corpo politico ed elettorale odierno in generale.
Detto questo, auspicando e credendo nella democrazia diretta e nell'autogestione politica ed economica, nemmeno a questa tornata elettorale andrò a votare.
Ad ogni modo, a tutti coloro i quali decideranno o stanno decidendo di andare alle urne, sto consigliando di dare il loro sostegno ed il loro voto ad un partito che mai avrei pensato in passato di sostenere, ovvero il Partito Comunista guidato da Marco Rizzo.
Questo per diverse ragioni, che di seguito sintetizzerò ed elencherò brevemente.
La prima è il coraggio dei comunisti di aver raccolto le firme necessarie alla presentazione della lista, senza apparentamenti o accordi con nessuno, senza lamentele e senza clamori mediatici.
La seconda è il coraggio di presentare un simbolo storico, quello con la falce ed il martello e di dichiararsi orgogliosamente una lista socialista, oltre che comunista.
La terza è appunto la coerenza di essere socialisti autentici nel 2018, ovvero parlare di superamento del sistema capitalista, di socializzazione dei mezzi di produzione, di libertà dal bisogno.
La quarta è il voler proporre, coerentemente, l'uscita da una Unione Europea oligarchica, autoreferenziale ed austera e, contestualmente, il proporre l'uscita dalla NATO, criticandone le politiche imperialiste e destabilizzatrici: dalla guerra nell'ex Jugoslavia alla guerra in Libia contro il governo laico e socialista di Mu'Ammar Gheddafi sino alla guerra in Iraq e alla guerra in Siria (per fortuna l'intervento della Russia a fianco del governo legittimo è stato determinante nella lotta all'Isis). Tutte guerre che hanno, alla fine dei conti, favorito il fondamentalismo in quanto volte a combattere, assurdamente, i governi di matrice laica.
La quinta è l'aver capito che lo Ius soli è una battaglia ideologica e che, come ha dichiarato Marco Rizzo in un suo intervento, "il flusso immigratorio serve solo a creare un esercito industriale di riserva". Creando, dunque, guerre fra poveri. E ricordando che: "Se vogliamo risolvere il problema dell'immigrazione dobbiamo innanzitutto non far la guerra in quei Paesi" e, dunque, evitare le operazioni imperialistiche. E, aggiungerei, favorendo politiche panafricane in quei Paesi.
La sesta è il sostegno incondizionato del Partito Comunista alle politiche di emancipazione portate avanti dal Socialismo del XXI secolo in America latina e a tutti i movimenti di emancipazione nel mondo.
La settima, ma certamente non ultima, è l'opposizione politica alla sinistra borghese e capitalista ed al liberalismo in generale, ovvero ad una visione unipolare del mondo fatta di accumulo, crescita economica, perdita di sovranità e di identità degli Stati e degli esseri umani.
Ad una politica e ad una economia che mette in vendita tutto, persino i sentimenti e la "verginità delle persone" io non ci sto proprio e mi schiero dalla parte di coloro i quali vogliono contrastarle in modo civile e democratico con un programma rivoluzionario.
E ciò al di là delle divisioni ideologiche destra/sinistra, che non credo siano affatto interessanti.
E proprio per questo ritengo che ogni persona intellettualmente onesta dovrebbe dare il suo sostegno, in Italia, oggi, al Partito Comunista. E lo dico anche e proprio da garibaldino, mazziniano, socialista rivoluzionario e libertario.

Luca Bagatin

venerdì 19 gennaio 2018

Un ricordo di Bettino Craxi attraverso un excursus del socialismo originario

Di Bettino Craxi molto è stato scritto.
Personalmente ogni anno in questo periodo ho dedicato un articolo alla sua memoria e, nel corso di questi diciotto anni, ho recensito diversi saggi che lo hanno riguardato.
Quest'anno desidero ricordarlo attraverso un excursus sul socialismo originario, al cui filone Craxi era per molti versi legato.
Un socialismo lontano dal progressismo di matrice liberale ed al contempo lontano dal conservatorismo di matrice clericale.
Lo faccio rimandando ad una mia lunga recensione critica al saggio di Roberto Giuliano che si intitola "La via allegra al socialismo".
Ho scritto questa recensione il 23 settembre del 2016 ed è, come dicevo, una recensione critica. Non condivido infatti nulla dell'approccio liberale di Roberto Giuliano. Ma questo scritto mi ha comunque permesso di raccontare ciò che fu il socialismo delle origini e le esperienze odierne che ad esso si ispirano.
Potete leggerla o rileggerla, dunque, al seguente link:

domenica 14 gennaio 2018

Il socialismo prospero - saggi sulla via cinese. Articolo di recensione di Luca Bagatin

Fu il leader socialista italiano Pietro Nenni, fra i primi, a riconoscere il ruolo geopolitico fondamentale della Repubblica Popolare Cinese alla costruzione di un mondo multipolare.
La Cina, uscita da tempo dal colonialismo che, nel corso dell'800, la rese schiava dell'Impero Britannico, il quale la costrinse ad aprire i suoi mercati all'oppio, e diversi suoi territori furono influenzati da tutte le maggiori potenze europee, è oggi, dopo l'avvento al potere di Mao Zedong e dei suoi successori, una delle massime potenze economiche indipendenti al mondo.
A parlarcene un saggio che è, in sè, una raccolta di saggi ed articoli curata dallo studioso Fabio Massimo Parenti e che raccoglie sia suoi interventi pubblicati principalmente, in questi ultimi anni, dalla testata "Il Caffè Geopolitico", più altri autorevoli interventi fra cui quelli del prefatore del saggio stesso - il prof. Domenico Losurdo dell'Università di Urbino - e della prof.ssa Ann Lee della New York University.
Sto parlando de "Il socialismo prospero - saggi sulla via cinese", edito di recente dalla casa editrice NovaEuropa.
Pensando alla Cina moderna non si può non chiedersi come possa un Paese a guida comunista - retto tutt'oggi dal Partito Comunista Cinese - convivere al suo interno con una economia di stampo capitalistico e quindi aver ricercato una propria personle via al socialismo, seguento le proprie peculiarità storiche, culturali e religiose.
L'autore, da me interpellato in merito, mi spiega - rifacendosi alle parole del prof. Losurdo - che lo stesso Mao sosteneva che l'esperienza delle forze del capitale non può essere annullata, bensì essa va valorizzata. Ovvero che la completa espropriazione economica delle classi borghesi è controproducente per le forze del socialismo, mentre è l'espropriazione politica che va portata sino in fondo. Questo, in sostanza, quanto accaduto nella Repubblica Popolare Cinese. La borghesia non è stata affatto espropriata economicamente, purtuttavia i settori chiave, da quello delle telecomunicazioni passando per quello dell'energia, dei trasporti e del sistema bancario rimangono saldamente in mano pubblica e tali settori, secondo quanto riportato nel saggio medesimo, sono in grado di competere vittoriosamente sul mercato mondiale e ciò è possibile anche grazie ad uno spirito patriottico che incoraggia tutto il popolo cinese alla cooperazione ed alla collaborazione reciproca.
Nel saggio si sottolinea come l'attuale Presidente cinese, Xi Jinping, abbia più volte ribadito il concetto che la globalizzazione, sotto il profilo cinese, va vista nell'ottica del miglioramento delle condizioni di vita delle persone e sia volta alla riduzione alla povertà, secondo il concetto "Lo sviluppo è del popolo, con il popolo e per il popolo" ed in questo senso lo stesso Presidente afferma che la Cina di oggi è riuscita a risollevare dalla povertà ben 700 milioni di cinesi.
Per poter fare ciò la geopolitica e la politica economica cinese sono orientate alla collaborazione con tutti i popoli e con la collaborazione ed il sostegno a tutti i Paesi, piccoli o grandi che siano.
La prof.ssa Ann Lee, ricorda ad esempio come la Cina abbia, in questo senso, cancellato il debito di molti Paesi emergenti e avviato numerosi progetti di collaborazioni, inverstimenti e partnership economiche e commerciali in particolare in Africa e America Latina (in particolare in Ecuador e Venezuela, che hanno beneficiato di finanziamenti per sviluppi infrastrutturali).
L'autore del saggio spiega come la Cina odierna sia in parte erede tanto del confucianesimo quanto della tradizione socialista europea, applichi diffusamente il diritto romano e abbia aperto a modalità di consumo tipiche dell'occidente moderno. L'autore riporta inoltre i dati dell'indagine condotta dal centro statunitense Pew Research degli anni 2010 - 2012, i quali ci dicono che il 92% dei cinesi sostiene che il loro tenore di vita sia migliore rispetto a quello dei loro genitori ed il 39% che sia addirittura di gran lunga migliore.
Fabio Massimo Parenti ricorda come la Cina sia generalmente considerata come un regime autoritario, tuttavia egli afferma che, nel corso dei decenni, vi sono state importanti riforme fondiarie, fiscali e amministrative che hanno aperto da tempo al diritto di manifestare liberamente anche attraverso la presenza sia di sindacati indipendenti che di partito, i quali hanno favorito numerosi scioperi ed occasioni di confronto e miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori.
L'autore sottolinea anche come la cultura cinese, fortemente legata al confucianesimo, abbia influenzato profondamente la popolazione relativamente al rispetto nei confronti delle Istituzioni statali, anche da parte dei dirigenti delle imprese private e come lo Stato sia visto tutt'altro che con sospetto, ma come parte fondante della società, come una sorta di "dimensione famigliare".
In questo senso i dipendenti pubblici sono reclutati secondo principi meritocratici e così i vari membri del partito ed i dirigenti dello Stato. Vi sono, inoltre, forme di democrazia diretta che permettono non solo la contestazione e la richiesta di spodestare i rappresentanti al potere, ma anche forme di assemblearismo di base nei villaggi e nei quartieri. Sembra, in sostanza, che sia privilegiata la risoluzione delle controversie attraverso discussioni politiche costruttive fra le autorità politiche e la base.
Relativamente al settore degli immobili, come riportato dal saggio a cura di Parenti, le abitazioni, un tempo statali ed assegnate alla popolazione ad un canone di locazione agevolato inferiore all'1% del loro reddito, oggi sono diventate proprietà privata dei loro occupanti almeno per l'80% e questi le hanno potute acquistare dallo Stato a prezzi di gran lunga scontati rispetto ai valori di mercato.
Il fatto che lo Stato controlli il settore bancario e finanziario, permette inoltre alle autorità di intervenire direttamente nei periodi di crisi economica ed evitare dunque speculazioni finanziarie e conseguenti tracolli. Questo uno dei punti di maggior forza dell'economia cinese assieme al settore dell'innovazione tecnologica e dell'e-commerce, che hanno fatto registare un +10,2% nel corso degli ultimi anni.
All'attenzione dell'agenda del Presidente Xi, come riportato nel saggio di Parenti, il settore verde e del risparmio energetico attraverso lo sviluppo di tecnologia ad hoc, che hanno permesso un risparmio di 6,7 miliardi di tonnellate di carbone in cinque anni, con una riduzione del 19,71% dei consumi, superando l'obiettivo posto dall'Amministrazione nel suo ultimo piano quinquiennale.
La Cina sta dunque investendo moltissimo nello sviluppo di energie rinnovabili ed in energie tecnologicamente sotenibili atte a invertire la tendenza rispetto agli alti tassi di inquinamento registrati nei decenni passati.
Sul piano geopolitico la Cina, come dicevamo, è orientata allo sviluppo di un mondo multipolare, in controtendenza rispetto alla visione statunitense unipolare. In questo senso è stretta la collaborazione con la Russia, oltre che con il Brasile, l'India e il Sudafrica, riuniti, appunto, nell'associazione economica denominata BRICS. Oltre a ciò, dal 1996, Pechino e Mosca hanno gettato le basi dell'Organizzazione di Shangai per la Cooperazione (SCO), assieme a Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e dal 2001 Uzbekistan, con funzioni in particolare di sicurezza nazionale sul piano geopolitico.
La collaborazione Cina-Russia ha spesso portato alla condanna, a livello internazionale, degli insensati e dannosi interventi NATO in Libia, il tentativo di spodestamento del Presidente Assad in Siria e ha giocato un ruolo decisivo nella risoluzione delle controversie con l'Iran e con la Corea del Nord.
Il saggio di Fabio Massimo Parenti offre inoltre un ampio approfondimento relativo agli investimenti ed alla cooperazione fra la Cina e numerosi Stati africani. Cooperazione che non rappresenta una forma di sfruttamento (salvo rari e documentati casi che pur vi sono stati) di manodopera a basso costo e di risorse energetiche, bensì una opportunità di miglioramento delle condizioni di vita dei popoli africani medesimi.
Altro importante capitolo, che merita approfondimento, è quello relativo alla questione tibetana.
Nel saggio si fa presente che la libertà di religione e di culto è garantita dalle autorità cinesi e che l'economia tibetana ha avuto un incremento nel corso degli anni e la popolazione ha migliorato di gran lunga le sue condizioni di vita e che oggi il Tibet, proprio per la sua millenaria cultura spirituale, rimane un punto di riferimento e di attrattiva mondiale.
Nel saggio si dice anche che nell'Assemblea Nazionale Popolare (il Parlamento cinese) i deputati sono 21 e che al Dalai Lama, prima di andare in esilio, fu concessa la carica di Vicepresidente del Parlamento.
Questioni sulle quali, comunque la si pensi, occorre ad ogni modo, io credo, approfondire ulteriormente.
"Il socialismo prospeto - saggi sulla via cinese" di Fabio Massimo Parenti edito da NovaEuropa è dunque un testo utile a conoscere meglio un Paese solo apparentemente lontano dal nostro continente e sul quale, spesso, si tendono ad avere ingiustificati pregiudizi.
Ricordando il titolo di un celebre film degli Anni '60 diretto da Marco Bellocchio, dunque, possiamo dire che, per molti versi, "La Cina è vicina" e sicuramente protagonista della scena geopolitica mondiale per i decenni a venire.

Luca Bagatin

giovedì 11 gennaio 2018

"Sensualità, latina fierezza". Poesia di Luca Bagatin

Sensualità, latina fierezza.
Poesia di Luca Bagatin
Foto di Antonio Rodríguez
Modella: María José Peón Márquez


Nuda.
Seduta sul letto.
Solo un bianco lenzuolo a coprirti.
Dove stanno vagando i tuoi pensieri,
mentre i tuoi capelli scendono
a coprirti l'aggraziata schiena ?
Sensualità, latina fierezza.
Una piccola brezza
accarezza
il tuo morbido seno
appena celato.
Un bacio accennato,
il mio.
Che delicatamente
si posa laddove
le tue labbra
si schiudono appena.
E così le mie
ad accarezzarti i seni
e a scendere, via via
sulle tue gambe,
sulle tue ginocchia,
sui tuoi piedi.
La tua pelle nuda è calda e vellutata.
Che cosa cela ?
Un'anima libera e liberata.
Le nostre labbra si uniscono
e così,
così si (ri)conoscono.
Siamo noi.
Solo noi
in questa stanza
a dar vita
a un'armoniosa danza
che ci dona,
con l'amor,
rinnovata speranza.

Luca Bagatin

"Riflessioni conservatrici, ovvero socialiste, golliste e mazziniane" di Luca Bagatin

Amo le donne.
Forse per questo detesto le "femministe".
Che pretendono di essere uguali agli uomini (nessun uomo è uguale a un altro, ricordatelo !) e finiscono per ghettizzare e ghettizzarsi.
Ottenendo l'effetto opposto di quello che vorrebbero proporsi.

In Francia i gollisti e i socialisti hanno smesso di essere gollisti e socialisti e, dunque, ad un gollista e ad un socialista non rimane che sostenere nazionalisti o comunisti.
In Italia i mazziniani hanno smesso di essere mazziniani e ad un mazziniano non rimane che fare come in Francia.
Per questo, da gollista, socialista (originario) e mazziniano, non posso che sostenere, oggi, nazionalisti e comunisti.

La mia visione politica è sostanzialmente legata al socialismo ed al mazzinianesimo conservatore, contrapposto ad ogni tipo di liberalismo compassionevole.
Penso infatti che la compassione sia cosa utile ai ricchi borghesi ed ai capitalisti per pulirsi, religiosamente, la coscienza.
Occorre, io credo, lottare per emanciparsi ed emancipare, nel rispetto delle culture, delle tradizioni e delle identità di ogni popolo.
E ritengo, pertanto, che i doveri verso la comunità vadano anteposti ai diritti e ad ogni concetto legato all'"interesse".

sabato 6 gennaio 2018

Marina Ripa di Meana, una donna libera sino alla fine. Articolo di Luca Bagatin

"Fatelo sapere". Queste le ultime parole del videomessaggio di Marina Elide Punturieri, conosciuta da tutti come Marina Ripa di Meana, deceduta il 5 gennaio 2018 nella sua casa romana.
Fate sapere che la sedazione profonda è una alternativa alla "dolce morte", all'eutanasia, ed è consentita in Italia ai malati terminali.
E' un messaggio che mi ha commosso molto il suo. Un messaggio eminentemente politico, come politica è stata tutta la sua vita anticonformista e libertaria.
Amava lo scandalo e la provocazione, Marina Ripa di Meana, ma sempre all'insegna dell'intelligenza, dell'arguzia, della sana goliardia.
Usò la sua popolarità per dare voce all'ambientalismo militante, accanto al marito Carlo, il quale, va ricordato, votò nel 1998 - da deputato dei Verdi - contro l'adozione dell'euro quale moneta unica, denunciandone i pericoli e denunciò, anni dopo, fra i pochissimi, l'intervento militare dell'Italia in Libia.
Marina Ripa di Meana era una radical chic consapevole di esserlo, ma le etichette non le interessavano, preferendo andare avanti per la sua strada, senza ipocrisie e falsi pudori.
Fu icona di una stagione certamente migliore della nostra, quella dei Moravia (suo testimone di nozze, assieme a Goffredo Parise) e dei Pasolini, oltre che di Bettino Craxi, di cui fu molto amica.
Scrittrice, intellettuale, opinionista, addirittura regista e militante politica pur non appartenendo formalmente a nessun partito, ma da sempre vicina a socialisti, verdi e radicali (e ciò mi ricorda la mia originaria formazione politica, peraltro nel partito che guidò negli Anni '90 suo marito e dal quale, come il sottoscritto, uscì). Marina Ripa di Meana ha fatto del suo corpo e del suo essere - mai tenuto nascosto, mai mascherato - un manifesto sino alla fine.
Un manifesto colorato come i suoi abiti ed i suoi bizzarri cappellini. Un manifesto che ha lottato per sedici lunghi anni contro una delle malattie peggiori che possano colpire essere umano. Un manifesto che ha voluto mostrarsi anche nella sofferenza, per dare speranza ai tanti che oggi soffrono di quella malattia.
La ricorderemo come la donna rara che è sempre stata. Una di quelle che oggi, forse, non esistono più.

Luca Bagatin


mercoledì 3 gennaio 2018

Per una alternativa Socialista Rivoluzionaria Europea. Intervista di Luca Bagatin a Louis Alexandre e Marie Chancel

Di fronte alla scomparsa del socialismo europeo, ormai passato nelle file liberal-capitaliste, ecco affacciarsi da alcuni anni, in Francia ed in Europa, l'OSRE, ovvero l'Organizzazione Socialista Rivoluzionaria Europea, sorta nel 2009 grazie al contributo dei redattori della rivista “Rébellion”, fondata a Tolosa nel 2002 ed animata principalmente da Louis Alexandre, Olivier Gnutti e Jean Galié.
L'OSRE è un'Organizzazione che, per la prima volta, andando oltre le contrappositioni borghesi Destra/Sinistra, riprende in mano gli ideali della Prima Internazionale dei Lavoratori del 1864 ed è erede del socialismo francese nelle sue diversità, ovvero quello di Proudhon, Pierre Leroux, Sorel, Blanqui, della Comune di Parigi e del Nazionalbolscevismo di Niekish. Un socialismo rivoluzionario che, come recita la descrizione presente nel sito ufficiale (scaricabile al link: http://rebellion-sre.fr/osre/) sia rispettoso delle identità di ciascun popolo; rigetti il burocraticismo statalista e sostenga, invece, la democrazia partecipativa all'interno di uno Stato di tipo federalista.
In questo senso l'OSRE si batte contro l'Europa tecnocratica di Bruxelles, che è semplicemente una forma di “parodia della sovranità” ed è agli antipodi di ogni tipo di principio di sussidiarietà e di democrazia sociale.
Scopo principale dell'OSRE è costituire una piattaforma anticapitalista e di critica alla società mercificata e mercantile che compra e vende ogni cosa – persino l'”amore” (sic !) attraverso i più svariati siti d'incontri online (sic !) - schiavizzando così i popoli ed i lavoratori.
Popoli e lavoratori che devono assolutamente riappropriarsi della loro sovranità nazionale, politica, sociale, ovvero di tutti quegli aspetti che la globalizzazione ha loro tolto negli ultimi decenni. In questo senso l'OSRE si propone quale interprete di una società che permetta a ciascuno di vivere dignitosamente, mettendo fine al profitto ed all'interesse egoistico ed individualistico.
L'OSRE – come peraltro indicato nel suo manifesto programmatico scaricabile al link http://rebellion-sre.fr/osre/manifeste/, propone la trasformazione delle forme di proprietà attraverso l'autogestione delle imprese da parte dei lavoratori medesimi e la trasformazione delle forme di produzione e di lavoro liberando i lavoratori dalla schiavitù del salario e proteggendo l'ambiente, inteso sia come luogo di lavoro che come ecosistema nel quale i cittadini si trovano a vivere.
In questo senso i rappresentanti dell'OSRE ritengono prioritarie forme di nazionalizzazione e contestuale socializzazione di tutti i settori industriali e finanziari del Paese, rivalorizzando così il sistema dei servizi pubblici alla comunità a cominciare dalla sanità e dal sistema scolastico.
L'OSRE, come dicevamo, si propone di restituire il potere al popolo, che è appunto il fondamento della democrazia in generale e della democrazia partecipativa in particolare. Nel Manifesto programmatico si esplica infatti chiaramente che l'obiettivo dell'OSRE è una democrazia partecipativa di tipo federalista, fondata su comitati ed assemblee popolari, dando particolare importanza ai Comuni ed ai consigli di fabbrica, permettendo così ai lavoratori di creare delle libere associazioni di produttori.
L'OSRE non ha un programma politico definitivo, bensì l'Organizzazione e la sua rivista “Rébellion” sono un luogo di discussione aperto a militanti e simpatizzanti di ogni età e nazionalità ed è possibile abbonarsi anche dall'Italia (cosa che ho personalmente fatto, aderendo anche all'OSRE) ad un prezzo davvero simbolico, seguendo le indicazioni al link: http://rebellion-sre.fr/boutique/abonnement-a-rebellion-6-numeros-2/
Louis Alexandre e Jean Galié hanno peraltro pubblicato un saggio - con prefazione di Alain De Benoist - dall'emblematico titolo “Rébellion, l'Alternative Socialiste Révolutionnaire Européenne” (Ribellione, l'Alternativa Socialista Rivoluzionaria Europea) nel quale è spiegata la prospettiva programmatico-ideale dell'OSRE e del Socialismo Rivoluzionazio europeo. Il saggio è acquistabile in formato e-book al link: http://alexipharmaque.eu/ebook/rebellion-l-alternative-socialiste-revolutionnaire-europeenne-de-louis-alexandre-et-jean-galie.
Oggi ho la possibilità di intervistare amichevolmente proprio l'amico e compagno Louis Alexandre e la giovane militante e compagna Marie Chancel, già da me intervistata in passato relativamente alle elezioni Presidenziali francesi (si veda al link: http://amoreeliberta.blogspot.it/2017/05/intervista-di-luca-bagatin-alla_61.html).

Luca Bagatin: Bene Loius, innanzitutto desidero chiederti come è nata - in un'epoca cosiddetta "post-ideologica" - l'idea di fondare la rivista "Rébellion", nel 2002 e, successivamente, l'OSRE nel 2009 ?
Louis Alexandre: Caro compagno, per prima cosa vorrei ringraziarti per questa intervista che ci offre l'opportunità di presentare il nostro approccio ai lettori italiani, uno dei pubblici più colti e aperti a nuove idee in Europa.
Nel 2002 eravamo un piccolo gruppo di giovani che non potevano accontentarsi delle sfaccettature ideologiche dei loro anziani. Iniziammo quindi un lavoro di inventario e ricostruzione di un pensiero che rompesse autenticamente con il mondo capitalista moderno.
Il nostro approccio è sempre lo stesso dall'inizio. Vogliamo essere un polo creativo e positivo al servizio della rinascita del nostro popolo europeo. Operiamo in modo collettivo, volontario e impegnato per mantenere la nostra indipendenza.
Non abbiamo mai capitolato di fronte alle difficoltà e ci siamo integrati nel nostro approccio di nuova generazione: questa è la nostra forza. Mentre alcuni membri del gruppo originario hanno passato la mano a causa di varie vicissitudini di vita, il nucleo editoriale è rimasto fedele al suo ideale e continua a svilupparsi.
In tale occasione desidero salutare il compagno Olivier Gnutti, membro fondatore di "Rébellion" e dell'OSRE, che è il nostro designer grafico fin dall'inizio. Lui è di origine italiana come te e ha dato la sua identità visiva alla nostra rivista per quanto riguarda la nostra organizzazione.

Luca Bagatin: "Rébellion", attraverso le Editions des livres noirs, sta pubblicando diverse interessanti brochure, di cui peraltro ho parlato io stesso in alcuni articoli (http://amoreeliberta.blogspot.it/2017/06/socialismi-asiatici-loriente-puo-dirsi.html - http://amoreeliberta.blogspot.it/2017/10/europa-e-africa-unite-nella-lotta-conto.html). Una sul socialismo asiatico, il cui autore è David L'Epée, e una recente sul panafricanismo, scritta da Dany Colin. Qual è il filo conduttore che lega queste brochure ? Intendete pubblicarne prossimamente delle altre ?
Louis Alexandre: Le Editions des livres noirs sono la prosecuzione della rivista "Rébellion". Sono nate per approfondire e far luce su temi importanti in un modo migliore rispetto ai media ufficiali. I progetti che seguiranno avranno per tema l'Europa, le turbolenze politiche nell'era digitale e la nostra visione di lotta in merito.

Luca Bagatin: Alain De Benoist, Jean-Claude Michéa, Alexandr Dugin, Eduard Limonov. Questi alcuni dei nomi di intellettuali contemporanei ai quali, per molti versi, l'OSRE si ispira, che sono peraltro punti di riferimento di gran parte delle persone che si contrappongono alla globalizzazione neo-liberale. Come spieghi il successo, in particolare fra i giovani europei, delle posizioni di questi pensatori oltre la destra e la sinistra ?
Louis Alexandre: Penso che nella loro diversità di sensibilità, gli autori citati rappresentino un modo per costruire un'alternativa al sistema. L'interesse di una giovane generazione per i loro scritti è un ottimo segno per me. È lo "spirito del tempo" di una gioventù ribelle. Spero solo che metterà in pratica, qui e ora, il loro insegnamento in azioni concrete.

Luca Bagatin: La posizione dell'OSRE è fortemente critica nei confronti dell'Unione Europa tecnocratica e capitalista e nei confronti dell'attuale governo Macron (così come lo era nei confronti del governo Hollande-Valls), al punto che ha condotto una campagna astensionista alle recenti elezioni Presidenziali francesi. Quali le prospettive imminenti e future dell'OSRE ?
Louis Alexandre: La nostra rivista e la nostra organizzazione devono lanciare una massiccia campagna nelle prossime settimane. Il suo tema sarà "Siamo ribelli Francia !". Questa campagna mira a creare un ampio fronte di resistenza popolare e trasversale per proporre un'uscita dal fatalismo e dalla rassegnazione. L'idea è di raggruppare su nuove basi coloro che rifiutano le regole del sistema.

Luca Bagatin: L'OSRE nasce in Francia, ma è un movimento di dimensione europea. Io stesso, come sai, ne sono iscritto dall'Italia. Secondo te è destinato a crescere ed espandersi ?
Louis Alexandre: L'OSRE è un'organizzazione con una vocazione europea. E' aperta a tutti i compagni europei, ma anche al cuore europeo degli altri continenti, penso ad esempio ai lettori canadesi, americani, brasiliani o australiani. La nostra rivista è già ampiamente distribuita nel mondo francofono.

Luca Bagatin: Ed ora qualche domanda alla compagna e, se posso permettermi, affascinante Marie Chancel. Da quanto tempo sei una militante dell'OSRE ?
Marie Chancel: Da cinque anni.
Marie Chancel

Luca Bagatin: Perché hai deciso di aderire all'OSRE ?
Marie Chancel: Ho deciso di aderire all'Orse perché la situazione che stiamo vivendo è tale che non possiamo semplicemente stare seduti a guardare. Con l'adesione all'OSRE, ho voluto partecipare alla lotta contro un sistema che cerca di distruggerci e trasformarci in semplici consumatori senza passato nè futuro. Voglio quindi combattere contro la disumanizzazione delle nostre vite e per il mio ideale: la difesa dell'identità dei popoli di fronte al capitalismo che vuole distruggerli, rigettando l'alienazione tecnologica. È aderendo all'OSRE che posso agire e seguire un'etica personale e collettiva.

Luca Bagatin: Che cosa rappresenta, per te, il socialismo rivoluzionario ?
Marie Chancel: Il socialismo rivoluzionario per me è la lotta di emancipazione dei lavoratori contro il dominio del sistema capitalista. Il socialismo rivoluzionario è rispettoso dell'identità dei popoli, tenendo conto delle loro specificità culturali e rifiuta l'omogeneizzazione culturale di cui gli Stati Uniti d'America sono il vettore principale. Il socialismo rivoluzionario lotta anche contro l'alienazione tecnologica e il sistema del dio-danaro e contro la distruzione della Natura in nome del profitto. Esso incarna perfettamente la società "libera, eguale e decente" difesa da George Orwell.
 
Luca Bagatin: Anche a te vorrei porre la stessa domanda che ho fatto a Louis e relativa alla popolarità, in particolare fra molti giovani europei, dei maggiori intellettuali che rifiutano la globalizzazione neoliberale, ovvero Alain De Benoist, Jean-Claude Michéa, Alexandr Dugin e Eduard Limonov, che sono peraltro anche i punti di riferimento politico-culturale dell'OSRE. Quale la ragione, a tuo parere, di tale popolarità ?
Marie Chancel: Tali pensatori hanno saputo vedere l'origine della situazione critica in cui versano i popoli e proporre un'analisi intelligente e adattata. Sono stati in grado di superare le cotrapposizioni sinistra/destra e comprendere la convergenza delle lotte contro la globalizzazione neoliberale. Non propongono un programma politico fisso, ma rifiutano qualsiasi forma di confessione settaria. Penso che questi siano gli elementi che spiegano il loro successo presso i giovani europei, costretti a combattere contro un sistema che li nega e vuole distruggerli.

Luca Bagatin

Le dodici vittorie del Presidente Maduro nel 2017. Articolo di Ignacio Ramonet

Le dodici vittorie del Presidente Maduro nel 2017
di Ignacio Ramonet (scrittore e giornalista spagnolo, già direttore de "Le Monde Diplomatique")


Per cominciare, dobbiamo ricordare che il presidente Nicolás Maduro è il presidente più ingiustamente accusato, calunniato e aggredito nella storia del Venezuela. Ancor più che il comandante Hugo Chávez, fondatore della Rivoluzione Bolivariana. Far uscire a tutti i costi Nicolás Maduro da Palazzo Miraflores è stato ed è l'obiettivo insano dell'opposizione reazionaria interna e dei suoi potenti alleati internazionali a cominciare dal governo degli Stati Uniti d'America.
All'inizio del 2017, gli attacchi contro il Presidente sono iniziati immediatamente. Il primo attacco è venuto dall'Assemblea Nazionale, controllata dalla controrivoluzione, che ha deciso, il 9 gennaio, di "ignorare" il Presidente, accusando Nicolás Maduro di aver "abbandonato il suo incarico". Un atto falso e assurdo.
Di fronte a questo tentativo di colpo di stato costituzionale, ispirato al modello di colpo di stato parlamentare che ha rovesciato Dilma Rousseff in Brasile nel 2016, il Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) è intervenuto per sottolineare che, secondo la Costituzione, l'Assemblea Nazionale non può destituire il capo di stato, eletto direttamente dal popolo.
Da parte sua, il Presidente ha risposto a quel tentativo di golpe organizzando, il 14 gennaio, delle grandi manovre civico-militari chiamate "Ejercicio de acción integral antimperialista Zamora 200". Circa 600.000 soldati sono stati mobilitati tra militari, miliziani e militanti dei movimenti sociali, offrendo in questo modo una dimostrazione impressionante dell'unità delle forze armate, del governo, del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) e delle masse popolari. Questa è stata la prima vittoria del 2017.
Incoraggiata dalla elezione negli Stati Uniti del candidato della destra suprematista, Donald Trump, che ha assunto il suo incarico a Washington il 20 gennaio, l'opposizione venezuelana ha cercato di intimidire il governo madurista con una marcia a Caracas, il 23 Gennaio, data della caduta del dittatore Marcos Pérez Jiménez nel 1958. Ma anche in quest'occasione ha fallito in modo patetico, per varie ragioni e tra queste perché il presidente Maduro ha risposto organizzando lo stesso giorno, il trasferimento dei resti di Fabricio Ojeda, leader del rovesciamento rivoluzionario di Pérez Jiménez, al Pantheon Nazionale. Alla chiamata del Presidente hanno risposto centinaia di migliaia di caraqueños che hanno rimepito le strade della capitale. Lì si è visto chiaramente come il Chavismo domini ancora le strade, mentre l'opposizione mostrava le sue divisioni e il suo squallore estremo. Questa è stata la seconda vittoria del presidente Maduro.
Poco dopo arrivò l'intervento del Tribunale Supremo che affermava che l'Assemblea Nazionale si trovava in una posizione di "oltraggio" dal 2016. In effetti, come si ricorderà, nelle elezioni legislative del 6 dicembre 2015, furono denunciati dei brogli nello stato di Amazonas. Brogli dimostrati da registrazioni in cui il segretario della regione dello stato offriva somme di denaro a gruppi di elettori per votare per i candidati dell'opposizione. Di conseguenza, il TSJ ha sospeso quei deputati. Ma l'Assemblea Nazionale ha comunque confermato il loro incarico facendoli giurare perché quei tre membri supplementari avrebbero conferito all'opposizione una maggioranza assoluta qualificata (due terzi dei deputati) e il potere di abrogare le leggi organiche e di limitare l'azione del Presidente.
Le tensioni tra il Parlamento e il Tribunale Supremo sono relativamente frequenti in tutte le grandi democrazie. In Europa, ad esempio, quando sorge un conflitto costituzionale tra i vari rami del governo, è frequente che il Tribunale Supremo assuma i poteri del Parlamento. E negli Stati Uniti anche un presidente così incomprensibile come Donald Trump ha dovuto attenersi alle decisioni della Corte Suprema.
Ma a Caracas, la controrivoluzione ha usato quella tensione per rilanciare una campagna internazionale sulla presunta "assenza di democrazia in Venezuela". Con la complicità della nuova amministrazione statunitense, ha montato una colossale operazione di linciaggio mediatico globale contro Nicolás Maduro, mobilitando i principali media dominanti, dalla CNN e Fox News alla BBC, coinvolgendo anche i più importanti mezzi di comunicazione dell'America Latina e dei Caraibi, e i più influenti giornali del mondo, pilastri dell'egemonia comunicazionale conservatrice come anche i social network.
Allo stesso tempo, la destra venezuelana gestiva il conflitto interno con l'intenzione di internazionalizzarlo e spostarlo all'interno dell'Organizzazione degli Stati Americani (OAS), il cosiddetto "ministero delle colonie degli Stati Uniti", come lo chiamava Che Guevara. Obbedendo al nuovo slogan del governo di Donald Trump e sostenuto dai diversi regimi conservatori in America Latina, Luis Almagro, segretario generale dell'OSA, ha assunto il ruolo miserabile di guidare questa manovra rivendicando l'applicazione della Carta democratica contro il Venezuela.
Ma Caracas contrattaccò subito e assicurò la solidarietà diplomatica della maggior parte degli Stati dell'America Latina e dei Caraibi. Nonostante gli schemi disonesti e le false argomentazioni del Segretario Generale dell'OSA, il Venezuela non è mai stato in minoranza. Ha vinto inconfutabilmente e, i nemici della Rivoluzione Bolivariana, tra cui Washington, si sono scontrati contro la solida strategia ideata dal presidente Maduro basata su fatti reali, l'onestà politica ed etica. Infine, ad aprile, Caracas ha deciso di ritirarsi dall'OSA, accusando l'organizzazione di "azioni intrusive contro la sovranità del Venezuela". Con immaginazione e audacia, in questa complessa scena internazionale, Nicolás Maduro ha ottenuto la sua terza grande vittoria nel 2017.
Nel frattempo, le tensioni sono aumentate a Caracas, quando, il 29 marzo, la Sala Costituzionale del Tribunale Supremo ha affermato che "fino a quando persistite la situazione di oltraggio e invalidità dei lavori dell'Assemblea Nazionale, la Sala Costituzionale farà in modo che i poteri parlamentari siano esercitati direttamente da questa Sala o dall'organo designato, per garantire lo stato di diritto". In precedenza, il TSJ aveva anche segnalato che l'immunità parlamentare dei deputati "è garantita solo durante l'esercizio delle loro funzioni", cosa che non poteva essere applicata dato che l'Assemblea Nazionale si trovava in una situazione di "oltraggio".
L'opposizione anti-chavista ha gridato aiuto. E con l'aiuto, ancora una volta, delle forze conservatrici internazionali ha organizzato un sedizioso piano controrivoluzionario. Iniziò allora la lunga e tragica "crisi delle guarimbas". Per quattro interminabili mesi - da aprile a luglio - la controrivoluzione ha lanciato la più disperata e brutale offensiva di guerra contro il governo bolivariano. Finanziate in dollari dalla destra internazionale, le forze antichaviste, guidate dai partiti di estrema destra Primero Justicia e Volutad Popular, non hanno esitato a utilizzare paramilitari, terroristi e agenti mercenari della criminalità organizzata, in un susseguirsi di tattiche irregolari simultanee, impiegando anche un élite di esperti in guerra psicologica e propaganda "democratica" con lo scopo patologico di rovesciare Nicolás Maduro.
Ubriachi di violenza, le orde delle "guarimberas" si precipitarono all'assalto della democrazia venezuelana. Hanno attaccato, bruciato e distrutto ospedali, centri sanitari, asili, scuole, licei, reparti di maternità, magazzini alimentari e di medicine, uffici pubblici, centinaia di imprese private, stazioni della metropolitana, autobus, ecc. Mentre si moltiplicavano le barricate nei quartieri borghesi controllati da questi partiti.
I violenti, che lanciavano dozzine di bombe Molotov, si sono concentrati particolarmente contro le forze dell’ordine. Cinque militari sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. Inoltre, molti 'guarimberos' ostentarono una terribile ferocia quando hanno messo dei sottili cavi d'acciaio nelle strade pubbliche per decapitare i motociclisti ... o quando, pieni di odio e razzismo, hanno bruciato vivi giovani chavisti. Ventinove in totale, di cui nove morti. Risultato: centoventuno persone uccise, migliaia di feriti e perdite milionarie.
Durante questi quattro mesi di attacco controrivoluzionario, l'opposizione incitava anche ad attaccare le basi militari, e ha cercato di spingere le forze armate a marciare contro il governo legittimo e a prendere d'assalto il palazzo presidenziale. L'estrema destra golpista ha tentato di tutto per generare una guerra civile, fratturare l'unione civico-militare e distruggere la democrazia venezuelana.
Allo stesso tempo, nello scenario internazionale, continuava la frenetica campagna mediatica presentando coloro che bruciavano gli ospedali, assassinavano gli innocenti, distruggevano scuole e bruciavano vive le persone, come "eroi della libertà". Era il mondo al contrario, quello della "post-verità" e dei "fatti alternativi".
Non è stato facile resistere a tanto terrore, a così tanta aggressività, e controllare l'ordine pubblico con una visione di autorità democratica, proporzionalità e rispetto dei diritti umani. Il presidente Nicolás Maduro, costituzionale e legittimo, invece ce l'ha fatta, è riuscito a trovare ciò che sembrava impossibile: l'uscita dal labirinto della violenza. Con una grande idea, che nessuno si aspettava, che ha turbato e sconcertato l'opposizione: ritornare al potere costituente originale.
Il pretesto del terrorismo "guarimbero" risiedeva, in effetti, nel disaccordo tra due legittimità: quella del Tribunale Supremo di Giustizia e quella dell'Assemblea Nazionale. Nessuna delle due istituzioni intendeva arrendersi. Come uscire dall'impasse? Basandosi sugli articoli 347, 348 e 349 della Costituzione di Chávez del 1999, e facendo appello al suo status di Capo dello Stato e massimo arbitro, il presidente Maduro ha deciso di riattivare un processo costituente popolare. Era l'unico modo per trovare, attraverso il dialogo politico e la parola, un accordo con l'opposizione e regolare il conflitto storico, per trovare soluzioni ai problemi del paese. Il Presidente ha riflettuto molto bene e ha aspettato il momento giusto poi, il 1 maggio, tutte le condizioni furono soddisfatte. Quel giorno, il Presidente ha annunciato che il 30 luglio si sarebbero svolte le elezione dei delegati all'Assemblea costituente. Era l'unica opzione per la pace.
Ma, ancora una volta, confermando la disperata goffaggine politica, l'opposizione ha respinto questa apertura. Tra gli applausi dalla stampa mondiale, come parte della brutale e spietata campagna contro la Rivoluzione Bolivariana, i partiti dell'opposizione hanno deciso di non partecipare ... si sono dedicate invece a sabotare le elezioni, per impedire l'accesso ai seggi hanno costruito barricate, bruciato alcune sedi di seggi elettorali e minacciato coloro che desideravano esercitare il diritto al voto.
Ma hanno fallito. Non sono riusciti a impedire che, il 30 luglio, la gente uscisse in massa a votare per la democrazia contro la violenza e il terrore. Più di otto milioni e mezzo di cittadini andarono a votare superando qualsiasi ostacolo, affrontando paramilitari e "guarimberos". Attraversando le strade bloccate. Attraversando torrenti e fiumi. Facendo l'impossibile per compiere il proprio dovere civico, politico, etico, morale ... superando le minacce dentro e fuori.
Pochi si aspettavano un così alto grado di mobilitazione popolare, questo afflusso di elettori e il clamoroso successo elettorale. Il giorno successivo, come aveva predetto il Presidente, le "guarimbas" si dispersero. La violenza stava svanendo. La pace ha regnato di nuovo. Con astuzia, pazienza, coraggio e determinazione, e una raffinata intelligenza strategica, il presidente Maduro riuscì in questo modo a sconfiggere le "guarimbas" e ad abortire l'evidente tentativo di colpo di stato. Si è opposto fermamente alle minacce, e lo ha fatto senza alterare la sostanza della sua politica. Questa è stata la sua vittoria più spettacolare dell'anno 2017.
"L'arrivo dell'Assemblea Costituente", ha detto Nicolás Maduro, "significa, senza dubbio, l'instaurazione di un clima di pace che ha permesso di promuovere l'offensiva politica della Rivoluzione Bolivariana". E quell'offensiva ha favorito ciò che molti credevano impossibile: altre due sensazionali e clamorose vittorie elettorali. Quello dei presidenti delle regioni, il 15 ottobre, con la conquista di 19 regioni su 23. Tra queste le regioni di Miranda e Lara, due regioni la cui politica sociale si era quasi estinta nelle mani dell'opposizione. In seguito il trionfo in Zulia, una regione strategica, di grande peso demografico, che possiede importanti giacimenti di petrolio e gas.
Allo stesso modo, la rivoluzione bolivariana ha vinto le elezioni municipali il 10 dicembre, ottenendo 308 comuni su 335, cioè il 93%. Il Chavismo ha vinto 22 (su 24) capitali, tra cui Caracas. Mentre la controrivoluzione ha confermato la sua impopolarità con un forte calo di elettori, perdendo oltre 2 milioni e 100 mila voti.
Mostrando al mondo la vitalità del suo sistema democratico, il Venezuela è stato l'unico paese che ha organizzato, nel 2017, tre importanti elezioni nazionali. Le tre vinte dal Chavismo. Mentre la destra, demoralizzata da tanti disastri, è stata polverizzata, smantellata, intontita. I loro leader si sono scagliati l'uno contro l'altro. I sostenitori della destra sono rimasti storditi. Anche se sono riusciti a mantenere il sostegno dei protettori internazionali. In particolare del più aggressivo: il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
In tutto il 2017, in continuità con l'ordine esecutivo dell'8 marzo 2015, firmato da Barack Obama, che ha dichiarato il Venezuela "minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati Uniti", Donald Trump ha emesso una lista di sanzioni contro la Rivoluzione Bolivariana.
In particolare, l'11 agosto, ha minacciato l'azione militare. Parlando ai giornalisti nel suo campo da golf del New Jersey, Trump ha dichiarato: "Abbiamo molte opzioni per il Venezuela, inclusa una possibile opzione militare, se necessario". Poi, il 25 agosto, sotto il blocco finanziario contro Caracas, Trump ha proibito che "qualsiasi persona, entità, società o associazione con sede legale o che svolgono attività negli Stati Uniti possa utilizzare i nuovi titoli del debito emessi da qualsiasi istanza del governo venezuelano, vale a dire, le obbligazioni della Repubblica emesse dalla Banca centrale venezuelana o dalla società statale PDVSA.
"Queste sanzioni intendevano portare il Venezuela al default (default sul debito estero) perché chiudono allo Stato e a PDVSA le porte dei mercati finanziari associati agli Stati Uniti, impedendo così di offrire obbligazioni e di ottenere valuta estera.
Lawrence Eagleburger, ex Segretario di Stato durante la legislatura del presidente George W. Bush, aveva apertamente riconosciuto in un'intervista a Fox News, che la guerra economica contro il Venezuela è stata effettivamente ideata da Washington: "Dobbiamo usare gli strumenti economici - disse l'ex segretario di stato- per far peggiorare l'economia venezuelana in modo che l'influenza di Chávez nel paese e nella regione diminuisca (...) Tutto ciò che può essere fatto per far sprofondare l'economia venezuelana in una situazione difficile, è ben fatto". L'attuale segretario del Tesoro, Steven Mnuchin, ha ufficialmente confermato che le nuove sanzioni mirano a "soffocare il Venezuela".
Di fronte a tali aggressioni insolenti, Nicolás Maduro ha dichiarato che il default "non arriverà mai". Primo, perché il Venezuela è il paese sudamericano che più fra tutti ha saldato il suo debito. Negli ultimi quattro anni, Caracas ha pagato 74 miliardi di dollari. In secondo luogo, il governo bolivariano "avrà sempre una strategia chiara" per rinegoziare e ristrutturare il debito estero. Il Presidente ha denunciato che ciò che i nemici del Chavismo stanno cercando di fare è isolare finanziariamente la rivoluzione bolivariana finché non avrà possibilità di credito. Per soffocarlo poco a poco. Vogliono generare paura negli investitori privati affinché non acquistino obbligazioni, non partecipino alla rinegoziazione del debito e non facciano investimenti. Nicolás Maduro ha spiegato che al di là di un blocco, ciò che il Venezuela affronta è un'autentica "persecuzione" alla quale partecipano anche paesi come il Canada e quelli dell'Unione europea. Una persecuzione attiva contro il commercio, i conti bancari e i movimenti finanziari.
Ma il Presidente ha saputo evitare questi attacchi. E ha sorpreso, ancora una volta, i suoi avversari quando ha annunciato il 3 novembre, la creazione di una commissione per consolidare il rifinanziamento e la ristrutturazione del debito estero, al fine di superare l'aggressione finanziaria. "Stiamo effettuando una completa ristrutturazione dei pagamenti esteri per raggiungere l'equilibrio", ha detto, "cambieremo gli schemi internazionali". E così è stato. Pochi giorni dopo, sfidando il blocco finanziario, come parte del primo approccio alla rinegoziazione e ristrutturazione del debito, ha visitato Caracas per incontrare il governo bolivariano, un gruppo di possessori del debito venezuelano da parte degli Stati Uniti, Panama, Regno Unito, Portogallo, Colombia, Cile, Argentina, Giappone e Germania. Un'altra vittoria indiscussa del presidente Maduro.
Qui bisogna precisare che il conflitto di quarta generazione contro la rivoluzione bolivariana ha diversi fronti e comprende simultaneamente e continuamente quattro guerre: 1) una guerra insurrezionale organizzata da esperti in sovversione, sabotaggio e psicologia di massa, con l'uso di mercenari, esplosione ciclica di "guarimbas" criminali e attacchi terroristici contro caserme, obiettivi militari e infrastrutture globali (rete elettrica, raffinerie, distribuzione dell'acqua, ecc.); 2) una guerra mediatica, con la stampa, la radio, la televisione e i social network convertiti in nuovi eserciti di conquista attraverso l'uso pianificato della propaganda mirata a domare le menti e sedurre i cuori; 3) una guerra diplomatica con attacchi in alcuni forum internazionali, in particolare nell'OSA e attacchi da parte dei paesi del "Gruppo di Lima" a cui si aggiungono gli Stati Uniti, il Canada e l'Unione Europea; e 4) una guerra economica e finanziaria caratterizzata dall'accaparramento e dalla carenza di cibo e medicinali, manipolazione del tasso di cambio della valuta da uffici illegali, inflazione indotta, blocco bancario e distorsione del rischio paese.
Per quanto riguarda il rischio paese, non va dimenticato che, negli ultimi quattro anni, come già affermato, Caracas ha onorato tutti gli impegni di pagamento del debito, senza eccezioni, per oltre 74.000 milioni di dollari. Questo dovrebbe aver drasticamente ridotto il rischio paese. Pertanto, non vi è alcun rischio prestare al Venezuela in quanto paga in modo religioso tutti i suoi debiti. Tuttavia, il rischio paese ha continuato ad aumentare. Attualmente, secondo la banca JP Morgan, il rischio paese è di 4.820 punti, ovvero trentotto volte superiore a quello del Cile, che ha lo stesso rapporto debito / PIL del Venezuela. In questo modo si costringe Caracas a pagare, molto caro, la scelta democratica di un sistema politico socialista.
Per quanto riguarda il blocco bancario, per tutto il 2017, e in particolare dopo le sanzioni di Donald Trump, l'annullamento unilaterale dei contratti si sono moltiplicati. A luglio, ad esempio, l'agente di pagamento Delaware ha riferito che la sua banca corrispondente, la PNC Bank degli Stati Uniti, ha rifiutato di ricevere fondi da PDVSA. In agosto, la banca portoghese Novo Banco de Portugal ha notificato a Caracas l'impossibilità di effettuare operazioni in dollari a causa del blocco delle banche degli intermediari statunitensi. Successivamente, la Bank of China Frankfurt, alleata di Caracas, non ha potuto pagare 15 milioni di dollari dovuti dal Venezuela alla società mineraria canadese Gold Reserve. A novembre, più di 39 milioni di dollari - per il pagamento di 23 operazioni di acquisto di alimenti per le vacanze di Natale- sono stati restituiti a Caracas perché le banche intermedie dei fornitori non hanno accettato denaro dal Venezuela.
D'altra parte, all'inizio di settembre, si è appreso che la società finanziaria Euroclear, filiale della banca statunitense JP Morgan, ha bloccato un pagamento di 1,2 miliardi di dollari effettuati dal governo bolivariano per comprare medicine e cibo. Ciò ha impedito l'acquisizione di 300.000 dosi di insulina. Allo stesso tempo, un laboratorio colombiano, appartenente al gruppo svedese BSN Medical, ha rifiutato di accettare il pagamento da parte del Venezuela di un carico di primachina, farmaco per il trattamento della malaria.
L'obiettivo di tutti questi blocchi è impedire al governo bolivariano di usare le sue risorse per acquistare cibo e medicine di cui la popolazione ha bisogno. Il tutto con l'intenzione di spingere le persone a protestare e generare il caos nel sistema sanitario, mettendo in pericolo la vita di migliaia di pazienti.
In questo caso, grazie alle sue relazioni internazionali, il Presidente, a novembre, ha ottenuto l'arrivo urgente nel paese di importanti spedizioni di insulina dall'India. Centinaia di pazienti, in pericolo di vita, si sono salvati. Questo evento, senza dubbio, ha costituito una nuova vittoria per Nicolás Maduro.
Per rompere il blocco finanziario, il Presidente ha annunciato, a novembre, un'altra iniziativa: la creazione di una moneta digitale, il petro. Questo annuncio ha suscitato un forte entusiasmo nella comunità degli investitori di cripto valuta, ha posto il Venezuela all'avanguardia nella tecnologia e nella finanza globale e ha generato enormi aspettative. Il prezzo del petro non sarà legato ai capricci e alla speculazione dei mercati, ma sarà associato al valore internazionale di beni reali come oro, gas, diamanti e petrolio. Il Venezuela ha quindi compiuto un passo enorme per disporre di un meccanismo di finanziamento rivoluzionario su cui nessun potere straniero può imporre sanzioni o boicottare l'arrivo di capitali. In questo senso, il petro è una chiara vittoria del presidente Maduro.
Va aggiunto che, nel bel mezzo di tutte queste battaglie, e nonostante il crollo totale del modello di dipendenza dal petrolio, il Presidente ha dedicato il suo lavoro per fare in modo che il socialismo bolivariano non si fermasse e che alle classi più umili non mancasse l'istruzione, un lavoro, un'abitazione, le cure mediche, il reddito, il cibo. Il governo rivoluzionario non ha smesso di finanziare opere pubbliche fondamentali. Né di costruire case: nel 2017 sono state consegnate oltre 570 mila case. La Misión Barrio Adentroe tutte le missioni sociali sono state mantenute. Il Plan Siembra per l'agricoltura è stato consolidato. La Misión Abastecimiento Soberano è stata estesa. Las Ferias del Campo Soberano si moltiplicarono. In mezzo a tanti tormenti, il presidente Maduro raggiunse un miracolo sociale per la salvezza del paese. La controrivoluzione non è riuscita a fermare l'avanzata del socialismo.
In questa prospettiva, i Comitati di approvvigionamento e produzione locali (CLAP), un modello centralizzato di distribuzione diretta, hanno continuato a svilupparsi in tutto il paese e sono in grado di assistere quattro milioni di venezuelani delle classi popolari, proteggendoli dalle carenze causate dalla guerra economica.
Inoltre, il presidente Maduro ha lanciato, nel corso del 2017, nuove iniziative sociali. La più spettacolare è stato il Carnet de la Patria, un nuovo documento di identificazione che fornisce informazioni attraverso un sistema di codici QR sullo status socio-economico dei cittadini. E favorisce, in tal modo, l'accesso delle famiglie bisognose all'assistenza sociale delle missioni socialiste. Alla fine di dicembre 2017, un totale di 16 milioni e mezzo di cittadini sono stati registrati con il Carnet de la Patria.
Il Presidente ha inoltre incoraggiato la creazione del movimento 'Somos Venezuela' al fine di accelerare il processo di assegnazione degli aiuti sociali. I duecentomila membri del movimento 'Somos Venezuela' hanno il compito di identificare, casa per casa, le esigenze delle famiglie registrate. Poi, assegnano aiuti alle famiglie in base ai reali bisogni. Un altro degli obiettivi importanti del movimento 'Somos Venezuela' è quello di proteggere al 100% i pensionati in tutto il paese, come promesso da Nicolás Maduro.
Il Presidente ha anche proposto il piano ‘Chamba Juvenil’ rivolto a giovani di età compresa tra i 15 ei 35 anni, a favore del loro inserimento nel mondo del lavoro in settori orientati al compimento dei bisogni umani individuati attraverso Carnet de la Patria, e inclusi nel movimento "Somos Venezuela". Il piano si rivolge in particolare a giovani universitari disoccupati, giovani senza istruzione, alle madri sole con carico familiare, e ai giovani che stanno in strada. Si stima che questo nuovo piano genererà circa 800 mila posti di lavoro.
Tutti questi progressi sociali costituiscono, senza dubbio, alcune delle più preziose vittorie nel 2017 del presidente Maduro.
Potremmo anche citare i successi nel campo della politica estera, in particolare lo straordinario tour internazionale del Presidente, nel mese di ottobre, duarnte il quale ha visitato la Bielorussia, l'Algeria, la Russia e la Turchia, e che si è concluso con importanti accordi bilaterali per vincere la battaglia contro la guerra economica e sociale. O le incessanti trattative da parte del Presidente con i paesi produttori di petrolio (OPEC e non OPEC) che ha permesso, nel 2017, uno spettacolare aumento dei prezzi al barile di oltre il 23%!
Bisogna anche citare la grande offensiva contro la corruzione avviata a novembre scorso con l'annuncio di diverse decine di arresti tra gli alti ufficiali dirigenti e direttori di PDVSA e Citgo, includendo dirigenti di lato livello. Non era successo niente di simile in cento anni dell'industria petrolifera venezuelana. Questo è stato senza dubbio la vittoria più discussa del presidente Maduro alla fine del 2017.
Infine, dobbiamo ancora una volta sottolineare che la distruzione dell'immagine di Nicolás Maduro è l'obiettivo principale delle campagne di propaganda a livello mondiale pilotate dalle grandi compagnie di comunicazione. Senza dimenticare la guerra permanente digitale nella sfera di Internet attraverso piattaforme multiple sul Web, e le reti sociali come Facebook, Twitter, WhatsApp, Youtube, Instagram, ecc. Tutte queste armi di manipolazione di massa cercano di degradare la figura del Presidente e manipolare la realtà venezuelana. Rendono invisibile il livello di sostegno reale di vasti strati della popolazione al Presidente, e nascondono la violenza dell'opposizione. L'obiettivo è politico: sottomettere il Venezuela bolivariano, attore chiave nel sistema-mondo, non solo per la sua grande ricchezza, ma soprattutto, per il suo modello rivoluzionario e sociale. E ovviamente a causa della sua geopolitica, come potenza antimperialista d'influenza regionale
Finora, tutti questi piani per cacciare Nicolás Maduro hanno fallito. Come egli stesso ha detto: "L'imperialismo non è riuscito a soffocare, e non potrà soffocare la Rivoluzione Bolivariana". Al contrario, il Presidente è stato rafforzato nel 2017.
Questo gli ha permesso di riprendere l'iniziativa strategica per la pacificazione del Paese. Con l'intenzione di difendere i grandi interessi nazionali e aderendo ai principi di onestà e massima umiltà, Nicolás Maduro ha proposto all'opposizione di sedersi al tavolo dei negoziati e riprendere il dialogo. Questa volta nello scenario neutrale di Santo Domingo. Sulla base del rispetto e del riconoscimento reciproco con l'idea di ripristinare una negoziazione nazionale permanente come metodo democratico per difendere gli interessi della nazione e per regolare il conflitto che nasce naturalmente dalle differenze politiche nel mezzo di una rivoluzione. Tale progresso verso la pace è stata forse la vittoria più apprezzata del Presidente.
In questo anno eroico, contrassegnato da attacchi brutali e infinite aggressioni, il Chavismo ha dimostrato la sua forza e la sua capacità di eccellere. Ed è riuscito a espandere i consensi, aumentando le forze politiche e sociali a favore della rivoluzione. Eccolo, più solido che mai, un sollievo e una speranza per tutta l'America Latina. Nonostante i suoi nemici, il presidente Nicolás Maduro ha confermato, con le sue dodici brillanti vittorie del 2017, che continua ad essere, come dicono i suoi ammiratori, "indistruttibile".

Fonte: Embajada de la República Bolivariana de Venezuela en Italia