Roberto Giuliano
è un vecchio amico che già molti anni fa leggevo sul quotidiano
“L'Avanti”, quando ancora usciva in edicola.
Roberto è un
militante socialista di lungo corso, già attivo nel sindacato della
CGIL. Negli ultimi anni è stato vicino al movimento berlusconiano
Forza Italia ed impegnato nella Lista Marchini alle elezioni comunali
di Roma.
Da Roberto mi
dividono molte cose a cominciare forse dal fatto che lui socialista,
con il tempo abbia preso una strada a mio avviso molto lontana dal
socialismo originario. Diversamente da lui il mio percorso è stato
inverso, ovvero, partendo da una formazione politica liberal-radicale
e individualista sono approdato ad una visione socialista originaria,
comunitaria e autogestionaria.
Roberto ed io
proveniamo da generazioni diverse: lui, nato nel 1956, ha vissuto una
stagione di sostanziale benessere economico; il sottoscritto, nato
nel 1979, ha vissuto e vive nell'attuale epoca liquida, effimera e di
precariato endemico: sia in campo economico-sociale che umano.
Questo, in sostanza, ha segnato – a mio avviso – un diverso modo
di vedere le cose in ambito politico e sociale.
Fatte queste
premesse mi sento di fare una recensione critica al suo ultimo
saggio, edito dalle Edizione Ponte Sisto, “La via allegra al
socialismo” che, a mio avviso, è piuttosto una “via allegra e
(sin troppo) ottimistica al liberalismo”.
Ringrazio
innanzitutto Roberto per avermi citato ed aver riportato nel saggio
un mio articolo in memoria di Bettino Craxi, purtuttavia debbo dire
che nel suo saggio rilevo molto poco socialismo e molto liberalismo
classico.
Per citare un
autore al quale mi rifaccio in toto, ovvero Alain De Benoist, se per
liberale si intende tollerante e ostile alla burocrazia, non avrei
difficoltà a ritenere positivo tale termine. Purtuttavia il
liberalismo, antitesi massima del socialismo, è una dottrina sociale
e politica che sdogana l'individualismo e l'egoismo umano e dunque
tende ad anteporre il bene del singolo individuo di fronte all'intera
comunità. Ciò già di per sé mi fa ritenere il liberalismo
economico totalmente incompatibile con il socialismo che, come
giustamente citato nel saggio di Giuliano, fu termine coniato da
Pierre Leroux.
Mi spiace
purtuttavia notare che Roberto Giuliano citi Leroux una sola volta
nel saggio, mentre vi siano ampie citazioni di pensatori di matrice
liberale e liberista quali il prof. Luigi De Marchi e persino il
conte Camillo Benso di Cavour.
Pierre Leroux,
figura dimenticata dall'intellighenzia culturale europea, al pari
dell'antropologo socialista Marcel Mauss - teorico dell'economia del
dono - fu operaio e tipografo, aderente alla Carboneria e colui il
quale diede un'anima al termine “socialismo” ravvisandone il
carattere alternativo rispetto all'individualismo egoista (borghese
ed aristocratico) ed allo statalismo, proponendo dunque una società
autenticamente democratica, ovvero fondata sull'autogoverno e
l'autogestione.
Questo, in
sostanza, il discrimine fondamentale fra il socialismo delle origini
ed eventuali altre elaborazioni che hanno via via portato gli ideali
socialisti a compromettersi con la borghesia, il progressismo e
dunque l'individualismo.
Giustamente
Roberto Giuliano richiama nel suo saggio, oltre al già da me citato
De Benoist (che però non è affatto un pensatore “di destra”
come Roberto lo identifica), anche il filosofo francese Jean-Claude
Michéa (che non è affatto un “comunista non pentito” come
identificato da Roberto, bensì un ex iscritto al Partito Comunista
Francese, fortemente critico nei confronti della sinistra).
Roberto cita
questi due pensatori a proposito dell'analisi relativa alla “destra
ed alla sinistra”.
Tanto De Benoist
e Michéa rilevano infatti come né Marx, né Engels, Proudhon,
Sorel, Bakunin e tutti i teorici del socialismo, si siano mai
definiti “di sinistra”. La sinistra, infatti, dalla Rivluzione
Francese in poi, ha sempre identificato la classe borghese,
bottegaia, progressista e industriale contrapposta non solo
all'aristocrazia oligarchica della destra, ma anche alle classi
popolari e proletarie, rappresentate, appunto, dai socialisti, i
quali non erano affatto originariamente rappresentati nelle
istituzioni.
Michéa in
particolare rileva nel suo saggio “I misteri della sinistra” (da
me recensito al link
http://amoreeliberta.blogspot.it/2016/02/il-socialismo-non-e-di-sinistra-parola.html)
come il socialismo abbia iniziato a snaturarsi allorquando, ai tempi
dell'affaire Dreyfus, di fronte al rischio di colpo di stato
monarchico e clericale, i ceti popolari, operai e socialisti abbiano
accettato il compromesso – detto di “difesa repubblicana” - con
la sinistra parlamentare guidata da Adolphe Thiers, ovvero da colui
il quale nel 1871 soffocherà nel sangue la Comune di Parigi, unico
esempio di governo socialista ed autogestionario dell'800.
Roberto Giuliano
nel suo saggio, in sostanza preferisce abbracciare l'idea di un
socialismo “di sinistra”, ovvero non più socialismo, ma già
liberalismo e capitalismo definito infatti “modello
socialdemocratico”, di matrice liberale e borghese, rigettando il
concetto di “populismo”, ovvero di quel movimento popolare russo
– sorto alla fine dell'800 – a difesa dei ceti popolari e dei
servi della gleba.
In questo senso,
dunque, che cosa rimane del socialismo ? Poco o nulla. E non c'è da
stupirsi se dagli Anni '90 ad oggi (ma già le prime avvisaglie vi
furono negli Anni '80) tutti i partiti socialisti, socialdemocratici
e di sinistra siano e siano stati i migliori alleati del capitalismo
assoluto e precarizzante. Pensiamo ai vari Gonzales, Schroder, Blair,
Hollande Schulz e Renzi ed alle loro politiche in linea con i diktat
del Fondo Monetario Internazionale, della BCE, ovvero alle loro
politiche fatte di: privatizzazioni selvagge; austerità;
flessibilità del lavoro; rafforzamento delle élite e conseguente
perdita di sovranità popolare; apertura indiscriminata delle
frontiere e conseguente sfruttamento della manodopera straniera a
basso costo; rafforzamento delle istituzioni europee a scapito delle
diversità di ogni nazione e dei rispettivi popoli; politica estera
invasiva nei confronti di Stati sovrani – che peraltro ha favorito
il terrorismo internazionale come nel caso libico (ciò vale in
particolare per la Gran Bretagna di Blair - colpevole peraltro di
aver mentito al suo stesso popolo nella faccenda delle armi di
distruzioni di massa in Iraq rivelatisi inesistenti – e per la
Francia di Sarkozy e Hollande, rea non solo di aver barbaramente
fatto uccidere Gheddafi, ma anche di sostenere Paesi legati al
terrorismo come l'Arabia Saudita e di aver tentato di rovesciare il
governo laico siriano di Assad).
Non è un caso, a
mio avviso, che Roberto Giuliano nel suo saggio plauda a Keynes –
un economista liberale – ed alle politiche keynesiane della
sinistra borghese (ormai non più socialista anche quando dice di
definirsi tale) che di fatto, facendo un uso massiccio delle risorse
statali, non ha affatto garantito alcuna forma di emancipazione e di
autogoverno, ma solo un perpetrarsi del sistema economico capitalista
in favore delle imprese e della crescita illimitata e solo
marginalmente di quella che diventerà la gran massa di classe media
desiderante stigmatizzata dal filosofo Michel Clouscard e da Pier
Paolo Pasolini.
Il socialismo
originario – quello della Prima Internazionale dei Lavoratori, per
intenderci (comprendente non solo marxisti, ma anche anarchici,
mazziniani e garibaldini) – mirava non già a perpetrare il sistema
capitalistico e nemmeno a statalizzare l'economia, bensì a superarle
entrambe, ovvero a socializzare, garantendo la più ampia
partecipazione economica, politica e sociale dei cittadini al sistema
economico, politico e sociale. Ovvero mirava ad una società
democratica negata non solo dal comunismo nella sua accezione
sovietica (completamente distante da ogni visione marxista
originaria), ma anche e soprattutto da quella capitalistica e
liberale, la quale ha da sempre garantito l'accesso democratico
unicamente per censo (quanti sono oggi i politici meno abbienti,
disoccupati e/o operai ?) o per classe sociale.
Fra le frasi che
mi hanno stupito in particolare, nel saggio di Roberto Giuliano, una,
ovvero: “le condizioni di vita sociali e civili dei popoli
dell'occidente sono in assoluto migliori nel mondo, ma anche di
quelle vissute dai loro avi”. Mi stupisce l'eccessivo ottimismo
di Roberto ed il suo, a mio avviso, essere disincantato e lontano
dalla realtà. Una realtà di una società liquida e precaria, ove i
giovani non solo non avrano un futuro (in termini previdenziali,
oltre che sociali) in quanto negato dalle politiche restrittive del
Fondo Monetario Internazionale e degli organismo sovranazionali, ma
nella quale non hanno alcun presente certo, stabile, sereno. E mai
come in quest'epoca le coscienze sono più annichilite e spente,
grazie a “sfogatoi” mediatici e virtuali quali i cosiddetti
“social” network, ovvero la negazione di ogni rapporto reale e
sociale. E grazie a bisogni indotti da una pubblicità commerciale
sempre più invasiva e pervasiva, sempre più seduttiva e ammorbante,
la quale rende i cervelli più giovani sempre più prede del mercato
e dunque del lavoro. Di un lavoro ormai precario e sottopagato:
quello dei call center, dei lavoretti pagati con i voucher (sic !),
dello sfruttamento puro ma mascherato da “opportunità” che,
nella realtà, non esistono o se esistono sono unicamente opportunità
per le imprese e le multinazionali straniere (siano esse
statunitensi, inglesi, cinesi o russe).
E qui, infatti,
torniamo al discorso fatto da Clouscard
(http://amoreeliberta.blogspot.it/2016/09/michel-clouscard-filosofo-comunista_79.html)
a proposito della sostituzione del “principio di realtà”
attraverso l'ideologia del desiderio che ha addestrato – attraverso
il merketing, la televisione e un sistema scolastico-educativo
distrutto ad hoc - la nuova classe media a consumare sempre di più,
distaccandosi così da valori semplici e antichi, dalla propria
cultura originaria e dal senso di realtà, identità, affettività e
stabilità.
Ecco dunque che
occorrerebbe un ritorno al socialismo vero e autentico, capace di
porre un freno ed una critica radicale al liberalismo, al
progressismo, al consumismo, alla crescita illimitata, al precariato.
E non è affatto utile tentare di “riformare il capitalismo” come
ravvisa l'amico Roberto Giuliano, in quanto equivarebbe a tantare di
“riformare un virus” anziché debellarlo. Il capitalismo è il
virus: la cura è il socialismo e la democrazia partecipativa, ovvero
il superamento del capitalismo per approdare all'autogestione ed
all'autogoverno. Come prospettato dal già citato Pierre Leroux.
Altra riflessione
che mi ha stupito del saggio di Roberto Giuliano è quella relativa
al colonialismo, nel punto in cui egli scrive che esso ha portato la
modernità nelle società mediorientali, una modernità preferibile
rispetto alle società tribali. In questo senso mi permetto di
consigliargli la lettura del “Saggio sul dono” dell'antropologo
socialista Marcel Mauss, il quale in realtà spiega quanto
lungimirante e naturale fosse il sistema fondato sul dono tipico
delle società arcaiche e come questo sia stato stravolto proprio da
questa ondata violenta di modernità individualistico-egoista.
Il colonialismo
in particolare, lungi dal modernizzare civiltà antichissime e forse
superiori intellettualmente rispetto a quelle occidentali, ne ha
fatto strage. Le ha schiavizzate, colonizzate, private della loro
indentità ed oggi, con la deportazione di massa benvoluta dalle
grandi imprese, chiamata “immigrazione”(fomentata dal commercio
delle armi e dalle politiche di indebitamento dei Paesi poveri
imposte dal Fondo Monetario Internazionale) le ha completamente
sradicate. Così come i contadini delle società rurali erano
“costretti” dalla modernità a trasferirsi nelle città,
sradicando così la loro identità e cultura, i loro usi e costumi,
aprendo così all'urbanizzazione selvaggia, al livellamento
intellettuale, ad un modernismo fondato sul consumismo, ovvero
sull'omologazione e sullo sfruttamento (si vedano gli scritti di Pier
Paolo Pasolini in merito).
Sull'Islam, così
stigmatizzato da Roberto Giuliano, vanno dette alcune cose che
Roberto omette. Prima di tutto esso non è univoco. Roberto ne fa una
questione di “islam moderato” o meno, secondo una vulgata
arcinota in Occidente chiamata “scontro di civiltà”, sdoganata
dal politologo statunitense Samuel Huntington. Uno scontro, invero,
inesistente. Sarebbe infatti corretto parlare piuttosto di una
percezione diversa delle identità. Quella islamica è una civiltà
che mantiene una forma idenitaria molto forte, legata alle origini,
ovvero agli usi e costumi originari. Una forma di società spirituale
che il nostro Occidente sembra aver perduto, per abbracciare il dio
danaro, il dio capitale, il dio consumo. L'Occidente avrebbe molto
più da imparare dall'Islam di quanto creda.
L'Europa, fondata
non già su radici giudaico-cristiane, bensì pagane e solo
successivamente cristiane, sembra temere l'Islam proprio perché non
ha più una sua identità originaria né spirituale. Ha sostituito
gli antichi miti, gli antichi culti ed usi e costumi anche rurari,
con modelli inculturali, privi di radici e di cultura. Il modello
statunitense e consumista ha sostituito una cultura millenaria. E' di
questo che ci si dovrebbe piuttosto preoccupare prima di aprire ad un
indiscriminato multiculturalismo che, nei fatti, è solo un ulteriore
snaturamento delle identità proprie ed altrui in linea con il
sistema capitalistico-livellatore-consumista che ci vorrebbe tutti
uguali, desideranti, pronti a venderci (si veda il sistema della
prostituzione, che è solo una metafora della società di mercato)
per uno smartphone o per un'apparizione televisiva !
A proposito del
mondo islamico trattato nel saggio di Roberto Giuliano, mi stupisce
che egli non faccia alcun accenno al socialismo arabo, profondo
esempio di laicità sia in Nord Africa che in Merioriente,
contrapposto al fondamentalismo islamico.
Il socialismo
arabo, infatti, quello di Nasser, Michel Aflaq, degli Assad, di
Arafat e Gheddafi, fu eminente esempio di socialismo delle origini e
meriterebbe un capitolo corposo e spiace che Roberto non lo citi
affatto, quasi dimenticandolo.
Da notare che il
Partito Ba'ath, fondato dal siriano Michel Aflaq - il quale studiò
per molti anni a Parigi all'Università la Sorbona - si rifaceva in
toto alla visione sociale e risorgimentale di Mazzini e Marx, ovvero
alla Prima Internazionale dei Lavoratori nata in Europa. Non a caso
il suo nome completo è Partito del Risorgimento Arabo e Socialista.
Il socialismo
arabo, in tutte le sue pur diverse declinazioni, ma comunque legate
al ceppo originario di matrice anarco-socialista, è sempre stato
fondato sull'economia del dono, sulla lotta all'ateismo ed al
materialismo, sull'equità distributiva, sul diritto di ogni membro
della società di partecipare ai frutti del reddito nazionale e sulla
sovranità nazionale.
Il socialismo
arabo, forse non a caso, fu aspramente combattuto dagli Stati Uniti
d'America sia in funzione antisionista che antisocialista e
antisovranista, al punto che gli USA arrivarono a finanziare
apertamente Stati e guerriglieri di matrice fondamentalista islamica
(Arabia Saudita in primis).
Ecco dunque che
gli ideali di Nasser saranno presto spazzati via in Egitto grazie
all'Occidente e così la Jamahiria Araba Libica Popolare Socialista
fondata da Mu'Ammar Gheddafi, ovvero il tentativo di fondare una
democrazia partecipativa diretta delle masse libiche, oggi sostituita
da una terra di nessuno, preda del terrorismo e del capitalismo
occidentale.
Da notare che un
grande socialista e sovranista come Bettino Craxi fu un grande
finanziatore dell'Organizzazione di Liberazione della Palaestina del
socialista arabo Arafat, così come sostenitore di ogni causa
anticolonialista, sovranista e di liberazione nazionale.
Penso che ci sia
poco, dunque, di che essere allegri come vorrebbe “La via allegra
al socialismo” di Roberto Giuliano.
Il presente ed il
futuro sono tutt'altro che rosei e lastricati di buone intenzioni, un
po' come il liberalismo che non è, a differenza del socialismo,
libertà dal bisogno, ma libertà del ricco di sfruttare il povero e
la comunità. Così come non può esistere un vero diritto (civile,
umano...come va di moda definirlo oggi) senza il rispetto e la presa
di coscienza dei doveri nei confronti della comunità e della patria,
così come ci insegnò infatti Giuseppe Mazzini.
Non c'è da
stupirsi, direi, se oggi il dibattito pubblico offre da tempo un
teatrino triste, privo di agganci con la Storia, la cultura e la
realtà. Se ci si riduce ancora una volta a contrapposizioni assurde
quali fascismo e antifascismo e comunismo e anticomunismo in assenza
sia di fascismo che di comunismo. Se ci si ritrova a denigrare un
fantomatico “populismo” senza ricordare che il populismo fu,
nell'800, un movimento di emancipazione delle classi popolari. Se le
coscienze sono annichilite e la sinistra è diventata la peggior
destra capitalista e se l'ideologia imperante è fondata sul diritto
e non sul dovere; sull'individuo e non sulla comuntà; sulla
precarietà e non sulla stabilità; sulla fugacità dei rapporti e
non sull'affettività e la solidità dei medesimi.
Un ritorno al
socialismo delle origini, oltre la destra e la sinistra, sul modello
del Socialismo del XXI secolo latinoamericano sarebbe quanto di più
auspicabile possibile. Possibilmente fuori dai partiti e dai
parlamenti: per una civiltà fondata sul dono, l'autogoverno e
l'autogesione. Ovvero sulla democrazia diretta e partecipativa.
Luca Bagatin