Fidel Castro e Marco Pannella: due
rivoluzionari quasi cotanei, due vite diverse ma accomunate entrambe
da battaglie di emancipazione sociale e individuale.
Il primo komunista, il secondo
amerikano, pur non essendo affatto né comunisti né veramente
americani, ma rimanendo sempre loro stessi: castristi e pannelliani,
ovvero, in due parole: socialisti e radicali.
Fidel Castro, con il recente discorso a
L'Avana, si congeda dalle scene e così ha fatto Marco Pannella che,
da qualche mese, a causa delle sue condizioni di salute, si è
ritirato in casa, ricevuto solo dagli amici più cari, non ultimo
Vasco Rossi.
Marco Pannella, classe 1930, allievo
politico di Benedetto Croce e fra i fondatori del primo Partito
Radicale con Mario Pannunzio ed Ernesto Rossi – rompendo con la
tradizione liberal-confindustriale e dando vita ad un partito contro
i monopoli di Stato e di mercato - e del secondo Partito Radicale –
partito dei diritti civili e anticlericale per eccellenza - di cui
diventerà il leader indiscusso.
Fidel Castro, classe 1926, leader della
Rivoluzione Cubana negli Anni '50 assieme a Che Guevara contro il
dittatore Fulgencio Batista e Leader Maximo dell'Isola Caraibica sino
al 2011, quando lascerà l'incarico al fratello Raul. Marxista non
sovietico, che finirà per scegliere l'alleanza con l'URSS unicamente
per convenienza geopolitica.
Che cosa unisce Marco e Fidel,
apparentemente così lontani ?
L'essere stati degli eroi del XX e di
parte del XXI secolo: Marco con le sue lotte contro i monopoli, la
partitocrazia, per il diritto all'emancipazione femminile, al
divorzio, all'aborto, ai diritti degli omosessuali e per
l'antiproibizionismo su tutto. Fidel Castro per aver dato
un'opportunità di riscatto sociale non solo alla sua isola natale,
ma a tutta l'America Latina preda del colonialismo e del
neocolonialismo, avendo peraltro ispirato e supportato le imprese
democratiche e civili di Chavez, Morales, Ortega, Mujica...in questi
ultimi quindici anni.
Marco Pannella giocava sul “fronte
occidentale”, amico degli USA in quanto amico del sistema
elettorale e liberale “amerikano”, ma sino ad un certo punto.
Ovvero, nei fatti, comunque dalla parte del Terzo Mondo, contro lo
sterminio per fame di milioni di africani, contro il neocolonialismo
e per il disarmo unilaterale del blocco occidentale.
Fidel Castro, amico dell'URSS, ma solo
per convenienza strategica. In realtà fiero marxista convinto che il
sistema socialista non andasse affatto esportato, ma andasse bene per
i Paesi poveri e sfruttati come quelli colonizzati dagli europei e
dall'Impero del Male yankee. Fidel, capace di autocritica di fronte
al trattamento prigionieri politici cubani e di fronte a quegli
omosessuali che aveva preferito inviare nei campi di lavoro ai tempi
della Rivoluzione, al punto che oggi – grazie alla nipote Mariela
Castro, figlia del fratello Raul – si discute della possibilità di
riconoscere il matrimonio omosessuale a Cuba.
Marco e Fidel, ad ogni modo, come tutte
le persone intelligenti e tutti i rivoluzionari, non sono privi di
contraddizioni e di errori, ma non possiamo non riconoscere le loro
lotte sprezzanti del pericolo, condotte in modo assai diverso, ma non
meno rispettabile.
Marco, gandhianamente, digiunando e
talvolta beccandosi botte e insulti nei vari sit-in nonviolenti
organizzati dai radicali. Fidel attraverso la guerriglia nella Sierra
Maestra. Ma “senza mai perdere la tenerezza”, come soleva
dire il Che.
L'obiettivo era una società diversa,
libera, libertaria, socialista, autogestionaria. In questo senso non
ci dimentichiamo i dibattiti aperti dal Partito Radicale negli Anni
'70 per la costruzione di un ampio soggetto socialista e libertario,
che vedesse coinvolti socialisti del Psi, ma anche pezzi di Lotta
Continua e di Democrazia Proletaria, che furono ad ogni modo
coinvolti in diverse battaglie radicali (ricordiamo la martire laica
Giorgiana Masi, che, nel 1977, a soli 18 anni morì sotto i colpi di
agenti in borghese, solo per aver pacificamente manifestato assieme a
radicali e sinistra extraparlamentare).
La stessa Rivoluzione Cubana infiammò
gli animi delle controculture hippie, ovvero dei vari Jerry Rubin e
Abbie Hoffman, ovvero di quegli statunitensi libertari stanchi del
sistema capitalista e borghese e critici nei confronti degli USA
quali “gendarmi del mondo”.
Marco e Fidel, oggi anziani ma non domi
che, per oggettive ragioni di salute si ritrovano ad uscire
gradualmente di scena. Entrambi ricevendo gli amici più cari e
continuando a dare consigli.
Pannella ricevendo l'amico di tante
battaglie Vasco Rossi e rilanciando la battaglia radicale per la
legalizzazione della cannabis, attraverso una raccolta di firme per
una proposta di legge di iniziativa popolare in tal senso; Castro
ricevendo recentemente il Presidente del Venezuela Nicolas Maduro e
criticando così le aperture del fratello Raul ad Obama.
L'Italia di oggi non è più l'Italia
degli Anni '70, ma ad ogni modo, anche se non ha vinto il radicalismo
liberalsocialista pannelliano, i costumi sono molto cambiati anche
grazie e soprattutto ai radicali di Marco Pannella.
L'America Latina, anche se sta subendo
numerosi tentativi di golpe e di inversioni di marcia (osserviamo i
casi emblematici del Brasile e dell'Argentina), ha comunque oggi le
spalle ben più larghe rispetto al periodo precedente alle
Rivoluzioni Cubana di Castro e Bolivariana di Chavez ed ha conosciuto
quel Socialismo del XXI secolo che è oggi l'unico autentico esempio
di emancipazione sociale al mondo.
Rimangono così due eroi che, a 90 anni
dalla loro nascita, ci hanno lasciato una profonda eredità e dei
profondi insegnamenti: non occorre essere maggioranza – peggio
ancora se silenziosa e conformista - per vincere le battaglie e le
guerre. Si può essere anche minoranza, a patto di essere una
minoranza anticonformista e battagliera, senza mai perdere la
tenerezza, procedendo con onestà intellettuale e rinunciando ad
ogni forma di egoismo.
Cari Marco e Fidel, da voi ho imparato
moltissimo. E, credo, di non essere stato l'unico.
Luca Bagatin
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