Il 2016 che si sta chiudendo ha,
politicamente parlando, mostrato chiaramente dove il mondo vuole
andare e dove non vuole andare.
I popoli vogliono riappropriarsi di una
sovranità perduta; rifiutano la globalizzazione “liberaldemocratica”
e la “cinesizzazione” del pianeta, che hanno tolto loro potere
d'acquisto, sovranità popolare e dunque autentiche libertà e
democrazia; sono aperti all'accoglienza ma sino a che questa non
diventa una vera e propria deportazione di esseri umani con
conseguente sradicamento sociale e culturale di tutti; pretendono un
presente ed un futuro quanto più possibilmente certo, ovvero la
sicurezza economica; una casa ove vivere dignitosamente, oltre che
cure mediche gratuite ed adeguate.
Tutto ciò, ai commentatori “liberal”,
appare come “anacronistico” e viene bollato come un femomeno
populista.
Invero, tutto ciò, oltre a non essere
affatto anacronistico, è davvero populismo, ma nel senso originario
e più positivo del termine. Ricordiamo infatti che il movimento
populista nacque in Russia nei primi anni del '900 ed era
rappresentativo dei contadini e dei servi della gleba e per molti
versi fu l'equivalente del Peoples Party statunitense, sorto alla
fine dell'800, rappresentativo delle classi contadine e critico nei
confronti del capitalismo. Ovvero politica di popolo e per il popolo.
Un autetico popolo alla ricerca di vera
libertà e di vera democrazia, aspetti non garantiti dal capitalismo
globalista “liberal” delle élite che, come al solito, fanno il
gioco della borghesia e dei ricchi.
Questi sono i segnali che il 2016 ha
potuto registrare attraverso almeno quattro eventi politici di una
certe rilevanza: il referendum britannico sulla Brexit; la vittoria
di Donald Trump alle elezioni statunitensi; la sconfitta alle
primarie francesi del globalista Sarkozy e la non ricandidatura alle
imminenti elezioni presidenziali francesi dell'altrettanto globalista
Hollande, oltre che l'avanzata inesorabile del Front National di
Marine Le Pen ed infine la recente vittoria del NO al referendum
costituzionale italiano, una vera e prioria forma di dissenso nei
confronti delle politiche “liberal-capitaliste” attuate dal
governo Renzi.
Il mondo cosiddetto “occidentale”
sta forse iniziando a comprendere che l'ondata “liberalizzatoria”
iniziata negli Anni '90, non ha prodotto alcuna autentica libertà
per i cittadini, ma solo per le classi agiate e talune economie
internazionali (vedi quella cinese). Ha impoverito quasi tutti; fatto
perdere sovranità nazionale e popolare oltre che monetaria;
implementato un immigrazionismo che si traduce in nuovo sfruttamento
di manodopera straniera a basso costo e nell'emersione di nuovi
mercati clandestini; implementato politiche di precarizzazione e di
sfruttamento del lavoro (vedi Loi Travail francese e Jobs Act
italiano); aumentato il rischio di una nuova contrapposizione fra
Stati Uniti d'America e Russia, anziché dato luogo ad un comune
impegno contro il terrorismo internazionele e così via.
Di fronte a tutto ciò, allorquando i
popoli sono stati chiamati a pronunciarsi, hanno chiaramente espresso
posizioni sovraniste, isolazioniste in politica estera, autarchiche e
anti-globaliste.
Ora, non crediamo affatto che i partiti
elettoralistici di matrice cosiddetta “sovranista” presenti sul
panorama internazionale e le persone che li rappresentano possano
essere la panacea. Diffidiamo assai dei tanti e troppi esagitati, pur
osservando con attenzione almeno due fenomeni, ovvero il rinnovamento
attuato da Marine Le Pen nel suo partito e le proposte positive dei
Podemos spagnoli guidati da Pablo Iglasias
Riteniamo ad ogni modo che una avanzata
elettorale del “sovranismo” sia sintomatica delle richieste dei
cittadini.
Ed in questo senso rilanciamo l'idea
dell'attuazione di una autentica democrazia diretta e dal basso,
magari attraverso assemblee popolari alle quali in ogni quartiere,
comune, provincia e regione, ciascun cittadino possa partrcipare e
discutere/decidere liberamente e, appunto, democraticamente, in luogo
di partiti elettoralistici e di “rappresentanze” in nome e per
conto dei cittadini stessi. E un'assemblea di estratti a sorte fra
tutti i cittadini, a livello nazionale, in luogo dei Parlamenti.
Rilanciamo l'idea di un reddito
universale di cittadinanza (necessario in quest'epoca ove il lavoro
sarà sempre più una rarità e sostituito dalle macchine) e di
tutele universali per tutti i cittadini in luogo delle fantomatiche
“tutele crescenti”. Ed il diritto ad una abitazione dignitosa per
tutti i cittadini ed alla sanità universale gratuita.
E se non ci sono le risorse le si
cerchino, si stampino i danari, si attui finalmente una economia del
dono fondata sull'amore fra le genti, come nelle civiltà matriarcali
e come illustrato dall'antropologo socialista Marcel Mauss nel suo
celebre saggio.
E si investa in decrescita economica e
non più in crescita. Si investa nell'ecosistema e nel riutilizzo dei
beni. Si smetta di produrre cianfrusaglie e di esportarle solo per
alimentare il mercato ed una assurda idea di “crescita illimitata”
che si traduce in danno per l'ambiente e per la psiche umana,
traducendosi, appunto, in ideologia del lavoro (e suo conseguente
sfruttamento) e nella creazione di bisogni superflui indotti (indotti
ad esempio dalla pubblicità commerciale) e nella conseguente ricerca
di risorse economiche per poterseli acquistare anche attraverso il
gioco d'azzardo, piaga moderna di questa società capital-consumista
e dunque nè libera nè democratica in quanto non scaturita
dall'autentica necessità/richista/volontà della comunità.
Occorre far rivivere il senso ci
comunità e di appartenenza: sociale, culturale, civile, anziché
seguire e sdoganare modelli di sradicamento sociale, culturale e
civile tanto in voga negli ultimi decenni.
Occorre bloccare ogni traffico di armi
e cancellare ogni richiesta di pagamento dei debiti dei Paesi del
Terzo Mondo, i quali devono invece essere aiutati ad emanciparsi come
nelle prospettive avviate dal Presidente del Burkina Faso Thomas
Sankara negli Anni '80.
Occorre davvero pensare ad una nuova o
forse antica idea di civiltà, quella che mi piace chiamare “Civiltà
dell'Amore” e per molti versi resa attuale nell'America Latina del
Socialismo del XXI secolo che, non a caso, ha conosciuto meno di
altri la crisi economica e sociale ed ha permesso a popoli sfruttati
da secoli di emanciparsi.
E' la civiltà che, forse, piacerebbe
anche al Papa dei cattolici Francesco e che anche chi cattolico non è
può riconoscersi per il solo fatto di essere un essere umano.
E' la civiltà della libertà e della
democrazia autentica perché non slegata dalla comunità e dalle
persone che la compongono.
Luca Bagatin
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