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giovedì 20 febbraio 2020

Polonia. Continuano le discriminazioni contro i comunisti (e gli omosessuali). Articolo di Luca Bagatin

In Polonia non si arresta il clima di persecuzione contro i comunisti.
Continua da diversi anni il processo contro i membri della redazione del giornale “Brzask”, organo del Partito Comunista Polacco (KPP), accusati di “promozione di sistemi totalitari” e il Partito Comunista ritiene che tale processo sia parte della campagna delle autorità governative volta a bandire il partito medesimo.
L'articolo 256 del codice penale polacco, infatti, proibisce il comunismo e lo assimila al nazifascismo, nonostante abbia ampiamente contribuito, nell'Est Europa, a combattere quest'ultimo e a liberare milioni di ebrei e prigionieri politici dai campi di sterminio nazisti.
Come in molti Paesi dell'Est europeo dopo la fine del comunismo, dagli Anni '90 ad oggi, i simboli comunisti sono del tutto vietati, così come lo è l'ideologia stessa. Si pensi al fatto che in Ungheria i comunisti hanno dovuto modificare il nome del loro partito - che nel 2005 aveva assunto la denominazione di Partito Comunista Operaio Ungherese - in Partito Operaio Ungherese e ciò dal 2013, ovvero dopo una legge che vietò l'utilizzo di riferimenti al comunismo.
E tutto ciò mentre in tali Paesi avanzano pericolose idee neonaziste, del tutto sottovalutate dalle autorità.
Da notare peraltro che, in Polonia, lo Stato, guidato dai liberal conservatori, ha promosso – adottando ben 91 provvedimenti - anche zone proibite agli omosessuali (cosiddette “lgbt free”). Un po' come nei tempi oscuri i nazisti proibirono l'accesso di determinate zone agli ebrei.
Davvero molto, molto triste e pericoloso.

Luca Bagatin

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