Con "Il nostro comune
nemico - Considerazioni sui giorni tranquilli" (titolo originale
"Notre ennemi, le capital"), edito di recente in Italia da
Neri Pozza, il filosofo orwelliano, socialista ed ex aderente al
Partito Comunista Francese Jean-Claude Michéa, si riconferma il
miglior interprete del socialismo autentico e originario e ciò
attraverso la sua incessante denuncia del sistema della crescita
economica illimitata; dell'accumulo di capitale che genera
conseguente sfruttmento e dell'ideologia del progresso, nata con la
Rivoluzione Francese ed all'origine della sinistra borghese e della
destra oligarchica, entrambe contrapposte al popolo ed ai suoi
rappresentanti: populisti, socialisti e comunisti i quali - come già
dimostrato da Michéa nei suoi predecenti saggi ("Il vicolo
cieco dell'economia" (Elèuthera, 2012) e "I misteri della
sinistra" (Neri Pozza, 2015)) - lungi dal rappresentare la
sinistra, sono da sempre i migliori interpreti delle necessità delle
classi popolari e dell'uscita immediata dal capitalismo.
La sinistra, storicamente
asservita alle logiche del capitale e della borghesia ed oggi in
tutta Europa miglior interprete dell'avvento del capitalismo assoluto
è, sin dai tempi della repressione (ordinata da governi di sinistra)
della Comune di Parigi (1870) e del Movimento Spartachista giudato da
Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht (1919), la maggiore oppositrice del
socialismo originario e autentico costituito originariamente da
operai e contadini, i quali finirono per allearsi ai borghesi della
sinistra liberale e progressista, in un abbraccio mortale, unicamente
in chiave antimonarchica e antireazionaria in particolari momenti
storici (l'Affaire Dreyfus in primis, l'avvento dei fascismi ecc...).
Nel saggio, a tal proposito,
Michéa rammenta che, sino al 1921, la SFIO, ovvero la Sezione
Francese dell'Internazionale Operaia (che darà poi origine al
Partito Socialista Francese) ci teneva a precisare di essere un
partito "di lotta di classe e rivoluzione" e che "nè
il blocco delle sinistre nè il ministerialismo",
condannati entrambi, "troveranno la minima possibilità di
successo tra i suoi ranghi".
Ciò accadde in Francia (ove
lo stesso Partito Comunista Francese si definirà "di sinistra"
solo negli ultimi decenni), ma accadrà via via in tutta Europa,
portando ai giorni nostri i cosiddetti "partiti socialisti",
ormai abbandonata la lotta di classe e le antiche rivendicazioni
portate avanti dagli aderenti alla Prima Internazionale (ricorda lo
stesso Michéa che mai nel corso della loro vita Marx, Engels,
Bakunin, Proudhon si definirono "di sinistra") a diventare
i maggiori sostenitori dei vari Jobs Act, Loi Travail,
precarizzazione del lavoro, liberalizzazioni e deregolamentazioni
selvagge, austerità, distruzione dell'ambiente in nome della
crescita economica, perdita delle identità attraverso la promozione
del consumismo e dell'immigrazionismo ecc...
Nel saggio, Jean-Claude
Michéa, spiega dunque come la sinistra liberale abbia fatto suo il
modello ipercapitalista, giovanilista e di neo-sfruttamento di
Goldman Sachs e della Silicon Valley e ravvisa, invece, la necessità
di un ritorno a Marx per combattere una modernità foriera di
alienazione e schiavitù portatrice di instabilità ed insicurezza
(economica, sociale, lavorativa, famigliare, sentimentale...)
fomentata anche dai sedicenti "social"network che
riuniscono gli individui unicamente in quanto esseri separati
e non contribuiscono affatto alla socializzazione ed a creare
autentici legami sociali, civili, umani, fondamento di ogni
democrazia e di ogni "società decente" nel senso che
Orwell forniva a tale termine quale base di ogni comunità civile,
solidale e fraterna.
Accanto a Karl Marx e George
Orwell, i pensatori di riferimento di Michéa - per un ritorno ad un
sano socialismo originario - sono Marcel Mauss, antropologo
socialista e teorico dell'economia del dono e Guy Debord, con la sua
critica alla "società dello spettacolo" e della
"dissoluzione di tutti i legami sociali". Un
socialismo originario che si contrapponga, dunque, al "nostro
nemico comune", ovvero al capitalismo liberale che ha unito,
politicamente, culturalmente e socialmente quelle élite sia di
destra che di sinistra, già denunciate dal sociologo Christopher
Lasch negli Anni '90 (si veda in merito la mia recensione al suo
saggio fondamentale:
http://amoreeliberta.blogspot.it/2018/01/la-rivolta-delle-elite-il-tradimento.html)
e che, secondo Michéa "non hanno più altro ideale concreto
da proporre se non la dissoluzione continua e sistematica dei modi di
vivere specifici delle classi popolari stesse - e la dissoluzione
delle loro ultime conquiste sociali - nel moto perpetuo della
crescita globalizzata, sia essa ridipinta di verde o coi colori dello
sviluppo sostenibile, della transizione energetica e della
rivoluzione digitale".
Jean-Claude Michéa denuncia
dunque una società nella quale nessuno si preoccupa più per l'altro
e nella quale prevalgono egoismo ed interesse privato e contrappone
tale tipo di società a modelli tradizionali e più arcaici, radicati
nelle comunità popolari rivalutate anche dello stesso Marx negli
ultimi anni di vita e fondamento base per ogni possibile rivoluzione
socialista. Modelli popolari fatti di aiuto reciproco, mutualismo e
spirito del dono fra amici, parenti, vicini di casa, colleghi...
Nel saggio Michéa non manca
di sottolineare le motivazioni per le quali le classi popolari
europee, nel corso dei decenni, si sono via via rifugiate
nell'astensionismo di massa (non ultimo, se pensiamo a casa nostra,
il caso delle elezioni regionali del Friuli, nel quale non ha votato
nemmeno la metà della popolazione) o nel voto a partiti cosiddetti
"antisistema" o "populisti" e ciò in quanto le
classi popolari hanno via via preso coscienza di quanto sopra già
scritto, ovvero dei tentativi sistematici dei "partiti del
blocco liberale" di dissolvere ogni conquista sociale delle
classi popolari e nel tentativo di distruggere il loro modo di vivere
attraverso l'imposizione del modello globalista, capitalista
selvaggio, immigrazionista (di sfruttamento dunque di quell'esercito
industriale di riserva denunciato da Marx, ovvero la manodopera
straniera a basso costo, foriera di nuove lotte fra poveri e a tal
proposito si rammentino le lotte anti-immigrazione portate avanti
storicamente dal Partito Comunista Francese e dal suo Segretario
Generale Georges Marchais) e di austerità...perché "ce lo
impone l'Europa" (una Europa infatti globalista, capitalista,
liberale, antisociale, antisocialista, elitaria) o, peggio ancora,
"il mercato", "la globalizzazione" ecc...
In tutto ciò sarà proprio
la sinistra europea a raccogliere la bandiera del globalismo, del
capitalismo assoluto e così via e ciò in nome del "progresso",
della "modernizzazione", della "crescita economica"
(che non è affatto infinita e illimitata, come credono i liberali
della sinistra !) e sostituendo le antiche lotte di emancipazione del
lavoro e del salario dei socialisti originari con riforme civili
quali "il matrimonio per tutti", l'"utero in affitto"
e la fecondazione assistita (con tutte le loro ricadute in termini
economico-capitalistici ed utili unicamente a quelle classi sociali
che, economicamente, se le possono permettere) ecc...
Non è un caso, come
sottolinea Michéa, se i partiti di sinistra, in Francia e non solo,
sono votati massicciamente nei quartieri ricchi e "à la page"
e se il voto operaio si è via via spostato o verso l'astensione o
verso l'estrema destra e se un esponente della sinistra liberale come
Emmanuel Macron, uomo dei poteri finanziari, ha affermato - come
riportato da Michéa medesimo nel saggio - che essere di sinistra
oggi significa fare tutto ciò che è in nostro potere affinché
"ogni giovane abbia voglia di diventare miliardario".
Michéa, nel suo saggio,
plaude a movimenti socialisti quali lo spagnolo Podemos, ispirato ad
Antonio Gramsci, al socialismo populista del filosofo argentino
Ernesto Laclau ed alle rivoluzioni socialiste dell'America Latina
degli ultimi vent'anni. Egli ravvisa in Podemos un partito in grado
di superare i vecchi steccati dei partiti borghesi della destra e
della sinistra e di parlare direttamente alle classi popolari
attraverso un linguaggio concreto, non ideologico e fondato su
bisogni reali, così come lo erano i movimenti socialisti
dell'Ottocento, fondato su una progressiva uscita dal sistema
capitalista e su una democrazia realmente diretta.
Oltre a ciò, Jean-Claude
Michéa, denuncia il sistema liberale e capitalista quale portatore,
attraverso la concorrenza, di situazioni di monopolio ove "c'è
sempre un vincitore" e ciò a totale discapito del
cittadino, del consumatore e del lavoratore e rammenta come il
termine "populista", oggi manipolato dai media in senso
spregiativo, ha diversamente e storicamente sempre rappresentato il
fondamento del socialismo popolare e democratico. In tal senso,
l'Autore, segnala il saggio degli italiani Fruttero e Lucentini,
pubblicato negli anni '70, "La prevalenza del cretino", i
quali presentano in esso l'idea di "decenza comune" nel
pensiero di Orwell quale esempio di: "socialismo umanitario,
populista, un po' anarchico, senza tessere né dogmi, basato, alla
fin fine, sull'abbraccio fraterno, sull'ardente stretta di mano fra
compagni e amici".
Questa,
in sistesi, potrebbe essere la filosofia dello stesso Michéa che,
con "Il nostro comune nemico", presenta al lettore i
pericoli del capitalismo assoluto e della modernità liberale di ieri
e di oggi e la necessità di uscirne attraverso un ritorno a quella
decenza comune che solo il socialismo originario - oltre e
contrapposto alla destra, alla sinistra ed alle elite economiche e
finanziarie - seppe incarnare.
Luca
Bagatin
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