domenica 29 dicembre 2019

Venezuela. Il governo socialista presieduto da Maduro consegna 3 milioni di abitazioni popolari. Articolo di Luca Bagatin

Resistendo alle sanzioni USA e dei loro alleati (Unione Europea compresa), il governo socialista venezuelano, presieduto da Nicolas Maduro, va avanti. Raggiungendo un nuovo traguardo che si era prefissato già un anno fa, ovvero la consegna di 3 milioni di abitazioni popolari.
Il 15 novembre 2018 il governo bolivariano aveva infatti consegnato 2 milioni e 300 mila alloggi, con la promessa che sarebbe giunto alla consegna di 3 milioni di alloggi entro la fine del 2019.
Il Presidente ha così dichiarato, il 26 dicembre scorso: “Nonostante il blocco economico, commerciale e finanziario imperialista, che ci ha derubato di così tante risorse nel 2019, l’industria delle costruzioni non si è fermata”, sottolineando peraltro come in Paesi non socialisti come la Colomba, l'Ecuador e il Cile, un risultato di questo tipo non è stato ottenuto né attuato.
Una grande vittoria per il governo socialista e per la Grande Missione per l'Edilizia Abitativa Venezuelana (GMVV), ovvero il progetto governativo atto a fornire alloggi popolari ai residenti che non possono permettersi di acquistare una casa.
La cerimonia di consegna della 3milionesima abitazione è avvenuta nello Stato di La Guaira, alla presenza del Presidente Maduro, accompagnato dalla moglie Cilia Flores e dal Ministro del Potere Popolare per l'Alloggio e l'Habitat, Ildemaro Villaroel.
Nel corso della cerimonia – nel complesso residenziale di Los Corales II, nel quartiere di Caraballeda - è stata scoperta una targa commemorativa della Grande Missione Per l'Edilizia Abitativa Venezuelana e il Presidente ha annunciato che il prossimo obiettivo sarà la consegna di 5 milioni di alloggi popolari entro il 2025.
“Oggi si realizza un sogno, alcuni nell'opposizione dicevano che era impossibile, che erano solo dei modellini finti, invece è una realtà. Stiamo andando sempre più avanti, verso i 5 milioni di consegne e ancora più case per le persone”, ha dichiarato Maduro. “Consegneremo la terra alla gente in modo che possa essere coinvolta nella costruzione di case”, ha spiegato il Presidente, il quale ha altersì affermato che il 70% delle abitazioni sarà costruito attraverso un modello di costruzione fondato sulla comunità e che il sistema bancario elargirà maggiori prestiti per l'acquisto ai abitazioni, la loro costruzione e il loro miglioramento.
L'economista e ex Ministro del Commercio Estero, Jesus Faria, ha dichiarato – in una intervista all'agenzia Xinhua - che il settore edilizio è oggi trainante nell'ambito dell'economia venezuelana e ritiene che il 2020 sarà un anno migliore sotto il profilo economico. Ciò sia perché gli attori economici privati hanno iniziato a utilizzare risorse in valuta estera per svolgere le loro attività commerciali e produttive; sia perché l'attività petrolifera si è stabilizzata; sia perché i movimenti sociali e operai stanno favorendo un periodo di pace sociale. In questo modo, di fatto, il Venezuela sta riuscendo ad aggirare il blocco economoco imposto dagli USA e dai loro alleati e, quindi, a favorire il benessere della popolazione venezuelana.

Luca Bagatin

domenica 22 dicembre 2019

Il Natale nell'occidente liberal-capitalista, ovvero la perdita del Sacro. Articolo di Luca Bagatin

Il Natale, da anni, sembra che sia la festa dei luoghi-non-luogni meno spirituali del mondo: i negozi e i centri commerciali !
Anche il Natale ridotto, dunque e da tempo, a feticcio economico. Così come da tempo è avvenuto per l'amore, la sessualità, l'amicizia e così via. Tutto ridotto a mercificazione, feticcio, virtualità commerciale ed edonistica.
Anche una forma rituale antica, oggi, diviene un simulacro di un sistema totalizzante nel pieno della crisi dei valori, conseguenza proprio di una società del piacere effimero, che ha perduto ogni senso di comunità, di ritualità, di identità e, quindi, di sacralità.
Il Natale è una forma rituale antica il cui significato originario andò perduto già per molti versi con l'avvento del cristianesimo, il quale utilizzò la festività pagana del Sol Invictus ovvero del Dies Natalis Solis Invicti (Giorno Natale del Sole Invincibile), la festività di Yule secondo il calendario celtico e dei Saturnalia secondo quello romano, per decretare - attraverso l'Imperatore Costantino - la nascita di Gesù detto Il Cristo.
Simbolicamente, ad ogni modo, anche la nascita (simbolica ma non storica) del Cristo può indicare la Luce, il Sole che illumina d'amore le coscienze terrene e le invita al dono ed è in questo senso che il Natale può essere celebrato e vissuto. Non certo come la festa del commercio, del consumo, dello spreco, tanto in voga nell'occidente liberal (anti)democratico e capitalista !
Il Natale, dunque da tempo, nell'occidente capitalista, liberale e globalizzato, non si celebra. Si subisce attraverso la pubblicità commerciale in ogni dove. L'invito all'acquisto. L'invito alla promozione commerciale. L'invito all'ennesimo sballo consumista che culmuna nel cenone e nel pranzone successivo con profusione di alimenti per tutte le pance e gli stomaci. Tanto poi ci si metterà a dieta, no ? E per finire proseguirà con la fine dell'anno, con tanto di botti che non lasciano null'altro se non qualche arto amputato.
C'è poco di che festeggiare se non la follia dell'uomo moderno nichilista, egocentrico, narcisista, liberal-capitalista, irreligioso e anti-comunitario, che ha sostituito al dono delle antiche civiltà il "libero" commercio delle odierne società cosmopolite urbanizzate.
Quelle del degrado delle periferie e dei baccanali del centro, che dureranno sino a che non ci si ricorderà della crisi economica, la quale certo non si risolverà con un aumento dei consumi indotti, ma con una inversione di tendenza radicale: con la decrescita dei consumi e dei bisogni indotti; con una uscita sistematica dall'attuale sistema capitalista totalizzante e con un ritorno all'antica spiritualità, alla civiltà dell'innocenza e dell'infanzia. Una civiltà che ci faccia tutti tornare un po' bambini, alla ricerca di noi stessi e di quell'armonia che abbiamo perduto divenendo, purtroppo, delle pedine adulte senza coscienza e nelle mani di un sistema economico egoista, cinico, totalitario.

Luca Bagatin

Buon Solstizio ! Buone festività di Yule ! Buon Natale del Sole Invincibile !

...Il solstizio, in celtico Yule, rappresenta un passaggio fondamentale per tutte le persone impegnate sul sentiero spirituale, da comprendere ed interiorizzare. È il momento in cui la luce vince 
l'oscurità, il momento in cui la Dea partorisce il Bambino Sacro, il momento in cui la vibrazione della speranza si diffonde come un'onda sulla Terra...  

venerdì 20 dicembre 2019

Andrea G. Pinketts: scrittore immortale. Articolo di Luca Bagatin del 21 dicembre 2018

Andrea era una leggenda.
Era la leggenda di sé stesso.
Era Lazzaro Santandera, il suo alter ego letterario, in grado di sgominare bande di criminali incalliti e persino di resuscitare.
Andrea G. Pinketts - al secolo Andrea Giovanni Pinchetti - con le sue cravatte fantasia, le sue giacche e cappelli colorati - era immortale e tale rimarrà.
Ex pugile, ex fotomodello, ex istruttore di arti marziali, giornalista investigativo e soprattutto scrittore di gialli e di racconti noir.
Grande viveur, bevitore di birre enormi (nello storico locale milanese "Le Trottoir" gli fu dedicata - oltre che una sala - la birra formato gigante battezzata, per l'appunto, "birra Pinketts") e fumatore di sigari. Andrea Pinketts era scrittore funambolico e poliedrico.
Negli Anni '80 recitò un piccolo ruolo nel film di Carlo Vanzina "Via Montenapoleone". Diventeranno celebri le sue inchieste giornalistiche per "Esquire" e "Panorama", che lo porteranno, negli Anni '90, ad incastrare alcuni camorristi nella città di Cattolica; all'incriminazione della setta dei "Bambini di Satana" e a suggerire agli inquirenti il profilo del "mostro di Foligno" Luigi Chiatti.
Furono queste esperienze che gli permisero di scrivere i suoi numerosi romanzi e racconti gialli e noir: da "Lazzaro vieni fuori" a "La capanna dello zio Rom", passando per "Il vizio dell'agnello", "Il conto dell'ultima cena", "Il senso della frase" e moltissimi altri (almeno una ventina).
Il protagonista era sempre lui, ovvero il suo alter ego: Lazzaro Santandrea. Un perdigiorno che vive con la madre ed il cagnolone Benvenuto e si mantiene con l'eredità della ricca zia Olghina. Frequentatore seriale di bar, amici e belle donne, Lazzaro si ritrova inevitabilmente sempre coinvolto in casi di cronaca nera che...armato del suo sigaro (rigorosamente Antico Toscano) e del suo "senso della frase", condito di giochi di parole funambolici e della sua abilità nel provocare e vincere risse, riuscirà immancabilmente a risolvere. Incastrando il criminale o i criminali di turno, riuscendo a, come dice stesso Lazzaro, "fare giardino", ovvero risollevare le sorti di una situazione disastrosa riscrivendo e "sovvertendo" ogni regola.
I romanzi di Andrea erano e rimangono dei pezzi unici di letteratura per diverse ragioni: sono tratti da casi di cronaca nera che lui ha vissuto in prima persona; i personaggi sono tutto tranne che immaginari, ma rappresentano - spesso con tanto di nome e cognome reali - i suoi amici e conoscenti (uno dei quali ho avuto modo di conoscerlo personalmente); sono uno scoppiettante susseguirsi di assonanze e giochi di parole e letterari, battute comiche ad effetto, pur calate in un contesto da romanzo giallo, noir, ricco di colpi di scena.
Andrea Pinketts li ha scritti regolarmente tutti nel locale che ha sempre frequentato ogni sera e notte - "in mezzo al casino", che gli permetteva di concentrarsi, come diceva lui - ovvero Le Trottoir, in pieno centro a Milano. E sono stati tutti scritti con la sua fedele penna Mont Blanc, in quanto non amava le tecnologie e, quando lo conobbi, sapeva a malapena maneggiare un telefono cellulare di vecchissima generazione.
Luca Bagatin e Andrea G. Pinketts, aprile 2004
Andrea era un caro amico, che ho avuto l'onore e il privilegio di conoscere nella primavera del 2004, proprio al Trottoir. Lì ci siamo dati appuntamento, dopo che avevo divorato gran parte della sua produzione letteraria e ne ero rimasto affascinato. Da allora ci siamo visti spesso, in quegli anni, abbiamo bevuto e fumato sigari a lungo sia al Trottoir che allo Smooth di Via Buonarroti, vicino a dove abitava con la madre Mirella, la quale, ricordo, gli preparava le valige ogni qual volta era invitato a tenere presentazioni dei suoi libri, oppure doveva presiedere qualche concorso in qualità di giurato.
Come Jack Kerouac, anche Andrea, oltre ad essere uno sregolato in tutto, era legatissimo a sua madre. E come Jack Kerouac, anche Andrea era amico di Fernanda Pivano, la quale lo definì, nelle prefazioni ai suoi libri "un duro dal cuore di meringa".
Andrea Pinketts era "un duro", sin da ragazzino. Sin da quando fu espulso dal liceo per aver "menato" il preside. Ragazzo irrequieto, insofferente alle costrizioni, evase dalla caserma dei granatieri di Orvieto e si finse psicopatico. Bevitore e fumatore incallito sin da ragazzo, non smise mai quel suo vizio che, come da lui stesso ammesso, finirà per portarlo nella tomba, novello Kerouac, novello "scrittore maledetto" che, sino all'ultimo ha lottato, non già contro i suoi vizi, che per lui erano piaceri e virtù, ma contro la tristezza della sofferenza, contro la tristezza della malattia. Quella tristezza che ti fa essere e sentire debole, mentre Andrea Pinketts, documentando la sua degenza all'ospedale Niguarda di Milano con numerosi video su Youtube, ci appare come sempre pieno di spirito e di giochi di parole funambolici.
Quei giochi di parole usati anche nelle sue apparizioni televisive in qualità di showman o di opinionista, ove, presentandosi sempre completamente ubriaco (esattamente come Kerouac nelle sue celebri interviste), e pieno di spirito (non solo alcolico), ribaltava ogni canone mediatico, lasciando di stucco la presentatrice o il presentatore di turno che, rimasto senza parole, non poteva che arrendersi al genio e alla sregolatezza di questo artista dei nostri tempi.
Pinketts era, come il suo personaggio letterario Lazzaro, un antieroe. Un "cattivo ragazzo", ma sempre dalla parte dei più deboli e sempre dalla parte dei "buoni" contro i "cattivi", fossero costoro corrotti, stupratori, stalker, balordi che si divertivano a dar fuoco ai barboni. Andrea Pinketts interveniva sempre, in prima persona, con il suo metro e novanta di stazza e le sue capacità di "persuasione".
I romanzi di Andrea Pinketts, a onor del vero, erano più letti all'estero che in Italia. Non era un profeta in Patria, in sostanza. Amatissimo in Francia e lì pluri-premiato, fu apprezzato molto dal regista e sceneggiatore Claude Chabrol che, in ogni suo film, omaggerà Pinketts con un cameo dei suoi romanzi e che avrebbe voluto realizzare un film tratto dal romanzo (a parer mio il più bello) "Il conto dell'ultima cena".
Con Andrea Pinketts, che se ne va a soli 57 anni, non se ne va Lazzaro Santandrea, in quanto, l'ultimo romanzo che lo vede protagonista - "La capanna dello zio Rom" - lascia un finale aperto.
Forse nemmeno Andrea Pinketts se ne va del tutto. Almeno non se ne andrà dal mio cuore, ove lo tengo fra i miei "eroi-antieroi" preferiti, viventi e non, conosciuti da me personalmente o meno (assieme a Jack Kerouac, William Burroughs, Moana Pozzi, Mario Appignani, Peter Boom, Eduard Limonov).
La madre Mirella così lo ricorda, nel suo necrologio ed è con queste toccanti parole - le parole della persona che più lo ha amato al mondo - che vorrei concludere questo mio articolo in sua memoria:
"Con passo marziale sta valicando i confini degli spazi celesti e dei cieli infiniti Andrea G. Pinketts, scrittore-giornalista. Ha accanto l’amore di chi lo ha preceduto che lo accoglie con gioia accorata, così presto! Lazzaro Santandrea, la sua creatura, è ansioso di future, mirabolanti avventure da vivere insieme. Mirella Marabese Pinketts è fiera del tuo talento e della tua genialità. Prosegue il cammino terreno come tu vuoi. Non ti dirò mai addio. Mamma".
Luca Bagatin

giovedì 19 dicembre 2019

Il governo golpista boliviano vuole arrestare Evo Morales. Lui, in esilio, invita il popolo boliviano alla resistenza e il suo Movimento per il Socialismo si prepara a nuove elezioni anti-golpe. Articolo di Luca Bagatin

Il recente colpo di Stato in Bolivia, che ha portato al governo l'autoproclamata Jeanine Anez, ex senatrice appartenente a un partito minore dell'opposizione liberale; che ha causato numerosi scontri di piazza, con oltre 30 morti, centinaia di feriti e oltre mille arresti; oltre alla cacciata del Presidente legittimo Evo Morales, il quale ha ottenuto asilo politico prima in Messico e successivamente in Argentina, non ha fermato il Movimento per il Socialismo (MAS), che ha portato alla vittoria elettorale lo stesso Evo Morales negli ultimi quindici anni.
Nell'ultimo Congresso, tenutosi presso il Colosseo La Coronilla, a Cochabamba, gli esponenti del MAS hanno dichiarato di essere pronti a una nuova tornata elettorale – che si terrà nella primavera del 2020 - e di assicurare, così, nuovamente la vittoria del socialismo in Bolivia.
E' stato altresì deciso che il leader della campagna sarà Evo Morales e che, molto probabilmente, il candidato alla Presidenza sarà il giovane Andrónico Rodríguez Ledezma, classe 1989, dirigente cocalero.
Evo Morales, nel suo esilio, oltre a ribadire l'importanza di proseguire il processo di liberazione del Paese, anche dalla nuova dittatura liberale, attraverso il modello socialista, ha ringraziato per il sostegno e la fiducia, affermando: “Vi ringrazio per la fiducia che riponete in me, nominandomi quale leader della campagna. Uniti vinceremo nuovamente le elezioni al primo turno. Grazie per non esservi arresi, sarò sempre con voi e insieme continueremo a fare la Storia che abbiamo fatto sino ad ora e vinceremo !”.
All'apertura del Congresso, il presidente del MAS, Rimer Agreda ha dichiarato: “Sanzioneremo ogni membro che ha tradito il partito” e ha dichiarato che non saranno accettati candidati che non faranno parte dei movimenti sociali boliviani.
In questi giorni il governo golpista boliviano ha non solo dichiarato che intende privatizzare le aziende di Stato, fiore all'occhiello dell'amministrazione di Morales, ma ha finanche spiccato, contro di lui, un mandato di arresto con l'accusa di “sedizione e terrorismo”.
"Con questo tipo di decisioni arbitrarie, l'oligarchia del colpo di stato boliviano dimostra la paura che il presidente Evo Morales ha per lui", ha dichiarato il Ministro degli Esteri venezuelano Jorge Arreaza sul suo account Twitter.
E' chiaro il tentativo, da parte del governo golpista, di impedire a Morales di avviare una nuova campagna elettorale che vedrebbe, ancora una volta, vincitore il Movimento per il Socialismo.
Evo Morales, dall'Argentina peronista che lo sostiene e sostenuto apertamente anche dai governi socialisti di Messico, Cuba, Nicaragua e Venezuela, intanto, chiama il popolo boliviano alla resistenza al colpo di stato liberal fascista. Colpo di stato vergognosamente sostenuto dagli USA e dai suoi alleati.

Luca Bagatin

mercoledì 18 dicembre 2019

"Il Boia", ovvero cinquanta sfumature di Limonov. Articolo di Luca Bagatin

Primi Anni '80. Oscar Chudzinski, trentaseienne polacco, ex studente di filosofia presso l'Università di Varsavia. Cameriere che vive a New York da sei anni
Un “fallito”, come ama definirsi lui. Un “fallito” che vorrebbe scrivere un saggio filosofico sociale, ma – a parte qualche abbozzo - rinuncia di continuo, perché non ne ha voglia.
Oscar – nonostante la sua impotenza - scopa con Nataša, una donna russa che ama alla follia. Una ninfomane che ama essere sottomessa sessualmente, in particolare da Oscar. Una donna che ama fare sesso con chiunuque, ma che ha un'intesa particolare solo con Oscar.
Un giorno, Mark Hutt, sadico professionista di un gay club, viene ucciso a colpi di revolver da un tassista – forse un suo cliente - con il quale aveva avuto un alterco, all'interno di un McDonald's, davanti agli occhi di Oscar che, il giorno dopo, legge la notizia sul giornale. Quel termine, “sadico professionista”, cattura l'attenzione del Nostro che, da quel giorno, decide di diventare “Il Boia”.
Questo il protagonista de “Il Boia”, appunto, romanzo di Eduard Limonov, scritto nel 1982 e pubblicato in Francia e in Russia nel 1986 e appena rieditato da Sandro Teti Editore, per la prima volta, in Italia.
“Il Boia” è un romanzo erotico, ai limiti della pornografia. Un romanzo di satira sociale, di denuncia sociale dai contorni noir. Ed è un romanzo che rievoca, per molti versi, aspetti autobiografici dell'Autore.
Oscar è l'emblema dell'uomo povero ma colto, che proviene dall'est europeo (così come Limonov che, dalla Russia degli Anni '70, emigrò negli USA) e che approda nei ricchi Stati Uniti d'America.
Qui Oscar fa il cameriere e vive in un quartiere fatiscente e malfamato, ma grazie alla conoscenza di una donna del jet set yankee, Juliet Mendelssohn, produttrice che Oscar conobbe a Varsavia negli Anni '70, riesce a farsi invitare nei party più esclusivi del mondo della moda e dello spettacolo newyorkese (anche qui possiamo notare similitudini con la vita dell'Autore che, da maggiordomo di un miliardario e persino da ex senzatetto, divenne protagonista del panorama letterario e del jet set newyorkese e, successivamente, europeo, prima di votarsi alla causa politica nel Partito NazionalBolscevico, da lui fondato in Russia, negli Anni '90).
E' in questo mondo che, con il suo fascino enigmatico, Oscar, riesce ad entrare nelle grazie di ricche signore di mezz'età che, per una notte di sesso estremo a sfondo sadomaso, inizieranno a pagarlo profumatamente. E' così che inizia la carriera del “Boia” Oscar. Un uomo che ama dare piacere con il dolore e la sottomissione e trarne così una posizione sociale.
Fra le sue “clienti” Genevieve, ex moglie di un editore; la sua amica Susan Woodyard, donna d'affari; la modella Katie Stuart; l'ereditiera Gabrielle Kroniadis e numerose altre in un crescendo orgiastico che lascerà incantato il lettore.
L'Autore descrive gli avvenimenti e le scene di sesso senza giudicare, senza alcun moralismo e allo stesso tempo senza alcun pudore. Come un cineasta di film erotici, senza morbosità, ma con la giusta crudezza.
Limonov e l'ex moglie Elena Schapova, Mosca 1974
Ne “Il Boia” c'è spazio anche per la filosofia. Per la visione filosofica di Oscar, che considera i newyorkesi dei masochisti, che camminano lungo marciapiedi sporchi, scivolosi e città d'asfalto, di ferro, di ruggine e di mattoni. Persone che – secondo il protagonista – provavano piacere nell'infelicità e nei sentimenti spiacevoli. Che adoravano la loro inquietante e folle città sino a difenderla nei loro giornali e nei loro adesivi con la scritta I love New York.
Pur nel suo cinismo, Oscar, è comunque un sentimentale. Un uomo che ama profondamente la russa Nataša, la quale purtuttavia ama deriderlo e andare con altri uomini, persino suoi amici, vantandosene con lui e facendolo, a sua volta, soffrire.
Nataša la bestia, Nataša la puttana, come lui la definisce, è, purtuttavia, la donna che più di ogni altra tiene in considerazione. Ed è in particolare a lei che Oscar vuole mostrare i suoi “successi”, ovvero la capacità di essere diventato un uomo di mondo, che si è arricchito ed è diventato una persona celebre nel jet set – apparendo persino sulla copertina di “Real Man” come Il Boia. L'uomo del futuro. L'Uomo del XXI secolo - per essersi scelto la professione di “Boia”, di sadico professionista. Per essere bravo a scopare e sottomettere le donne ricche, dettando lui stesso le regole, senza rinunciare alla sua libertà e al suo anticonformismo.
Anche Nataša, in realtà, lo ama. Solo che lei ritiene che la quotidianità uccida l'amore. Che non bisogna mai abituarsi a chi si ama.
Il giorno del suo trentasettesimo compleanno, ad ogni modo, ad un party esclusivo, organizzato nel suo loft, al quale parteciperanno sia persone del jet set, sia suoi vecchi amici “proletari”, Oscar sarà purtuttavia attaccato da un suo vecchio amico polacco, che egli stesso aveva invitato: Jacek Gutor.
Eduard Limonov, Parigi 1993
Jacek, una guardia giurata appassionata di filosofia orientale, gli fa notare come l'Oscar di oggi sia completamente diverso rispetto a quello di ieri. Ovvero quello che avrebbe fatto i ricchi arrosto e non sarebbe diventato uno di loro, partecipando peraltro alle loro orge, che Jacek giudica volgari e materialiste.
L'ultima amante di Oscar, Gabrielle Kroniadis, rimane affascinata dall'aria “mistica” di Jacek Gutor, al punto che, con Oscar e la figlia di lei, Estella, decide di andare a cena casa sua, nell'unica stanza nella quale vive - nei bassifondi newyorkesi - e, la ricca ereditiera, gli offrirà persino un lavoro come insegnante di lingua russa della figlia Estella.
In realtà molte sono le donne che rimangono affascinate da Jacek, che è diverso da Oscar. E' folle, non ha mai avuto una donna in vita sua, ma la sua aria mistica e innocente incanta. Persino Nataša, che lo ha conosciuto alla festa di compleanno di Oscar, ne è rimasta affascinata, perché diverso da tutti gli uomini che ha sempre conosciuto e che la vogliono solo scopare. E sottolinea ad Oscar, il quale insiste nel dipingere Jacek come un pazzo (e in effetti fu ricoverato in un istituto psichiatrico), che “Potrà anche essere pazzo il tuo Jacek... Probabilmente, anzi, che non sia del tutto sano di mente, ma solo pazzo oggi, nella nostra epoca, può predicare non quella malizia che tutti portiamo dentro di noi, ma l'amore... L'amore, Oscar...”.
Jacek è il pazzo innocente, che sembra giungere da un'altro pianeta o da un'altra epoca rispetto a quella consumista e materialista degli yankee di New York. Il pazzo e povero che non si è fatto intaccare dal capitalismo a stelle e strisce. Egli stesso, a Gabrielle, durante la cena con Oscar e Estelle, a casa sua, afferma che “L'America è pericolosa, come il comunismo. L'americanismo corrompe le persone: gli americani hanno dimenticato che l'uomo ha anche un'anima, e non solo la pancia... In questo Paese, le persone vivono come topi grassi...”.
Oscar, invece, non lo sopporta, in quanto gli ricorda il suo recente passato da fallito e da povero in canna.
Jacek, assunto da Gabrielle come insegnante di russo della figlia, come se non bastasse, non smette di dissuadere Oscar dal lasciarla, affermando che egli – in qualità di Boia – esercita un'influenza negativa sulla figlia e sul suo rapporto con la madre.
Russia, fine Anni '90. Eduard Limonov manifesta con i suoi nazbol
In questo senso, riceverà persino una telefonata misteriosa (da perte di Jacek ? Molto strano, pensa Oscar, la voce ha un accento yankee e non polacco...), che lo invita a lasciare Gabrielle e persino la città.
Oscar, resosi conto che non potrà a lungo continuare a fare il Boia di Gabrielle, che non ha per lui più alcuna attrattiva, decide ad un certo punto di sposare la ricca Diane, una sua nuova conoscenza, ma... Quello che lui chiama il suo “doppio”, ovvero la voce che lo infastidisce al telefono, minacciandolo, gli impedirà di coronare i suoi sogni e...
Il finale, a sfondo giallo, è il coronamento di un romanzo crudo e erotico, profondo e ironico. Tragico, noir e al contempo satirico.
Eduard Limonov, nato a Dzeržinsk in Unione Sovietica, nel 1943, oltre ad aver scritto oltre sessanta romanzi, molti dei quali tradotti e pubblicati in tutto il mondo, è, ancora oggi, protagonista della scena politica russa.
Alla guida del partito nazionalbolscevico “Altra Russia”, il cui simbolo è una bandiera rossa e bianca con al centro una granata (una limonka, in russo), è infatti uno dei principali oppositori del governo liberal capitalista di Putin e molti dei suoi attivisti sono ancora oggi perseguitati e arrestati e molti di loro lottano e hanno lottato in Donbass, dalla parte delle Repubbliche Popolari, contro il governo autoritario ucraino.
Eduard Limonov oggi
Critico da sempre nei confronti del liberal capitalismo, fu combattente durante le guerre dell’ex Jugoslavia e in Transnistria; oltre ad essere fondatore del Partito NazionalBolscevico (con una bandiera rossa e bianca, con al centro una falce e martello nera), assieme al filosofo Aleksandr Dugin e al chitarrista punk Egor Letov. Partito che - prima di essere messo fuorilegge nel 2007 per la sua forte opposizione al governo Putin - ha avuto una forte influenza sui giovani delle periferie post-sovietiche degli Anni '90 e su molti artisti, fra i quali il jazzista Sergey Kuryokhin e che editava il giornale underground “Limonka”, che da poco ha festeggiato i suoi 25 anni dalla fondazione.
Lo stile realista, trasgressivo e anticonformista di Limonov è da sempre presente nei suoi romanzi, spesso tratti da esperienze dirette da lui vissute nel corso della sua poliedrica vita.

Luca Bagatin

Le foto sono tratte dal sito dedicato a Eduard Limonov, curato da José Setien www.tout-sur-limonov.fr

lunedì 16 dicembre 2019

Serata in onore di Andrea G. Pinketts. Il mio messaggio in suo ricordo.

Lo scrittore e amico Andrea G. Pinketts ci lasciava un anno fa e gli amici del suo locale preferito, Le Trottoir, gli dedicheranno una serata in suo onore, venerdì 20 dicembre, a partire dalle ore 19.00.
Al Trottoir, Pinketts, praticamente lavorava, ovvero scriveva, fra una birra (Pinketts !) e l'altra. E, anche per questo, una sala gli fu da tempo dedicata.
Il Trottoir di Piazza XXIV Maggio, a Milano, del resto, è il luogo di incontro degli artisti per eccellenza.
Purtroppo non potrò essere presente, ma, ad ogni modo, come ho detto all'organizzatrice della serata, Michelle Vasseur, che mi ha gentilmente invitato, ho comunque voluto trasmettere un messaggio, che desidero qui di seguito riportare.
Per onorare la memoria di Andrea.
Un duro dalla parola e della penna scoppiettante, che ci ha insegnato molto. Anche a vivere.

Luca Bagatin

LAZZARO SANTANDREA E' QUI CON NOI E NON GLI DIREMO MAI ADDIO
di Luca Bagatin

Purtroppo, per varie ragioni, non posso essere presente a questa serata in onore dell'amico Andrea, ma ho voluto comunque che fosse trasmessa questa mia missiva, ringraziando Michelle Vasseur e l'ufficio stampa dell'organizzazione, che mi hanno cortesemente invitato.
Dico e sottolineo “serata in onore” e non in ricordo, perché, ogniqualvolta penso ad Andrea, penso al senso di festa che trasmetteva la sua presenza, fatta di frasi scincillanti, di battute mai scontate. Di giacche, cravatte e cappelli coloratissimi che indossava.
E' stato un onore conoscerlo ed essere suo amico e, quindi, preferisco onorarlo, piuttosto che ricordarlo.
Come scrissi lo scorso anno, nell'articolo in omaggio alla sua memoria, Andrea era un caro amico, che ho avuto l’onore e il privilegio di conoscere nella primavera del 2004, proprio qui al Trottoir.
Qui ci siamo dati appuntamento, dopo che avevo divorato gran parte della sua produzione letteraria e ne ero rimasto affascinato. Da allora ci siamo visti spesso, in quegli anni, abbiamo bevuto e fumato sigari a lungo sia al Trottoir che allo Smooth di Via Buonarroti, vicino a dove abitava con la madre Mirella, la quale, ricordo, gli preparava le valige ogniqualvolta era invitato a tenere presentazioni dei suoi libri, oppure doveva presiedere qualche concorso in qualità di giurato.
Come Jack Kerouac, anche Andrea, oltre ad essere uno sregolato in tutto, era legatissimo a sua madre. E come Jack Kerouac, anche Andrea era amico di Fernanda Pivano, la quale lo definì, nelle prefazioni ai suoi libri “un duro dal cuore di meringa”.
Andrea Pinketts era “un duro”, sin da ragazzino. Sin da quando fu espulso dal liceo per aver “menato” il preside. Ragazzo irrequieto, insofferente alle costrizioni, evase dalla caserma dei granatieri di Orvieto e si finse psicopatico. Bevitore e fumatore incallito sin da ragazzo, non smise mai quel suo vizio, novello Kerouac, novello “scrittore maledetto” che, sino all’ultimo ha lottato, non già contro i suoi vizi, che per lui erano piaceri e virtù, ma contro la tristezza della sofferenza, contro la tristezza della malattia. Quella tristezza che ti fa essere e sentire debole, mentre Andrea Pinketts, documentando la sua degenza all’ospedale Niguarda di Milano con numerosi video su Youtube, ci appare come sempre pieno di spirito e di giochi di parole funambolici.
Quei giochi di parole usati anche nelle sue apparizioni televisive in qualità di showman o di opinionista, ove, presentandosi sempre completamente ubriaco (esattamente come Kerouac nelle sue celebri interviste), e pieno di spirito (non solo alcolico), ribaltava ogni canone mediatico, lasciando di stucco la presentatrice o il presentatore di turno che, rimasto senza parole, non poteva che arrendersi al genio e alla sregolatezza di questo artista dei nostri tempi.
Pinketts era, come il suo personaggio letterario Lazzaro, un antieroe. Un “cattivo ragazzo”, ma sempre dalla parte dei più deboli e sempre dalla parte dei “buoni” contro i “cattivi”, fossero costoro corrotti, stupratori, stalker, balordi che si divertivano a dar fuoco ai barboni. Andrea Pinketts interveniva sempre, in prima persona, con il suo metro e novanta di stazza e le sue capacità di “persuasione”.
Andrea Pinketts, ovvero Lazzaro Santandrea, il suo alter ego nei romanzi, in realtà non se ne è mai andato. L'ultimo romanzo che lo vede protagonista, ovvero “La capanna dello zio Rom”, lascia – forse non per caso - un finale aperto.
Lazzaro Santandrea è qui con noi e non gli diremo mai addio.


Luca Bagatin, blogger, saggista e scrittore

sabato 14 dicembre 2019

"Il vero Socialista è un conservatore". Riflessioni brevi di Luca Bagatin

Il vero Socialista è un conservatore.
Conserva i sentimenti.
Non mette in vendita ogni cosa.
Né il suo culo, né le sue idee.
Per questo è profondamente anti-liberale.

Tendo a essere uno che si fa i cazzi suoi e che si interessa solo di alcune cose, escludendone del tutto altre.
C'è invece chi si fa i cazzi degli altri e si interessa di tutto, per trarne un proprio tornaconto o per farsi notare.
A me non frega nulla nemmeno del mio tornaconto, men che meno del farmi notare (specie se in modo ritenuto, dalla massa, "positivo").
Sono consapevole che tanto io quanto chiunque, nel mondo, valiamo meno di una cicca spenta.
L'universo è molto più ampio del nostro ristretto ego.
Non comprenderlo significa sprecare molto tempo inutilmente.
Fidatevi.

Se si consumasse meno e si scopasse di più, la gente lavorerebbe meno e si divertirebbe di più.

Il socialismo si è sempre battuto per la pace sociale e civile.
A differenza del liberalismo, che ha tratto vantaggio dalle guerre.
L'odio è una roba da beceri liberali.
L'amore è dei socialisti.

In Argentina trionfa il Peronismo, in Francia ci si batte per i diritti sociali. In Italia, invece, si dorme e ci si accoda al personaggio mediatico di turno. Si chiami Signor Berlusconi, Signor Renzi, Signor Salvini o Signor Sardina.

martedì 10 dicembre 2019

"Amore e Libertà": saggio sul socialismo, il populismo autentico, la democrazia diretta, la condivisione delle risorse e il superamento del totalitarismo liberale

Articolo de "Il Gazzettino" di Pordenone del 22 novembre 2019



Articolo de "Il Messaggero Veneto" di Pordenone del 22 novembre 2019

Estratto video della serata di presentazione del saggio,  alla presenza dell'Autore, Luca Bagatin, presso l'atelier "L'Arca delle Arti" di Pordenone 
(Realizzazione del video e dell'evento a cura di Elena Gaglioti).
L'Autore esordisce presentando la figura storica e politica di Anita Garibaldi, la cui immagine centrale è il simbolo del pensatoio ideato da Bagatin e del saggio stesso.


 Alcune foto della serata 


 
L'Autore mostra l'ultimo saggio di Alain De Benoist, "Critica del liberalismo"


Prefazione di A. Tiberio di Dobrynia
Eretico. Nel senso “che sceglie”. Atto di colui che non cede alle opinioni e alle ideologie comuni.
Eretico, perché libero di scegliere: vincolato solo al suo pensiero e a una via che non conosce bivi incerti, perché pur dentro sentieri battuti è capace di aprirsi piste non convenzionali, nuove quanto ovvie, semplici, ma per ciò stesso incomprese ai molti.
Eretico: così si definisce Luca Bagatin nell’incipit di questo suo nuovo saggio. E lo è, senza finzioni o maschere di compiacenza, tanto da farne della sua eresia intellettuale un sistemico progetto.
Tra etica ed estetica sospesa, forma e sostanza possono riorganizzarsi nell’energia più rivoluzionaria che si possa immaginare: Amore. Amore quale atto di volontà (la “scelta”) e da questo la Libertà, che è fenomeno del primo, perché dall’uno scaturisce l’altra e non viceversa.
Da qui sorge l’idea da parte dell’Autore di fondare il movimento Amore e Libertà – eresia per eccellenza! – un pensatoio fuori dai luoghi comuni, da rotte sclerotizzate, che scorre irrefrenabile su nuove carte nautiche dell’anima. Coniugando costellazioni politiche, storiche, massoniche, sentimentali, erotiche, spirituali, laiche, creative, visionarie, in alternative alchimie antisistema che possano approdare a quell’isola felice (che ancora non c’è) della “Internazionale dell’Amore”, contrapposta alle terre morte e devastate della perdente ideologia materialista del “Lavoro”, da superare con formule e algoritmi spaventosamente semplificati, in una sola definizione: con la “Civiltà dell’Amore”.
Se vogliamo risalire alle idee di liberazione della coscienza alla base del pensiero di Luca Bagatin, a ritroso nel tempo occorre andare sulle tracce di quella cultura underground newyorkese degli anni ’50-’60 che nel fenomeno della Beat Generation trovò il massimo esponente nello scrittore Jack Kerouac, le cui opere hanno segnato un tempo mitico, insieme a Ginsberg, Corso, Ferlinghetti, scuotendo le certezze di un mondo in decadimento con versi forti urlati dalla strada, dagli inchiostri acidi, sui ritmi esistenziali di musiche affacciate all’immaginario, e restituendo all’individuo un valore altro d’indipendenza interiore, e sostituendo all’abbattimento psicologico provocato da un marcio sistema politico e finanziario, un’alternativa e sana follia: capace di ribaltare sterili dogmi e riconquistarsi e riconoscere le proprie stelle.
Da qui, l’Autore percorre esperienze sociopolitiche e di libera creatività che attraversano i momenti più importanti della sua vita, da adolescente prima a maturo pensatore oggi. Ed eccolo negli entusiasmi del primo impegno, vicino ai giovani comunisti, ai verdi, ai circoli ambientalisti, ai radicali, ai repubblicani e liberalsocialisti, ai movimenti laici, spiritualisti, e delle pornostar. E poi ad introspezionarsi e vergare pagine d’argute riflessioni sui temi controversi del capitalismo borghese e del materialismo proletario, sugli aspetti migliori di grandi personaggi più vicini al suo intimo sentire, più vicini al cuore del popolo.
Allora, pagina dopo pagina di Amore e Libertà – critico e irriverente pamphlet sociopolitico – l’Autore evoca con magistrali incantesimi emozionali le rarefatte figure della Triade più emblematica delle principali incarnazioni di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza: Casanova, Garibaldi, Cagliostro. A questi s’alza un coro d’armonia suggestiva, intramontabile di pensiero e idee. Da Mazzini a Simon Bolivar, da Peron a Evita, Chavez, Anita Garibaldi, la Blavatsky e così a seguire…
L’anima dei Popoli ribolle ma l’evoluzione è ribelle. La politica dell’America Latina ha saputo affrancarsi dalle logiche partitocratiche, dai poteri forti che annientano le società civili; da qui dall’oceano, per contro, l’Europa ancora soggiace allo sguardo dell’invisibile Medusa, e l’unione delle genti da tanti intellettuali auspicata, è ancor miraggio nella desertica schiavitù morale ed economica degli stati sopraffattori. Nella letteratura anti sistema, l’Autore non dimentica di argomentare anche con il filosofo francese Alain De Benoist e il suo J’accuse al mostro dalle mille facce del potere bancario e di certa mala politica che lo sostiene, che domina incontrastato il mercato, il libero commercio, la speculazione internazionale, il debito pubblico, controllando e lucrando sulla moneta di scambio come fosse sua esclusiva proprietà, così conducendo gli stati privati della loro sovranità nazionale a perire sotto una montagna di debiti insanabili, e spingendo i popoli inconsapevoli verso il baratro di crisi economiche spesso volute a tavolino, individui da tartassare, dissanguare e distruggere alle fondamenta della loro libertà, dignità, diritti umani.
Una terza via possibile, verso la dorata Civiltà dell’Amore è necessario ricercare, ma interclassista, e non più di scontro di ideologie perverse franate ormai sotto i colpi di una mutata realtà che anela riprendersi sé stessa, interamente, libera d’orpelli di cattivi pensatori e dommatiche zavorre, sì che possa risvegliarsi libera ed evolvere, dal cencio imprigionato d’ogni Adamo, una Umanità Nuova.
A. Tiberio di Dobrynia

Per acquisti del saggio: https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/490308/amore-e-liberta/
Per contatti con l'Autore: burroughs279@yahoo.it 

lunedì 9 dicembre 2019

Il Movimento per il Socialismo pronto a vincere nuovamente in Bolivia e a cacciare i golpisti. Articolo di Luca Bagatin

Il recente colpo di Stato in Bolivia, che ha portato al governo l'autoproclamata Jeanine Anez, ex senatrice appartenente a un partito minore dell'opposizione liberale; che ha causato numerosi scontri di piazza, con oltre 30 morti, centinaia di feriti e oltre mille arresti; oltre alla cacciata del Presidente legittimo Evo Morales, rifugiatosi in Messico, non fermato il Movimento per il Socialismo (MAS), che ha portato alla vittoria elettorale lo stesso Evo Morales negli ultimi quindici anni.
Nell'ultimo Congresso, tenutosi presso il Colosseo La Coronilla, a Cochabamba, gli esponenti del MAS hanno dichiarato di essere pronti a una nuova tornata elettorale e di assicurare, così, nuovamente la vittoria del socialismo in Bolivia.
E' stato altresì deciso che il leader della campagna sarà Evo Morales e che nei prossimi giorni il MAS nominerà i due candidati per la Presidenza e i candidati per l'Assemblea nazionale.
Evo Morales, nel suo esilio, oltre a ribadire l'importanza di proseguire il processo di liberazione del Paese, anche dalla nuova dittatura liberale, attraverso il modello socialista, ha ringraziato per il sostegno e la fiducia, affermando: “Vi ringrazio per la fiducia che riponete in me, nominandomi quale leader della campagna. Uniti vinceremo nuovamente le elezioni al primo turno. Grazie per non esservi arresi, sarò sempre con voi e insieme continueremo a fare la Storia che abbiamo fatto sino ad ora e vinceremo !”.
All'apertura del Congresso, il presidente del MAS, Rimer Agreda ha dichiarato: “Sanzioneremo ogni membro che ha tradito il partito” e ha dichiarato che non saranno accettati candidati che non faranno parte dei movimenti sociali boliviani.

Luca Bagatin

sabato 7 dicembre 2019

La "Critica del liberalismo" di Alain De Benoist. Articolo di Luca Bagatin

L'epoca moderna nella quale viviamo, caratterizzata dall'ideologia dominante liberale, ha ormai privatizzato ogni cosa: dai rapporti sociali a quelli politici. Ha anteposto il primato dell'economia ad ogni altro aspetto. Ogni rapporto fra le persone è divenuto un rapporto concorrenziale e interessato; ogni essere umano è considerato alla stregua di “capitale umano” o di “consumatore”; ogni atto del vivere è divenuto misurabile in termini quantitativi; l'avere è privilegiato rispetto all'essere; tutti sono ormai divenuti sostituibili e non più indispensabili, esattamente come le merci e i vari beni di consumo.
L'ideologia del desiderio e del “diritto individuale” prevale sull'etica del dovere, sul senso di comunità e sullo scambio, gratuito, fra gli esseri umani, in comunione con l'ambiente naturale e sociale nel quale costoro si trovano a vivere.
Questa la critica fondamentale posta dal filosofo francese Alain De Benoist nel suo ultimo saggio, edito da Arianna Editrice, “Critica del liberalismo – La società non è un mercato”.
La società, appunto, non dovrebbe essere un mercato, ma lo è diventata. Il regno del liberal capitalismo, denunciato da decenni da De Benoist, è divenuto il regime dello sfruttamento del lavoro, del precariato lavorativo, sentimentale, amicale; il regime del narcisismo e della solitudine di massa, del condizionamento pubblicitario e mediatico; il regime del reality show, dell'utilitarismo, del primato del giusto sul bene comune; il regime del politicamente corretto in nome dell'ideologia dei “diritti dell'uomo” che, nei fatti, lungi dall'emancipare l'essere umano, vorrebbero uniformarlo al pensiero unico liberale, mediatico ed economicista.
Pensiero unico che, di fatto, de-politicizza ogni problema, delegandolo, di fatto, a fantomatici “esperti”: siano essi economisti, grandi magnati della finanza e così via, ovvero ai signori dell'austerità e del capitalismo assoluto. Il trionfo del sogno reaganiano e thatcheriano, che ormai dagli Anni '90 ad oggi, unisce tanto la destra quanto la sinistra liberali e borghesi, legate fra loro dal dogma della “crescita illimitata” e dalla disgregazione dei valori sociali.
E' la logica del capitalismo e del mercato, che non si autoregola affatto, ma che genera bisogni indotti, ricerca di un piacere effimero e di una altrettanta effimera ricchezza materiale. Una logica che si pone a difesa della sedicente “democrazia rappresentativa” in luogo della democrazia autentica, partecipativa e diretta. Una “democrazia rappresentativa” che, non a caso, negli ultimi decenni – nel cosiddetto Occidente liberaldemocratico” - sta generando disaffezione nei confronti dei partiti di matrice liberale e facendo nascere nuove istanze politiche e sociali di matrice populista, regionalista, ecologista, identitaria e sovranista, quale risposta a quello che potrebbe essere definito un vero e proprio “totalitarismo liberale”.
L'ideologia liberale criticata da De Benoist, la cui nascita va ricercata nella borghese Rivoluzione Francese del 1789, la quale escluse del tutto il Quarto Stato (e differenza delle rivoluzioni proletarie e socialiste quali la Comune di Parigi del 1871 e la Rivoluzione bolscevica del 1917, di ispirazione mutualista, patriottica e federalista), è infatti il fondamento dell'individualismo, rispetto ad ogni forma di ricerca del bene comune e collettivo. Forma di ricerca del bene comune e collettivo che, invece, trae il suo fondamento nelle società arcaiche, lontane da ogni influenza moderna, incentrata sull'egoismo, sul progresso materiale e sull'accumulo delle risorse, ovvero su una falsa idea di emancipazione. Sostituendosi alla classe sfruttatrice aristocratica, la classe sfruttatrice liberal borghese non ha fatto altro – dunque - che ingannare il popolo, al fine di sottometterlo.
Il liberalismo, secondo De Benoist, è quindi “l'ideologia che mette la libertà al servizio del solo individuo” e, dunque, non è affatto l'ideologia della libertà, ma solo la libertà di possedere (ovvero di avere e non di essere). Individuo, che, dunque, agirà unicamente secondo il suo proprio tornaconto e il suo interesse individuale, oltre e persino contro ogni forma di interesse collettivo e di bene comune.
Nella società liberale, dunque, afferma De Benoist, “l'uomo non è emancipato, né reso autonomo (come invece tentarono di fare i primi socialisti, opponendosi alla schiavitù del lavoro dipendente), bensì trasformato in monade. E' atomizzato”.
Il liberale, in nome dunque della massimizzazione del profitto individuale, è favorevole alla libera circolazione di capitali, merci e di esseri umani, permettendo così di esercitare una pressione al ribasso sui salari degli autoctoni. Per questo il liberale è uno strenuo sostenitore sia dell'immigrazione (vera e propria deportazione di massa e fini economici) e della delocalizzazione delle imprese.
Nel saggio, De Benoist, fa notare come, da tempo, i partiti cosiddetti “di sinistra”, in Europa, ormai abbandonata ogni forma di socialismo autentico e originario, abbiano abbracciato l'ideologia “progressista” e “liberal”, al fine di aderire in toto alla società del mercato, favorendo così i desideri individuali dei singoli, ma contrastando ogni forma di emancipazione sociale e di rivendicazione sociale.
Si noti, non a caso, come tutte le leggi di precarizzazione del lavoro siano state sostenute sì dalla destra liberale, ma favorite dalla sinistra al governo: Jobs Act, Loi Travail, abolizione dell'Articolo 18, misure di austerità, di privatizzazione selvaggia (si vedano ad esempio quelle, in Italia, varate dai vari governi Prodi, D'Alema, Letta, Monti, Renzi e quelle in Francia con Hollande e oggi Macron).
Per decenni, fa notare De Benoist, il capitalismo liberale è stato largamente accettato dalla popolazione europea per tre ragioni principali: favoriva la crescita, innalzava il livello di vita medio e alimentava i consumi ben oltre le necessità primarie dei cittadini. Salvo rendersi conto, oggi, che questi tre aspetti non sono più garantiti, né potrebbero esserlo. Il potere d''acquisto diminuisce, la classe media si sta declassando, la precarietà lavorativa e sociale è sempre più diffusa e, parimenti, gli Stati, avendo da tempo ceduto la loro sovranità politica ed economica, non possono più far fronte alla crisi dei mercati finanziari, ormai senza controllo. L'economia, peraltro, è ormai da tempo del tutto slegata dai beni e servizi effettivamente prodotti, ma è legata sempre più alle speculazioni borsistiche e finanziarie ed agli indebitamenti degli Stati e dei privati, favoriti proprio dal sistema dominante.
Il liberal capitalismo – fondato sull'ideologia individualista, del danaro e del valore materiale - ha dunque completamente fallito, oltre a non essere affatto riformabile e, pertanto, andrebbe, secondo De Benoist, del tutto superato e abbattuto.
Occorre, dunque, secondo il filosofo francese, riappropriarsi dei legami sociali, del senso di comunità, di appartenenza e di bene comune; del senso di reciprocità, di mutuo aiuto e di dono reciproco, libero da ogni interesse e da ogni forma di prostituzione, perché è questo, di fatto, ogni tipo di rapporto commerciale e di lavoro salariato, tanto decantato dalla società liberale, mercantile , ovvero capitalista. Prospettive che, peraltro, hanno fatto proprie da sempre anche diversi intellettuali conservatori “di sinistra”, fra i quali - ricorda De Benoist - George Orwell, Christopher Lasch, Jean-Claude Michéa, Ivan Illich, Gunther Anders e Pier Paolo Pasolini.

Luca Bagatin

venerdì 6 dicembre 2019

"La condivisione è un dovere naturale". Riflessioni di Luca Bagatin

La proprietà è un diritto innaturale.
La condivisione è un dovere naturale. 

Ho abbandonato il sinistrismo borghese e liberale venti anni fa più o meno esatti.
Ho capito che un proletario, un precario, non ha nulla a che spartire con la sinistra borghese liberale.
È un fatto antropologico, oltre he sociale.
Il sinistro è un borghese. Un politicamente corretto. Uno che segue le regole. Del danaro, del diritto, dell'etica (che egli stesso si dà).
Non è uno che segue l'onore, l'amore, la condivisione, l'emancipazione.
Il sinistro non lotta. Usa le leggi a vantaggio della sua classe (media o medio alta) e ha in spregio il popolo.
Non è diverso dal destro.
La sinistra borghese e liberale è solo il lato peggiore della destra borghese e liberale.
Oggi mi riconosco piuttosto nella "Nuova Destra" francese di De Benoist (che in realtà non ha nulla a che vedere con la destra classica, ma così fu impropriamente definita dai media francesi) e nella sinistra patriottica e conservatrice russa. 
Ovvero mi riconosco nella lotta al capitale, al liberalismo. Nella valorizzazione delle comunità, dell'ambiente, delle identità nel superamento del razzismo inteso come superiorità di una civiltà sulle altre (tipico invece del liberalismo anglosassone). 

Luca Bagatin

E' uscito il nuovo numero della rivista francese "Rébellion" !

E' uscito l'ultimo numero della rivista bimestrale francese "Rébellion" degli amici e compagni dell'Organizzazione Socialista Rivoluzionaria Europea (OSRE) (www.rebellion-sre.fr)

Per acquistarlo e leggere il sommario completo, cliccate al seguente link e seguite le istruzioni: http://rebellion-sre.fr/boutique/rebellion-87/
Per abbonarsi a "Rébellion" (solo 20 euro annui per un abbonamento semplice composto di sei numeri, in tutta Europa e senza spese di spedizione): http://rebellion-sre.fr/boutique/abonnement-a-rebellion-6-numeros-2/

domenica 1 dicembre 2019

Amore e Libertà contro odio e sottomissione. Riflessioni sparse

Noto, da tempo che, nell'epoca attuale, le persone sembrano aspirare più all'odio e alla contrapposizione, oltre che alla sottomissione e all'"uomo forte",  piuttosto che aspirare all'amore, al dialogo, e alla possibilità, per le singole intelligenze, di confrontarsi, di auto-governarsi e di auto-gestirsi. Ovvero si preferisce la dittatura alla democrazia autentica.
Ciò non fa che rafforzare e privilegiare il sistema economico dominante. Quello fondato sull'egoismo, la cupidigia, l'accumulazione delle risorse, del danaro, dei beni di consumo, del potere.
Il totalitarismo liberal capitalista tecno-mercantile che fingiamo di non vedere o, peggio, sembriamo amare. Ma che è del tutto estraneo alla natura, ai rapporti autentici fra le persone, all'ambiente e al bene comune.
Difficilmente, noto, si fa caso a tale fenomeno. Si preferisce, anzi, voltarsi dall'altra parte e bollare tutto questo come "ragionamento utopistico", oppure "non veritiero" o, ancora, "lontano dalla realtà".
Occorrerebbe, io credo, fermarsi invece a riflette. Sarebbe già qualcosa. Anzi, sarebbe già molto.
(Luca Bagatin)

L'odio è dentro di voi e vi sta divorando.
(Adriano Celentano)

Gli Inesistenti non credono nell'uomo forte, ma, nel caso dovesse arrivare, lo porterebbero a giocare a biliardo. Così si stanca.
(Adriano Celentano) 

Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente arbitrario o dettato da sua necessità di carattere economica, che sfugge alle logiche razionali. Io detesto soprattutto il potere di oggi. 
(Pier Paolo Pasolini)



venerdì 29 novembre 2019

25 anni fa usciva, in Russia, il primo numero di "Limonka", giornale di avanguardia politica, artistica, letteraria e musicale. Articolo di Luca Bagatin

25 anni fa, precisamente il 28 novembre 1994, usciva – in Russia - il primo numero del giornale “Limonka”, organo del Partito NazionalBolscevico (PNB), editato dallo scrittore Eduard Limonov e con una tiratura di circa 15.000 copie.
Un partito composto da intellettuali e artisti, ma anche da giovani e giovanissimi, provenienti dalle periferie russe, delusi dal crollo dell'URSS e dall'avvento del capitalismo assoluto e dalla conseguente povertà diffusa fra i ceti meno abbienti.
Fondato da tre artisti e intellettuali, ovvero dallo scrittore Eduard Limonov, dal filosofo Aleksandr Dugin e dal chitarrista punk rock Egor Letov, il PNB trasse ispirazione dal nazionalbolscevismo degli Anni '20 di Ernest Niekisch e di Karl Otto Paetel, primi ad opporsi in Germania al nazismo, e a vedere nella Rivoluzione d’Ottobre del 1917 il loro punto di riferimento, fondato sul primato della comunità e dell’operaio-proletario al servizio della stessa, rispetto all’egoismo dell'”homo economicus” della borghesia capitalista, la quale pensava unicamente al proprio egoistico tornaconto personale.
Eduard Limonov, 29 novembre 1994
“Limonka”, sebbene fosse un organo di partito, si occupava principalmente di rock e di letteratura e sulle sue pagine si formarono fior fiore di aspiranti artisti russi. Un giornale underground nella Russia di quegli anni, che poneva i nazionalbolscevichi o nazbol, quale avanguardia controculturale, artistica, oltre che politica, al punto che furono ammirati persino dalla giornalista Anna Politkovskaja, che li difese a spada tratta in vari processi che li videro coinvolti per insubordinazione nei confronti dell'autorità. Per lei erano “giovani coraggiosi, puliti, gli unici o quasi che permettevano di guardare con fiducia all'avvenire morale del Paese”. Ed allo stesso modo la pensava Elena Bonner, vedova dello scienziato dissidente Andrej Sacharov, che li stimava, pur suggerendo loro di cambiare nome. Non le piaceva, infatti, il termine nazbol.
Egor Letov, famosissimo nella Russia di oggi e di allora, attrasse molti giovani e così Eduard Limonov, pur essendo questi, già negli Anni '90, un uomo sulla cinquantina, ma il cui spirito punk colpì profondamente i ragazzi dell'epoca.
Del PNB, peraltro, iniziarono a far parte anche lo scrittore Zachar Prilepin e il celebre jazzista, musicista e attore Sergey Kuryokhin. Di quest'ultimo, peraltro, si possono ancora ritrovare – su youtube – alcune performance artistiche assieme allo stesso Limonov e a Dugin.
Aleksandr Dugin oggi
Sei giovane, non ti piace vivere in questo paese di merda. Non vuoi diventare un anonimo compagno Popov, né un figlio di puttana che pensa soltanto al denaro, né un cekista. Sei uno spirito ribelle. I tuoi eroi sono Jim Morrison, Lenin, Mishima, Baader. Ecco sei già un nazbol”, questo il provocatorio slogan recitato da Limonov, in quegli anni, per esortare i giovani a entrare nel partito.
Il PNB, ad ogni modo, bollato di “estremismo”, fu messo fuorilegge dalla Procura Generale russa nel 2007, essendo il principale movimento di piazza al governo liberal capitalista di Putin e ciò pur non avendo mai commesso atti di violenza, ma unicamente manifestazioni pacifiche e a carattere goliardico, pur non autorizzate.
Nel frattempo si era già consumata la frattura ideologica fra Dugin e Limonov, il primo maggiormente sostenitore del governo in carica e il secondo decisamente critico.
Egor Letov morì prematuramente, nel sonno, a soli 44 anni, nel 2008. Come prematuramente morì anche Sergey Kuryokhin, a 42 anni, nel 1996, a causa di un sarcoma cardiaco.
Zachar Prilepin, oltre a continuare la sua carriera di romanziere (in Italia è principalmente pubblicato dalla casa editrice Voland), tradotto in 11 lingue, ha combattuto per la Repubblica Popolare di Donetsk ed è stato consigliere del Presidente Zacharcenko.
Dipinto raffigurante Egor Letov
Aleksandr Dugin rimane un filosofo molto rispettato nel mondo, discusso - spesso a torto - nei Paesi liberal capitalisti, teorico della Quarta Teoria Politica, fondamento del superamento e della contrapposizione ai tre totalitarismi novecenteschi: liberalismo, comunismo e fascismo.
Eduard Limonov, invece, oltre a rimanere un romanziere di successo (in Italia, a giorni, uscirà “Il boia”, edito da Sandro Teti), continua a portare avanti la bandiera nazionalbolscevica (con una provocatoria granata al centro, ovvero una “limonka”, simbolo dello storico e omonimo giornale). Egli guida infatti il partito nazionalbolscevico “Altra Russia”, ancora una volta composto per la maggior parte di giovani e giovanissimi e che da anni si batte non solo per un ritorno ad un sistema sociale anticapitalista, ma anche per la libertà di parola e di opinione in Russia, ovvero per il rispetto dell'Articolo 31 della Costituzione. E, per questo, i suoi componenti, vengono continuamente – ancora oggi – vessati dalle autorità.
L'anniversario di “Limonka”, in questi giorni, è molto festeggiato dai componenti di “Altra Russia”, i quali sono l'avvenire di quella sinistra nazionalpatriottica che ancora non si è arresa ad un presente e ad un futuro diverso e alternativo rispetto al totalitarismo liberal capitalista che, dagli Anni '90 ad oggi, comanda imperterrito in Russia e in tutta Europa.

Luca Bagatin