Dei curdi non è mai importato poi
molto a nessuno, in quanto non sono una lobby economica e,
soprattutto, sono sempre stati invisi ai governi antidemocratici
della Turchia che mai ebbe uno Stato davvero laico, checché se ne
dica. E soprattutto i curdi sono fra i pochi popoli al mondo che
conoscono davvero il concetto di democrazia, ovvero di “governo del
popolo”. Un concetto che si è perduto forse con la scomparsa delle
agorà greche.
Dei curdi parlammo già in un altro
articolo nella primavera scorsa
(http://amoreeliberta.blogspot.it/2016/03/i-curdi-e-la-questione-curda-una-visita.html),
dopo una visita che facemmo presso il centro culturale curdo “Ararat”
di Roma che, per fortuna, non è stato più chiuso come il Comune di
Roma aveva prospettato in un primo tempo.
Parlammo della loro storia e delle loro
lotte per la democrazia diretta; parlammo delle loro comuni
autogestite e della loro battaglia contro il terrorismo dell'Isis. E
raccontammo di come i curdi siano sempre stati sostenuti da un solo
grande leader internazionale e rivoluzionario: il Rais libico
Mu'Ammar Gheddafi, barbaramente ucciso nel 2011 “grazie” alle
invasioni delle truppe NATO.
E' di pochi giorni fa la notizia che un
ragazzo italiano, l'attivista No Tav Davide Grasso, sta combattendo
in Siria a fianco delle milizie curde dell''YPG contro l'Isis e
invita Renzi a rompere ogni rapporto con la Turchia, la quale –
oltre a mantenere un regime di apartheid contro i curdi turchi - non
perde occasione per attaccare le truppe dell'YPG.
L'appello di Davide Grasso, lo sappiamo
bene, rimarrà probabilmente inascoltato. La Turchia è un Paese ben
protetto dal blocco atlantista. Blocco atlantista che, lo sappiamo
bene, ha destabilizzato proprio quei Paesi (Libia e Siria in primis)
ove oggi l'Isis è fortissimo.
Abbiamo molto da imparare, invece, dai
rivoluzionari curdi del YPG, ovvero delle Unità di Protezione del
Popolo della regione siriana del Rojava, che, assieme all'YPJ (Unità
di Protezione delle Donne) - costituito esclusivamente da donne - ha
dato il via ad una vera e propria rivoluzione libertaria e
umanitaria, oltre che comunitaria.
Come mi raccontò Kazim Toptas,
coordinatore del centro “Ararat” di Roma, la concezione di vita
dei curdi e dei rivoluzionari curdi è fondata sulla libertà di
opinione e di partecipazione popolare diretta alle decisioni
politiche ed ai processi produttivi, oltre che sul rispetto della
laicità e delle varie confessioni e sensibilità religiose del
Rojava. I curdi, inoltre, hanno un profondo rispetto per le donne, le
quali, oltre ad avere la loro milizia (l'YPJ, appunto), hanno pari
diritti rispetto all'uomo e sono equamente rappresentate all'interno
delle istituzioni curde.
L'unità fondante delle comunità curde
nel Rojava sono le comuni autogestite, che sono il fondamento della
vita democratica dei curdi stessi e che sono, per moltissimi versi,
ispirate alla Comune di Parigi del 1870 ed ogni comune può essere
costituita da un minimo di 30 ad un massimo di 300 persone. Ogni
comune è costituita da appositi comitati legati alle varie necessità
sociali. Vi sono infatti comitati di difesa, comitati per l'economia,
comitati per le donne, comitati di educazione e così via e questi
permettono, appunto, ai componenti della comune, di amministrarsi da
soli e l'economia della comune è costituita in modo tale che i
bisogni di tutti i suoi componenti siano soddisfatti: in pieno
spirito solidaristico e fraterno (un muratore provvede alle esigenze
edili; un insegnante a quelle educative; un contadino a quelle
alimentari e così via).
Una forma di compartecipazione
democratica diretta purtroppo sconosciuta nelle nostre sedicenti
democrazie occidentali fondate sul capitalismo edonistico ed
egoistico e sull'elettoralismo, ovvero sulla delega a colui ed a
coloro i quali riescono a prendere più voti, magari grazie al fatto
che sono riusciti ad elaborare “slogan pubblicitari” più
accattivanti oppure riusciranno a garantire meglio la tal lobby
piuttosto che l'altra, che li finanzia e sostiene profumatamente.
I rivoluzionari curdi, in sostanza,
sanno davvero che cosa sia la democrazia, ovvero la libertà, che è
prima di tutto libertà di gestirsi e di autogestirsi, senza egoismi
di sorta.
I rivoluzionari curdi del Rojava, in
sostanza, rifiutano l'economia capitalistica pur senza abbracciare il
sistema del cosiddetto “socialismo reale” comunista. Non si
oppongono all'iniziativa privata, ma prediligono il sistema
collettivo e cooperativistico. Il loro Contratto sociale prevede
infatti che tutte le ricchezze del del suolo e sottosuolo
appartengano alla collettività e così tutte le terre ad unità
immobiliari presenti nella regione del Rojava. Lo scopo principale
dello sviluppo produttivo è dunque quello di soddisfare i bisogni
delle persone e di permettere loro una vita dignitosa.
Anche il diritto legale, nel Rojava, è
risolto in ambito comunitario, ovvero all'interno della comunità
vengono risolte le varie controversie legali, evitando così il
ricorso alle lungaggini dei tribunali ed ogni sanzione ha piuttosto
lo scopo di educare, piuttosto che quello di punire o di instillare
il senso di vendetta e ciò ha fatto sì che il numero di omicidi e
di furti si riducesse drasticamente rispetto al periodo in cui il
Rojava era di pertinenza del governo siriano. Pene severe, ad ogni
modo, sono previste in casi di omicidio o di violenza sulle donne, le
quali sono tenute - nelle comunità curde - nella più alta
considerazione.
Questa è, dunque, la Rivoluzione curda
del Rojava. Questa è, dunque, la causa dei curdi, che è anche la
causa di tutti i sinceri democratici che si oppongono al terrore
religioso, politico, economico.
Questa è una causa da diffondere e
sostenere affinché il mondo apra gli occhi di fronte ai suoi stessi
crimini e comprenda, oltre che abbracci, un approccio diverso.
Comunitario ed autogestionario. Ovvero democratico e libertario.
Luca Bagatin
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