Con il 45,28% dei voti (ottenendo 64
deputati e 19 senatori), il Presidente socialista della Bolivia Evo
Morales si assicura la vittoria al primo turno delle elezioni
presidenziali, che si sono tenute domenica 20 ottobre.
Al secondo posto Carlos Mesa, il
candidato del Fronte Rivoluzionario di Sinistra, che ha ottenuto il
38,16% dei voti (54 deputati e 16 senatori) e andrà, assieme ad Evo
Morales, al ballottaggio che si terrà il 15 dicembre prossimo. Al
terzo posto, invece, il candidato democristiano di origine sudcoreana
Chi Hyun Chiung, con il 8,77% (9 deputati, nessun senatore) ed al
quarto il candidato liberale del partito “Democratas” Oscar
Ortiz, con il 4,41% (3 deputati 1 senatore).
Nonostante il discreto risultato di
Mesa, candidato di centrosinistra e Presidente della Bolivia per un
breve periodo – dal 2003 al 2005 - il Presidente Morales,
sostenuto dal Movimento al Socialismo, di ispirazione Socialista del
XXI Secolo, mantiene saldo il primo posto.
Leader fiero delle sue
origini indigene di etnia aymara, è Presidente della Bolivia dal
2006 ed è riuscito a portare il Paese ad essere uno fra i più
avanzati al mondo
E ciò è stato possibile
attraverso l'uscita del Paese dal Fondo Monetario Internazionale e
dalla Banca Mondiale e attraverso un modello produttivo economico
comunitario, fondato sulla nazionalizzazione delle risorse naturali,
oltre che delle industrie energetiche e strategiche.
E' così che la Bolivia
- oltre ad aver investito in programmi sociali ed educativi
all'avanguardia - ha aumentato di nove volte i proventi delle
esportazioni nazionali e dichiarato un suprlus fiscale, accumulando
15,5 milioni di dollari nelle riserve internazionali. Il PIL del
Paese si attesta sempre a circa il 5% annuo, con una bassa inflazione
stimata attorno al 3,5%, su base annuale.
Politiche diametralmente
opposte rispetto a quelle del liberale argentino Macri, che sta
portando il Paese al collasso (ma che probabilmente, stando ai
sondaggi, sarà scalzato alle elezioni presidenziali del 27 ottobre
dal candidato peronista Fernandez). Politiche diametralmente opposte
rispetto a quelle del liberal-autoritario dell'Ecuador Lenin Moreno,
che, dopo le proteste di piazza e la sua conseguente fuga dalla
Capitale, ha ritirato il decreto di austerità; e diametralmente
opposte rispetto a quelle del Premier liberale cileno Sebastan
Piñera, che, a causa dell'aumento del costo della vita e del
biglietto dei trasporti, deve fronteggiare proteste di piazza non
dissimili rispetto a quelle di pochi giorni fa in Ecuador.
Le ricette liberali,
dunque, non pagano. E lo vedremo molto presto anche nel Brasile del
liberale Bolsonaro. Sono ricette in favore delle classi più
abbienti; che indebitano il Paese; sottraggono risorse alla comunità;
favoriscono gli interessi delle multinazionali statunitensi ed
europee, a tutto svantaggio dell'economia nazionale.
L'America Latina
Socialista del XXI Secolo – quella autenticamente popolare e
populista - sta infatti tornando e vincendo. Nelle urne e nelle
piazze.
Luca Bagatin
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