La DDR o Repubblica
Democratica Tedesca, aveva raggiunto, nel corso dei suoi 40 anni di
vita, ottimi livelli di istruzione, cure mediche, acquisizione di
nuove competenze. “La vecchiaia non era un peso, i bambini
avevano delle prospettive”, così racconta Hans Modrow –
ultimo Premier della DDR nel 1989 - nel suo saggio di memorie, “La
perestrojka e la fine della DDR” edito in Germania nel 1998 e
ripubblicato di recente da Mimesis, per la prima volta in edizione
italiana, a quarant'anni dalla caduta del Muro di Berlino.
Modrow racconta di come
la DDR, ad ogni modo, non si accontentasse dei risultati ottenuti, ma
– dimenticando la lezione socialista e cedendo ad ambizioni
piccolo-borghesi - volesse superare i suoi vicini occidentali,
puntando a copiarli, pur non avendone le risorse.
La DDR, ad ogni modo,
sotto la guida del Partito di Unità Socialista di Germania (SED),
era riuscita a liberare dalla fame il suo popolo, garantire prezzi
stabili, che ciascuno avesse un lavoro e una abitazione dignitosa.
Certo, la DDR non era un Paese capitalista e il lusso non solo era
stigmatizzato, ma non sarebbe stato possibile garantire un tenore di
vita pari a quello dei Paesi capitalisti.
L'economia della DDR, del
resto, risentiva dello sviluppo dell'URSS, per la quale era una sorta
di figlio adottivo.
Modrow fece parte di
quella corrente della SED più vicina alle idee riformatrici e,
allorquando Michail Gorbaciov fu eletto Segretario Generale del
Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS), Modrow nutriva verso
di lui e verso la corrente riformista sovietica, grandi speranze.
La promozione di un
socialismo democratico, attraverso riforme economico-sociali
(perestrojka); l'apertura e la trasparenza dei processi politici
(glasnost) e una politica estera aperta all'Occidente, erano le linee
cardine di Gorbaciov e, inizialmente, anche di Modrow.
Quest'ultimo, come scrive
nel saggio, non si sarebbe mai immaginato che, tale percorso, avrebbe
condotto ben presto alla totale abolizione del socialismo e alla
messa al bando del Partito Comunista dell'Unione Sovietica in URSS,
oltre che alla totale distruzione della DDR e del suo partito, la
SED, con l'avvento, ad Est, del capitalismo più selvaggio e
assoluto.
Modrow, da iniziale
sostenitore di Gorbaciov, a differenza del Presidente del Consiglio
di Stato della DDR di allora, Erich Honecker - di orientamento
socialista conservatore e fortemente critico della perestrojka -
credeva sinceramente nella necessità di riforme in URSS e nella DDR,
tali da poter migliorare l'economia, rendendola meno burocraticizzata
e permettendo ai cittadini di essere maggiormente inclusi nella vita
politica dei Paesi socialisti. La gestione centralizzata
dell'economia, in URSS, aveva portato a un abbassamento della
produzione e del tenore di vita e ciò andava di pari passo con gli
eccessivi investimenti sovietici nel settore militare, dimenticando
spesso gli altri settori.
Ciò, a parere di Modrow,
significava allo stesso tempo un allontanamento dagli ideali e dalle
prospettive originarie di Lenin, il quale promuoveva un socialismo
democratico, pluralista e tutt'altro che incentrato nella
militarizzazione del Paese, che pur all'epoca della Guerra Fredda era
giustificato dalla corsa agli armamenti operata anche dal blocco
Occidentale.
Ad ogni modo, a parte i
grandi proclami di Gorbaciov sulla “libertà, la democrazia e
l'autodeterminazione” e le sue eccessive aperture
all'Occidente, non vi sarà alcun cambiamento sostanziale in URSS e
ciò deluderà ben presto Modrow e i socialisti democratici di
Germania, che avranno modo di osservare come, con Gorbaciov, le
condizioni della popolazione fossero destinate a peggiorare, mentra
l'apparato burocratico continuava – invece - ad ingrossarsi e a
comandare.
Se da una parte Honecker
non si rendeva conto delle richieste dei cittadini della DDR di
maggiori aperture verso un socialismo più democratico, dall'altra i
riformisti come Modrow, per sua stessa ammissione, non si rendevano
conto di come Gorbaciov stesse – di fatto – creando le condizioni
per l'abolizione del socialismo e per la disgregazione dell'URSS, che
raggiungerà il suo apice con il golpe bianco di Eltsin e la
decisione di quest'ultimo di vietare il PCUS.
A criticare Gorbaciov per
primi, in URSS, unicamente gli esponenti dell'ala moderata e
conservatrice del PCUS Egor Ligaciov (che peraltro in quegli anni
ebbe colloqui con i pensatori nazionalbolscevichi Jean Thiriart e
Aleksandr Dugin), Grigorij Romanov (già espulso dall'ufficio
politico del PCUS nel 1985 da Gorbaciov) e Nina Andreeva,
quest'ultima attraverso una lettera aperta – pubblicata anche nella
DDR, oltre che sull'organo ufficiale del PCUS “Pravda” – nella
quale proponeva un Manifesto delle forze anti-perestrojka.
Intanto, nella DDR,
nell'ottobre 1989, Erich Honecker, già eroe della Resistenza contro
il nazismo, su pressione del Politburo della SED, veniva obbligato
alle dimissioni, sostituito dal ben più giovane Egon Krenz, che
rimase in carica nemmeno due mesi, mentre il Muro di Berlino fu
abbattuto.
A Krenz successe proprio
Hans Modrow, nel dicembre 1989, il quale rimase in carica sino al
marzo 1990. Fu peraltro durante la sua presidenza che la SED cambiò
il nome in PDS, ovvero Partito del Socialismo Democratico.
Modrow, come scrive nel
suo saggio di memorie, fa presente il suo tentativo di salvare sia il
socialismo tedesco che la DDR dall'annessione della Repubblica
Federale Tedesca guidata da Kohl. Il progetto prevedeva l'esistenza
di due stati sovrani, con pari dignità, sistemi economici diversi,
ma coesistenti e federati fra loro. Progetto, ad ogni modo, tradito
da Gorbaciov e avversato da Kohl, al punto che la DDR cesserà di
esistere definitivamente alla fine del 1990, annessa alla Germania
Ovest, con conseguenze economico-sociali nefaste per i tedeschi
dell'Est.
Modrow, in definitiva,
sostiene che “la DDR e gli altri Paesi socialisti non sono stati
semplicemente traditi o venduti da Mosca. La grande potenza sovietica
ha trascurato di rappresentarne gli interessi con coerenza e
perseveranza. Interessi che in definitiva erano anche i suoi”.
E aggiunge: “Tuttavia, almeno nel suo fallimento, Mosca fu
coerente: nemmeno gli interessi dei popoli dell'Unione Sovietica
furono seriamente rappresentati. La fine dell'URSS fu una logica
conseguenza”.
Modrow, nel suo saggio,
alla fine, non dimentica di apprezzare il lavoro del Partito
Comunista della Federazione Russa (KPRF) guidato da Gennady Zjuganov
(con l'iniziale collaborazione ideologica del filosofo
nazionalbolscevico Aleksandr Dugin) che, fondato nel 1993 dalle
ceneri del PCUS, nel 1996, alle elezioni presidenziali contro Eltsin,
stava quasi per superarlo al primo turno.
Il KPRF, secondo Modrow,
ha saputo ridare dignità al marxismo-leninismo in Russia e portare
avanti istanze socialiste democratiche, al punto che oggi il KPRF è
ancora il maggior partito opposizione alla Duma, contro il partito
liberal-capitalista al governo. Non a caso, nelle file del KPRF,
finiranno anche Ligaciov e Romanov, i maggiori oppositori dell'epoca
a Gorbaciov, mentre Nina Andreeva fonderà il Partito Comunista di
tutti i Bolscevichi, attivo ancora oggi, dalla linea più radicale,
ma decisamente meno consistente sotto il profilo numerico.
Hans Modrow, che oggi ha
92 anni e ha di recente presentato in Italia il suo saggio anche ad
un convegno organizzato dal Partito Comunista di Marco Rizzo, è
stato eletto, nel 1999, Parlamentare europeo nelle file del Partito
del Socialismo Democratico (PDS) e, dal 2007, è Presidente del
consiglio degli anziani del partito Die Linke (La Sinistra),
evoluzione del PDS.
Ancora oggi si definisce
un sostenitore del socialismo democratico e rimane un oppositore del
sistema capitalista, che considera economicamente e socialmente
profondamente ingiusto.
Luca Bagatin
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