Continua da diversi anni
il processo contro i membri della redazione del giornale “Brzask”,
organo del Partito Comunista Polacco (KPP), accusati di “promozione
di sistemi totalitari” e il Partito Comunista ritiene che tale
processo sia parte della campagna delle autorità governative volta a
bandire il partito medesimo.
L'articolo 256 del codice
penale polacco, infatti, proibisce il comunismo e lo assimila al
nazifascismo, nonostante abbia ampiamente contribuito, nell'Est
Europa, a combattere quest'ultimo e a liberare milioni di ebrei e
prigionieri politici dai campi di sterminio nazisti.
Come in molti Paesi
dell'Est europeo dopo la fine del comunismo, dagli Anni '90 ad oggi,
i simboli comunisti sono del tutto vietati, così come lo è
l'ideologia stessa. Si pensi al fatto che in Ungheria i comunisti
hanno dovuto modificare il nome del loro partito - che nel 2005 aveva
assunto la denominazione di Partito Comunista Operaio Ungherese - in
Partito Operaio Ungherese e ciò dal 2013, ovvero dopo una legge che
vietò l'utilizzo di riferimenti al comunismo.
E tutto ciò mentre in
tali Paesi avanzano pericolose idee neonaziste, del tutto
sottovalutate dalle autorità.
Da notare peraltro che,
in Polonia, lo Stato, guidato dai liberal conservatori, ha promosso –
adottando ben 91 provvedimenti - anche zone proibite agli omosessuali
(cosiddette “lgbt free”). Un po' come nei tempi oscuri i nazisti
proibirono l'accesso di determinate zone agli ebrei.
Davvero molto, molto
triste e pericoloso.
Luca Bagatin
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