La fantasia al potere, attraverso una
critica del potere stesso, la porterà certamente Gabriele D'Annunzio
(e non certo i figli di papà del '68 italiano), il Vate della
letteratura italiana per eccellenza, il poeta armato, l'eroe
dell'impresa di Fiume e che fece della città di Fiume – occupata
con soli 1500 uomini e senza sparare un colpo – una città libera,
liberata e libertaria.
Gabriele D'Annunzio fu, secondo le
parole di Lenin, l'unico rivoluzionario dell'Italia dei suoi tempi e
da molti fu considerato un novello Giuseppe Garibaldi, per il suo
ardimento e per la sua portata socialisteggiante, dagli echi
mazziniani e garibaldini.
Ce ne ha parlato a lungo lo storico
Giordano Bruno Guerri, ma ce ne parla diffusamente – proprio
attraverso gli scritti ed i discorsi di D'Annunzo stesso – il “suo”
“Manuale del Rivoluzionario”, a cura di Emiliano Cannone ed edito
dalla Tre Editori (www.treditori.com).
Un bellissimo saggio che abbiamo scoperto e che desideriamo far
conoscere e diffondere.
Un Manuale che, non a caso, reca in
copertina un D'Annunzio nei panni di Lenin, contornato da bandiere
rosse nell'atto di prendere d'assalto il Palazzo d'Inverno.
Il Palazzo d'Inverno di D'Annunzio fu
il potere, la casta politica, il governo di Nitti, di Vittorio
Emanuele Orlando e di Giolitti, ovvero dei parrucconi della sua
epoca. Ma il Palazzo d'Inverno di D'Annunzio fu anche l'avanzante
fascismo e quel Mussolini che cercò, in tutti i modi ma senza
riuscirvi, di zittire il Vate della Nuova Italia.
Nel Manuale è rappresentata tutta
l'anima anarchica, socialisteggiante, libertaria, antiparlamentare ed
internazionalista del Nostro. Un D'Annunzio che, non a caso, dichiara
che egli aspira ad un “comunismo senza dittatura” e che –
ben prima e meglio di altri – lancerà invettive contro la “casta
politica”, dichiarando, fra le altre cose: “La casta politica
che insudicia l'Italia da cinquant'anni, non è capace se non di
amministrare la sua propria immondizia, pronta a tutte le
turpitudini, pur che sia lasciata fingere di godersi il suo potere
impotente”.
D'Annunzio, in questo senso fu un eroe
(anti)politico e, dunque, un eroe della vera democrazia, contro i
soprusi e le ruberie del potere ed in questo senso non mancherà mai
in D'Annunzio il suo appello all'Antica Grecia, al mito greco,
all'arte ed alla bellezza in tutte le sue forme, quale valori
fondanti per l'emancipazione umana. In questo senso – lo si evince
dal Manuale stesso – egli scorgerà la natura della crisi dei suoi
tempi, che poi è anche la natura della crisi economica e sociale dei
nostri, ravvisando l'origine del problema nell'espansionismo
capitalistico e nell'imperialismo anglosassone e statunitense, ovvero
di coloro i quali egli definisce i “divoratori di carne cruda”.
In questo senso D'Annunzio scrive: “La lotta mercantile, la
lotta per la ricchezza, porta il pericolo delle più terribili
conflagrazioni marziali”. Ora sappiamo che fu profetico e nelle
sue parole non possiamo non scorgere quanto avvenne nella Seconda
Guerra Mondiale, durante la Guerra Fredda e, oggi, nel Medioriente
martoriato ed ove non vi sono eroi, bensì criminali che uccidono, in
ogni dove, vittime innocenti.
Ricchezza e potere all'origine della
morte dell'umanità stessa, dunque.
Con l'impresa di Fiume possiamo dire
che il D'Annunzio concretizzerà i suoi ideali ed i suoi principi.
Nel 1919, infatti, in opposizione al Trattato di Versailles che
negava la città di Fiume all'Italia, D'Annunzio - alla testa di un
drappello di legionari - la occupò e ne fece una città libera in
tutti i sensi, al punto che a Fiume erano tollerate e praticate le
libertà sessuali, nonché era tollerata l'omosessualità e, grazie
al contributo dell'aviatore Guido Keller e dello scrittore Giovanni
Comisso, fu fondato il gruppo Yoga – avente per simbolo la svastica
di origine vedica (che nulla aveva a che spartire con il nazismo,
anzi !) ed una rosa a cinque petali - e che proponeva una visione
esoterica e spirituale della realtà.
Non solo, in collaborazione con il
sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, D'Annunzio redasse la
famosa Costitituzione di Fiume o Carta del Carnaro, la quale fu un
documento avanzatissimo per l'epoca, prevedendo: libertà di
associazione, libertà di divorziare, libertà religiosa e di
coscienza al punto che furono proibiti i discriminatori crocifissi
nei luogi pubblici, assistenza ai disoccupati ed ai non abbienti,
promozione di referendum, promozione della scuola pubblica,
risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario, inviolabilità
del domicilio e altro ancora che, peraltro, non fu mai garantito
nemmeno dalla Costituzione della Repubblica italiana partitocratica,
fondata nel 1948 e nella quale viviamo tutt'oggi. Una Costituzione
tanto decantata, ma assai poco approfondita e che poco aveva a che
spartire con la vera democrazia della Repubblica Romana del 1849 e
con la Carta del Carnaro, fondata da spiriti rivoluzionari e non già
da canuti uomini politici, servi dei partiti e delle ideologie e che
il potere ha reso schiavi.
Un'impresa unica nella Storia, dunque,
quella di Fiume, purtroppo soffocata dall'imperialismo internazionale
e dal governo italiano di Giovanni Giolitti (tutt'altro che un
liberale, bensì un famoso Ministro della malavita
come lo soprannominò Gaetano Salvemini !) che, nel 1920,
inviò le truppe italiane a sgomberare a cannonate i legionari.
Da non dimenticare frasi come queste,
contenute nel “Manuale del Rivoluzionario”, che D'Annunzio lancia
quali invettive ai governanti dell'Europa e del mondo di ieri, non
dissimili da quelli di oggi. Frasi oggi attualissime, se osserviamo
la geopolitica mondiale, europea, oltre che i flussi di migranti che
approdano giornalmente sulle nostre coste, costretti ad emigrare a
causa di una crisi voluta dai Governi e dal sistema
economico-monetario: “In tutta Europa, in tutto il mondo, il
potere politico è al servizio dell'alta banca meticcia, è
sottomesso alle impostazioni ignobili dei rubatori e dei frodatori
costituiti in consorzi legali. Neppure nel peggior tempo dei
barbareschi e dei negrieri le genti furono mercanteggiate con così
fredda crudeltà. Le nazioni sono cose da mercato. La vita pubblica
non è se non un baratto immondo esercitato nel cerchio delle
istituzioni e delle leggi esauste. Fino a quando ?”.
Il “Manuale del
Rivoluzionario”, che raccoglie gli scritti anarco-libertari,
socialisti, internazionalisti ed umanitari di D'Annunzio è
certamente una fortunata opera editoriale ed il merito va certamente
all'ottimo Emiliano Cannone, giovane dottore di ricerca in
italianistica, per averlo curato con, peraltro, un'ottima nota
introduttiva e precise note a piè di pagina.
La veste editoriale
del saggio, poi, curata dalla Tre Editori, è elegantissima, anche a
dispetto dell'economico prezzo di copertina. Da notare che, la fine
di ogni capitolo del Manuale, reca il simbolo della bandiera della
Reggenza del Carnaro: un uroboro – ovvero un serpente che si morde
la coda – antico simbolo esoterico e gnostico a rappresentare la
natura ciclica delle cose, ovvero simbolo di immortalità (si
rammenti che Gabriele D'Annunzio fu peraltro iniziato alla Massoneria
della Serenissima Gran Loggia d'Italia, oggi Gran Loggia d'Italia
degli ALAM e non ne fece mai mistero), con al centro le sette stelle
dell'Orsa Maggiore.
Ulteriori spunti su
cui riflettere ed approfondire attorno ad un personaggio poliedrico
quale fu Gabriele D'Annunzio, troppo frettolosamente relegato fra i
“poeti del nostro Paese”, senza rammentarne (o preferendo
piuttosto oscurarne) la portata rivoluzionaria, libertaria ed
eminentemente (anti)politica e (contro)culturale.
Luca Bagatin
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