Hunter S. Thompson è uno
di quei personaggi che, almeno in Italia, non è sufficientemente
conosciuto, probabilmente perché abbastanza estraneo alla storia e
alla cultura di questo Paese.
Un Paese che non ha
conosciuto quelle forme di controcultura che, diversamente, in Paesi
come gli Stati Uniti d'America degli anni '50 – '60 e '70 e la
Russia degli anni '80 e '90, hanno avuto modo di conoscere.
Probabilmente perché entrambi Paesi paralizzati e ostaggio di
governi polarizzati ideologicamente e in modo paranoide, al punto da
farsi spesso la guerra.
Per questo, molti giovani
(e meno giovani) di quelle realtà hanno trovato conforto nella
letteratura, nella musica, nell'antimilitarismo, nell'anticapitalismo
e nella protesta artistica e controculturale (oltre che nelle
sostanze psicoattive).
Hunter S. Thompson,
classe 1937, giornalista e scrittore, sigaretta penzolante fra le
labbra sostenuta dall'immancabile bocchino, si inserisce a pieno
titolo in questo filone di pensiero ed è parte integrante della
controcultura statunitense e mondiale. E lo è stato almeno sino alla
sua morte, sopravvenuta prematuramente nel 2005.
Hunter S. Thompson è
noto per aver fondato il cosiddetto “giornalismo gonzo”, ovvero
uno stile di giornalismo che si accosta alla letteratura, utilizzando
una narrazione in prima persona, condita da opinioni personali,
ironia, sarcasmo e, spessissimo, di linguaggio colorito, zeppo di
espressioni gergali e volgarità.
Il giornalismo gonzo,
tipico di Thompson, combinava la satira alla critica sociale e,
secondo il suo fondatore, tale giornalismo è la forma più obiettiva
e vicina alla realtà, ma, anziché essere fondato sulla “verità
assoluta”, tale giornalismo diventa una forma di letteratura.
In proposito, Thompson,
in un'intervista del 1973 su “Rolling Stone” disse: “Se
avessi scritto la verità che sapevo negli ultimi dieci anni, circa
600 persone, incluso me, marcirebbero nelle celle di
una prigione da Rio a Seattle. La verità assoluta è una merce molto
rara e pericolosa nel contesto del giornalismo professionale”.
Hunter S. Thompson,
appassionato di ogni tipo di sostanza psichedelica, scriveva spesso –
e dichiaratamente - sotto l'effetto di droghe, come peraltro racconta
nel suo più famoso romanzo “Paura e delirio a Las Vegas” del
1970.
“Paura e delirio a Las
Vegas” è certamente il romanzo che più lo ha caratterizzato e
reso famoso nel mondo, in cui racconta la vera storia dei suoi due
pazzi e assurdi viaggi in automobile, a Las Vegas, in compagia del
suo avvocato e attivista per i diritti civili degli indigeni, Oscar
Zeta Acosta, nella primavera del 1971.
Viaggi e romanzo
“lisergici” di denuncia del cosiddetto “sogno americano”,
fondato più sulle bombe e sul razzismo, che sull'esagerata voglia di
libertà e democrazia autentiche, promosse da Thompson e dallo stesso
Acosta.
Tale romanzo è stato
portato anche sul grande schermo, nel 1998, nell'omonimo film diretto
da Terry Gillian e interpretato da Johnny Depp (grande e inseparabile
amico dello stesso Thompson, che nel film lo interpreta) e da Benicio
Del Toro, nei panni del suo avvocato.
Nel film, supervisionato
dallo stesso Hunter S. Thompson, il giornalista-scrittore compare in
un cameo e, dietro le quinte, si è occupato anche di rasare a zero,
personalmente, l'amico Johnny Depp, per renderlo più somigliante a
lui (la simpatica foto del taglio di capelli è reperibile ancora
oggi sul web).
Johnny Depp, peraltro, ha
voluto nuovamente rendere omaggio al suo amico nel 2011,
interpetandolo nel film tratto dal romanzo autobiografico “Cronache
del rum”.
Il film, uscito nelle
sale con il titolo “The Rum Diary – Cronache di una passione”,
narra le vicende avventurose e finanche romantiche di un giornalista
freelance squattrinato e alcolizzato, che si trasferisce a Porto Rico
per iniziare a scrivere per un giornale locale, prossimo al
fallimento.
Hunter S. Thompson iniziò
la sua carriera, infatti, da freelance come redattore sportivo, ma
nel corso della sua vita scrisse spesso di politica e si interessò
spesso alla politica, al punto di candidarsi alla carica di Sceriffo
della contea di Pitkin, in Colorado, nel 1970, sostenuto e aiutato
dal già citato avvocato Acosta e candidandosi con il coloratissimo
partito del “Freak Power”, formato perlopiù da giovani hippie e
il cui simbolo era un pugno chiuso che tiene in mano un peyote. A
tale simbolo, in seguito, fu aggiunta una penna con al centro la
scritta GONZO e fu usato da Thompson quale simbolo del giornalismo
gonzo, appunto.
Tale candidatura alle
elezioni, passata alla Storia (al punto che nel 2021 ne è stato
tratto un film) come “The Battle of Aspen”, grazie anche a un
articolo dello stesso Thompson, pubblicato da “Rolling Stone” il
1 ottobre 1970, merita di essere narrata, per comprendere meglio il
ruolo e peso politico e controculturale di Thompson nella storia
degli USA.
L'articolo di Thompson,
in realtà, riguarda l'elezione del Sindaco di Aspen (Colorado) del
1969 e di come il Nostro abbia sostenuto e condotto la campagna
elettorale della candidatura dell'avvocato hippie Joe Edwards, oltre
che la scelta di candidare sé stesso – nel 1970 - alla carica di
Sceriffo della contea di Pitkin (il cui capoluogo è, appunto,
Aspen), candidandosi contro i ben più forti candidati del Partito
Democratico e del Partito Repubblicano, che finirono pressoché per
coalizzarsi.
La piattaforma del “Freak
Power” di Thompson era scanzonata e ironica, ma fondata su
tematiche serie e dichiaratamente socialiste libertarie, quali la
smilitarizzazione della polizia; l'antiproibizionismo sulle droghe;
la depenalizzazione dei reati connessi all'uso di droghe; la lotta
alle disparità razziali, alle disparità economiche; la
difesa dei diritti dei consumatori e quella dell''ambiente, lottando
contro lo sviluppo capitalista e il conseguente inquinamento
ambientale.
L'idea di Thompson –
sin dalla campagna a Sindaco in favore di Edwards - era peraltro
legata alla democrazia diretta e alla creazione di confederazioni di
gruppi di quartiere ed egli riteneva che “Il potere (dello
Sceriffo) portebbe essere usato con buoni risultati per
aiutare a migliorare la qualità della vita, per aiutare a rallentare
lo sviluppo, combattere l'inquinamento e le frodi nei confronti dei
consumatori”.
Durante la campagna
elettorale, peraltro, per provocazione nei confronti dei coservatori,
Thompson si fece rasare la testa a zero e dichiarò che, se fosse
stato eletto, durante tutto il suo mandato, non avrebbe fatto uso di
mescalina.
Evidentemente Thompson
faceva paura all'establishment, al punto che ricevette numerose
minacce e repubblicani e democratici, pur contrapposti, evitarono di
attaccarsi fra loro, preferendo attaccare Thompson, il quale,
comunque, perse le elezioni per soli 31 voti, conquistati dal suo
sfidante del Partito Democratico.
Sulla cosiddetta
“Battaglia di Aspen”, in Gran Bretagna uscì, in contemporanea,
un documentario dal titolo “Show Donw ad Aspen” e recentemente,
negli USA, sono usciti un film documentario dal titolo “Freak
Powes: The Ballot or the Bomb”, nel 2020 e, nel 2021, è uscito il
film “Freak Powes: The Battle of Aspen”, diretto da Bobby Kennedy
III.
Hunter S. Thompson e il
“Freak Power” ricordano, per molti versi, lo scrittore e leader
politico controculturale Eduard Limonov e il suo Partito
NazionalBolscevico (PNB) degli Anni '90 (e il successivo “L'Altra
Russia”, dopo la messa al bando del PNB).
E non è certamente un
caso – infatti - se, fra le letture e le figure di ispirazione di
Limonov e del suo partito ci fossero, assieme a David Bowie, Aleister
Crowley e William S. Burroughs, anche Hunter S. Thompson e il
giornalismo gonzo.
Controculture letterarie,
giornalistiche, artistiche e politiche molto simili se non contigue,
sorte in Paesi che di quelle controculture - a causa dell'eccessivo
autoritarismo e bigottismo dei rispettivi governi - hanno avuto
assoluto bisogno, come dicevo all'inizio di questo articolo.
Sia Thompson che Limonov,
entrambi artisti e intellettuali, peraltro, nella loro lotta
all'establishment, non intendevano affatto sovvertire l'ordine
costituito, bensì – in primis - riaffermare i diritti
costituzionali dei rispettivi Paesi, violati troppo spesso da
politici corrotti, bigotti e bramosi di potere (Nixon, Bush, Clinton
negli USA, ad esempio, per citarne solo alcuni e Gorbaciov, Eltsin e Putin in Russia). E lo
hanno fatto anche attraverso le loro opere letterarie –
inevitabilmente autobiografiche e scritte con uno stile narrativo
sarcastico e diretto - e le loro incursioni nel mondo politico e
televisivo.
Sia Thompson che Limonov
detestavano e combattevano un governo oppressivo e autoritario e il
capitalismo sfruttatore, in quanto entrambi questi aspetti erano un
affronto alle libertà individuali e sociali, che difesero sempre a
spada tratta, così come posero sempre al centro – nelle loro
battaglie - la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
Hunter S. Thompson mi
ricorda, peraltro, anche lo scrittore milanese Andrea G. Pinketts,
che fu un mio caro amico.
Con Thompson, che amava
come autore, aveva in comune diverse cose: il modo colorato di
vestire; lo scrivere sotto effetto di sostanze inebrianti (Pinketts
amava profondamente l'alcol e fumare il sigaro); l'amore per le donne e
le armi da fuoco (pur essendo entrambi degli antimilitaristi) e lo
stile di scrittura, pieno zeppo di giochi di parole e di ironia.
Sia Thompson che
Pinketts, purtroppo, sono morti prematuramente, anche se per cause
diverse.
Hunter S. Thompson ci ha
lasciati, infatti, il 20 febbraio 2005, a 68 anni, a seguito di una
ferita di arma da fuoco autoinflitta. Ufficialmente si trattò di
suicidio.
C'è chi dice che, negli
ultimi anni, fosse molto depresso. C'è chi dice che, al suicidio,
aveva sempre pensato per evitare di sentirsi “in trappola”.
C'è invece chi, come lo
scrittore Paul William Roberts, sostiene che sia stato ucciso in
quanto in quel periodo stava lavorando a una storia sugli attacchi al
World Trade Canter e si fosse imbattuto sulla prova che le torri
fossero state fatte crollare da cariche esplosive poste alle
fondamenta e che - egli stesso - gli avrebbe confessato di temere
per la propria vita.
Hunter S. Thompson, per
tutta la sua vita, si è sempre occupato di sbeffeggiare e
smascherare il Potere, ovunque si annidasse. Facendolo con ironia e
autoironia e con quel profondo spirito libertario e hippie che manca
da tempo e che oggi incarnano unicamente rare personalità di quella
grande e eterna generazione (nata a cavallo fra gli Anni '30 e '40),
quali Roger Waters.
Uno come Hunter S.
Thompson, che divenne così celebre che, negli Anni '70, il
fumettista Garry Trudeau si ispirò a lui per creare il personaggio
dello Zio Duke nelle sue striscie a fumetti, manca certamente in
questa nostra triste, guerrafondaia, conservatrice, ultracapitalista
epoca di politicanti pazzi, insensati e scriteriati, sicuramente non
diversi da quelli che Hunter S. Thompson smascherò (un nome fra
tutti quello di Richard Nixon), ma, forse, finanche peggiori.
Luca Bagatin
www.amoreeliberta.blogspot.it