Il mese scorso scrivemmo di come il
2016 si stesse chiudendo con le richieste della gran parte dei popoli
d'Europa e Stati Uniti d'America, di maggiori politiche in favore del
popolo, di sovranità e di autodeterminazione.
Questo ciò che è stato possibile
rilevare relativamente al risultato del referendum sulla Brexit, alle
proteste francesi relative alla deregolamentazione del lavoro
attraverso la Loi Travial ed alla vittoria alle primarie dei
repubblicani francesi del candidato avverso al globalista Sarkozy,
oltre che la non presentazione alle elezioni presidenziali francesi
del globalista Hollande; alla vittoria di Trump alle elezioni
presidenziali USA ed alla vittoria dei NO al referendum
costituzionale in Italia.
Donald Trump, negli USA, ha già
annunciato il ritiro del Grande Mercato Transatlantico (TTIP), che
avrebbe inglobato l'Europa al mercato statunitense, con immensi
svantaggi per i mercati europei, per le produzioni locali, per i
diritti dei lavoratori e per la tutela dell'ambiente. Inoltre Trump
ha annunciato una dura lotta alle imprese che delocalizzano ed anche
questa misura sembra davvero finalmente prendere in considerazione il
mercato interno e la necessità di privilegiare le produzioni locali
ed i lavoratori autoctoni ed i loro diritti, evitando peraltro di
sfruttare altrove manodopera a basso costo e magari senza tutele
sindacali.
Ecco dunque come il tanto demonizzato
Trump che, per quanto sia un ricco magnate del quale non ci fidiamo
per questo totalmente, appaia al momento come il paladino di quella
che potrebbe essere definita la “sinistra del lavoro” (o, meglio,
socialismo delle origini), contrapposta alla “sinistra del
capitale”, fighetta e liberal dei Roosevelt, dei Kennedy, dei
Clinton, degli Obama ed in Europa dei Blair, degli Hollande, dei
Prodi e dei Renzi.
In Europa, allo stesso tempo, anche
Marine Le Pen ed il suo Front National, abbandonate le vecchie
ricette liberiste di Le Pen padre, appaiono molto più disposti ad
accogliere e promuovere misure sociali e di autarchia economica,
contrapponendosi alla globalizzazione portata avanti, in Francia, sia
dalla destra che dalla sinistra ed a tutto svantaggio dei poveri, dei
lavoratori e dei diseredati.
Detto ciò ci viene in mente un grande
statista socialista, l'ultimo che l'Europa abbia conosciuto e di cui
ricorre a giorni il diciassettesimo anniversario della morte: Bettino
Craxi.
Bettino Craxi, erede della tradizione
socialista originaria di Proudhon, Pierre Leroux, Garibaldi e della
Comune di Parigi dalla quale mutuerà il simbolo del garofano rosso,
attuerà e proporrà politiche di rilancio del Made in Italy e della
sovranità nazionale; avvierà un dialogo costruttivo con i Paesi
mediterranei e arabi di matrice laico-socialista; si contrapporrà,
quando necessario, allo strapotere ed alle ingerenze degli Stati
Uniti d'America in Italia; si opporrà alle privatizzazioni slevagge;
rimarrà ancorato all'anticomunismo, rafforzando comunque i legami
con il socialismo latinoamericano che, nel corso degli Anni '90, sarà
l'embrione di quel Socialismo del XXI secolo che ha dato vita alla
rinascita di quel continente, pur oggi osteggiata dalle élite.
E saranno proprio quelle élite
economico-finanziarie che, con il concorso della “sinistra del
capitale”, contribuiranno alla caduta di Craxi ed al suo esilio
forzato.
Bettino Craxi, per molti versi, può
essere paragonato ad un altro grande statista: Charles De Gaulle.
Presidente francese ricordato per aver rimpatriato le riserve auree,
condannato le politiche israeliane in Palestina e quelle statunitensi
in Vietnam, aver fatto uscire la Francia dalla NATO e consolidato il
sistema del welfare. Celebre peraltro la sua frase: “Odio i
socialisti perché non sono socialisti, mentre odio i miei perché
amano troppo il danaro”.
Craxi e De Gaulle, due grandi statisti
che – pur formalmente schierati l'uno a sinistra e l'altro a destra
dell'agone politico – hanno saputo andare oltre le ideologie e gli
steccati, ovvero oltre la destra e la sinistra, recuperando ideali
popolari, populisti nel senso positivo del termine e repubblicani e
socialisti originari.
Come ricorda infatti il filosofo
francese Jean-Claude Michéa nei suoi saggi, il socialismo non è né
sarà mai di sinistra né di destra, ovvero non sarà mai borghese
e capitalista, ma sarà sempre dalla parte del popolo, per
l'autonomia, l'autogestione, l'antimperialismo e la democrazia
autentica e diretta.
Aspetti che i socialisti europei di
oggi, ormai trasformatisi in liberali, indistintamente
“progressisti”, “cosmopoliti”, hanno completamente
dimenticato, proponendo e riproponendo ricette di illusoria
redistribuzione della ricchezza (anziché proporre una seria
liberazione dalla schiavitù del lavoro e del salario); di
deregulation del mercato del lavoro (anziché garantire la stabilità
lavorativa ed economica per tutti, come dovrebbe essere in una
società di liberi, eguali ed emancipati) e di libertà utili solo ai
ricchi, alle imprese ed alla borghesia benestante, anziché proporre
e promuovere l'uscita progressiva dal sistema capitalista e
l'autogestione delle imprese e dell'attività politica, attraverso
assemblee e comitati popolari aperti a tutti.
In questo senso, dunque, o il
socialismo è rivoluzionario e libertario o è liberal-capitalismo. O
torna a Pierre Leroux, Proudhon, Bakunin, Sorel, Garibaldi e Mazzini e
riprende le prospettive di Bettino Craxi, ma anche di Juan Domingo
Peron, Hugo Chavez, Evo Morales, Rafael Correa, i coniugi Kirchner,
José Pepe Mujica e altri e dei pensatori contemporanei quali Michéa,
Alain De Benoist, Eduard Limonov e Serge Latouche, oppure rimarrà al
servizio della “sinistra del capitale” e del Re di Prussia,
ovvero della schiavitù del lavoro e del salario e della “delega
elettorale in bianco”, senza permettere ai cittadini di co-gestire
sia la propria attività che trarne la propria stabilità economica,
senza sfruttare il prossimo e autogovernandosi.
Il questo senso occorre porsi in
un'ottica libera dall'interesse egoistico e dunque dal danaro, al
fine di tornare ad una società ove si produce per consumare e non si
consuma per produrre e quindi per lucrare – egoisticamente - sulla
merce e sul lavoro. Ovvero occorre puntare ad un sistema fondato sul
baratto e sul dono reciproco, nel rispetto massimo della natura e
dell'ambiente, oltre che dell'essere umano.
Queste potrebbero essere alcune
possibili prospettive per costruire una Civiltà (dell'Amore !) degna
di questo nome, che tenda alla libertà dal bisogno, alla comunanza
di tutti gli esseri viventi all'interno della propria comunità
d'origine, alla liberazione dal giogo della schiavitù e
dell'interesse egoistico, così come si svilupparono le più Antiche
Civiltà della Terra, a partire da quelle matriarcali.
Luca Bagatin
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