Operaio tipografo,
letterato autodidatta, socialista rivoluzionario dalle simpatie
anarchiche e futuriste. Questo fu il toscano Lorenzo Cenni, autore de
“L'Aristocrazia Operaia”, pamphlet stampato dall'editore
Vallecchi nel 1913 e recuperato dallo studioso Guido Andrea Pautasso,
che, per Aspis Edizioni, lo ha recentissimamente ridato alle stampe
Ed è proprio nell'idea
ossimorica di Aristocrazia Operaia, che il Cenni racchiude i sui
propositi libertari, anticapitalisti, socialisti rivoluzionari,
antiborghesi e antielettoralistici, senza voler appartenere ad alcuna
fazione politica definita o darsi alcuna etichetta.
Di Lorenzo Cenni poco si
sa. Pautasso, studioso di avanguardie futuriste, nella sua ampia
introduzione al saggio edito da Aspis, cerca di ricostruirne la vita
e il percorso politico-intellettuale.
Sappiamo che, nei primi
anni del '900, Cenni lavora come operaio affissatore di manifesti,
frequentante la tipografia fuorentina dell'editore anarchico Ugo
Polli, che, assieme alla moglie Leda Rafanelli, femminista
ante-litteram e scrittrice anarchica, gestiscono la casa editrice
libertaria Rafanelli-Polli.
E' la loro casa editrice
che pubblica, oltre a testi anarchici e socialisti, la rivista “La
Blouse. Rivista sociale”, il cui motto è “L'emancipazione dei
lavoratori, deve essere opera dei lavoratori stessi”.
La rivista che,
successivamente sarà diretta – dal 1906 - proprio da Lorenzo
Cenni, si propone di gettare un ponte fra operai, artisti e
intellettuali sovversivi, anticipando, per molto versi, le
provocazioni intellettuali e politiche dei futuristi di Filippo
Tommaso Marinetti, che ebbero proprio nell'anarchismo il loro primo
humus.
Il pensiero di Cenni è
essenzialmente anarchico-individualista e socialista al contempo,
animato da spirito anticlericale e antireligioso. “La Blouse”, il
cui nome deriva dalla blusa indossata dagli operai dell'epoca,
risentirà dunque dello spirito del Cenni. Intransigente, infuocato,
rivoluzionario al punto che i suoi collaboratori non saranno affatto
intellettuali borghesi, bensì operai, muratori, macchinisti.
L'orientamento de “La
Blouse” sarà dunque punto di riferimento dei sindacalisti
rivoluzionari affascinati dal pensiero di Sorel e di Proudhon, molti
dei quali occupavano già un posto di rilievo nell'ala sinistra del
Partito Socialista Italiano dell'epoca. Un'ala intransigente ostile a
qualsiasi forma di mediazione politica fra classi sociali e
ritenevano che la classe lavoratrice dovesse essere l'artefice della
propria stessa liberazione dal potere capitalista.
Si noti che, più o meno
negli stessi anni, ovvero nel 1911, anche in Francia si sviluppò un
movimento simile - guidato da Georges Valois e Edouard Berth -
composto da nazionalsindacalisti che fondarono il “Cercle Proudhon”
e che rivendicavano la costituzione di un'aristocrazia operaia,
contrapposta alla borghesia decadente.
L'obiettivo dei
sindacalisti rivoluzionari proprio quello di estinguere lo Stato, le
istituzioni legali e giuridiche, al fine di dissolverle in forme di
democrazia diretta e di autogestione della produzione. Fra i
principali animatori del movimento ricordiamo Alceste De Ambris,
deputato al Parlamento nelle file dei Partito Socialista Italiano, di
ispirazione mazziniana e socialista, nome di punta dell'Impresa di
Fiume, oltre che autore della Carta del Carnaro che a Fiume,
introdusse, fra le altre cose, la libertà religiosa, il divorzio e
una legislazione sociale avanzatissima.
E' in tale contesto che
si sviluppa la rivista “La Blouse” e che vengono veicolare le
idee di Lorenzo Cenni, il quale, refrattario a ogni etichetta,
attaccò spesso tanto gli anarchici, quanto i socialisti e i
repubblicani, rei - a suo dire - di essere borghesi, attaccati alle
poltrone parlamentari e di tradire la classe lavoratrice.
Nel suo saggio
principale, “L'Aristocrazia Operaia”, egli parla a titolo
dell'associazione dei “Liberi” aderenti all'Aristocrazia Operaia,
ovvero teorizza una comunità di operai che, elevatisi culturalmente,
moralmente e spiritualmente, si sono emancipati rispetto alla massa
degli altri operai e sono in grado di indicare la via verso
l'emancipazione di tutti gli oppressi e degli sfruttati.
Invita dunque la massa
degli operai a studiare, a elevarsi, a rinunciare al vizio del gioco
e dell'alcol. A “crearsi delle sane cognizioni scientifiche ed
artistiche”. Egli crede che gli operai debbano diventare,
dunque, una sorta di monaci-guerrieri, un'avanguardia libera dalla
decadenza e dal vizio. Pronta a combattere la decadente borghesia e
la classe sfruttatrice.
Egli peraltro si
contrappone a ogni forma di elezione politica e di suffragio
universale, ritenendo tutto ciò un'impostura borghese, una forma
autoritaria per imbrogliare il popolo e tenere schiave le classi
sfruttate.
Il Cenni così scrive,
fra l'altro, in proposito: “Conquistato il posto, il deputato,
si sognerà e si adoprerà per diventar ministro; il consigliere
comunale, assessore o sindaco; come - economicamente – il capo
ufficio: direttore, il capo-squadra: capo-officina ecc”.
In questo senso egli
teorizza una sorta di democrazia diretta, libertaria, socialista,
anti-autoritaria e anti-parlamentare. E attacca, per questo, i tre
partiti che dovrebbero rappresentare gli operai e gli sfruttati e in
realtà, a suo parere, li tradiscono. Ovvero il Partito Repubblicano,
che, nonostante gli insegnamenti di Mazzini, è diventato partito
borghese e che “farà la repubblica quando la borghesia, nel
proprio interesse e per propria difesa, la vorrà imporre alla
Nazione”.
Attacca il Partito
Socialista, “da non confondersi con il Socialismo, che sarà
sempre un sistema di governo, e che verrà plasmato dai secoli per
legge di evoluzione – come partito politico ha dimostrato la
propria debolezza e gli scopi dei propri capi, snaturandosi e
dissolvendosi; ha dimostrato di aver finita la propria missione
disgregandosi non appena arrivato alla conquista del proprio
programma minimo: municipalizzazione e statizzazione dei pubblici
servizi, leggi sociali e suffragio universale” (che il Cenni,
come sopra detto, peraltro, avversa).
Il Cenni infine attacca
gli anarchici italiani, che sono proprietari di molte stamperie, ma
fra loro sono invidiosi e privi di ogni spirito di fratellanza e
comunanza di intenti.
L'obiettivo di Cenni è
dunque quello di rilanciare la prospettiva di una rivoluzione
operaia, promossa dal popolo lavoratore medesimo, senza alcuna
mediazione partitico-elettoralistica, che promuova i principi di
giustizia e eguaglianza sociale, gettando così le basi per una nuova
civiltà, in grado di migliorare l'Umanità intera.
Originale e al contempo
anticipatorio il pensiero di Lorenzo Cenni che, per molti versi, si
potrebbe dire fu attuato nell'ambito della libertaria Reggenza del
Carnaro di Gabriele D'Annunzio e del già citato De Ambris, che
purtroppo poco durerà poco e sarà soffocata dal piombo del Regno
d'Italia.
Di Cenni, dopo la
pubblicazione de “L'Aristocrazia Operaia”, poco si sa. A parte le
sue simpatie per il futurismo e il fatto che non ebbe mai simpatia
per i marxisti e giunse a criticare la Rivoluzione bolscevica nel suo
libello “Il fuoco che incendiò la Russia”, ove ne denuncerà, a
suo dire, il carattere dispotico e autoritario. E sappiamo, a quanto
scrive Guido Andrea Pautasso nella sua introduzione, che nel 1916
sarà nominato da Mussolini a corrispondente de “Il Popolo
d'Italia”, gornale all'epoca ancora di orientamento socialista.
Dopo di ciò, di Lorenzo
Cenni si sono perse le tracce.
Nel saggio, edito da
Aspis, oltre alla ricostruzione delle vicende del Cenni, che si
intrecciano con la storia del movimento socialista, anarchico,
libertario, repubblicano e post-risorgimentale italiano, e alla
pubblicazione – per la prima volta dal 1913 – de “L'Aristocrazia
Operaia”, in appendice troviamo alcuni articoli del Cenni apparsi
su “La Bluse” e diversi scritti di esponenti futuristi dell'epoca
che ispireranno il Nostro.
Storia poco conosciuta
quella dell'Aristocrazia Operaia, di ispirazione
anarco-repubblican-socialista. Un'idea dimenticata o forse tenuta
nascosta, nei meandri della Storia patria.
Luca Bagatin
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