Gran parte della classe operaia della Gran Bretagna è scesa in piazza, il 12 febbraio scorso, nelle 30 maggiori città del Paese, contro l'aumento del costo della vita e l'aumento delle tariffe energetiche.
Le proteste sono state sostenute dal Partito Comunista Britannico (CPB); dalla Lega dei Giovani Comunisti; dall'Unite Trade Union; da Socialist Appeal; da Revolutionary Socialism in the 21st Century; dall'associazione Disabili contro i tagli (DPAC); da Fuel Poverty Action e da altre associazioni, riunite tutte sotto la bandiera della socialista Associazione Popolare contro l'Austerità.
Tale organismo di base ha chiesto al governo conservatore di bloccare i prezzi dell'energia nel Paese e di aumentare i salari e i benefit per permettere ai cittadini di affrontare l'aumento del costo della vita.
I cittadini britannici, un po' come quelli di tutta Europa, stanno infatti vedendo aumentare vertiginosamente i prezzi dell'energia di oltre il 50% e, per questo, il Partito Comunista Britannico, ha proposto la “nazionalizzazione progressiva del sistema energentico”, che “comprenderebbe la produzione di petrolio e gas, così come la trasmissione e la distribuzione”.
I comunisti britannici hanno fatto presente come: “i fornitori di energia vantano profitti record e si vantano di pagare ricchi dividendi ai loro azionisti, mentre il Cancelliere dello Scacchiere ha il coraggio di dire che comprende le nostre preoccupazioni, ma il suo patrimonio netto aumenta di oltre 200 milioni di sterline!”.
L'Associazione Popolare contro l'Austerità ha fatto presente come le proteste “stanno nascendo perché le persone sono stufe di uomini ricchi che dicono loro che devono pagare per l'avidità dei consigli di amministrazione e il colossale fallimento del mercato” e, prosegue l'appello delle associazioni socialiste britanniche: “Chiediamo la fine del sistema capitalista in crisi. Solo mettendo l'economia nelle mani dei lavoratori possiamo garantire un elevato standard di vita per tutti”.
Tali associazioni hanno annunciato l'organizzazione di imponenti proteste per il 5 marzo e il 2 aprile prossimi, a meno che il governo britannico non intraprenda azioni concrete per ovviare la crisi.
Luca Bagatin
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