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mercoledì 30 agosto 2017

Riflessioni sulla vita sociale, il socialismo ed il bisogno del cuore nelle parole di Federico Fellini

Per imparare la ricchezza e la possibilità della vita sociale, oggi che si fa un gran parlare di socialismo, è anzitutto importante imparare a stare, semplicemente, anche con un solo altro uomo: credo che questo sia il tirocinio d'ogni società e credo che se non si risolve questa umile ma necessaria partenza, ci troveremmo forse domani di fronte a una società esteriormente bene organizzata, e pubblicamente perfetta e senza peccato, nella quale però i rapporti privati, quelli tra uomo e uomo, quelle tra le persone, rimarrebbero rapporti di vuoto, di indifferenza, di isolamento e di impenetrabilità.
Il nostro male, di noi uomini moderni, è la solitudine e questa incomincia assai nel profondo, alle radici dell'essere, e nessuna ubriacatura pubblica, nessuna sinfonia politica può presumere di levarla tanto facilmente. C'è invece, a mio avviso, tra persona e persona, il modo di rompere questa solitudine, di far passare come un messaggio fra l'una e l'altra, e di comprendere, dunque, di scoprire quasi, il legame profondo che lega l'una all'altra (...). Credo che oggi il capovolgimento da un individualismo a un giusto socialismo, per essere persuasivo dev'essere tentato e analizzato come bisogno del cuore, come impulso dell'attimo, come linea in azione dentro il più dimesso corso della nostra esistenza. La società deve nascere come bisogno profondo dell'esistenza, qui maturare e da qui slanciarsi.

(Federico Fellini. Tratto da Carlo Lizzani "Storia del cinema italiano", Milano, Parenti, 1961)

domenica 27 agosto 2017

"Populismo", l'ultimo saggio di Alain De Benoist sulla fine della destra e della sinistra. Articolo di Luca Bagatin

Populismo, termine ed aspetto ritenuto, nella società capitalista e liberale, ovvero nella società della crescita illimitata e del godimento assoluto governato dalle élite, temibile e da contrastare.
Esso è ritanuto temibile e da contrastare in quanto rappresenta la fondamentale rottura ideale e morale dei popoli e degli oppressi dalle élites, le quali vedono proprio in tale rottura, la fine del loro dominio economico, sociale, politico e morale sui cittadini medesimi.
Proprio di populismo tratta l'ultimo saggio del filosofo francese Alain De Benoist, edito alcuni mesi fa in Francia con il titolo "Le Moment populiste - Droite-Gauche c'est fini !" dalle edizioni Pierre-Guillaume e pubblicato, con traduzione italiana, dalla Arianna Editrice con il titolo "Populismo".
De Benoist, fine studioso e critico del capitalismo nonché sostenitore della democrazia diretta e della decrescita economica, intende, con questo saggio, spiegare la nascita di tale fenomeno dalle origini sino agli sviluppi che esso ha avuto ai giorni nostri in conseguenza di eventi importantissimi quali: la crisi economica, la conseguente disaffezione dei cittadini verso la politica, il referendum sulla Brexit e la critica della stragrande maggioranza dei cittadini nei confronti dei governi ed in particolare dell'Unione Europea, organismo non democratico e sovranazionale.
Il populismo, spiega De Benoist, nasce fra il 1860 ed il 1880 in Russia grazie alla spinta dei narodniki (da narod, ovvero popolo), ovvero dei socialisti russi che vollero alfabetizzare le masse contadine ed oppresse e proposero una riforma agraria in senso socialista in quanto ritennero che i contadini fossero l'unica classe rivoluzionaria in grado di opporsi all'occidentalizzazione della Russia ed all'espansione del capitalismo. I narodkini fondano il loro progetto, dunque, all'inerno della comunità rurale tradizionale come sistema di solidarietà e mutua assistenza. Uno fra i maggiori esponenti del populismo russo fu Aleksandr Herzen, collaboratore in seguito tanto di Giuseppe Mazzini in Italia (scrisse infatti diversi articoli sul mazziniano "Italia del popolo") che di Pierre-Joseph Proudhon in Francia. Il contributo del populismo russo allo sviluppo della Prima Internazionale dei Lavoratori, di matrice socialista, mazziniana e anarchica, è dunque più che evidente.
Nello stesso periodo, negli Stati Uniti d'America, si svilupperà un movimento populista pressoché simile. Fondato nel 1867 da Oliver Hudson Kelley, il movimento detto dei "grangers", avrà come obiettivo quello di ampliare i diritti dei lavoratori agricoli e di salvaguardare l'autonomia dei piccoli proprietari terrieri allo scopo sia di emanciparsi dagli interventi dello Stato che tentando di mettere fine alla speculazione ed all'industrializzazione di massa. Sull'onda di tale movimento, nel 1891 sarà fondato il People's Party, partito populista agrario.
Successivamente, ma parecchi decenni dopo, anche in America Latina si svilupperà una interessante forma di populismo attraverso il peronismo, anch'esso facente perno sulla riforma agraria, oltre che proponendo l'accesso alla cittadinanza politica delle classi popolari, ovvero i cosiddetti descamisados.
Il populismo, dunque, lungi dall'avere una connotazione di destra o di sinistra oppure una connotazione negativa, è una forma di contrasto al capitalismo e di promozione del socialismo agrario, comunitario e opposto ad ogni forma di accumulo di capitale e di potere politico nelle mani di pochi oligarchi. Il populismo è dunque una delle più moderne forme di democrazia attiva e partecipativa.
Come scrive Alain De Benoist nel suo saggio, è dunque del tutto errato dire che il populismo esprime disgusto o rifiuto della politica, bensì, all'opposto, esso pone unicamente una critica radicale alla classe politica, alla quale di rimprovera di non fare più politica, bensì di difendere interessi oligarchici e particolari. Il populismo è dunque una forma di protesta contro la spoliticizzazione degli affari pubblici e contro la delega di questi a tecnici o esperti (si pensi all'Italia del Governo Monti, composto da "tecnici ed esperti" non eletti da nessuno).
Il populismo, dunque, rappresenta una richiesta di democrazia, ovvero di partecipazione dei cittadini alle questioni che li riguardano. Ed il massimo della democrazia non risiede certo nel suffragio universale o nei sistemi elettoralistici, bensì coincide con il massimo della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e politica ed in questo senso non può che criticare il sistema liberale capitalista e reppresentativo, in quanto il populismo richiede democrazia diretta e partecipativa.
De Benoist, nel suo saggio, rivela come fu nel 2005 che in Francia si sviluppò una forte spinta populista, ovvero allorquando prevalse il NO al referendum sul progetto di trattato costituzionale europeo. Allora si rilevò quanto fosse ampio il fossato ideologico e sociologico fra il popolo e le élite.
Altro aspetto rilevato dall'Autore, che mise e sta sempre di più ponendo un fossato fra popolo ed élite, è l'immigrazione, favorita dai circoli affaristici ed economici in nome della libera circolazione di persone e capitali: incontrollata, di massa, massiccia e rapida tale da generare nuove guerre fra poveri già aggravate dal sistema economico capitalista. Ed i fenomeni di terrorismo islamico non possono che inasprire tale situazione.
Non ultimo il fenomeno di un'Unione Europea e di una globalizzazione che hanno tolto oggettivamente sovranità agli Stati e sempre di più potere ai cittadini e, oltre a ciò, la dipendenza degli Stati - non più in grado di affrontare la crisi econimica - dai mercati finanziari, tanto quanto già precedentemente dipendenti in campo geopolitico e militare dalla NATO e sottomessi da vincoli di bilancio europei sempre più stringenti e portatori di austerità.
In tutto ciò i popoli non possono che sentirsi sempre più oppressi, meno liberi di esprimersi e di poter prendere parte alla vita pubblica ed al loro destino.
"La globalizzazione" - scrive De Benoist - "produce molti vincitori tra le elite, ma milioni di perdenti nel popolo, il quale comprende per di più che la globalizzazione economica apre la strada alla globalizzazione culturale, suscitando al tempo stesso nuove frammentazioni".
Ed è così che la gran parte dei cittadini, in Occidente, ha smesso di andare a votare, ha preferito astenersi ed il voto è diventato sempre meno identitario e sempre più liquido, di pari passo con la liquidità dei partiti di massa, i quali hanno perduto ogni loro connotazione: destra e sinistra, socialisti e liberali, sono sempre più simili ed assimilati al sistema centrista, borghese, elitario e capitalista.
In particolare De Benoist rileva come la destra abbia rinunciato alla difesa del "popolo-nazione" (addio al gollismo), mentre la sinistra ha rinunciato al "popolo-classe operaia" (addio al socialismo). E così, via via, l'elettorato ha sempre di più preferito rivolgere le proprie attenzioni verso partiti dichiaratamente populisti quali Podemos in Spagna, Front National e France Insoumise in Francia, Movimento Cinque Stelle in Italia e così via.
Destra e sinistra, diversamente, avendo abbandonato in Europa i valori di sovranità, patria e socialismo, si sono unite in una sorta di partito unico liberale, politicamente corretto, capitalista, le cui uniche ideologie sono il "godere senza limiti", "vietato vietare", "crescita economica", "governance", "consumare senza limiti", "flessibilità" e così via. Il tutto in barba all'ambiente, ai diritti dei lavoratori, dei disoccupati e dei precari in costante aumento.
Non stupisce dunque Alain De Benoist il fatto che un "socialista" come Dominique Strauss-Kahn sia stato chiamato a presiedere il Fondo Monetario Internazionale per realizzare politiche liberiste (sic !).
Nè stupisce De Benoist il fatto che la stragrande maggioranza degli operai e dei salariati francesi (ex comunisti ed ex socialisti) oggi voti Front National, così come la maggioranza di essi in Gran Bretagna abbia votato in favore della Brexit. Ovvero in opposizione rispetto alle élite di destra e sinistra.
La denuncia del liberalismo di De Benoist nel suo saggio è più che evidente, in quanto egli afferma come "Il liberalismo, affermando che le azioni egoistiche in definitiva giovano al benessere di tutti, contribuisce alla distruzione delle basi morali". Infatti esso ha distrutto ogni vincolo solidaristico, affettivo, famigliare, precarizzato il lavoro ed ogni rapporto umano interpersonale e abolito ogni forma di stabilità e di lealtà. Ha favorito la concorrenza e dunque la lotta di tutti contro tutti per l'ottenimento di un benessere effimero.
L'Autore rileva che essere liberi non significa liberarsi della propria identità e tradizione (magari attraverso la libertà dei costumi e la trasgressione ad ogni costo, oppure attraverso il cosmopolitismo o la virtualità), bensì aderendo e partecipando direttamente alla propria realtà e comunità, ai suoi luoghi, situazioni, modi di vivere. Ovvero l'esatto opposto rispetto a quanto imposto dalla società liberale, che addomestica il cittadino per meglio renderlo assimilabile alle regole dell'economia di mercato. E qui De Benoist cita Guy Debord, fondatore dell'Internazionale Situazionista: "L'economia trasforma il mondo, ma soltanto il mondo dell'economia".
Egli rileva come dagli Anni Settanta sino ad oggi la situazione materiale delle persone si sia via via degradata. La povertà si è urbanizzata, è ringiovanita (i giovani sono più poveri delle generazioni precedenti) e femminilizzata. Il numero dei disoccupati e dei precari è peraltro in continuo aumento e, spesso, anche coloro i quali lavorano sono sottopagati. Purtuttavia la società, nei suoi costumi, sembra sempre più "libera" e viene percepita come la più "democratica" e "prospera". E' in sostanza il trionfo dell'individualismo moderno di matrice liberale e progressista, che purtuttavia finisce per opprimere i popoli, ovvero i loro intrinseci bisogni di socialità, solidarietà, stabilità, comunità e dunque di autentica libertà.
Nel suo saggio De Benoist pone altresì una critica al sistema della "democrazia liberale", la quale si traduce nel parlamentarismo rappresentativo, ovvero una forma che non ha in sé nulla di democratico in quanto non permette al popolo di auto-rappresentarsi, secondo peraltro i postulati di Rousseau e di Proudhon. La partecipazione del popolo agli affari pubblici è respinta per la sua presunta "incompetenza", ma chi può stabilire se un politico sia più "competente" di un cittadino qualsiasi ? Non a caso i primi liberali erano contrarissimi al suffragio universale e promuovevano un sistema censitario in quanto - in questo modo - avrebbero inibito la politica alle classi ritenute "pericolose". La "democrazia" rappresentativa funge così da "filtro" della sovranità popolare e ne riduce la portata. Ovvero la "democrazia" rappresentativa, rileva De Benoist, non è altro che una forma di oligarchia. Per porre fine a tale oligarchia l'Autore cita il filosofo greco di ispirazione socialista libertaria Takis Fotopoulos, il quale parla di "democrazia inclusiva" e, proponendo localismo e decrescita economica, fa dell'uguaglianza economica la base per l'uguaglianza politica e dunque per la democrazia autentica. Fotopoulos, in particolare, sostiene un'economia senza Stato, senza danaro e senza mercato e propone la democrazia diretta ed auto-rappresentativa su base localista e federale.
De Benoist si pone dunque in alternativa rispetto ad ogni concetto di "governance", molto di moda negli ultimi anni, ovvero di "pensiero contabile" che obbliga i governi ad attuare scelte tecniche in linea con le esigenze del mercato o della finanza. La "governance" è infatti il trionfo dell'interesse particolare sul valore universale e mira alla privatizzazione della società sul modello del mercato. Ed il mercato non va affatto d'accordo con la democrazia, ma tende a subordinarla alle sue regole esigendo, di volta in volta: soppressione delle frontiere, liberalizzazione dell'economia, degli stili di vita, della precarizzazione dei rapporti umani e affettivi, dello sradicamento identitario e così via.
Alain De Benoist fa dunque suo il pensiero di un altro importante filosofo francese, ovvero l'orwelliano Jean-Claude Michéa. Michéa, in passto iscritto al Partito Comunista Francese (partito che non si è mai definito di sinistra, salvo negli ultimi decenni) e tuttora socialista non pentito e proprio per questo critico nei confronti della sinistra.
Michéa rileva come la sinistra si sia via via allontanata dai valori popolari allorquando ha preferito abbracciare l'ideologia liberale e borghese del progresso e della crescita illimitata. Del resto nessun esponente socialista originario si è mai definito di sinistra: né Marx, né Proudhon, né Pierre Leroux, né Sorel e così via e nessuno di costoro si è mai rifatto all'ideologia Illuminista, preferendo diversamente la difesa delle classi popolari (Quarto Stato, contrapposto al Terzo Stato) e delle comunità arcaiche contadine ed operaie, unite da un legame solidaristico e di mutuo aiuto e libero da ogni forma di interesse economico tipico della mentalità borghese, liberale e illuminista.
Come spiega Michéa, scendendo a compromessi con le classi borghesi "di sinistra", durante il periodo dell'affaire Dreyfuss ed il rischio di un colpo di stato monarchico, le classi popolari ed i socialisti hanno iniziato ha perdere ogni connotato originario sino ad aderire completamente al liberalismo economico e dunque al liberalismo culturale, perdendo così ogni solidarietà di classe e comunitaria ed avviando il socialismo a trasformarsi nell'attuale indistinto progressismo, abbracciando di fatto quello che è oggi il capitalismo assoluto finanziario. La sinistra borghese ha finito così per diventare razzista nei confronti del popolo ed è diventata la maggiore paladina dello sradicamento forzato dei popoli (immigrazionismo, soppressione delle frontiere, godimento senza limiti ecc...). Tutti aspetti peraltro denunciati in Francia da Michel Clouscard e in Italia da Pier Paolo Pasolini, cantore della civiltà contadina, arcaica, popolare e genuina contrapposta all'urbanizzazione forzata delle città, identificata come l'avvento di un nuovo fascismo (ovvero del liberalismo assoluto).
Il pensiero di Michéa, abbracciato in toto da De Benoist, si iscrive dunque in un antico filone portato avanti non solo dai Clouscard e dai Pasolini, ma anche dallo statunitense Christopher Lasch, promotore di un socialismo populista e comunitario; dallo scrittore G.K. Chesterton, propugnatore del distributismo; da Antonio Gramsci, che sottolinea l'importanza dell culture popolari; dai film di Ken Loach; da Serge Latouche; dal filosofo argentino peronista Ernesto Laclau, ispiratore del movimento cittadino spagnolo Podemos e del concetto di democrazia radicale e da molti altri. Un filone a pieno titolo populista e anti-liberale, ovvero democratico, comunitario, socialista originario.
Il saggio "Populismo" di Alain De Benoist, del quale ho tentato qui di riassumere i concetti fondamentali, parla di questo e molto altro. Ovvero della necessità dei popoli e dei poveri di riacquistare la sovranità porduta. Di pensare e ripensare a nuove forme di democrazia diretta e di economia fondate sul dono (anche su questo Jean-Claude Michéa ha scritto moltissimo), sulla decenza comune, sul senso di comunità e dunque sul vero senso di libertà. Tutti aspetti oggi negati dal subdolo totalitarismo liberal-capitalista fondato sull'egoismo, l'interesse e dunque sull'odio, la violenza, la concorrenza e lo sradicamento di ogni identità.

Luca Bagatin

giovedì 24 agosto 2017

Intervista di Luca Bagatin alla studiosa Maddalena Celano a proposito di Cuba, del socialismo e dei movimenti di rivendicazione femminile in America Latina

Maddalena Celano, fotografa, laureata in filosofia all'Università degli Studi Roma Tre e dottoranda di ricerca presso l'Università Tor Vergata di Roma, è una studiosa di bolivarismo latinoamericano e della condizione femminile a Cuba e già un anno fa circa la intervistai proprio su questo.
Oggi, appena tornata dall'Isola Caraibica per un viaggio di studi, mi appresto ad intervistarla nuovamente al fine di raccontarci gli sviluppi di Cuba e dei suoi studi in merito.

Luca Bagatin: E' la seconda volta che sei stata a Cuba. La prima volta fu nel 2011. Come è cambiata l'Isola da allora ?
Maddalena Celano: Innanzi tutto ho notato che la presenza dei turisti "di lusso" è triplicata.
Il fatto che il turismo sia il principale promotore dell'attrattiva di capitale straniero nell’Isola corrisponde senza dubbio a proiezioni favorevoli in tale settore, i cui contributi all'economia cubana ammontano a oltre tremila milioni di dollari nel 2016.
Certamente tale tipo di economia ha generato una nuova borghesia. Dei nuovi ricchi autoctoni che hanno facile accesso a monete forti quali dollaro, euro e sterlina. Oggi è sempre più frequente scorgere numerosi cubani in ristoranti, discoteche e locali lussuosi che, sino a pochi anni fa, erano riservati solo ai turisti. Con mia immensa sorpresa ho addirittura constatato che in alcuni locali, anche piuttosto costosi soprattutto per il reddito medio dei cubani, il numero degli autoctoni può persino superare il numero dei turisti ! Cosa inconsueta e sorprendente in un Paese che si continua a percepire come “povero” o “bisognoso”. La borghesia autoctona ha delle caratteristiche piuttosto insolite e peculiari. E' stranamente più ermetica e introversa del resto della popolazione. E' una borghesia piuttosto sciovinista, che preferisce dialogare con il proprio simile autoctono piuttosto che con lo straniero. Caratteristica piuttosto anomala in un popolo colto, curioso e intellettualmente molto vivace e creativo come quello cubano.
Luca Bagatin: Che cosa ti ha colpito di più di Cuba ?
Maddalena Celano: Mi ha colpito molto il fenomeno della santeria, ovvero quel particolare culto religioso facilmente individuabile dall'abbigliamento originale ed inequivocabile dei loro cosiddetti "ministri di culto", ovvero signori o signore vestiti di bianco con perline colorate al collo.
La santera afro-cubana è una religione portata a Cuba dagli schiavi di Yorubaland, località della Nigeria nel corso del XIX secolo.

Luca Bagatin: Che cosa caratterizza la santeria ?
Maddalena Celano La religione afro-cubana è caratterizzata dalla venerazione delle divinità Oricha, da stati di trance ed elaborate tecniche di divinazione. Attualmente la santeria è sempre più diffusa anche tra i bianchi e non è per niente difficile incontrare, per strada, anche santere o santeri bianchi. Perciò il culto, in origine afro-cubano, attualmente è sempre più un fenomeno nazionale e trasversale.

Luca Bagatin: Parliamo ora di Cuba e socialismo. Il socialismo, a Cuba, ha trionfato oppure è stato un vero fallimento come dicono alcuni? Come è cambiato il socialismo cubano dai tempi della Rivoluzione castrista ad oggi ?
Maddalena Celano: L'aggiornamento del modello economico cubano - dal 2011 ad oggi - solleva critiche e controversie. Per alcuni Cuba avrebbe abbandonato la strada del socialismo. In realtà, Cuba, lungi dal rinunciare al suo modello di società, conserva le sue conquiste e perfeziona il proprio progetto originario. Alcuni ritengono che questo sia un ritorno al capitalismo, a causa dell'introduzione di alcuni elementi di mercato nell'economia nazionale. L'obiettivo di Cuba è ad ogni modo quello di perfezionare il sistema al fine di preservare i risultati sociali ottenuti sino ad oggi. Per poter fare ciò Cuba deve affrontare due grandi sfide: le risorse naturali molto limitate e le sanzioni imposte dagli Stati Uniti dal 1960, le quali costituiscono il principale ostacolo allo sviluppo nazionale. A ciò si aggiunge il fenomeno dell'eccessiva burocratizzazione statale e quello della corruzione. Il nuovo modello economico introduce meccanismi di mercato, ma continua a basarsi sulla "pianificazione socialista" a tutti i livelli e l'impresa statale socialista rimane la forma principale dell'economia nazionale. Tuttavia il Paese è aperto agli investimenti stranieri attraverso joint venture, in cui lo Stato cubano conserva sempre la maggioranza di almeno il 51%. Tale modello di gestione economica promuove anche le cooperative, le piccole aziende agricole, i fruttivendoli ed i lavoratori autonomi in tutti i settori produttivi, al fine di ridurre il ruolo dello Stato in settori economici non strategici. Le cooperative statali strutturalmente carenti e non redditizie saranno liquidate o possono essere trasformate o adottare una forma giuridica non statale. Allo stesso modo, lo Stato non sovvenzionerà le perdite. D'altra parte le società beneficiarie possono investire i profitti per svilupparsi, aumentare i salari dei lavoratori nei limiti stabiliti dalla legislazione o assumere nuovi lavoratori. Hanno così piena libertà in termini di gestione delle risorse umane. L'aumento delle cooperative dimostra la volontà cubana di approfondire lo sviluppo socialista dell'economia in tutti i settori, con proprietà collettive. Le cooperative hanno un'autonomia completa a tutti i livelli. Tuttavia, per evitare qualsiasi concentrazione di ricchezza, non possono essere vendute o consegnate a entità diverse dallo Stato.
A livello agricolo, la priorità nazionale è la produzione alimentare per ridurre la dipendenza dall'esterno in un Paese che importa più dell' 80% del suo consumo. La terra è data in usufrutto ai contadini che divengono produttori indipendenti, remunerati per il proprio lavoro, ma rimangono proprietà statali.
La nuova politica monetaria consente la concessione di crediti alle imprese ed ai cittadini per favorire la produzione di beni e servizi per la popolazione. Una delle grandi sfide della società è l'unificazione monetaria. Infatti, la dualità monetaria a Cuba è causa di diseguaglianze sociali molto gravi.
La politica salariale continua ad essere basata sul principio socialista "a ciascuno secondo i suoi meriti", al fine di soddisfare "i bisogni fondamentali dei lavoratori e delle loro famiglie". I salari cresceranno gradualmente, secondo i risultati della produzione. Per evitare lo sviluppo delle diseguaglianze, la legislazione prevede un salario minimo ed un salario massimo.
Grazie alla tassa progressiva, le categorie più favorite contribuiscono maggiormente allo sforzo nazionale, secondo il principio della solidarietà socialista fra tutti i cittadini. La coesione sociale rimane l'obiettivo prioritario e, pertanto, per evitare qualsiasi disparità, la concentrazione di beni è vietata per persone giuridiche o fisiche, essendo una prerogativa esclusiva dello Stato. D'altra parte la politica dei prezzi rimane centralizzata, in particolare per i prodotti basilari o strategici dal punto di vista economico e sociale.
La politica culturale cubana si basa infine sulla difesa dell'identità, sulla conservazione del patrimonio culturale, sulla creazione artistica e letteraria e sulla capacità di apprezzare l'arte attraverso la formazione culturale necessaria.

Luca Bagatin: Cuba e democrazia. Può Cuba, a tuo parere, dirsi una democrazia? Se sì, perché?
Maddalena Celano: Iniziamo con il dire che a Cuba, annualmente, si eleggono i propri delegati in ogni municipio, in ogni città, in ogni regione e ciò significa che è contemplato il diritto dei cittadini ad essere eletti democraticamente come deputati o senatori, oltre che è sancito il loro diritto di formulare e presentare proposte legislative. Qualsiasi semplice cittadino può candidarsi, eccetto gli iscritti al Partito Comunista Cubano, giacché, essendo l'unico partito consentito, non ha alcun potere elettivo.
La politica a Cuba è consentita a chiunque: semplici cittadini, membri di comitati, associazioni, organizzazioni, ecc... Eccetto agli iscritti al Partito Comunista, in quanto il Partito ha ruolo esecutivo ma non elettivo. Ciò significa che i cittadini, a Cuba, hanno il diritto di organizzarsi secondo le proprie idee su varie questioni, per incontrarsi, per creare nuove organizzazioni, per discutere con posizioni opposte. A Cuba è impossibile scadere nei carnevali elettorali che tutti noi conosciamo, per non parlare delle campagne pubblicitarie tipiche delle elezioni nel nostro sistema democratico-capitalista-partitocratico con costoso spreco di danari. A Cuba i candidati sono tutti indipendenti da qualsiasi partito ed hanno il diritto alla libera espressione, che implica un dibattito pubblico, anche su posizioni divergenti, utilizzando tutti gli strumenti nazionali. Ovvero locali pubblici, TV o stampa nazionale. Il tutto accessibile gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta. In
questo senso Cuba è un Paese sostanzialmente democratico poiché la libertà d’espressione di un alto funzionario è del tutto identica alla libertà d’espressione di un contadino o di un carpentiere di periferia.

Luca Bagatin: Cuba e Venezuela. Che cosa lega questi due Paesi?
Maddalena Celano: Lo spirito di fraternità e di solidarietà, oltre che un destino comune.
L’ALBA, ovvero l'Alleanza Bolivariana per le Americhe, è stata fondata non a caso a Cuba e fa capo al suo più fedele alleato, ovvero il Venezuela.
Si tratta di un progetto di collaborazione e di complementarietà politica, sociale ed economica fra alcuni Paesi dell'America e dei Caraibi (oltre a Cuba e Venezuela ne fanno parte Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Antigua e Barbuda, Dominica, Saint Vincent e Grenadine). Una collaborazione inizialmente promossa quale contraltare dello Spazio Commerciale Libero degli Stati Uniti (FTAA).
L'ALBA si basa sulla creazione di meccanismi che sfruttano i vantaggi cooperativi fra le diverse nazioni partner, al fine di compensare le asimmetrie tra tali Paesi e ciò avviene attraverso la cooperazione di fondi compensatori volti a correggere le disabilità intrinseche dei Paesi membri e all'attuazione del TCP (Trattato di Peoples 'Trade).

Luca Bagatin: Cuba ed Ecuador. Tu hai di recente visitato anche la Capitale dell'Ecuador, Quito. Che impressione hai avuto dell'Ecuador? L'Ecuador della Rivoluzione Ciudadana quanto può essere simile a Cuba, oggi?
Maddalena Celano: Cuba ed Ecuador sono Paesi politicamente molto vicini. La Rivoluzione Ciudadana presenta una matrice socialista e nazionale molto forte, tanto quanto quella Cubana, ma i due Paesi presentano storie estremamente diverse, una diversa composizione ambientale e sociale. L’Ecuador è un Paese andino, fresco e piovoso, con una forte componente indigena india, nonché è estremamente religioso e la Chiesa cattolica è piuttosto influente politicamente.
Cuba, invece, è un Paese più legato al mare ed alla sua economia, con un’influenza indigena più ridotta, ma con una maggiore influenza nera o “afro-cubana”. Presenza visibile nella musica, nelle danze, nei culti, nei costumi e nelle tradizioni. A Cuba i culti religiosi attualmente sono piuttosto liberi, ma poco influenti politicamente.

Luca Bagatin: Come proseguiranno e cosa puoi dirci dei tuoi studi in merito a Cuba ed all'America Latina?
Maddalena Celano: Sono una studiosa del movimento femminista in America Latina, che è senza dubbio una delle espressioni più critiche e alternative del pensiero politico, sociale ed economico mondiale. Il movimento sociale femminista latinoamericano si è rafforzato negli ultimi decenni, dopo aver conseguito cambiamenti sostanziali sia nelle politiche pubbliche che nella consapevolezza delle donne di essere soggetti di diritto e protagoniste nella costruzione di nuovi paradigmi di trasformazione della realtà. Il movimento femminista latino prende forma nell'ambito di complessi scenari politici, in particolare nei contesti di transizione da regimi militari autoritari a processi di democratizzazione, dai conflitti armati sino ai processi di negoziazione e di pace. La genesi del movimento femminista in America Latina è quindi strettamente legata alle transizioni latinoamericane ed all'impegno per la creazione di istituzioni democratiche e la costruzione di agende di pace. 

La persistente violenza contro le donne, fisica, sessuale o psicologica, fa di tale tema uno dei temi centrali della lotta del movimento femminile in America Latina. Secondo la relazione mondiale sulla violenza e lasalute dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'America Latina è la seconda realtà con i più alti tassi di decessi femminili dovuti alla violenza, sia a livello rurale che urbano. Prodotto correlato ad un contesto generale di disuguaglianza, discriminazione e impunità. Il femminicidio, la forma estrema della violenza contro le donne, è un fenomeno particolarmente diffuso in Messico e in America Centrale. A tale riguardo, dal movimento femminile, sono stati presentati alcuni documenti interessanti come il Feminicide in America Latina, presentato nel 2006 alla Commissione interamericana sui diritti umani (IACHR).
Il movimento femminile latinoamericano svolge un ruolo particolare nel promuovere le azioni della Marcia Mondiale delle Donne (WMW). Probabilmente il movimento con il più grande consenso internazionale, il quale porta avanti una critica sirrata al capitalismo ed alle conseguenze negative che esso porta nella vita delle donne.
L'economia femminista è il quadro teorico e uno degli assi centrali della WMW, così come l'autonomia economica delle donne. Contributi interessanti in tale campo sono ad esempio gli articoli di numerose femministe latinoamericane, come Nalu Faria e Magdalena León.
Gli accordi di libero scambio firmati nella regione, NAFTA (USA-Canada-Messico) e CAFTA (USA-CA), hanno peraltro avuto effetti negativi sulla qualità della vita delle donne. Le donne hanno costituito importanti articolazioni come "Mesoamericanas in Resistance for a Deducted Life", integrate da organizzazioni del Messico fino Panama, che sono collocate contro le politiche neoliberali e hanno richiesto - insieme ad altri movimenti sociali – la non ratifica di questo tipo di trattati.

Luca Bagatin: Quali prospettive, a tuo parere, per l'America Latina?

Maddalena Celano: Il movimento femminista latinoamericano è, a mio parere, il vero motore del cambiamento globale. L’unica alternativa e speranza, in quanto ha mostrato notevole capacità di approfondire e rivedere tattiche politiche e prassi sociali. Uno degli esempi è l'Incontro femminile dell'America Latina e dei Caraibi, che si svolge ogni due anni, dal 1981 (Bogotà). Circa 1500 donne provenienti da tutto il Continente propongono nuove analisi e nuovi progetti di trasformazione politica e sociale. Già nel 1987, nell'ambito della Quarta Riunione Internazionale Femminista, è stato discusso un documento sui "miti del movimento femminista", che ha permesso di ripensare alcune delle proposte politiche.
I movimenti femministi latinoamericani creano, attraverso un complesso lavoro intellettuale e di autocritica, nuove elaborazioni teoriche e numerosi esperimenti socio-politici, comunitari, indigenisti ed ecologisti. Esperimenti molto visibili in aree indigene - soprattutto in Amazzonia - ed in Paesi come l’Ecuador, il Nicaragua, il Venezuela e in Colombia, ove numerose comunità autoctone sono guidate ed amministrate proprio da donne.

Luca Bagatin
www.amoreeliberta.blogspot.it 

Le foto pubblicate sono state realizzate da Maddalena Celano nel mese di luglio 2017

mercoledì 23 agosto 2017

Una Rosa per Anita (tratto dal sito dell'ANVRG)

Finalità del progetto  Il progetto «La rosa di Anita» si propone di divulgare e valorizzare in Italia e nel mondo l’immagine di Ana Maria de Jesus Ribeiro (1821- 1849), più nota come Anita, la inseparabile compagna del Generale Giuseppe Garibaldi nel corso di molte delle sue avventurose peripezie. Lo strumento per mettere in atto questa suggestiva quanto ardita iniziativa proviene da un ibrido di rosa molto particolare e suggestivo quale emblema femminile di amore, fedeltà e integrità morale. Proprietario di questa rosa molto particolare è l’Istituto Tecnico “Garibaldi-Da Vinci” di Cesena, che il 28 maggio 2016 ha presentato una intera collezione di rose donata da Giulio Pantoli, esperto ibridatore di rose, tra le quali si distingue quella importantissima dedicata ad Anita Garibaldi.
La rosa “Anita Garibaldi” La scienza ha ormai attestato la capacità dei fiori di influenzare positivamente la psiche attraverso la loro bellezza e il loro colore e sotto il profilo simbolico la rosa rientra più ampiamente nell’ancestrale culto dei fiori di cui è l’assoluta regina. È soprattutto a partire dal Medioevo che la rosa si diffonde in Europa come simbolo dell’amore, della fede o dell’ideale. Nel Roman de la Rose, una delle più celebri opere letterarie ispirate all’Amor cortese ideato da Guillame de Lorris intorno al 1229, l’autore identifica la Rosa con l’ideale femmineo di bellezza spirituale che spinge l’uomo al perfezionamento interiore. Sempre nel Medioevo si indicano talvolta come “Rose” tutti i fiori in analogia al ricevimento della grazia, alla bellezza spirituale o alla fede. Ai vassalli più fedeli era concessa la Rosa d’Oro, simbolo di fedeltà e onorificenza e una rosa a cinque petali era posta sul confessionale quale simbolo della riservatezza e del segreto: l’iscrizione “sub rosae” significava “sotto il sigillo del silenzio e della discrezione”.
La rosa “Anita Garibaldi”, a prescindere dalle considerazioni scientifiche, letterarie o religiose, riveste un significato altamente simbolico che, accostato alla personalità e alla determinazione di Anita Garibaldi, assume connotati intrinseci che rispecchiano valori genuini di generosità e grande integrità La rosa “Anita Garibaldi” donata da Giulio Pantoli all’Istituto Tecnico “Garibaldi-Da Vinci” di Cesena. Giuseppe e Anita Garibaldi cavalcano alla volta di San Marino e sconfinano in Romagna. morale come ad esempio la purezza d’animo, il rispetto verso il prossimo e il senso del dovere, nonché l’amore per la Patria e per i Popoli. Si tratta di un tema importante: l’eroina che mai volle abbandonare il suo uomo anche nei momenti più duri e rischiosi, a costo di correre persino incontro alla morte; un mito, il suo, rimasto sempre molto vivo e sentito in Romagna – fin dalla sua morte avvenuta il 4 agosto 1849 – più che in ogni altro luogo al mondo. Per lunghi decenni la sua figura era stata quasi dimenticata, poi fu riesumata dopo la morte del marito, forse perché quest’ultimo ebbe altre compagne e anche perché vietò che si scrivessero sue biografie finché lui fosse rimasto in vita e anche per il fatto che il dolore per la perdita della compagna perfetta non lo aveva mai lasciato.
Ecco il motivo per cui potrebbe essere piantata in tutti i parchi e giardini intitolati ad Anita e, per estensione, anche in quelli dedicati al Generale Garibaldi. Partendo da una rosa “unica”, come “unica fu lei”, la Romagna può ambire a farsi vanto della donna da considerare come la sua principale eroina.  La divulgazione potrebbe culminare con l’esposizione e la vendita della rosa durante le ricorrenze e le celebrazioni delle Associazioni Garibaldine sotto il diretto coordinamento dell’Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini.
Borghi, 19 marzo 2016: il Convegno svoltosi presso il Museo e Biblioteca Renzi di San Giovanni in Galilea (al centro anche il Sindaco Piero Mussoni). Sogliano al R., 19 marzo 2016: il Sindaco Sabattini e il Presidente A.N.V.R.G. Annita Garibaldi Jallet inaugurano il parco intitolato ad Anita. Un’altra occasione giusta per presentare e divulgare a più riprese e in maniera ufficiale la rosa e quindi valorizzare la figura di Anita è l’annuale raduno che si svolge a Cesenatico, ma potrebbe essere fatto anche nel corso dell’annuale appuntamento delle celebrazioni della Festa della Repubblica che si svolge il 2 giugno e della rievocazione dell’Unità d’Italia che cade il 17 marzo di ogni anno, quando le Autorità militari e civili s’incontrano in maniera solenne.
In tali occasioni potrà anche essere dato spazio al volume già stampato Garibaldi nelle Terre del Rubicone sulla Trafila, che ben si inserisce nel contesto storico e cerimoniale di queste ricorrenze e, se occorre, procedere alla sua ristampa. Tra l’altro il volume è già stato depositato presso il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ed è stato inviato al Presidente del Consiglio assieme a una lettera del Presidente dell’Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini, la Prof.ssa Annita Garibaldi Jallet, discendente diretta di Anita.
Realizzazione del Progetto Il progetto è ideato e realizzato dall’Ente Morale Museo e Biblioteca Renzi di Borghi che cura anche l’aspetto divulgativo e organizzativo (opuscolo “La Rosa di Anita”, gadget, preparazione del materiale didattico-conoscitivo, conferenza stampa, incontri e giornate cerimoniali). Coordinatore del progetto è il Direttore del Museo Dott. Andrea Antonioli, che è anche curatore assieme ai suoi stretti collaboratori, il Prof. Alessandro Ricci e il Dott. Giampaolo Grilli (che fanno parte della Commissione di ricerca storica dell’Ente Morale Museo e Biblioteca Renzi) con la collaborazione del Museo della Linea Christa e il sostegno dei Comuni di Sogliano al Rubicone e di Borghi.
Verranno coinvolti anche tutti gli altri Comuni nei quali ricade la Trafila, quali la Repubblica di San Marino e i Comuni di Roncofreddo, Longiano, Savignano sul Rubicone, Gatteo, Cesenatico, Comacchio, Ravenna, Modigliana (dove cioè Garibaldi è transitato), per cui verrà creato un logo con l’effige della rosa “Anita Garibaldi” che costituirà l’emblema della figura di Anita.
Il progetto vedrà inoltre la collaborazione e il patrocinio dell’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali dell’Emilia-Romagna, dell’Istituto Tecnico “Garibaldi-Da Vinci” di Cesena, dell’Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini e della Società Conservatrice Capanno Garibaldi. Per quanto riguarda la produzione delle piante di rosa, sarà l’Istituto Tecnico Statale “GaribaldiDa Vinci” di Cesena a incaricare un vivaista.
Inizialmente verranno prodotte un numero limitato di piante da destinare come prima volta a una cerchia limitata di persone e su prenotazione. La rosa “Anita Garibaldi” potrà essere disponibile solo dopo due anni dall’innesto a un prezzo orientativo di 15-20 euro. Le prenotazioni saranno raccolte dallo stesso Istituto Tecnico “Garibaldi-Da Vinci” e dall’Ente Morale Museo e Biblioteca Renzi.
La divulgazione relativa alla possibilità di acquistare le piante potrebbe essere svolta tramite l’inserimento dell’avviso nella rivista garibaldina “Camicia Rossa” e tramite i media e altri giornali e riviste, le mailing-list e i contatti resi disponibili da parte dei Comuni di volta in volta interessati agli eventi che si svolgeranno in Romagna e che possono essere estesi ad ogni parte d’Italia e all’estero, cioè dove ci sarà la volontà di organizzare eventi simili.
L’iniziativa prevede infine la pubblicazione di un opuscolo dal titolo “La Rosa di Anita” che illustra sotto diversi profili e discipline le caratteristiche dell’ibrido donato dal botanico ravennate Giulio Pantoli all’Istituto Tecnico “Garibaldi-Da Vinci” di Cesena, con testi e contributi da tradurre anche in altre lingue. L’opuscolo sarà sostanziale per una efficace divulgazione della rosa, ma soprattutto per illustrare la figura di Anita Garibaldi.
Tale strumento accompagnerà durante ogni evento la rosa, alla quale verrà appeso un cartellino pieghevole quale marchio di qualità con le caratteristiche della pianta, i loghi delle istituzioni coinvolte e sintetiche informazioni ai fini di una adeguata ed efficace divulgazione. Nel corso degli eventi possono essere distribuiti e/o venduti altri oggetti simbolici e/o gadget inerenti la rosa “Anita Garibaldi”, ma anche oggetti attinenti alla Trafila romagnola e, come già accennato, anche il volume Garibaldi nelle Terre del Rubicone, che potrebbe in tal modo essere divulgato in maniera efficace.
COORDINAMENTO GENERALE Andrea Antonioli
COMITATO SCIENTIFICO Andrea Antonioli – Direttore Ente Morale Museo e Biblioteca Renzi di Borghi Giampaolo Grilli – Collaboratore Ente Morale Museo e Biblioteca Renzi di Borghi Alessandro Ricci – Docente Istituto Tecnico “Garibaldi-Da Vinci” di Cesena Annita Garibaldi Jallet – Presidente Ass. Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini Fiamma Lenzi – Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna
COMITATO TECNICO-ORGANIZZATIVO Quintino Sabattini – Sindaco del Comune di Sogliano al Rubicone Piero Mussoni – Sindaco del Comune di Borghi Dante Orlandi – Assessore alla Cultura del Comune di Sogliano al Rubicone Marina Tosi – Assessore alla Cultura del Comune di Borghi Nevio Magnani – Presidente Ente Morale Museo e Biblioteca Renzi di Borghi Andrea Antonioli – Direttore Ente Morale Museo e Biblioteca Renzi di Borghi Michele Benvenuti – Direttore Museo della Linea Christa di Sogliano al Rubicone Camillo Giorgi – Dirigente Scolastico Istituto Tecnico “Garibaldi-Da Vinci” di Cesena Fiamma Lenzi – Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna Silvio Monticelli – Presidente A.N.V.R.G. Sezione di Cesenatico Maurizio Mari – Segretario della Società Conservatrice Capanno Garibaldi di Ravenna

martedì 15 agosto 2017

Socialismo e sinistra: due aspetti incompatibili. Breve riflessione di Luca Bagatin e articoli di approfondimento

Non c'è nulla di più antisociale della sinistra, tranne la sinistra liberale radicalchic, che ha abbracciato indistintamente economia di mercato, cosmopolitismo (in)culturale, immigrazionismo, libertà "glamour" e modaiole (fra un po' anche l'avanzante e cosiddetto "poliamore"...sic !), ideologia dei "diritti umani" salvo disprezzare il proprio prossimo ed il proprio vicino, oltre che il popolo intero che guai per essa se diventasse sovrano !
Bettino Craxi, in Italia (ma anche Juan Domingo Peron in Argentina e Hugo Chavez in Venezuela), seppe andare oltre la sinistra e per questo fu inviso ai radical chic.
Si ispirò a Proudhon, socialista anarchico federalista e conservatore e fortemente inviso ai liberali.
Si dirà che si ispirò anche a Carlo Rosselli, socialista liberale. Vero e molti di noi sono cresciuti con gli insegnamenti liberalsocialisti di Rosselli. Personalmente mi sono formato su gran parte dei suoi scritti.
Purtuttavia il socialismo liberale di Rosselli era ben altra cosa rispetto all'attuale "liberalismo", ovvero sostegno indiscriminato al capitalismo assoluto, fenomeno che, ai tempi di Rosselli, ancora non esisteva.
Oltre a ciò - e per questo sarà inviso anche ai grandi potentati economici - Craxi (ma anche Peron e Chavez nei loro Paesi e in epoche diverse) - si opporrà alle privatizzazioni indiscriminate incalzanti negli Anni '90 e sostenutissime dalla globalizzazione straniera e sostenuta dagli Stati Uniti d'America, impegnati nelle loro innumerevoli "guerre di conquista" (altro che di liberazione !).
Basterebbe questo riassunto a far capire ai tanti che ancora oggi si credono socialisti, ma parlano il linguaggio dei liberali e della sinistra radicalchic, la differenza abissale fra socialismo e barbarie egoistico-individualiste.

Luca Bagatin


 La differenza abissale fra il socialismo e la sinistra. Articolo di Luca Bagatin del 20 febbraio 2017
 
Per un ritorno al socialismo delle origini: né a destra, né a sinistra. Per l'autogoverno e l'autogestione. Articolo di Luca Bagatin del 10 marzo 2016

lunedì 14 agosto 2017

Libertà, dignità, comunità, socialismo nelle riflessioni di Michéa, De Benoist e Sankara

Ogni vittoria della sinistra corrisponde obbligatoriamente a una sconfitta del socialismo.
(Jean-Claude Michéa, da "Pour en finir avec le XXI siècle", prefazione all'edizione francese de "La cultura del narcisismo"di Christopher Lasch)

Il liberalismo, affermando che le azioni egoistiche in definitiva giovano al benessere di tutti, contribuisce alla distruzione delle basi morali.
(Alain De Benoist, da "Populismo" Arianna Editrice 2017)

Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo.Il Burkina Faso è venuto a mostrare qui la cotonnade, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé. La mia delegazione ed io stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’America. Non faccio una sfilata di moda ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano. E’ il solo modo di vivere liberi e degni.
(Thomas Sankara, dal discorso sul debito all'Organizzazione per l'Unità Africana del 29 luglio 1987)
 


sabato 12 agosto 2017

Libertà dalla materia. Riflessioni brevi di Luca Bagatin

In questa epoca oscura, chiamata dai Veda "Kali Yuga", nella quale l'egoismo e la materia prevalgono sull amore e sull'altruismo, occorre avere meno rapporti possibili con le persone legate alla materia e al danaro. Esse trascinano l'essere umano nell'abisso. Un giorno comprenderanno anche loro che la via da seguire è quella dello Spirito, insegnata da tutti gli Avatara e i Grandi Iniziati.

Il liberalismo economico non ha nulla a che vedere con le libertà di tutti. È semplicamente libertà di sfruttare il prossimo per trarne profitto.
Una forma di dittatura totalitaria subdola e particolarmente insidiosa in quanto sdogana l'egosimo ed i più bassi istinti.
Il libro nero del liberalismo, del resto, è sotto gli occhi di tutti: deregolamentazione degli esseri umani e delle risorse economiche, immigrazionismo, sfruttamento, politicamente corretto, isolamento umano e psicologico.
La libertà o è interiore o non è libertà, ma illusione.

mercoledì 9 agosto 2017

Danzatrice dell'Est (a Ralitza Kavaldjieva). Poesia di Luca Bagatin

La poesia che segue, già pubblicata il mese scorso sia su questo blog che sulla testata Pensalibero.it, l'ho dadicata a Ralitza Kavaldjieva, ballerina e coreografa di fama internazionale. In questo nuovo post viene ripubblicata, corredata da alcune nostre foto che la ritraggono e ci ritraggono.
Volendo far conoscere meglio ai lettori Ralitza, donna davvero rara, le ho proposto una intervista che sarà prossimamente pubblicata. Visti gli interessi e la forma mentis comune, non escludiamo che, nel prossimo futuro, potremmo avviare collaborazioni artistiche e culturali all'insegna dell'apertura mentale, della ricerca del sacro, dei diritti degli animali e del Pianeta Terra.
Ralitza è una delle poche persone ad aver compreso - sin da bambina - e per molti versi ad incarnare, gli eterni valori di Amore e Libertà.

Luca Bagatin

Danzatrice dell'Est

(a Ralitza)





Danzatrice,

sulle punte,

volteggi nella mia mente

e sulle spiagge assolate

del cuore.

Dall'Est tu arrivi

come il sole che sorge.

I raggi sono le tue braccia

e le tue gambe,

che sinuose si muovono

volteggiando nell'aria

che fendi

assieme al tuo collo

alla tua testa

alle tue mani

ai tuoi piedi

e irradi la tua essenza

profumata.

I tuoi occhi scuri


profondi

rapiscono la mia anima

che si eleva

nell'aria anch'essa

e danza

al ritmo del tuo cuore.

La musica scorre.

C'è eleganza nel tuo portamento.

Ecco, arriva il vento.

E con esso la sera.

E tu lassù, stella del firmamento.



(Luca Bagatin)