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lunedì 19 settembre 2016

Michel Clouscard: filosofo comunista contro l'ideologia del desiderio. Articolo di Luca Bagatin

Viviamo nell'epoca del superfluo, dell'effimero, del liquido, del perennemente instabile.
E' l'epoca della modernità; dell'urbanizzazione selvaggia e degli eco-mostri; dello sradicamento delle campagne par approdare alle città; dello sradicamento di interi popoli che pensano – illusoriamente - che, approdando in Occidente, risolveranno tutti i loro problemi e godranno anche loro illimitatamente. E' l'epoca dell'avvento della classe media che consuma senza produrre, alimentando una spirale senza fine di oggetti e gadget superflui e voluttuari.
E' l'ideologia del desiderio denunciata dal filosofo francese Michel Clouscard (1928 - 2009), già aderente al Partito Comunista Francese e strenuamente critico nei confronti del movimento sessantottino, il quale ha segnato l'avvento della lotta edipica fra il figlio borghese contro il padre borghese, sdoganando così la società permissiva e consumista che ne sarebbe derivata.
Altro che fantasia al potere, altro che difesa dei lavoratori e degli oppressi ! Il Sessantotto, secondo Clouscard, fu proprio lo snaturamento dei principi enunciati da Marx, i quali stabilivano – diversamente - che non si sarebbe dovuto consumare più di quanto si sarebbe prodotto.
Al contrario, il Sessantotto, fu lo sdoganamento del progresso e del consumo illimitato, ovvero la liberalizzazione della cultura dello sballo e del desiderio in nome di una effimera libertà, che in realtà si sarebbe ben presto tradotta in nuova schiavitù nei confronti dei beni materiali.
Il “principio del piacere” avrebbe così sostituito il “principio di realtà”, dando così il via alla cultura dello spreco e del superfluo, senza più inibizioni né freni morali.
Ecco dunque l'avvento del neo-capitalismo che avrebbe sostituito quello precedente: dall'industria pesante all'industria leggera e “liquida”, attraverso la creazione di bisogni indotti e di beni di consumo voluttuari, libidici, ludici, marginali, alimentati e veicolati dai professionisti della pubblicità commerciale e del marketing. Beni che si è e si sarebbe disposti ad acquistare giungendo persino ad indebitarsi e a rateizzare, divenendo così completamente schiavi del bene e del sistema di usura che sottende l'acquisto rateizzato medesimo.
Questo il fulcro del pensiero di Michel Clouscard condensato nel saggio breve di Lorenzo Vitelli, edito dalle Edizioni Circolo Proudhon e dal titolo “Un comunista a Parigi nel '68”. Unico saggio italiano dedicato al filosofo francese.
Questa, in sostanza, la critica radicale alla “società dei consumi” fatta dal Clouscard, non a caso marginalizzato dalla cultura dominante. Società dei consumi che ha completamente annullato le differenze di classe (proletari/borghesi) per dare vita ad una classe indistinta, ovvero la classe media, formata non più da produttori di beni, ma nemmeno da proprietari dei mezzi di produzione. Una classe addestrata (dalla pubblicità, dalla televisione, dal marketing, dalla distruzione del sistema educativo-scolastico...) a consumare (e quindi a lavorare) sempre di più, distaccandosì così da una realtà fatta di semplici e lenti gesti, dagli affetti, dalla stabilità dei rapporti, dal radicamento alla propria storia, origine e cultura.
Clouscard, come Pier Paolo Pasolini (1922 – 1975) - anch'egli emarginato dall'intellighenzia comunista e dalla sinistra del suo tempo di matrice freudo-marxista e sessantottina - pone questa forte critica e denuncia della degenerazione modernista, desiderante, neo-capitalista, neo-borghese, livellatrice verso il basso avvenuta dal '68 in poi in tutto l'Occidente, ed ormai esportata anche altrove, in nome di una sedicentissima e parzialissima idea di “democrazia”.
Scrisse a tal proposito Pasolini, riferendosi ai giovani sessantottini figli di papà: “Basta ai giovani contestatori staccarsi dalla cultura, ed eccoli optare per l'azione e l'utilitarismo, rassegnarsi alla situazione in cui il sistema si ingegna ad integrarli. Questa è la radice del problema: usano contro il neocapitalismo armi che in realtà portano il suo marchio di fabbrica, e sono quindi destinate soltanto a rafforzare il suo dominio. Essi credono di spezzare il cerchio, e invece non fanno altro che rinsaldarlo”.
Non stupiamoci, dunque, se oggi quei sessantottini sono diventati la nuova “classe dirigente”, la nuova élite politica, industriale, culturale e se la sinistra è diventata, in tutto l'Occidente, la maggiore sostenitrice del capitalismo assoluto e della liberalizzazione del lavoro e dell'immigrazionismo in nome di sedicentissimi diritti dell'uomo, di sedicentissime opportunità di lavoro e di libertà che, nei fatti, si traducono e si sono tradotti in nuovo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e di nuova alienazione delle nuove generazioni desideranti e spaesate, senza alcun punto di riferimento, senza alcun passato, senza alcun lavoro stabile e, spiace dirlo, senza alcun futuro certo.

Luca Bagatin

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