Continua il tentativo di
smantellare lo stato sociale anche in Russia e, in particolare, lo
smantellamento delle riforme che i russi si erano conquistati sin dal
1917, con l'avvento della Rivoluzione bolscevica guidata da Vladimir
Lenin.
Dopo essersi visti
aumentare l'IVA e l'età pensionabile, oggi i lavoratori russi
potrebbero vedersi aumentare le ore di lavoro settimanali. Oggi e dal
1917, la giornata lavorativa è di 8 ore, ma il primo ministro
Dimitry Medvedev, lo scorso 11 settembre, ha firmato un provvedimento
che, con il nuovo anno, ridimensionerà tale aspetto. Ovvero si
tratta di un provvedimento che intende, entro il 2021, porre fine al
“controllo e alla supervisione statale delle imprese”, in quanto
questo – secondo il governo russo – ostacolerebbe lo sviluppo
capitalista del Paese, limiterebbe la libertà dell'imprenditore e la
sua possibilità di ottenere profitti (sic !).
Medvedev ha così
dichiarato, alla televisione russa Rossya24 TV: “È necessario
cancellare quegli atti che danneggiano lo sviluppo del Paese e
limitano l’economia”.
All'interno di tale
provvedimento è contenuta la cancellazione del decreto del 1917, che
stabilisce attualmente la durata della giornata lavorativa ad un
massimo di 8 ore. Medvedev, con il benestare del Presidente Putin,
apre dunque alla flessibilità dell'orario lavorativo a seconda
dell'esigenza dell'imprenditore. Di fatto, dunque, il lavoratore
rimarrebbe in balìa delle esigenze del fantomatico “mercato” e
delle sue logiche perverse.
Una legislazione di tale
tipo è in linea peraltro con leggi antisociali quali il Jobs Act
italiano e la Loi Travail francese - entrambi introdotti da governi
di sinistra - e con quelle volute dalla destra di Orban in Ungheria
e da quella di Kurz in Austria, che hanno portato la giornata
lavorativa a 12 ore. E una normativa per l'aumento dell'orario
lavorativo settimanale è da tempo avanzata dal governo liberale
francese di Macron.
Destre e sinistre liberal
capitaliste, in Europa, si riconfermano, dunque, unite nella logiche
antisociali e antisindacali, a tutto vantaggio di coloro i quali
traggono profitto dai mercati e dallo sfruttamento del lavoro.
A porsi in antitesi in
Russia al “macronismo” in salsa putiniana, oltre che i
nazionalbolscevichi di Eduard Limonov; il Partito Comunista della
Federazione Russa di Gennady Zjuganov e il Fronte Russo Unito del
Lavoro, di cui fa parte – oltre al Fronte di Sinistra di Udaltsov –
anche il Partito Comunista Operaio Russo.
Quest'ultimo, in un lungo
comunicato, ha dichiarato, fra le altre cose, in merito a tale
provvedimento antisociale portato avanti dal governo liberale di
Putin e Medvedev: “...le autorità mostrano ancora una volta la
loro essenza di classe – garantire gli interessi della borghesia,
la classe degli sfruttatori” (...) “le fabbriche e le terre sono
tornate private, il capitalismo – il sistema di sfruttamento del
lavoro – è stato istituito. Una catena di sanguinosi conflitti e
guerre ha attraversato le repubbliche dell’Unione e continua nel
Donbass. La divisione delle persone in padroni e servi è tornata in
vita, una gigantesca diseguaglianza sociale sta crescendo
costantemente. Per consolidare la sua posizione, la classe
parassitaria attua costantemente e con arroganza misure antipopolari:
detiene i diritti democratici alle elezioni, proibisce l’azione di
sciopero e impedisce il lavoro sindacale, aumenta l’età
pensionabile e cerca di legittimare il lavoro part-time. Ora dicono
che la giornata lavorativa di 8 ore, introdotta il 5° giorno del
potere sovietico, impedisce gli affari e ostacola lo sviluppo
dell’economia”.
Alle recenti elezioni
amministrative - nelle quali è stato impedito comunque sia ai
nazionalbolscevichi che al Fronte Russo Unito del Lavoro di
presentare proprie liste - il Partito Comunista della Federazione
Russa di Zjuganov ha aumentato ancora una volta considerevolmente i
suoi consensi e l'astensionismo ha raggiunto cifre record del 70% di
astenuti.
Le politiche liberali, di
austerità, in favore del mercato e contro i cittadini e i
lavoratori, hanno ampiamente dimostrato, da diversi decenni, di
essere il peggior veleno che l'Eurasia abbia potuto conoscere.
Occorre invertire la
tendenza: in Russia come in Francia, Italia, Ungheria, Austria...
Esattamente come nei decenni passati è diversamente avvenuto
nell'America Latina del Socialismo del XXI Secolo (in Bolivia,
Venezuela, Uruguay, Argentina, Ecuador).
E' l'ora dell'alternativa
socialista autentica. E, come sappiamo, il socialista autentico e
originario non crede né nel mercato né nello Stato (come fanno
invece i liberali, i keynesiani, i capitalisti e i fascisti), ma
nell'autogestione dell'economia e dei mezzi di produzione da parte
del cittadino lavoratore, che ne diviene dunque l'unico proprietario
e l'unico artefice della sua emancipazione sociale, spirituale e
materiale.
Ci sarà ancora molta
strada da fare, forse, ma non vi è altra alternativa democratica e
emancipatoria possibile.
Luca Bagatin
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