E' curioso notare come due spiriti ribelli, eretici,
erotici, senza etichette ideologiche precostituite, siano nati lo
stesso giorno.
Il 12 marzo.
Gabriele d’Annunzio (nato nel 1863) e Jack Kerouac
(nato nel 1922) hanno condiviso molto, oltre al solo giorno di
nascita.
Entrambi artisti dotati di un profondo senso del
Sacro, hanno creato una controcultura e hanno influenzato
profondamente le controculture, negli anni successivi alla loro
morte.
Gabriele d’Annunzio, poeta, amante delle donne e
della bellezza in tutte le sue forme, dandy e rivoluzionario al
contempo, leader politico libertario e contro il potere, il
totalitarismo, la casta politica liberal-capitalista dilagante in
un'Europa non così diversa e da quella di oggi.
Aspetti che si mostreranno pienamente, in
d’Annunzio, nella sua Impresa di Fiume e con la fondazione della
Repubblica o, meglio, della Reggenza del Carnaro.
Un’esperienza comunista libertaria (“Io sono
per il comunismo senza dittatura. È mia intenzione di fare di questa
città un’isola spirituale dalla quale possa irradiare un’azione,
eminentemente comunista, verso tutte le nazioni oppresse”,
spiegò d’Annunzio in un’intervista ad una rivista anarchica),
avanguardista, spiritualista.
Una Repubblica che avrebbe, per la prima volta nella
Storia, dato la possibilità all’arte e alla “fantasia” di
essere al potere, per divenire, in realtà, una forma di anti-potere
e di esaltazione del bello e del Sacro. Che è esaltazione
dell'(anti)politica degli spiriti liberi dalle convenzioni e dalle
sovrastrutture, contrapposta alla fredda “realpolitik” dei
potenti e di coloro i quali vorrebbero schiacciare i popoli, in nome
del profitto.
Una Repubblica, quella d’annunziana, che permise e
promosse le libertà sessuali (con relativa tolleranza e pratica
dell’omosessualità), la libertà di associazione, la libertà di
divorziare, la libertà religiosa e la libera ricerca spirituale
(l’aviatore Guido Keller e lo scrittore Giovanni Comisso fondarono
la rivista “Yoga”, che proponeva una visione esoterica, teosofica
e spirituale della realtà), la proibizione dei crocifissi nei luoghi
pubblici, l’assistenza ai disoccupati e ai non abbienti, la
promozione dei referendum, la promozione e il sostegno alla scuola
pubblica, il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario
ecc… tutte cose che nemmeno l’attuale Repubblica italiana sembra
appieno garantire.
Tutte cose certamente lontane dallo spirito
dell'Unione Europea, che è così simile all'Europa grigia e
conformista che d'Annunzio detestava.
Recentemente ho visto il
bellissimo film "Il cattivo poeta", di Gianluca Jodice, nel
quale Sergio Castellitto interpreta un anziano Gabriele d'Annunzio,
messo sotto controllo dai servizi segreti del regime fascista.
Il film racconta,
dall'inizio alla fine, una storia profondamente vera.
Ovvero di quanto quel
pallone gonfiato, senza arte né parte, di Benito Mussolini avesse
paura di d'Annunzio e di come questi, nonostante l'età avanzata, non
lesinasse critiche al fascismo, che pur in un primo tempo aveva
sostenuto, ingenuamente.
In particolare d'Annunzio
criticava aspramente l'alleanza fra Italia e Germania hitleriana e
previde, già nel 1936 - 1937, come questa nefasta alleanza avrebbe
portato alla guerra e alla totale sconfitta.
Molto toccante il fatto
che il Federale fascista, Giovanni Comini, che aveva il compito di
sorvegliare d'Annunzio, proprio grazie alla frequentazione con il
poeta, si sia convertito all'antifascismo e si sia fatto espellere
dal partito fascista.
Il film mi ha fatto
riflettere anche su come Mussolini abbia tentato di copiare la
comunicazione di d'Annunzio e, pur stravolgendola, abbia tentato di
farla propria.
Mussolini era totalmente
privo di senso artistico, di creatività, di umanità. Copiare è
tipico degli spiriti inetti e mediocri, infatti.
Anche Putin, in Russia,
ha tentato di appropriarsi - stravolgendole - delle idee dello
scrittore, poeta e leader politico Eduard Limonov, che fu uguale
pressoché in tutto e per tutto a d'Annunzio (compreso il fatto che
fu arrestato e messo sotto controllo dal regime).
Il Potere – occupato
quasi sempre da inetti - cerca sempre di portare gli artisti dalla
sua parte, ma gli artisti sono oltre e combattono sempre il Potere.
Solo loro e non il
Potere, peraltro, conservano e portano avanti idee di eroismo,
patriottismo, amore per i popoli.
Ovvero l'esatto opposto
di quanto fanno i potenti e i politicanti al potere.
Jack Kerouac, a Fernanda Pivano, in una celebre
intervista, dichiara che il poeta italiano che preferisce è Gabriele
d’Annunzio. Sarà un caso? Sarà un caso che entrambi abbiano avuto
lo stesso identico spirito, libero da ogni convenzione?
Jack Kerouac era, esattamente come d’Annunzio, un
libertario senza etichette. Lontano dalla politica partitica. Ma
nonostante ciò, come d’Annunzio, dopo la morte, tutti coloro i
quali non li hanno mai letti né approfonditi, avrebbero voluto
etichettarli (sbagliando in pieno!).
Nel modo di vivere di Kerouac e nei suoi romanzi,
c’è la spasmodica ricerca del Sacro, che egli trova e vive nel
buddismo zen unito al cattolicesimo. Che vive e pratica, purtuttavia,
senza dogmatismo, senza moralismo, così come vive per tutta la sua
vita.
Fatta sia di vagabondaggi che di lunghe giornate
passate con l’amata madre ed il suo amato gatto Tyke.
Kerouac è disgustato dalle mode, è disgustato
dalla politica. Lui ama solo la bellezza e esalta la dolcezza, che
ama vedere ed esaltare nella spiritualità orientale, nelle donne,
nella poesia.
E’, come d’Annunzio, molto depresso, certo. E si
lascia andare alle sregolatezze dell’alcol e del fumo, che lo
porteranno a una prematura morte, a soli 47 anni.
Lasciando ai suoi amici – Allen Ginsberg (amante
della mistica orientale) e William S. Burroughs (amante della magia
crowleyana) in primis, pur molto più politicizzati di lui –
l’eredità della Beat Generation, di cui fu capostipite.
Un’eredità che non sarebbe andata sprecata, ma
che avrebbe proseguito il cammino dell’arte libera e creativa, del
libero pensiero, della controcultura e della libera ricerca
spirituale, senza moralismi né dogmatismi.
I media statunitensi amavano burlarsi di Kerouac. Lo
chiamavano per intervistarlo in stato di ubriachezza. Ma a lui non
importava, non ascoltava nemmeno le domande degli ipocriti
giornalisti intervistatori, perché era sempre al 100% sé stesso,
come ebbe a dire Bill Burroughs.
Non era decisamente un prodotto della cosiddetta
“America Way of Life” Anni ’50, ma anzi, avrebbe rifiutato
tutti quei valori, per essere semplicemente un artista, uno
scrittore, un poeta.
Lui, in realtà, amava dire che si vedeva
semplicemente come uno “strano solitario pazzo mistico”.
Non gli importava essere osannato, amato, ammirato.
Come d’Annunzio, che non si sarebbe fatto
ingabbiare da nessuna corrente, ma ne avrebbe creata una propria.
E, forse proprio non per caso, sia d’Annunzio che
Kerouac, decenni dopo, avrebbero influenzato altre controculture, che
anche a loro si sarebbero ispirate.
Stiamo parlando in particolare del movimento degli
Indiani Metropolitani, nell’Italia della metà degli Anni ’70, di
cui Mario Appignani – detto “Cavallo Pazzo” – sarà uno degli
esponenti (e che merita rispetto e approfondimento per la sua vicenda
personale, dalla denuncia dei brefotrofi lager nei quali visse la sua
infanzia, alle sue battaglie successive). Oltre che dei
nazionalbolscevichi di Eduard Limonov in Russia, che avranno sia
Kerouac che d’Annunzio (oltre che Hunter S. Thompson, David Bowie e
altri) come riferimento artistico e culturale.
Limonov stesso, peraltro, negli anni vissuti negli
Stati Uniti, conobbe il poeta beat Lawrence Felingetti, che per primo
pubblicò i romanzi di Kerouac, Ginsberg e dei beatnik in generale.
E' forse emblematico che Pier Paolo Pasolini avrebbe
voluto affidare la parte di Gesù detto “Il Cristo” proprio a
Jack Kerouac, nel suo “Il Vangelo secondo Matteo”, del 1964.
Una parte che Kerouac avrebbe accettato con
entusiasmo, ma, purtroppo, Pasolini, vedendo le foto più recenti di
Kerouac, invecchiato e imbruttito dall'abuso di alcol, tornò sui
suoi passi, scegliendo Enrique Irazoqui, attore, scacchista e
antifascista spagnolo, per la parte del Cristo.
Fu forse un'occasione mancata, perché Kerouac
avrebbe potuto interpretare un ottimo Cristo, lontano dalla vulgata,
terreno, persino alcolizzato, ma profondamente spirituale, un po',
forse, come il Cristo interpretato da Mino Reitano nel film “Povero
Cristo” di Pier Carpi, del 1976.
D'Annunzio e Kerouac, come coloro i quali hanno
affascinato, rimangono dunque fari in mezzo alla tempesta.
Lo erano ai loro tempi, figuriamoci oggi, in questi
tempi oscuri, infausti, nei quali il Potere sembra mostrare tutta la
sua insensatezza, la sua sconsideratezza, la sua follia tutt'altro
che lucida.
Luca Bagatin
www.amoreeliberta.blogspot.it