E' sempre di più
l'Eurasia e il Sud-est asiatico l'alternativa ad un mondo unipolare,
a guida Statunitense e capitalista.
Lo vediamo con la
Repubblica Popolare Cinese, la quale è ormai la prima potenza del
pianeta e ciò grazie ad un socialismo “con caratteristiche
cinesi”, un'economia centralizzata, ma allo stesso tempo aperta
allo scambio ed una politica estera volta a rapporti pacifici e
duraturi con tutti i partner mondiali.
E lo vediamo con il
Kazakistan che, anche dopo il colpo di stato in Unione Sovietica ed
il conseguente smantellamento del comunismo ad Est, è riuscito a
ritagliarsi un ruolo fondamentale quale Repubblica indipendente,
eurasiatica e multipolare.
E ciò grazie al suo
ultimo Presidente, Nursultan Nazarbayev, ex operaio siderurgico che
che è stato anche l'ultimo dei Segretari del Partito Comunista
Kazako nel 1991 e colui il quale ha preso in mano le redini del
Paese, con il suo partito Nur Otan, sino ad oggi.
Il Kazakistan, posto al
confine fra Russia e Cina, rappresenta un importante trait-d'union
fra le due realtà.
Grazie al suo progetto di
Unione Economica Eurasiatica e di pianificazione economica che rende
questo Paese simile alla Cina socialista ma aperta al mercato,
Nazarbayev ha messo al centro del suo progetto l'essere umano e la
sua emancipazione ed è riuscito ad aumentare la retribuzione media
di ben cinque volte rispetto agli Anni '90 e ad accrescere di tre
volte le pensioni. L'aspettativa di vita in Kazakistan è
notevolmente cresciuta e così il PIL, che è uno dei più alti al
mondo, anche grazie agli investimenti nella costruzione di scuole e
strutture sanitarie pubbliche e abitazioni.
Da poche settimane il
Presidente Nazarbayev, giunto all'età di quasi 80 anni, nonostante
il grande consenso popolare, che lo ha portato più volte ad essere
rieletto con oltre il 90% dei consensi, si dimesso. Il motivo è che
il suo governo non è riuscito ad eradicare completamente la povertà
e a diversificare l'economia, oggi fortemente dipendente dal
settore degli idrocarburi.
Di Kazakistan e Sud-est
asiatico parliamo con Andrea Fais, giornalista, saggista, e direttore
della rivista “Scenari Internazionali”, nonché co-autore dei
saggi “Il Risveglio del Drago. Politica e strategie della rinascita
cinese” e “La Grande Muraglia. Pensiero politico, territorio e
strategia della Cina Popolare”, e autore de “L'Aquila della
Steppa. Volti e prospettive del Kazakistan”, che si avvale della
prefazione del filosofo e politologo russo Aleksandr Dugin, relativo
alla situazione socio-economica del Kazakistan odierno.
Iniziamo dalla fine,
ovvero dalle motivazioni che hanno portato l'ormai ex Presidente
kazako Nursultan Nazarbayev a dimettersi e a trasferire, ad interim,
i suoi poteri all'attuale Presidente del Senato Kassym-Zhomart
Tokayev. Cosa puoi dirci in merito ? Quali saranno i successivi
sviluppi ? C'è chi parla, quale successore, alle prossime elezioni,
della figlia di Nazarbayev, Dariga. E' così ?
Non saprei rispondere a
quest'ultima domanda. Credo che sia prematuro parlarne, almeno fino a
quando non saranno presentate ufficialmente le candidature. Ad ogni
modo, la leadership di Nazarbayev era evidentemente giunta a
compimento, esaurendo il tempo naturale a sua disposizione. L'età e
le non perfette condizioni di salute avevano già messo in dubbio la
sua presenza alle ultime elezioni presidenziali di quattro anni fa.
Eppure, l'elevatissimo consenso ottenuto aveva evidentemente convinto
Nazarbayev a restare in sella ancora per qualche tempo.
Oggi, come giustamente ha
fatto notare lo stesso ex Presidente nel suo messaggio al Paese,
c'era invece bisogno di un passo indietro per dare spazio ad una
nuova generazione che dovrà guidare il Paese da qui al 2030, sulla
scia della strategia nazionale lanciata nel 1997, preparando le basi
per gli obiettivi al 2050, seguendo l'impronta della strategia
nazionale lanciata nel 2012. Certo, non sarà facile trovare una
figura altrettanto capace e carismatica. L'eredità politica dei
ventotto anni di Nazarbayev alla presidenza della Repubblica è
sostanziosa: ci sono tantissimi programmi da implementare, completare
e mettere a regime, a partire da Nurly Zhol, il piano di
stimolo economico lanciato alla fine del 2014 per modernizzare le
infrastrutture a tutti i livelli e per imprimere dinamismo alla
piccola e media impresa, e dai Cento Passi Specifici per
Implementare le Cinque Riforme Istituzionali, che dovranno
ridefinire l'architettura complessiva del Paese rendendo lo Stato più
snello, coeso, efficace, digitale e business-friendly.
Il Kazakistan è un
esempio virtuoso di come una ex Repubblica Sovietica, pur dopo lo
smantellamento del comunismo in URSS, è riuscita non solo ad
emanciparsi, ma anche ad elevare il tenore di vita dei suoi stessi
cittadini e ciò grazie al forte intervento statale e ad un progetto
che ha messo al centro non già l'economia, ma il benessere della
popolazione. Cosa puoi dirci, relativamente a tale aspetto ?
A differenza di quanto
avvenuto in Russia, negli anni Novanta, la stabilità e il
ruolo-guida dello Stato hanno permesso al Paese di sviluppare, in un
clima di relativa tranquillità, una nuova repubblica indipendente,
simboleggiata dalla posa, nel 1997, della prima pietra della moderna
e futuristica capitale, Astana, recentemente ribattezzata Nur-Sultan,
in onore del Presidente uscente.
Quella kazaka è
un'economia di mercato in costruzione ed il vecchio modello, fondato
principalmente sull'industria estrattiva, non è ancora stato
superato, con gli idrocarburi ancora troppo incisivi sull'export del
Paese. Stando agli ultimi rapporti dello scorso anno, il Kazakhstan è
28° nella classifica Doing Business della Banca Mondiale. Tre anni e
mezzo fa era al 41° posto. Per quanto riguarda l'Indice di
Competitività Globale, redatto dal Forum Economico Mondiale, è
invece al 59° posto, perdendo terreno rispetto a tre anni fa.
Insomma, le riforme vanno avanti ma necessitano ancora di diversi
anni di lavoro che il nuovo presidente sarà chiamato a svolgere.
Tuttavia sono stati
compiuti passi in avanti notevoli. In generale, c'è oggi in
Kazakistan maggior spazio per l'industria leggera, orientata anche e
soprattutto ai consumi interni, in particolare per quanto riguarda i
settori alimentare, tessile, elettronico e farmaceutico. Più risalto
è stato dato anche al settore delle energie rinnovabili, che ha
ispirato l'Expo di Astana due anni fa. Al tempo stesso, una maggiore
attenzione ai bisogni del cittadino ha messo al centro dell'azione di
governo un'idea di welfare più concreta di cui, tuttavia, vedremo
gli effetti più importanti nei prossimi anni.
Il Kazakistan si trova
posto fra la Russia, con la quale condivide un ottimo rapporto
socio-economico - anche all'interno dell'Unione Economica Eurasiatica
- e la Cina.
La Cina è sempre più,
ormai da tempo, forse la prima potenza mondiale e lo stiamo vedendo
anche grazie agli investimenti cinesi in Europa, oltre che da tempo
in America Latina ed Africa, pur senza voler imporre il suo modello e
senza voler colonizzare quei territori.
In merito hai
collaborato alla stesura di ben due saggi. Qual è la tua opinione in
merito ?
Se parliamo in termini di
PIL nominale, la Cina è ancora seconda dietro gli Stati Uniti. Se
prendiamo a riferimento il PIL a parità di potere d'acquisto, già
da tempo la Cina è la prima economia mondiale. I due saggi citati
risalgono a 7-8 anni fa, c'era ancora Hu Jintao alla guida del Paese.
Permane, di fondo, l'idea generale secondo cui il mercato debba
svolgere un ruolo sempre più decisivo nel processo di allocazione
delle risorse ma con Xi Jinping la situazione è notevolmente
cambiata. La nuova contraddizione principale individuata dalla
leadership è quella fra uno sviluppo sbilanciato e le aspirazioni
della popolazione ad una migliore qualità della vita. Il paradigma
economico cinese è ora incentrato su un modello di crescita
sostenibile, fondato sulla qualità manifatturiera, piuttosto che
sulla quantità, dove sarà sempre più decisivo il ruolo delle
start-up e degli innovatori in generale, secondo un'idea di
imprenditorialità di massa.
La riforma strutturale
dell'offerta adottata da Pechino ha semplificato la macchina
amministrativa e ha ridotto gli oneri fiscali e burocratici per
milioni di micro, piccole e medie imprese, specie in settori come
l'hi-tech, la salute e l'ambiente. Con la nuova legge sugli
investimenti approvata dall'ultima Assemblea Nazionale del Popolo a
marzo, che entrerà in vigore il primo gennaio 2020, il Paese ha
inoltre aperto in modo più forte il mercato cinese al resto del
mondo fornendo nuove e più efficaci garanzie sia sulla parità di
trattamento che sui diritti di proprietà intellettuale.
La Cina è indubbiamente
la realtà contemporanea più dinamica ed è normale che questo suo
dinamismo coinvolga tanti Paesi nel mondo, a partire da quelli che,
partendo da condizioni di indigenza e sottosviluppo analoghe a quelle
della Cina di quaranta o cinquant'anni fa, vogliono ripercorrerne le
orme. L'importante è capire che non esiste più un modello politico
ed ideologico universale, ma che ogni realtà seguirà una propria
strada e le classi dirigenti di tutto il mondo saranno giudicate dai
rispettivi corpi sociali sulla base dell'efficacia nel fornire ai
cittadini e alle imprese risposte rapide, servizi di qualità,
ecosistemi funzionali e città vivibili. Ha ragione Parag Khanna nel
suo La rinascita delle città-stato, quando cita la Svizzera e
Singapore come due modelli con precise caratteristiche di riferimento
per poter definire l'assetto politico nell'era della post-democrazia,
un assetto che lui chiama "tecnocrazia diretta", ma che in
realtà è una sorta di democrazia risolutiva partecipata.
L'Eurasiatismo è una
corrente di pensiero elaborata da Konstantin Leont'ev nell'800, la
quale è volta a recuperare la spiritualità del cristianesimo
ortodosso contrapposta al razionalismo e al materialismo occidentale.
Resa attuale dal filosofo Aleksandr Dugin e da lui coniugata alla
geopolitica, l'Eurasiatismo, oggi, si propone di unificare i Paesi
postsovietici a quelli europei, in chiave anti-statunitense e
anti-atlantica, al fine di costituire un nuovo ordine globale fondato
sul multipolarismo e la cooperazione pacifica internazionale.
Pensi che tale visione
possa essere condivisibile ? E, se sì, perché ?
In origine,
l'eurasiatismo era semplicemente un tentativo di fornire un'identità
culturale e spirituale comune al vastissimo territorio dell'Impero
russo, ritenuto un plesso non appartenente né all'Europa né
all'Asia, definito appunto col nome di "Eurasia", un luogo
a cavallo - per così dire - fra i due continenti, dove convivevano
decine di popoli, lingue ed etnie riconducibili principali a tre
ceppi: indoeuropeo, uralo-altaico e paleosiberiano. A queste si
aggiungevano nell'area caucasica realtà etno-linguistiche autoctone,
come il georgiano o l'abcaso. Anche secondo il punto di vista
scientifico di Lev Gumilëv, l'etnogenesi eurasiatica altro non era
che la formazione storico-geografica di questo grande spazio compreso
fra Europa ed Asia, tuttavia né pienamente europeo né pienamente
asiatico.
Il neo-eurasiatismo è
qualcosa di diverso, è un vero e proprio progetto
politico-ideologico rispetto al quale personalmente ho sempre nutrito
dubbi. Non soltanto perché certe distanze culturali e religiose sono
incolmabili (basti solo pensare allo scontro russo-ucraino o alle
tensioni russo-polacche tanto per restare fra popoli slavi, senza
nemmeno tirare in ballo quelli musulmani), ma perché credo nessuno
senta il bisogno di tornare alla geopolitica dei blocchi
contrapposti, anzi: la logica dello scontro di civiltà è qualcosa
contro cui, personalmente, mi sono sempre battuto. Condivido l'idea
che il concetto stesso di "fine della storia", espresso da
Francis Fukuyama alla fine degli anni Ottanta, altro non sia che un
feticcio ideologico del secolo scorso, ma ormai è semplicemente
contraddetto dai fatti, non c'è bisogno di affrontarlo di petto.
Va poi ricordato che
Dugin espone questa teoria fra gli anni Novanta e i primi anni
Duemila, in piena epoca "unipolare", come l'ha spesso
descritta, quando cioè gli Stati Uniti erano la sola superpotenza
superstite della Guerra Fredda e potevano disporre di un raggio
d'azione globale praticamente illimitato a livello strategico, che
non di rado ha visto Washington scavalcare persino l'ONU stessa. Il
quadro di oggi è molto diverso, è sempre più caratterizzato dalla
costruzione di un ordine multipolare, dove non solo le potenze del
BRICS, ma anche altri attori stanno emergendo. Già si parla da anni
di MINT (Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia). Decisiva è in
particolare la capacità delle potenze emergenti di coinvolgere altri
Paesi, di diventare un magnete economico, finanziario, sociale e
culturale: anche qui la Cina è in pole position.
Altro discorso è invece
quello relativo all'integrazione regionale, alla cooperazione
politica ed economica o alla reciproca comprensione e conoscenza,
anche a scopo di promozione turistica dei territori. Questo, in Asia,
vale non solo per i Paesi ex sovietici, ma anche per il Medio
Oriente, la regione Asia-Pacifico e per il Subcontinente indiano. In
questo senso, Europa ed Asia dovranno indubbiamente rafforzare le
piattaforme di dialogo già in essere da anni, come l'ASEM, e crearne
di nuove su temi specifici. L'iniziativa cinese Belt and Road, cui
l'Italia ha aderito il mese scorso, è un passo in avanti enorme in
questa direzione.
Luca Bagatin
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