Randolfo Pacciardi (1899 – 1991) fu un combattente, un eroe, un antitotalitarista e proprio per questo la sua storia, fu, molto probabilmente, volutamente rimossa dalla memoria di quell'Italia che egli tentò, a rischio della vita, di edificare.
In nome di Mazzini e di Garibaldi fu audace eroe antifascista della Guerra di Spagna, al comando del Battaglione Garibaldi, nonché fu fiero anticomunista, specie dopo aver conosciuto i massacri contro i repubblicani, i socialisti e gli anarchici operati dai comunisti europei su ordine di Stalin.
Guidò il PRI nel primo dopoguerra e fu Ministro della Difesa dal 1948 al 1953.
Estraneo alla cultura liberaldemocratica, si oppose alla formula di Centro-Sinistra e quindi a Ugo La Malfa, che purtroppo lo espulse dal partito negli anni '60.
Espulso dal PRI, Pacciardi fondò – nel 1964 - il movimento politico Unione Democratica per la Nuova Repubblica, con posizioni nettamente presidenzialiste e solo per questo fu sospettato ingiustamente di simpatia fasciste e golpiste (proprio lui che aveva combattuto il nazifascismo!) e di aver appoggiato il cosiddetto Piano Solo, che avrebbe dovuto portare ad una svolta autoritaria nel Paese.
Niente di più falso e vergognoso fu detto su di un personaggio al quale la Repubblica e la democrazia italiana devono moltissimo. Se solo parlassimo di una vera Repubblica, democratica e fondata su principi mazziniani e garibaldini.
L'idea pacciardiana di Repubbica presidenziale, ispirata a Charles De Gaulle, prefigurava un Presidente eletto e sganciato dal parlamento partitocratico, tendendo così verso una democrazia partecipativa, nel solco di Giuseppe Mazzini.
Così come nel solco di Mazzini saranno le sue idee politiche e sociali, costituite dall'unione fra capitale e lavoro nelle stesse mani, fondamento di una Repubblica che avrebbe dovuto essere contraria ad ogni mentalità parlamentaristica, fondata sugli interessi di retrobottega dei partiti e sulle lobby economiche che li sostengono.
Questi i fondamenti ideali di quella Unione Democratica per la Nuova Repubblica (il cui nome derivava dal partito gollista Unione per la Nuova Repubblica) che ispirò – nel 1969 - finanche il movimento giovanile di derivazione nazionalcomunista Lotta di Popolo, che ebbe, fra i suoi riferimenti ideali e culturali, oltre che Pacciardi, anche Che Guevara, Juan Domingo Peron, Jack Kerouac, Julius Evola e Pierre-Joseph Proudhon.
Quella pacciardiana fu un'idea e una prospettiva, sia istituzionale che sociale, ispirata a quello che potrebbe essere definito “socialismo mazziniano”, retto da tre pilastri: federalismo sociale, associazionismo volontario (o cooperativismo) e democrazia diretta.
Aspetti peraltro condivisi e portati avanti dall'altro contemporaneo compagno di partito, Mario Bergamo (1892 – 1963), la cui vicenda politica merita, parimenti, di essere ricordata e onorata, perché con Pacciardi ha innumerevoli punti in comune.
Trevigiano, antifascista, repubblicano della prima ora, anche Mario Bergamo subirà la medesima sorte di Pacciardi, ovvero l'oblio politico a causa delle sue idee saldamente mazziniane e garibaldine.
Mario Bergamo fu fondatore, nel 1912, a Bologna – a soli vent'anni – dell'Alleanza Universitaria Repubblicana. Successivamente fu capostipite della corrente di sinistra del PRI, denominata “Repubblica Sociale”, la quale mirava a recuperare l'ideale autogestionario e cooperativista di Giuseppe Mazzini.
Fervido sostenitore, anche negli organi di stampa, dell'impresa di Fiume di Gabriele D'Annunzio e Alceste De Ambriis, oltre che del cooperativismo, nel 1919, fonderà, assieme all'allora repubblicano Pietro Nenni, al fratello Guido e al socialista Arpinati, il Fascio di combattimento di Bologna, abbandonandolo poco dopo nel momento in cui le idee squadriste e violente di Mussolini presero il sopravvento. Egli stesso ricevette le percosse dei fascisti e il suo studio fu più volte devastato.
Fu eletto, nel 1924, nelle file del Partito Repubblicano Italiano e, dalle colonne de “La Voce Repubblicana”, divenne uno dei più acerrimi oppositori al fascismo mussoliniano e propose la costituzione di un partito repubblicano-socialista, in grado di raccogliere le migliori forze antifasciste.
Nel 1926, accusato dell'attentato contro Mussolini, fu costretto a fuggire, assieme a Nenni, prima a Lugano e successivamente a Parigi, contribuendo alla costituzione della Concentrazione antifascista, ponendo ad ogni modo come primo obiettivo l'abolizione della monarchia e la nascita della Repubblica.
Nel 1928 propugnò l'idea di costituire un'Internazionale Repubblicana e, in quell'anno, elaborò la sua teoria sul Nazionalcomunismo, che molti punti aveva in comune sia con l'esperienza dannunziana di Fiume che con il Nazionalbolscevismo promosso dall'ex socialdemocratico tedesco Ernst Niekisch e Karl Otto Paetel, i primi a combattere – in Germania – il nascente nazismo hitleriano e a subirne le persecuzioni.
Il Nazionalcomunismo, termine ideato dallo stesso Bergamo, non era altro che un recupero del repubblicanesimo mazziniano originario e degli ideali della Prima Internazionale dei Lavoratori del 1864, fuso con il nascente Bolscevismo sovietico e gli ideali patriottici. Una fusione, in sostanza, fra il nazionale e l'internazionale, che avrebbe dovuto portare alla nascita di una Repubblica Sociale.
Non sappiamo se Bergamo – che sempre si definì un “socialista mazziniano” - abbia avuto rapporti, anche epistolari, con Niekisch o avesse attinto alle sue pubblicazioni (al giornale Widerstand ad esempio), ad ogni modo, anche il Nazionalbolscevismo, negli stessi anni, voleva fondere gli ideali leninisti con quelli nazionali e patriottici, in opposizione al capitalismo, al liberalismo, all'antisemitismo dei regimi totalitari nazifascisti, proponendo un radicale rinnovamento sociale di stampo repubblicano.
Negli Anni '30, Mario Bergamo, editò la rivista “I nuovissimi annunci”, ove elaborò e diffuse le sue teorie socio-politiche e, nel 1935, a Parigi, diede alle stampe “Un italiano ribelle” (Un italien révolté), raccolta di epistole a personalità europee nelle quali egli condannava la politica coloniale fascista in Etiopia e l'ipocrisia della Società delle Nazioni.
Sul finire degli Anni '30, aderirà alla Lega dei combattenti per la pace e, allorquando i nazisti occuperanno la Francia, sarà attivo nell'aiuto ad ebrei e antifascisti.
Mussolini, comunque affascinato dai suoi ideali, gli proporrà più volte di tornare in patria, ma Bergamo sempre rifiuterà. Così come rifiuterà di partecipare alla redazione della costituzione della Repubblica Sociale Italiana nel 1943. Il suo rifiuto del fascismo e l'opposizione allo stesso furono sempre totali e intransigenti.
Mario Bergamo, peraltro, si rifiuterà di tornare in Italia anche alla fine della guerra, ritenendo che la nuova Repubblica non avesse imparato nulla dalle tristi vicende del fascismo e non rispecchiasse affatto l'idea di Repubblica popolare e socialista propugnata da Mazzini e Garibaldi.
Diverrà, successivamente, consigliere legale dell'editore socialista e garibaldino Cino Del Duca, il quale pubblicherà, nel 1965, postumo, il saggio “Nazionalcomunismo”, che raccoglierà gli ideali socialisti e repubblicani del Bergamo.
Mario Bergamo morirà a Parigi nel maggio 1963.
Il figlio di Mario Bergamo, Giorgio Mario, sarà peraltro e non a caso, uno dei collaboratori del giornale “Nuova Repubblica”, organo del partito di Pacciardi.
Decenni dopo la morte di Mario Bergamo e quella di Niekisch, in Russia – negli Anni ’90 – lo scrittore Eduard Limonov, il chitarrista Egor Letov ed il filosofo Aleksandr Dugin fonderanno il Partito NazionalBolscevico, propugnatore del ritorno del socialismo in Russia e oppositore del totalitarismo liberal-capitalista di Eltsin e Putin. E, per queste ragioni, il partito sarà messo fuorilegge nel 2007 dalla Corte Suprema russa e successivamente rifondato, con la denominazione “Altra Russia”, guidato dal solo Limonov e ancor oggi perseguitato.
L’Ideale Nazionalcomunista e Nazionalbolscevico, può essere per molti versi contiguo e finanche aver ispirato il Peronismo argentino, il Sandinismo del Nicaragua, il Socialismo arabo, jugoslavo, panafricano e quello cubano. Un ideale repubblicano e laico, che mette al primo posto l’autogestione e l’autogoverno dei lavoratori e dei cittadini.
Mario Bergamo e Randolfo Pacciardi si possono dunque definire, per la loro intransigenza, per la loro opera e storia politica, pur inascoltata e ingiustamente vilipesa, gli ultimi rivoluzionari italiani del mazzinianesimo e del garibaldinismo.
Rivoluzionari che hanno lottato, immaginato, sognato e prefigurato l'idea di una Repubblica autentica e diversa dall'attuale. Libera dal fascismo, dal malaffare, dal liberalismo, dal parlamentarismo intriso di lobbismo.
Non sappiamo se nasceranno ancora, in Italia, dei rivoluzionari come loro. Personalmente ne dubito, se penso che l'ultimo rivoluzionario degno di questo nome fu Bettino Craxi, che fu costretto all'esilio.
Sicuramente quelle idee, attualissime oggi più ancora che ieri, non moriranno mai.
Luca Bagatin
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