giovedì 30 marzo 2023

Il riformismo socialista della Repubblica Popolare Cinese. Articolo di Luca Bagatin

 

Sin da prima dell'inizio del conflitto russo-ucraino, la Cina ha saputo mantenere equilibrio e razionalità.

Lo stesso equilibrio e razionalità che ha mantenuto durante la gestione della pandemia.

Prima dello scoppio del conflitto, il Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, si era espresso alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza nella ricerca di: “una soluzione pacifica che garantisca sicurezza e stabilità in Europa”, sottolineando come “nessuno è al di sopra del diritto internazionale”. E, in tal senso, aveva aggiunto: “si è tornati ad una mentalità da Guerra Fredda, ma è sbagliato riportare indietro le lancette della Storia. Per trasformare il mondo in un posto migliore, i Paesi devono lavorare insieme, in un clima fondato sulla cooperazione, non sulla competizione”.

E' del 15 febbraio scorso un'interessante intervista di Carlo Valentini, su “ItaliaOggi” (https://www.italiaoggi.it/news/basta-con-l-europa-subalterna-2592982), a Giancarlo Elia Valori, attento analista in ambito internazionale, nonché importante dirigente d'azienda italiano e autore di numerosi saggi che spaziano dalla geopolitica, alla spiritualità, alla globalizzazione.

In tale intervista, Giancarlo Elia Valori, peraltro professore onorario all'Università di Pechino, fa presente – fra le altre cose - come l'obiettivo della Cina non sia mai stato quello di superare gli USA, bensì di migliorare la propria economia e affrancarsi dall'imperialismo e dal colonialismo occidentale, del quale essa fu preda nell'Ottocento, ai tempi delle guerre dell'oppio.

Il governo cinese, recentemente, ha posto un piano di pace in dodici punti, che, riassumendo, prevede: il rispetto di sovranità, indipendenza e integrità di tutti i Paesi secondo le leggi internazionali riconosciute, compresi scopi e principi della Carta delle Nazioni Unite; l'abbandono della mentalità della Guerra Fredda: la sicurezza di un Paese non dovrebbe essere perseguita a spese di altri e tutte le parti dovrebbero ricercare pace e cooperazione; il cessare le ostilità e riapertura del dialogo fra Russia e Ucraina; la riaffermazione che dialogo e negoziati sono l'unica via d'uscita praticabile”; dare priorità alla protezione dei civili ed alla creazione di corridoi umanitari; il rispetto del diritto umanitario internazionale: nessun attacco ai civili e alle strutture civili e favorire lo scambio di prigionieri; il mantenimento della sicurezza delle centrali nucleari; il rifiuto dell'uso di armi nucleari in qualsiasi circostanza; la facilitazione delle esportazioni di cereali; lo stop alle sanzioni unilaterali e la creazione delle condizioni affinché i Paesi in via di sviluppo possano far crescere le loro economie e migliorare la vita dei loro popoli; il mantenimento della stabilità delle catene industriali e di approvvigionamento; la promozione della ricostruzione postbellica.

Un piano di ragionevolezza, equilibrio, cooperazione e sviluppo volto a unire, anziché dividere, tutti gli attori coinvolti.

Anziché inviare armi, ancor peggio se all'uranio impoverito, come fa La Gran Bretagna, con tutti i rischi del caso in termini di sicurezza e salute, come sottolineato di recente anche dal giornalista Michele Santoro, visti anche i precedenti che hanno visto coinvolti i militari italiani nell'ex Jugoslavia, la Cina propone un piano di pace.

Piano che, purtuttavia, gli USA rifiutano e l'UE sembra, ancora una volta, andare dietro a Washington.

Non sappiamo se a prevalere sarà la logica della ragionevolezza, ma ad oggi sembra che la Cina di Xi Jinping, erede di quella di Zhou Enlai e Deng Xiaoping, rappresenti quel socialismo riformista che incarnò quel Pietro Nenni, già Ministro degli Esteri socialista, che per primo, in Italia e Europa, aprì – alla fine degli Anni '60 - alle relazioni con la Repubblica Popolare Cinese.

Luca Bagatin

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lunedì 27 marzo 2023

Ciao Gianni Minà e grazie di tutto!

 
Ho conosciuto Gianni Minà alcuni anni fa, a una delle commemorazioni organizzate a Roma dall'Ambasciata del Venezuela, per celebrare e ricordare il Presidente Eterno Hugo Chavez.
Ne scrissi anche un articolo, che ho ripubblicato di recente.
Ci mancherà, come ci mancherà ogni giornalista che ha saputo dire la verità su molte tematiche che il Potere ha voluto manipolare a suo uso e consumo.
Gianni Minà fu troppo spesso vittima del Potere e per questo allontanato ingiustamente dalla televisione italiana.
Ogni libero pensatore gli dovrebbe essere eternamente grato.
 
Luca Bagatin 

domenica 26 marzo 2023

Buon 90esimo compleanno Tinto Brass!

 
Tinto Brass compie oggi 90 anni.
Re del cinema erotico, fumettistico e surreale.
Ideò lo slogan elettorale "Meglio un culo che una faccia da culo", quando annunciò la sua candidatura alle elezioni regionali in Veneto e nel Lazio, ma alla fine rinunciò a candidarsi, con i radicali.
Quello slogan, ad ogni modo, l'ho difeso a spada tratta e in ogni dove, per il suo messaggio eretico & erotico.
Onore a Tinto e al suo spirito libertario e arguto, oltre la morale e il politicamente corretto!
✊
Luca Bagatin 

sabato 25 marzo 2023

No copyright. Liberi dal diritto d'autore. Ovvero liberi di diffondere conoscenza, cultura, arte. Riflessioni e articolo di Luca Bagatin

 

Essere liberi dal diritto d'autore significa liberare la creatività, diffondere la conoscenza, permettere agli artisti, ai creatori delle opere dell'ingegno e al pubblico di CONDIVIDERE un'esperienza diretta e di DIFFONDERLA LIBERAMENTE, senza vincoli economici.

Personalmente sono da sempre per l'abolizione del copyright e per l'introduzione di uno stipendio pubblico da dare a tutti gli artisti, pagato dalla comunità e a beneficio della comunità, che permetta agli artisti e al pubblico di fruire liberamente delle opere dell'ingegno, magari favorendo l'editoria indipendente e l'autopubblicazione delle opere.

Nel 2018 e nel 2019, sull'argomento, scrissi in merito un paio di articoli, che vorrei - peraltro - qui riportare.

No alla normativa UE sul diritto d'autore. No al copyright. Per una civiltà ove le idee e le opere dell'ingegno circolino liberamente e siano a beneficio di tutti. 

Articolo di Luca Bagatin del 28 giugno 2018

Il 4 luglio prossimo sarà votata dal Parlamento europeo una proposta di direttiva sul diritto d'autore in internet, la quale sembrerebbe prevedere - a quanto si apprende dagli organi di informazione - una vera assurdità, ovvero che la pubblicazione di un link di un articolo di giornale online (cosa che peraltro attualmente fanno tutti ad esempio nei cosiddetti socialnetwork, oltre che su Wikipedia e in molti articoli ai fini di citare le fonti) rappresenterebbe una forma di utilizzo del diritto d'autore, con la conseguente necessità di una autorizzazione da parte dell'editore del giornale ed il conseguente pagamento dei diritti d'autore per chiunque intenda postare il suddetto link. Conseguentemente i soggetti che consentono la pubblicazione online dovrebbero dotarsi di appositi filtri automatici in grado di bloccare la pubblicazione di ogni contenuto coperto da diritto d'autore.

Una vera e propria limitazione alla diffusione delle idee, oltre che l'impossibilità di poter citare le fonti necessarie attraverso i relativi link, utili peraltro spesso anche a studenti universitari che desiderino utilizzarli nelle loro tesi di laurea.
C'è chi sostiene che tale normativa europea sia funzionale e fatta apposta per limitare la cosiddetta controinformazione, che ha permesso alle forze populiste di arrivare al governo ad esempio in Italia o in alcune parti del mondo e che pertanto l'establishment europeo voglia porre un freno alla libera circolazione delle idee. Personalmente su questo ho alcuni dubbi, in quanto ritengo che il potere mediatico del web sia ancora limitato e ritengo che coloro i quali hanno deciso di scegliere il campo populista lo abbiano fatto indipendentemente dal web (che veicola comunque i più vari contenuti), semplicemente in quanto ormai stanchi del pensiero unico liberale, che ha generato precarietà su ogni fronte.
Senza voler giungere a conclusioni affrettate, dunque, tale normativa - se passasse - sarebbe un vero danno per tutti coloro i quali utilizzano internet per diffondere idee, contenuti e soprattutto per gli stessi organi di informazione, in quanto vedrebbero diminuire i click ai loro stessi contenuti, veicolati oggi o da altri articoli, citati come fonte, oppure da Wikipedia, dai già citati socialnetwork, oppure dalle già summenzionate tesi di laurea.
Personalmente, oltre ad essere contrario a normative di questo tipo, sono da sempre contrario al sistema del diritto d'autore e su questo mi trovo concorde ad esempio con gli economisti Michele Boldrin e David K. Levine, che su detto argomento hanno molto scritto. Lo sono magari per ragioni un tantino diverse rispetto alle loro tesi, piuttosto liberiste in economia, semmai.
Sono per l'abolizione del copyright in quanto ritengo che la proprietà intellettuale debba essere una proprietà condivisa, così come lo è il sapere e lo scibile umano. Dunque per ragioni non economicistiche o liberiste, ma umaniste e di diffusione della cultura, della scienza, della tecnica.
L'Autore rimarrebbe dunque l'ideatore ed il proprietario di fatto dell'opera (l'importante è sempre citare la fonte!), è chiarò, ma lo scopo della sua opera dell'ingegno non dovrebbe essere il profitto, la commercializzazione, ma la diffusione libera, la condivisione, in grado di arricchire altre menti, che potrebbero ancor più svilupparla. Tale diffusione arricchirebbe dunque gli animi della comunità e dunque dell'umanità.
Solo così si produrrebbe ricchezza, ma non ricchezza monetizzabile, individuale ed egoistica, ma ricchezza collettiva.
Ricchezza in campo letterario, musicale, medico, scientifico, tecnologico. Una ricchezza libera dal commercio e dal danaro in una società che superi finalmente il capitalismo e si basi sulla condivisione. Una società o, meglio, una nuova civiltà umanistica ove la cooperazione, l'amicizia e l'amore, ovvero la vera libertà, sostituiscano le leggi del danaro, del potere, dell'ego e del diritto all'accumulo.
In nome del dovere nei confronti dell'umanità e dei suoi bisogni. In nome del sapere e della conoscenza, del libero scambio e del dibattito fra menti pensanti e libere.
 
Luca Bagatin

Superare il diritto d'autore. Superare ogni sfruttamento economico. Per un'economia del dono. 

Articolo di Luca Bagatin del 25 marzo 2019

L'abolizione del diritto d'autore può essere la base di una economia fondata sulla diffusione della cultura e sul dono.
Una economia fondata sullo scambio reciproco e sul dono - tanto cara ad antropologi quali Marcel Mauss - è l'esatto opposto rispetto allo sfruttamento del lavoro, tipico di una società capitalista, che antepone l'interesse economico rispetto all'opera realizzata dall'essere umano la quale, libera da ogni vincolo economico, è necessaria all'evoluzione della comunità intera. Comunità che è il nucleo principale dell'umanità tutta e che per evolvere in armonia necessiterebbe di cooperazione e di autogestione e non già di competizione, antagonismo, sfruttamento.
L'abolizione del diritto d'autore libera, nella fattispecie, l'opera dell'ingegno da ogni vincolo economicistico e la restituisce alla sua funzione artistica più pura, donandola alla comunità intera, la quale può trarne spirituale e morale beneficio.
Così come un lavoro autogestito e non salariato, ovvero nel quale il lavoratore è proprietario stesso del suo lavoro, in una società fondata sull'economia del dono, potrebbe essere funzionale all'elevazione del lavoratore stesso e della comunità nella quale vive. 
 

Il 24 marzo 1999 la NATO - benedetta dalle pseudo sinistre occidentali - bombardò la Jugoslavia. Articolo di Luca Bagatin

Il 24 marzo 1999, la Repubblica Federale di Jugoslavia fu bombardata per 78 giorni da parte della NATO, con la benedizione, in Italia, del governo di pseudo centrosinistra presieduto da Massimo d'Alema, in Gran Bretagna da quello pseudo laburista di Blair e in Germania da quello pseudo socialdemocratico di Schroder.

Il tutto orchestrato dal pseudo democratico Bill Clinton.

Il tutto, peraltro, senza l'autorizzazione delle Nazioni Unite.

Causando circa 3000 vittime civili, fra cui centinaia di bambini.

Fu l'apice della triste vicenda di disgregazione della Jugoslavia, una terra che, con il Maresciallo Josip Tito Broz, aveva unito nel socialismo, nell'antifascismo e nell'autogestione delle imprese, popoli diversi, che vissero fraterni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sino almeno agli Anni '80.

Finché i nazionalismi, fomentati anche dall'Occidente liberale, ma non democratico, esplosero e generarono una crisi senza precedenti. Che vedremo e vediamo ancora oggi ad Est, nei Paesi che un tempo erano uniti, nel socialismo, nell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Bettino Craxi, da Hammamet, scrisse, in merito, parole molto lucide (che si possono trovare nel saggio edito da Mondadori “Bettino Craxi. Uno sguardo sul mondo. Appunti e scritti di politica estera”):

I bombardamenti dell’aviazione americana ed inglese, almeno sino ad ora, sembrano da qualche tempo il bastone con il quale ci si industria a governare le situazioni distorte che si presentano nel mondo. Le bombe dovrebbero essere la soluzione miracolosa destinata a distruggere il male e a far rifiorire il bene. Di bombardamenti del resto, solo nell’ultimo anno, se ne possono ormai elencare non pochi. Si sa tutto di loro e dei loro bagliori, si sa poco o nulla dei risultati che le imprese della più grande, moderna, e sofisticata aviazione del mondo abbiano potuto ottenere […]

Questa situazione terribilmente intricata verrà risolta a colpi di bombe? Molto difficile. Le bombe provocheranno altri disastri ed altre vittime ed apriranno la strada a nuovi conflitti ed ad una estensione pericolosa delle reazioni e delle contro reazioni. Ripetiamo ciò che ha detto dall’alto della sua esperienza ed anche della sua saggezza un ufficiale italiano, una medaglia d’oro, che non può essere accusato di essere un pauroso. Il mito dell’arma aerea, come provano i fatti, potenza risolutrice, è giustappunto un mito. Se si dovesse passare allo scontro umano si toccherebbe un fondo che si sperava ormai estraneo alla storia delle nazioni europee. La politica e la diplomazia, senza il continuo rincorrersi di minacce e di ultimatum, debbono trovare la forza e la strada per giungere ad imporsi. La politica e la diplomazia non possono dichiarare fallimento. La bomba può essere considerata la via facile ma la pace continuerebbe ad essere difficilissima […]

Purtroppo gli italiani sono già alla frontiera. Il governo aveva detto così anche per l’aviazione. La Serbia aveva rotto le relazioni diplomatiche con tutti i Paesi della NATO tranne che con l’Italia. Era un ponte diplomatico che bisognava avere il coraggio di usare. Per tutta risposta abbiamo inviato i nostri aerei a bombardare, coprendoci sotto la formula della «difesa integrata» alla quale non crede nessuno”.

Parole validissime tanto ieri, quanto oggi.

Ennesima dimostrazione che un autentico statista, socialista e democratico come Craxi ci aveva visto giusto.

Un Craxi ingiustamente vilipeso da post e pseudo comunisti e post fascisti italiani, entrambi al governo negli anni successivi alla sua liquidazione, con tanto di benedizione da parte di quei poteri forti che lo detestavano, in quanto egli si pose sempre contro ogni forma di dittatura, dogmatismo, di fondamentalismo, di privatizzazione selvaggia e fu sempre in favore della sovranità nazionale, di ogni popolo.

Non parliamo poi delle conseguenze che ebbero a subire i militari italiani che, negli anni, si ammalarono e morirono a causa dell'uranio impoverito usato in Jugoslavia nel 1999.

Nella Serbia di oggi, il Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (NKPJ), pur non rappresentato in Parlamento, ma che raccoglie l'eredità di Tito Broz e di tutti i comunisti e socialisti democratici di quelle terre, il 24 marzo scorso, a 24 anni di distanza, ha reso omaggio alle vittime dei bombardamenti NATO, presso il monumento “Eternal Flame” di Nuova Belgrado.

La NATO allora, come oggi, non difendeva gli interessi del popolo serbo o albanese, ma esclusivamente dei grandi capitalisti dei Paesi membri di questa alleanza criminale”, hanno scritto i comunisti jugoslavi in un comunicato sul loro sito web.

E i comunisti jugoslavi hanno ricordato come la NATO abbia attaccato Paesi sovrani, laici e socialisti come la Libia e la Siria, oltre che continua a sostenere l'attuale conflitto in Ucraina, senza ricercare una soluzione pacifica, cosa che, invece, un Paese socialista come la Cina – aperto al dialogo e al commercio con tutti i Paesi - cerca di fare.

Luca Bagatin

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mercoledì 22 marzo 2023

L'insegnamento socialista di Paul Lafargue per i popoli d'Europa di ieri e di oggi. Articolo di Luca Bagatin

Il capitalismo produce merci (e conseguente inquinamento per poter essere prodotte), in quantità industriale – appunto – che dovranno necessariamente essere vendute a qualcuno, attraverso bisogni indotti (veicolati attraverso la pubblicità commerciale) e tutta questa baracca permette di mantenere categorie improduttive al potere, ovvero i politici... che chiedono peraltro il consenso (che veicolano attraverso la pubblicità elettorale), danneggiando inevitabilmente la collettività, alla quale non rispondono (in quanto rispondono alle classi e a poteri superiori).

Ce lo ricordava l'ottimo Paul Lafargue (1842 – 1911), genero di Karl Marx, rivoluzionario, saggista e politico d'origine caraibica, il quale fu giovane seguace delle teorie libertario-socialiste di Pierre-Joseph Proudhon.

Aderente alla Massoneria e all'Associazione Internazionale dei Lavoratori del 1864, fu in un primo tempo in contrasto con Marx, ma finì per unire le teorie proudhoniane a quelle marxiste, oltre che alla visione di Auguste Blanqui, suo contemporaneo e fratello in Massoneria.

Marito di Laura Marx nel 1868 e con lei suicida, nel 1911, per evitare le sofferenze della vecchiaia (questo quanto egli ebbe a scrivere nel suo testamento: “Sano di corpo e di spirito, mi uccido prima che l'impietosa vecchiaia mi tolga a uno a uno i piaceri e le gioie dell'esistenza e mi spogli delle forze fisiche e intellettuali. Affinché la vecchiaia non paralizzi la mia energia, non spezzi la mia volontà e non mi renda un peso per me e per gli altri.

Da molto tempo mi sono ripromesso di non superare i settant'anni; ho fissato la stagione dell'anno per il mio distacco dalla vita e ho preparato il sistema per mettere in pratica la mia decisione: un'iniezione ipodermica di acido cianidrico. Muoio con la suprema gioia della certezza che, in un prossimo futuro, la causa alla quale mi sono votato da quarantacinque anni trionferà. Viva il Comunismo. Viva il Socialismo Internazionale!”).

Paul Lafargue e la sua vita rappresentano un inno all'emancipazione e al diritto di affermare l'essere umano, senza dogmi religiosi, costrizioni morali, costrizioni lavorative, psicologiche, sociali.

Direttore de “La Défense nationale” di Bordeaux nel 1870 e sostenitore della Comune di Parigi, fu fondatore del Partito Operaio Francese nel 1882 e fu eletto deputato nel 1891, pur trovandosi in prigione a causa della sua attività rivoluzionaria.

In prigione scrisse uno dei saggi fondamentali, ovvero “Il diritto all'ozio”, opera comprendente una serie di suoi articoli. E, successivamente, ebbe contatti con eminenti figure del socialismo europeo, quali Karl Liebknecht e Vladimir Lenin.

E proprio “Il diritto all'ozio” sembra essere saggio fondamentale in questo periodo di crisi globale, laddove in Francia il padronato, sostenuto da un governo liberal-autoritario, come quello di gran parte dei Paesi d'Europa, sembra voler seguitare ad imporre le sue leggi.

Leggi fatte di: più crescita economica (che non sarà mai illimitata e continuerà a produrre diseguaglianze, inquinamento e merci in eccesso); innalzamento dell'età pensionabile; più spese militari; meno spesa sanitaria.

Paul Lafargue così scriveva, nel 1883, con uno spirito che Karl Kautsky definiva “pieno d'umorismo, di spirito e di arguzia”, ma potrebbe essere oggi:

Una strana follia possiede le classi operaie delle nazioni dove regna la civiltà capitalista. Questa follia trascina al suo seguito miserie individuali e sociali che da secoli torturano la triste umanità. Questa follia è l'amore per il lavoro, la passione nociva del lavoro, spinta fino all'esaurimento delle forze vitali dell'individuo e della sua progenie.

Nella società capitalista il lavoro è la causa di tutta la degenerazione intellettuale, di tutta la deformazione organica.

I Greci dell'epoca d'oro non avevano che disprezzo nei confronti del lavoro: agli schiavi solamente era permesso di lavorare, l'uomo libero conosceva soltanto gli esercizi fisici ed i giochi d'intelligenza.

I filosofi dell'antichità insegnavano il disprezzo del lavoro, forma di degradazione dell'uomo libero; i poeti cantavano l'ozio, dono degli dèi: O Meliboe, Deus nobis hæ cotia fecit.
Nella nostra società quali sono le classi che amano il lavoro per il lavoro? I contadini proprietari e i piccoli borghesi; i primi chini sulla terra, gli altri rintanati nelle loro botteghe, si muovono come la talpa nella sua galleria sotterranea e mai alzano il capo per contemplare a proprio piacimento la natura.
Il proletariato tradendo i suoi istinti e misconoscendo la sua missione storica, si è lasciato pervertire dal dogma del lavoro. Dura e terribile è stata la sua punizione. Tutte le miserie individuali e sociali sono sorte dalla sua passione per il lavoro.
Le officine moderne sono diventate delle case ideali di correzione dove si incarcerano le masse operaie, dove si condannano ai lavoro forzati per dodici o quattordici ore non solo gli uomini, ma anche le donne e i bambini.
Se le sofferenze del lavoro forzato, se le torture della fame si sono abbattute sul proletariato più numerose delle cavallette della Bibbia, è il proletariato che le ha chiamate.
La nostra epoca, si dice, è il secolo del lavoro, in realtà è il secolo del dolore, della miseria e della corruzione.

(…). Introducete il lavoro salariato e addio gioia, salute, libertà: addio a tutto ciò che rende la vita bella e degna di essere vissuta.
Lavorate, lavorate proletari per accrescere la ricchezza sociale e le vostre miserie individuali. Lavorate, lavorate, perché diventando più poveri avrete più ragioni per lavorare e per essere miserabili. Questa è la legge inesorabile della produzione capitalista.”

Una lezione importante, quella di Paul Lafargue, che non avrebbe voluto affatto una “Repubblica fondata sul lavoro”... specie se il lavoro finisce per essere sfruttato e se i suoi politici (di centrodestra e di centrosinistra antisocialisti) rinnegano il principio che sancisce di “ripudiare la guerra”, ma una democrazia fondata sull'emancipazione dei cittadini e sul loro diritto all'autogestione e all'autodeterminazione. Senza padroni di nessun tipo.

Questo il senso del socialismo di Paul Lafargue e di molti socialisti dell'800 e del '900, che hanno precorso i tempi e che hanno insegnato ieri e oggi, ciò che molti, ieri ed oggi, ancora non riescono a vedere.

Luca Bagatin

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venerdì 17 marzo 2023

Francia. La Storia in piazza. Napoleone e De Gaulle contro Macron vincono 10 a zero. Articolo di Luca Bagatin

L'avete mai vista la Storia in piazza?

No, dico, avete mai visto scendere in piazza i Bonaparte (Napoleone I e III), i De Gaulle, lo spirito del 1789, quello di Jean Jaurès, di Pierre Leroux e di tanti grandi repubblicani, socialisti e bonapartisti che la Storia (appunto!) di Francia abbia mai avuto?

Ecco, è quanto succede da giorni nella Francia governata in modo autoritario dal liberale di estrema destra Emmanuel Macron, che vuole aumentare l'età pensionabile da 62 a 64 anni e oggi lo fa persino senza il voto del Parlamento!

Un Parlamento le cui opposizioni sono, come la maggioranza dei cittadini francesi e dei sindacati francesi, sul piede di guerra nei confronti di un governo senza vergogna e non da oggi, ma almeno dal 2017!

Una situazione che ricorda tanto la Russia del 2018, con le opposizioni di sinistra e i cittadini russi che non accettavano l'altrettanto iniqua riforma delle pensioni voluta dal liberal conservatore autoritario Putin, che portò l'età pensionabile a 65 anni per gli uomini e a 60 per le donne.

In barba allo spirito di Lenin, di Herzen e dei grandi pensatori e rivoluzionari russi, il cui spirito alberga ancora oggi nei cittadini intellettualmente onesti.

Che chiedono, in ogni parte del mondo liberal capitalista: pace, diritti sociali, democrazia diretta, ovvero la possibilità di decidere per conto proprio e che hanno compreso che i politici, specie se liberali (ma non democratici), sono lì non per servire il cittadino, ma per privarlo dei propri diritti e della propria capacità decisionale.

Rendendolo così depresso, triste, una macchina da spremere nel sistema fiscale, economico, sociale.

In Italia dormiamo da sempre, invece, okay, lo sappiamo.

Dal 2019 abbiamo accettato di andare in pensione a 67 anni. Nessuno ha battuto ciglio.

Nemmeno un sindacato che, oggi, non stupisce andare a braccetto con la Meloni, ovvero con l'Agenda Draghi al governo.

Quanto alla sinistra, in Italia non esiste più dal 1992.

Del resto, anche se l'Italia è altrettanto ricca di Storia, i nostri Eroi, ovvero i Mazzini e i Garibaldi, i d'Annunzio e i Bettino Craxi furono sconfitti dai Savoia, dai Nitti, dai Crispi, dai Mussolini, dai Berlinguer, dai d'Alema, dagli Almirante e dalle Meloni.

E il popolo ha preferito salire sul carro del vincitore che era lì, pronto per fare le scelte opposte rispetto a quelle della volontà popolare.

L'avete mai vista la Storia in piazza, in Italia? No. Già molto se, la Storia, in Italia, è conosciuta.

Abbiamo però visto le Schlein e le Meloni invocare entrambe l'invio di “Più army!”.

Come se il clima da bomba atomica non fosse già sufficientemente inquietante così com'è da un anno a questa parte.

Abbiamo visto i sindacati andare a braccetto con i padroni.

Abbiamo visto però, anche, che i cittadini italiani disertano sempre più le urne, nel Lazio come in Lombardia. Dimostrando, così, di non essere sciocchi e di non avere più alcuna voglia di farsi menare per il naso.

Il liberalismo ha fallito e per una buona ragione. Troppo spesso è stato compromesso dalle persone che lo rappresentavano”, diceva e a ragion veduta lo scrittore e giornalista statunitense Hunter S. Thompson.

Oggi come non mai appare evidente. Ma occorre esserne consapevoli, prima di essere seppelliti, tutti quanti, da un'infinita coltre di depressione collettiva indotta (dal Potere), agevolando così il definitivo avvento dell'intelligenza artificiale che, chissà se è o sarà poi davvero così intelligente...

Luca Bagatin

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venerdì 10 marzo 2023

Nati il 12 marzo: d'Annunzio e Kerouac, capostipiti della controcultura contro le follie del Potere. Articolo di Luca Bagatin

E' curioso notare come due spiriti ribelli, eretici, erotici, senza etichette ideologiche precostituite, siano nati lo stesso giorno.

Il 12 marzo.

Gabriele d’Annunzio (nato nel 1863) e Jack Kerouac (nato nel 1922) hanno condiviso molto, oltre al solo giorno di nascita.

Entrambi artisti dotati di un profondo senso del Sacro, hanno creato una controcultura e hanno influenzato profondamente le controculture, negli anni successivi alla loro morte.

Gabriele d’Annunzio, poeta, amante delle donne e della bellezza in tutte le sue forme, dandy e rivoluzionario al contempo, leader politico libertario e contro il potere, il totalitarismo, la casta politica liberal-capitalista dilagante in un'Europa non così diversa e da quella di oggi.

Aspetti che si mostreranno pienamente, in d’Annunzio, nella sua Impresa di Fiume e con la fondazione della Repubblica o, meglio, della Reggenza del Carnaro.

Un’esperienza comunista libertaria (“Io sono per il comunismo senza dittatura. È mia intenzione di fare di questa città un’isola spirituale dalla quale possa irradiare un’azione, eminentemente comunista, verso tutte le nazioni oppresse”, spiegò d’Annunzio in un’intervista ad una rivista anarchica), avanguardista, spiritualista.

Una Repubblica che avrebbe, per la prima volta nella Storia, dato la possibilità all’arte e alla “fantasia” di essere al potere, per divenire, in realtà, una forma di anti-potere e di esaltazione del bello e del Sacro. Che è esaltazione dell'(anti)politica degli spiriti liberi dalle convenzioni e dalle sovrastrutture, contrapposta alla fredda “realpolitik” dei potenti e di coloro i quali vorrebbero schiacciare i popoli, in nome del profitto.

Una Repubblica, quella d’annunziana, che permise e promosse le libertà sessuali (con relativa tolleranza e pratica dell’omosessualità), la libertà di associazione, la libertà di divorziare, la libertà religiosa e la libera ricerca spirituale (l’aviatore Guido Keller e lo scrittore Giovanni Comisso fondarono la rivista “Yoga”, che proponeva una visione esoterica, teosofica e spirituale della realtà), la proibizione dei crocifissi nei luoghi pubblici, l’assistenza ai disoccupati e ai non abbienti, la promozione dei referendum, la promozione e il sostegno alla scuola pubblica, il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario ecc… tutte cose che nemmeno l’attuale Repubblica italiana sembra appieno garantire.

Tutte cose certamente lontane dallo spirito dell'Unione Europea, che è così simile all'Europa grigia e conformista che d'Annunzio detestava.

Recentemente ho visto il bellissimo film "Il cattivo poeta", di Gianluca Jodice, nel quale Sergio Castellitto interpreta un anziano Gabriele d'Annunzio, messo sotto controllo dai servizi segreti del regime fascista.

Il film racconta, dall'inizio alla fine, una storia profondamente vera.

Ovvero di quanto quel pallone gonfiato, senza arte né parte, di Benito Mussolini avesse paura di d'Annunzio e di come questi, nonostante l'età avanzata, non lesinasse critiche al fascismo, che pur in un primo tempo aveva sostenuto, ingenuamente.

In particolare d'Annunzio criticava aspramente l'alleanza fra Italia e Germania hitleriana e previde, già nel 1936 - 1937, come questa nefasta alleanza avrebbe portato alla guerra e alla totale sconfitta.

Molto toccante il fatto che il Federale fascista, Giovanni Comini, che aveva il compito di sorvegliare d'Annunzio, proprio grazie alla frequentazione con il poeta, si sia convertito all'antifascismo e si sia fatto espellere dal partito fascista.

Il film mi ha fatto riflettere anche su come Mussolini abbia tentato di copiare la comunicazione di d'Annunzio e, pur stravolgendola, abbia tentato di farla propria.

Mussolini era totalmente privo di senso artistico, di creatività, di umanità. Copiare è tipico degli spiriti inetti e mediocri, infatti.

Anche Putin, in Russia, ha tentato di appropriarsi - stravolgendole - delle idee dello scrittore, poeta e leader politico Eduard Limonov, che fu uguale pressoché in tutto e per tutto a d'Annunzio (compreso il fatto che fu arrestato e messo sotto controllo dal regime).

Il Potere – occupato quasi sempre da inetti - cerca sempre di portare gli artisti dalla sua parte, ma gli artisti sono oltre e combattono sempre il Potere.

Solo loro e non il Potere, peraltro, conservano e portano avanti idee di eroismo, patriottismo, amore per i popoli.

Ovvero l'esatto opposto di quanto fanno i potenti e i politicanti al potere.

Jack Kerouac, a Fernanda Pivano, in una celebre intervista, dichiara che il poeta italiano che preferisce è Gabriele d’Annunzio. Sarà un caso? Sarà un caso che entrambi abbiano avuto lo stesso identico spirito, libero da ogni convenzione?

Jack Kerouac era, esattamente come d’Annunzio, un libertario senza etichette. Lontano dalla politica partitica. Ma nonostante ciò, come d’Annunzio, dopo la morte, tutti coloro i quali non li hanno mai letti né approfonditi, avrebbero voluto etichettarli (sbagliando in pieno!).

Nel modo di vivere di Kerouac e nei suoi romanzi, c’è la spasmodica ricerca del Sacro, che egli trova e vive nel buddismo zen unito al cattolicesimo. Che vive e pratica, purtuttavia, senza dogmatismo, senza moralismo, così come vive per tutta la sua vita.

Fatta sia di vagabondaggi che di lunghe giornate passate con l’amata madre ed il suo amato gatto Tyke.

Kerouac è disgustato dalle mode, è disgustato dalla politica. Lui ama solo la bellezza e esalta la dolcezza, che ama vedere ed esaltare nella spiritualità orientale, nelle donne, nella poesia.

E’, come d’Annunzio, molto depresso, certo. E si lascia andare alle sregolatezze dell’alcol e del fumo, che lo porteranno a una prematura morte, a soli 47 anni.

Lasciando ai suoi amici – Allen Ginsberg (amante della mistica orientale) e William S. Burroughs (amante della magia crowleyana) in primis, pur molto più politicizzati di lui – l’eredità della Beat Generation, di cui fu capostipite.

Un’eredità che non sarebbe andata sprecata, ma che avrebbe proseguito il cammino dell’arte libera e creativa, del libero pensiero, della controcultura e della libera ricerca spirituale, senza moralismi né dogmatismi.

I media statunitensi amavano burlarsi di Kerouac. Lo chiamavano per intervistarlo in stato di ubriachezza. Ma a lui non importava, non ascoltava nemmeno le domande degli ipocriti giornalisti intervistatori, perché era sempre al 100% sé stesso, come ebbe a dire Bill Burroughs.

Non era decisamente un prodotto della cosiddetta “America Way of Life” Anni ’50, ma anzi, avrebbe rifiutato tutti quei valori, per essere semplicemente un artista, uno scrittore, un poeta.

Lui, in realtà, amava dire che si vedeva semplicemente come uno “strano solitario pazzo mistico”.

Non gli importava essere osannato, amato, ammirato.

Come d’Annunzio, che non si sarebbe fatto ingabbiare da nessuna corrente, ma ne avrebbe creata una propria.

E, forse proprio non per caso, sia d’Annunzio che Kerouac, decenni dopo, avrebbero influenzato altre controculture, che anche a loro si sarebbero ispirate.

Stiamo parlando in particolare del movimento degli Indiani Metropolitani, nell’Italia della metà degli Anni ’70, di cui Mario Appignani – detto “Cavallo Pazzo” – sarà uno degli esponenti (e che merita rispetto e approfondimento per la sua vicenda personale, dalla denuncia dei brefotrofi lager nei quali visse la sua infanzia, alle sue battaglie successive). Oltre che dei nazionalbolscevichi di Eduard Limonov in Russia, che avranno sia Kerouac che d’Annunzio (oltre che Hunter S. Thompson, David Bowie e altri) come riferimento artistico e culturale.

Limonov stesso, peraltro, negli anni vissuti negli Stati Uniti, conobbe il poeta beat Lawrence Felingetti, che per primo pubblicò i romanzi di Kerouac, Ginsberg e dei beatnik in generale.

E' forse emblematico che Pier Paolo Pasolini avrebbe voluto affidare la parte di Gesù detto “Il Cristo” proprio a Jack Kerouac, nel suo “Il Vangelo secondo Matteo”, del 1964.

Una parte che Kerouac avrebbe accettato con entusiasmo, ma, purtroppo, Pasolini, vedendo le foto più recenti di Kerouac, invecchiato e imbruttito dall'abuso di alcol, tornò sui suoi passi, scegliendo Enrique Irazoqui, attore, scacchista e antifascista spagnolo, per la parte del Cristo.

Fu forse un'occasione mancata, perché Kerouac avrebbe potuto interpretare un ottimo Cristo, lontano dalla vulgata, terreno, persino alcolizzato, ma profondamente spirituale, un po', forse, come il Cristo interpretato da Mino Reitano nel film “Povero Cristo” di Pier Carpi, del 1976.

D'Annunzio e Kerouac, come coloro i quali hanno affascinato, rimangono dunque fari in mezzo alla tempesta.

Lo erano ai loro tempi, figuriamoci oggi, in questi tempi oscuri, infausti, nei quali il Potere sembra mostrare tutta la sua insensatezza, la sua sconsideratezza, la sua follia tutt'altro che lucida.

Luca Bagatin

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domenica 5 marzo 2023

Hugo Chavez, il Garibaldi venezuelano e le conquiste della Rivoluzione Bolivariana. Articolo di Luca Bagatin

 

Il 5 marzo 2013 morì uno dei migliori Presidenti al mondo, oltre che miglior Presidente che il Venezuela abbia mai avuto: il socialista Hugo Chavez Frias.

Personalità che ricordava molto il nostro Giuseppe Garibaldi e che anche a Garibaldì si ispirò direttamente.

Negli anni ho scritto molto su di lui, dedicandogli anche un capitolo del mio saggio “Amore e Libertà – Manifesto per la Civiltà dell'Amore”, pubblicato da IlMioLibro nel 2019.

Nel marzo 2016, in particolare, scrissi un lungo articolo a lui dedicato, che vorrei qui riportare, per celebrarne la memoria civile e politica, specialmente in un'epoca di assurdi conflitti come quella che stiamo vivendo.

Un'epoca nella quale il socialismo sembra essere morto, ucciso dal capitalismo e dall'odio, ma che è l'unica medicina contro l'ego, la violenza, la devastazione e l'odio stesso.

HUGO CHAVEZ, IL GARIBALDI VENEZUELANO E LE CONQUISTE DELLA RIVOLUZIONE BOLIVARIANA

Articolo di Luca Bagatin del 6 marzo 2016

La stampa italiana parla di ciò di cui non sa o di cui sa poco.

Ed emargina chi ha lavorato, per tutta una vita, a ricostruire la Storia, la cultura e la politica dell'America Latina.

Stiamo parlando del giornalista e scrittore Gianni Minà che ha contribuito, il 5 marzo scorso, a commemorare il terzo anniversario della morte dell'indimenticato Presidente del Venezuela Hugo Chavez Frìas, presso il Teatro Vittoria nello storico quartiere romano di Testaccio.

Minà, assieme all'Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Dott. Julian Isaias Rodriguez Diaz, di fronte ad una platea gremita, ha presentato la storica intervista che fece al Presidente bolivariano Chavez nel 2003.

Di Hugo Chavez abbiamo spesso scritto e presentato la sua ascesa al potere, ovvero a restituire quel potere al suo popolo: nel nome di Simon Bolivar, il condottiero al quale si ispirò per tutta la vita.

Hugo Chavez, il Presidente che viene dalla periferia venezuelana, nato povero ed il cui padre fu un umile maestro elementare in un'epoca in cui il Venezuela era una democrazia mascherata, ove si alternavano – spartendosi il potere e la corruzione – il partito di centrosinistra Accion Democratica ed il partito democristiano e di centrodestra COPEI, di fatto servi delle politiche del Fondo Monetario Internazionale e degli Stati Uniti d'America.

Hugo Chavez è dunque costretto ad entrare nell'esercito, al fine di riscattare la sua condizione sociale ed ambire a diventare un giocatore di baseball professionista, come egli desidera sin da bambino. Purtuttavia gli studi accademici e militari gli permetteranno di conoscere la leggendaria figura di Simon Bolivar, El Libertador del Venezuela e dell'America Latina dall'Impero di Spagna nel XIX secolo e ciò lo spingerà ad intraprendere un'impresa simile a quella compiuta da Bolivar nei primi anni dell'800: liberare il Paese dalla corruzione e dall'imperialismo economico straniero, nordamericano e multinazionale.

Questo, in sostanza, il quadro nel quale si trova a vivere il giovane Chavez, ricordato da Gianni Minà e dall'Ambasciatore venezuelano Rodriguez Diaz.

Il Chavez che il 4 febbraio del 1992, attraverso un'insurrezione militare di stampo bolivariano tenta di far sollevare la popolazione contro il governo corrotto di Carlos Andres Perez. Purtuttavia, anche se fallirà, riuscirà comunque nel suo intento nel 1998 attraverso l'investitura democratica, candidandosi alla Presidenza da outsider – vilipeso ed osteggiato da tutti, sia in Venezuela che all'estero e dipinto come un dittatore autoritario – con il Movimento Bolivariano Quinta Republica e ottenendo il 56% dei voti, sorprendendo tutti.

Da allora sarà rieletto con percentuali del 60% sino alla prematura morte nel marzo 2013.

E ciò è spiegabile solo attraverso i sorprendenti risultati in termini di emancipazione sociale e di indipendenza economica e nazionale ottenuto dai governi chavisti.

L'anniversario della morte di Hugo Chavez, come ricordato dall'Ambasciatore Isaias Rodriguez Diaz, è infatti un momento di lutto, ma anche di gioia, in quanto ricorda il simbolo della Rivoluzione Bolivariana che ha infiammato l'intera America Latina dal 1998 in poi, attraverso modificazioni sociali importanti che, da Venezuela passando per il Nicaragua, la Bolivia, il Brasile, l'Uruguay, l'Ecuador e l'Argentina ha reso finalmente protagonisti i popoli oppressi attraverso Presidenti che hanno messo al primo posto della loro agenda politica la sovranità nazionale, l'emancipazione economica, la lotta alle diseguaglianze sociali, la lotta all'analfabetismo e per una sanità più efficiente e gratuita per tutti.

Realtà che purtuttavia da tempo ed oggi sempre di più, rischiano di tornare indietro a causa dei tentativi golpisti in Ecuador e mediatico-giudiziari, non ultimo il caso dell'arresto e poi del rilascio dell'ex Presidente del Brasile Lula, all'indomani della sua dichiarazione di voler ricandidarsi alla Presidenza della Repubblica. Per non parlare della delegittimazione a livello internazionale della meritoria opera di emancipazione sociale portata avanti dai governi peronisti argentini dei coniugi Kirchner. Operazione che oggi ha portato alla vittoria – in Argentina - la destra più reazionaria, che sta smantellando i diritti sociali e civili ottenuti in questi ultimi decenni.

Notizie che, in Italia e in Europa, per compiacere taluni interessi economici “occidentali”, o non arrivano oppure vengono totalmente distorte.

Ciò che ci preme qui sottolineare sono infatti le parole di Gianni Minà, che coerentemente si è posto fuori dal panorama mediatico italiano da diverso tempo e che, attraverso reportage, interviste ed inchieste, ha documentato l'universo latinoamericano, dall'Avana sino a La Paz e oltre.

Minà ha esordito dicendo che la cosa che lo ha portato ad intervistare Hugo Chavez nel 2003 è stato il fatto che in Occidente fosse dipinto come un pagliaccio da circo. Un pagliaccio da circo che però, non volendo sottostare alle politiche di privatizzazione e di svendita del Paese imposte dal Fondo Monetario Internazionale, era scomodo agli Stati Uniti d'America.

Un pagliaccio che, guarda caso, sarà, alla sua morte, pianto da oltre 2 milioni di persone ed al suo funerale saranno presenti ben 33 Capi di Stato e di Governo!

Chavez pagliaccio, o, piuttosto, un grande riformatore sociale degno di Bolivar e del nostro Giuseppe Garibaldi, come mi piace spesso rammentare?

Prima della proiezione della docu-intervista, Minà ha colto l'occasione per far presente che l'America Latina ha comunque un grande alleato in Papa Francesco, che sarà protagonista di un suo documentario che sarà presentato in anteprima a Cannes e dal titolo emblematico: “Papa Francesco, Cuba e Fidel”, nel quale non si potrà non parlare della fine dell'assurdo embargo imposto dagli USA contro l'Isola Caraibica, durto ben cinquantacinque anni.

L'intervista a Chavez – raccolta peraltro in un volumetto a cura dell'Ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela e distribuito a noi partecipanti dell'evento e dal bellissimo titolo “A cuore aperto” - è la dimostrazione di come Hugo Chavez non sia affatto l'ennesimo caudillo sudamericano e di come egli, lungi dall'ispirarsi al comunismo o al marxismo, si ispiri autenticamente al bolivarismo ed al socialismo libertario, citando talvolta anche Montesquieu e spessissimo Cristo, figura di grande rivoluzionario sociale.

Chavez si definisce un uomo del popolo o, come diceva Bolivar di sé stesso, una debole pagliuzza trascinata dall'uragano rivoluzionario e, iniziando così, racconta la sua vita e le sue prime imprese nell'esercito ed il suo progetto di riscatto sociale, culminato con la sua elezione e la nascita della Repubblica Bolivariana del Venezuela con una nuova Costituzione approvata con referendum popolare a larghissima maggioranza: finalmente democratica e non più ad uso e consumo dei partiti corrotti e finalmente rispettosa dei diritti umani fondamentali (ovvero l'esatto opposto di quanto i media occidentali avrebbero voluto farci credere !) e che sancì per la prima volta nella Storia del Venezuela l'introduzione del concetto di democrazia partecipativa e l'introduzione del referendum revocatorio di tutte le cariche pubbliche nella seconda metà de mandato, compresa quella del Presidente.

Delle conquiste della Rivoluzione Bolivariana ispirata da Chavez abbiamo parlato in molti altri articoli, ma l'Ambasciata venezuelana ha voluto realizzarne un agilissimo e colorato volume esplicativo, con tanto di numeri e dati che la grande stampa, purtroppo, non riporta mai, facendoci così credere che il Venezuela sia un paesello del quarto mondo in mano a corrotti e assassini!

Volendo riassumere, la Rivoluzione Bolivariana chavista, in particolare grazie ai proventi derivanti dal petrolio, che è stato nazionalizzato, ha istituito diverse missioni sociali rette e dirette dal popolo stesso: pensiamo alla Mision Barrio Adentro (letteralmente “dentro il quartiere”), dedicata all'assistenza sanitaria gratuita specie nei quartieri popolari, ove sono stati istituiti consultori medici famigliari, centri diagnostici integrati e centri ospedalieri specializzati. Il tutto grazie anche alla consulenza ed all'intervento di medici cubani (e non dimentichiamo che, a dispetto di quanto si tende a credere da noi, Cuba ha uno dei migliori sistemi sanitari al mondo, sia in termini di efficienza che di risultati, con tassi di mortalità infantile fra i più bassi al mondo ed un ottimo sviluppo delle biotecnologie).

Pensiamo poi alla Mision Robinson, dedicata all'alfabetizzazione, che ha portato ad imparare a leggere e a scrivere un milione e mezzo di persone; alla Mision Ribas, dedicata a completamento degli studi secondari superiori; alla Mision Sucre dedicata al sostegno degli studenti di livello universitario. Vi sono poi altre missioni sociali istituite dal Governo Chavez, quali la Mision Negra Hipolita, dedicata al recupero delle persone emarginate e la Mision Sonrisa, che mira a dotare di protesi dentaria le persone che non se le possono permettere economicamente.
L'Unesco ha dichiarato il Venezuela, nel 2005, Paese libero dall'analfabetismo, oltre che essere stato premiato dalla Fao quale esempio per il mondo nella lotta alla fame ed alla povertà.
Chavez, non a caso, ha sempre sostenuto che occorre dare potere ai poveri, affinché essi si liberino dalla povertà.

In termini sanitari, poi, sono state salvate 10mila vite da un solo ospedale cardiologico istituito nel 2006 e le riforme in campo sociale non si fermano certo qui, ma sono elencate e dettagliatamente illustrate nell'opuscolo, a cura della Dott.ssa Marianela Urdaneta, reperibile presso l'Ambasciata.
Si tanga conto che il Governo Bolivariano ha investito, in sedici anni, ovvero dal 1999 al 2015 ben 732 miliardi di dollari in ambito sociale, pari al 64% delle entrate totali del Paese !
Tutto ciò ha diminuito del 57% la denutrizione, la fame si è ridotta dal 21% al 5%, il salario minimo dei lavoratori è aumentato di 30 volte, la mortalità infantile si è ridotta.
In tutto ciò è innegabile il fatto che gli interessi geopolitici che condizionano il sistema dei prezzi all'interno dell'OPEP ha portato ad una forte diminuzione del prezzo del petrolio, principale fonte di guadagno del Venezuela, e ciò ha rallentato di molto i successi ottenuti dal chavismo.
Purtuttavia, come dichiarato dall'attuale Presidente chavista del Venezuela Nicolas Maduro e come già previsto da Chavez nel suo “Plan de la Patria”, l'obiettivo è quello di abbandonare progressivamente l'attività estrattivista ed investire maggiormente in agricoltura ed energie rinnovabili.

Mi piacerebbe chiudere questo lungo resoconto sul Venezuela di oggi attraverso l'ultima domanda che Gianni Minà pose all'allora Presidente Hugo Chavez a proposito della “guerra” continua e sotterranea che gli Stati Uniti d'America hanno dichiarato al Venezuela, con vari tentativi di destabilizzazione (fra cui il tentato golpe anti-chavista del 2002, fortunatamente evitato grazie all'appoggio del popolo venezuelano, schieratosi dalla parte del legittimo governo di Chavez): come finirà tutto questo Presidente ? In un bagno di sangue ?
Hugo Chavez risponde, sicuro, di no. “E glielo dico con la mano sul cuore: terminerà in un bagno d'amore. E' questa la via che abbiamo intrapreso verso un mondo migliore e possibile. Così spero che questa sfida apra le porte a un mondo nel quale vivremo come fratelli. Gesù diceva “Quando vivrete come fratelli, in ecclesia, sarà con voi”. Ed è in quella direzione che stiamo andando”.
Hugo Chavez, il sognatore bolivariano, l'utopista cristiano, il riformatore sociale e l'uomo di governo.
Il Presidente dell'Amore che non dimenticheremo mai.

Luca Bagatin, 6 marzo 2016

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venerdì 3 marzo 2023

Pensiamoci liberi, ma non lo siamo. Quindi, illudiamoci di essere liberi. Riflessioni di Luca Bagatin

 

Tutti pensano di avere la soluzione a tutto. E ti chiedono la tua opinione (come se contasse qualcosa), quasi sempre con l'intento di provocarti.

Io non so nemmeno che cazzo mi cucinerò questa sera (e in generale prendo cose a caso dal frigorifero). Figurati se ho voglia di farmi provocare da qualcuno che pretende una mia opinione sui massimi sistemi.

In generale sono uno che ama studiare e approfondire, per conto suo. E non ho opinioni precostituite, perché:

a) avere delle opinioni non serve a niente;

b) le analisi possono portare a dei risultati, che spesso vanno a scontrarsi con qualsiasi tipo di opinione. E ogni persona razionale dovrebbe basarsi su fatti e non su opinioni;

c) qualsiasi idiota può avere un'opinione. Chi non è idiota, invece, dovrebbe studiare e approfondire, prima di prendere qualsiasi tipo di posizione, a cazzo.

 

Una volta al governo, destra e sinistra, in Italia e nei Paesi liberal capitalisti in generale, mostrano il loro vero volto: la sinistra finisce per essere guerrafondaia e liberale e la destra per essere fluida e buonista.

Nei fatti, insomma, non c'è nessuna differenza.


Il politicamente corretto va di pari passo con l'ignoranza.

Più studi e approfondisci e più capisci la complessità del mondo e il fatto che niente può essere politicamente corretto. Ma tutto può essere politicamente corrotto.

Più studi e approfondisci, poi, e meno hai modo di offenderti per ciò che il prossimo pensa di te.

Perché hai la consapevolezza che, il prossimo che ti offende, è semplicemente uno stupido.


I bulletti si muovono sempre in branco.

Personalmente non sono mai riuscito ad essere un bulletto, né mi sono mai mosso in branco.

Ho sempre preferito: a) pensare con la mia testa; b) stare da solo; c) diffidare dei gruppi e del branco.


La democrazia la fanno i cittadini.

Che studiano, approfondiscono, mantengono spirito critico e soprattutto che si uniscono fra loro, in spirito di fratellanza.

La dittatura la fanno i governi, che si fanno eleggere menando per il naso cittadini ignoranti e divisi fra loro.

 

Chi si offende per qualcosa lo fa perché, in cuor suo, sa che chi offende ha toccato qualche nervo scoperto e quindi vi è sempre un fondo di verità in quell'offesa.

Chi è sicuro di sé va avanti per la sua strada, se ne frega del giudizio altrui e trova coloro i quali giudicano o offendono, profondamente stupidi, inetti e indegni di considerazione.

 

Non amo il conformismo, soprattutto quando questo si traveste di presunte "libertà".

Gratta il liberal progressista, magari anche keynesiano e troverai il liberticida fascista.

Chi mi chiede perché, per tutta la vita, pur essendo un libertario assoluto e un anarco socialista, io abbia preferito di più gli schieramenti conservatori, può comprenderne la ragione.

 
 

Pensiamoci liberi.
Ma non lo siamo.
Quindi, illudiamoci di essere liberi.


In generale non ho mai avuto simpatia per il MSI e per il PCI e per le stesse ragioni.

Dogmatismo di fondo, ma altrettanta incoerenza di fondo.

L'incoerenza, in particolare, che portò entrambi i partiti e le loro emanazioni successive (Fratelli Meloni o "Incoerentoni" e PD) a diventare servi del capitale e degli USA la si deve già ad Almirante e a Berlinguer.

Leader che non ho mai stimato, nemmeno in po'.

Per tutta la vita e sin da quando ero ragazzino, ho invece preferito sia la storia che le prospettive del Partito Socialista Italiano, da Turati a Nenni e Craxi.

Per ben due ragioni: il PSI si è sempre battuto contro ogni dogmatismo e totalitarismo e non ha mai ceduto nemmeno un po' al capitalismo e agli USA. Pur ribadendo la necessità di rimanere ancorati alla democrazia.

Questa l'abissale differenza fra i fascio-comunisti (o sedicenti tali) italiani e i socialisti.

E i socialisti, purtroppo, li hanno fatti fuori nel 1993. Anche grazie agli USA.

 

Amo molto tutte le culture del mondo e i miei migliori amici vengono dall'estero.

Ma, proprio per questo, sono convinto che le culture non si possano fondere e, quindi confondere, ma ciascuna vada valorizzata e supportata, nel suo habitat originario.

Solo un popolo senza una cultura PROPRIA e ORIGINARIA, come quello statunitense, può pensare a omologare le culture e rendere tutta un'unica cultura (o incultura) indistinta.

Il vero razzismo è l'omologazione delle culture, non la valorizzazione delle differenze e la ricerca delle proprie radici e della conservazione del proprio habitat naturale.


Il problema secondo me è che oggi si è più insicuri rispetto al passato e ci si offende per niente.

Personalmente sono nano e grasso e sono il primo a dirlo. È la verità e la verità non mi rende insicuro, perché non ho motivo per non accettarmi per come sono.

Semmai trovo stupido chi considera negativamente chi è basso di statura e ha un giro vita prominente.

La verità non è né buona né cattiva, ma a molti, troppi, non piace.

Perché si tiene troppo in conto il giudizio altrui.

Che, in realtà, non conta niente.

E allora si deve trovare il capro espiatorio.

Ma questo è molto sciocco e evidenzia solo profonda insicurezza, perché ci si lascia condizionare dallo stupido giudizio altrui.

Luca Bagatin

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