venerdì 31 gennaio 2025

I progressi dell’Aeronautica Militare della Repubblica Popolare della Cina. Articolo del prof. Giancarlo Elia Valori


Dopo essere entrata nel 21° secolo, la Repubblica Popolare della Cina si è trasformata da un Paese in via di sviluppo in una grande potenza che ha attirato molta attenzione fra le forze armate mondiali. Forse in passato la potenza della Repubblica Popolare della Cina è stata apprezzata solamente a livelli tellurocratico grazie all’Esercito Popolare di Liberazione, ma il rapido sviluppo e il progresso tecnologico degli ultimi anni hanno cambiato ogni cosa.
Il progresso scientifico e tecnologico è un fattore importante nel potenziamento dell’aeronautica cinese. La Repubblica Popolare della Cina ha ottenuto grandi risultati nei settori dei caccia J-20, J-16, J-10C e altri. La tecnologia di questi combattenti ha raggiunto il livello avanzato mondiale e per alcuni aspetti sono all’avanguardia. Soprattutto il J-20: l’avvento di questo caccia stealth ha rotto il monopolio dell’Occidente su tale tecnologia. Secondo un think tank israeliano, la Repubblica Popolare della Cina possiede attualmente circa 250 aerei da combattimento J-20. Questi dati non solo superano quelli dell’F22 dell’aeronautica statunitense, ma rappresentano anche un importante passo avanti compiuto dalla Repubblica Popolare della Cina negli aerei da caccia di quinta generazione.
Il J-20 è un caccia stealth sviluppato in modo indipendente dalla Cina. Non solo ha raggiunto un livello tecnologico avanzato a livello internazionale, ma ha anche dimostrato un’efficacia di combattimento estremamente forte nello scontro-duello reale.
L’aeronautica cinese è al secondo posto nel mondo in termini di numero di aerei da caccia, con più di 200 caccia J-20, più di 300 caccia J-16, più di 350 caccia J-11, 200 caccia J-7A e 36. Gli aerei da combattimento J-8 J-7 e J-8 verranno ritirati.
Tra gli aerei all’avanguardia il caccia J-16D con il maggior equipaggiamento dell’Aeronautica Militare Cinese è un aereo da guerra elettronica di medie dimensioni sviluppato sulla base dell’aereo da caccia J-16. L’aereo è dotato di un radar ad allineamento di fase attivo e di una serie di missili di difesa aerea Thunderbolt, che supera di gran lunga l’EA-18G statunitense in termini di resistenza ed efficacia in combattimento. Gli aerei da combattimento sono l’orgoglio dell’Aeronautica Militare Cinese. Nel mondo, gli unici Paesi con una tale scala di aerei da combattimento sono la Repubblica Popolare della Cina, gli Stati Uniti d’America e la Russia.
Oltre ad essere equipaggiata con caccia di produzione nazionale, l’Aeronautica Militare Cinese ha anche un piccolo numero di caccia di fabbricazione russa, tra cui 36 Su-27, 76 Su-30 MKK, ecc.
In termini di bombardieri cinesi, gli attuali sono principalmente H-6, che hanno le caratteristiche del volo a lunga distanza e del sovraccarico. Adottano un design bimotore, hanno uno standby ultra lungo e possono eseguire varie missioni di combattimento come attacchi-terra e pattugliamenti marittimi. Inoltre, possono essere caricati anche bombe aeree, missili aria-aria e missili terra-aria per effettuare attacchi precisi contro obiettivi. L’H-6K e l’H-6N costituiscono la spina dorsale della famiglia di questi bombardieri.
In termini di aerei ausiliari, l’aeronautica cinese ha fatto grandi progressi. Attualmente ci sono più di 200 aerei da trasporto di medie e grandi dimensioni come Y-8, IL-76 e Y-20, oltre al numero di IL-76 e l’Y-20 ha superato i 100, e il numero di Y-20 è ancora in crescita: ed è probabile che la Repubblica Popolare della Cina avrà più di tali 300 aerei in futuro.
Per quanto riguarda i rifornimenti in volo, l’aeronautica cinese dispone attualmente di venti aerei cisterna H-6 e 3 IL-76, e anche lo Yun-20 derivata dall’aereo da trasporto Y-20 è in fase di rapido assemblaggio e ne saranno equipaggiate almeno altri dieci; e alla fine ne saranno pronto quasi un centinaio.
L’Aeronautica Militare Cinese dispone attualmente di tre tipi di sistemi di allarme rapido, tra cui l’Air Police Type 500, l’Air Police Type 200 e l’Air Police Type 2000. Attualmente ci sono circa settanta aerei in servizio attivo.
Per l’Aeronautica Militare Cinese, anche la tecnologia dei droni è un punto forte. Si sono sviluppati vari aerei senza pilota d’attacco e da ricognizione, che hanno prestazioni eccezionali negli obiettivi a lunga distanza e nella ricognizione aerea. Nell’era della guerra dell’informazione, lo status degli aerei senza pilota è diventato sempre più importante. Non solo possono ridurre notevolmente il costo del personale militare e dei materiali. Inoltre, possono garantire la sicurezza del conducente da remoto durante lo svolgimento di attività ad alto rischio.
L’aeronautica statunitense è sempre stata nota per la sua eccellenza tecnologica, la grande flotta aerea e la presenza globale. Negli ultimi anni, la sua potenza militare e le innovazioni tecnologiche sono diventate un punto di riferimento per tutte le forze armate del pianeta. Tuttavia, mentre la forza dell’aeronautica cinese continua a crescere, la leadership dell’aeronautica statunitense non progredisce proporzionalmente rispetto agli avanzamenti cinesi.
Anche negli Stati Uniti d’America ci sono opinioni diverse sui progressi dell’aeronautica cinese. Alcuni generali anziani ritengono che gli Stati Uniti d’America abbiano ancora un potere assoluto, in quanto sebbene l’aeronautica cinese sia migliorata in termini di tecnologia e quantità, è ancora molto indietro rispetto a Washington. Nonostante ciò, altri ufficiali generali statunitensi hanno espresso preoccupazione per il fatto che la rapida crescita dell’aeronautica cinese e la profonda comprensione della guerra moderna la rendono un potenziale nemico che non può essere ignorato.
A giudicare dalla situazione attuale dell’aeronautica statunitense, possiamo anche osservare diverse tendenze inquietanti. Sebbene gli Stati Uniti d’America dispongano di un enorme parco finanziamenti per la difesa, non sempre viene utilizzato dove conta di più. Poiché i piloti ricevono meno addestramento nel combattimento reale e dipendono maggiormente dai sistemi di simulazione a terra, le loro prestazioni di combattimento nel combattimento reale sono ridotte. Questo perché alle elezioni presidenziali è necessario che i candidati assicurino l’opinione pubblica – ossia le famiglie che hanno in seni membri militari operativi – che i rischi di morte di figli, mariti, zii, ecc. siano il minore possibile. Allo stesso tempo, importanti programmi di caccia come l’F-22 hanno interrotto la produzione, e anche il nuovo programma F-35 è controverso. In netto contrasto, l’aeronautica cinese non solo aggiorna costantemente i suoi aerei, ma adotta anche armi nuove di zecca nel suo equipaggiamento.
L’Aeronautica Militare Cinese è la più potente dell’Asia e fra le prime al mondo. Sebbene non abbia ancora raggiunto lo standard dell’aeronautica strategica statunitense, gli aerei da combattimento cinesi si stanno sviluppando rapidamente da più di tre decenni.
Essendo l’aeronautica cinese più potente della regione Asia-Pacifico, gli aerei cinesi di quarta generazione presentano grandi vantaggi. Le prestazioni complessive del J-20 possono superare quelle dell’F-22 e dell’F-35 statunitensi. Tutti conoscono i progressi della Repubblica Popolare della Cina nel campo degli aerei da caccia. Il rapido sviluppo dell’Aeronautica Militare Cinese ha superato il Giappone e la Repubblica di Corea (sud) ed è senza dubbio la forza aerea più potente dello scenario.

Giancarlo Elia Valori

mercoledì 29 gennaio 2025

Magia d'Inverno. Poesia di Luca Bagatin

  MAGIA D'INVERNO

Poesia di Luca Bagatin

Musa nella foto: Vasilisa Semiletova 
Autrice della foto: Polina Efimenko 
I gioielli indossati sono realizzati dalla stessa Vasilisa Semiletova
 
   

Tra i boschi

In una giornata di neve

Ti ho vista

Nel tuo abito verde.

Lunghe trecce rosse

Occhi azzurri come il ghiaccio

Sul tuo viso, bellissimi gioielli magici.

Sei una fata? Sei un elfo?

Sei una creatura del mondo magico?

Già solo guardarti

E' come fare l'amore con te.

Stringere il tuo cuore al mio

Calmare il tuo respiro, fondendolo con il mio

Baciarti lungamente.

E poi scioglierci

Come la neve

Nella neve

Attendendo

Che la luna nuova sorga.

Luca Bagatin

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sabato 25 gennaio 2025

Profondamente sbagliato equiparare nazismo a comunismo (come vorrebbe la destra peggiore). Articolo di Luca Bagatin


In una UE sempre più censoria e sempre meno democratica e in cui la pericolosa estrema destra avanza, appare ancora più pericoloso l'ulteriore tentativo del Parlamento europeo di equiparare il nazifascismo al comunismo sovietico.

Peraltro a pochi giorni dalla celebrazione della Giornata della Memoria.

Si vorrebbe forse dimenticare il sacrificio dell'Armata Rossa e di oltre 20 milioni di sovietici, i quali combatterono contro il nazifascismo e che, il 27 gennaio 1945, liberarono il campo di sterminio nazista di Auschwitz?

Il Parlamento europeo, poi, sembra o ignorare o voler dimenticare che fu grazie alla Rivoluzione socialista sovietica dell'Ottobre 1917, guidata da Vladimir Lenin, se venne posta la parola fine all'antisemitismo zarista. E, nel 1918, l'URSS legalizzò il divorzio, l'aborto, depenalizzò l'omosessualità e legalizzò la convivenza fuori dal matrimonio. Molto prima di molti altri Paesi europei che si dicono “avanzati”!

Come se non bastasse, si deve all'URSS un importante contributo nell'edificazione dello Stato di Israele, fondato e guidato dal socialista David Ben Gurion, il cui sistema dei kibbutz affascinò molto anche la Jugoslavia socialista di Josip Broz Tito, che riconobbe e sostenne immediatamente tale Stato. Così come peraltro fece la Romania socialista, che con Israele non ruppe mai le relazioni diplomatiche.

Equiparare il socialismo sovietico al nazifascismo, anche solo per queste importanti ragioni, dovrebbe apparire una follia e un insulto alla memoria storica, oltre che all'onestà intellettuale.

Nel 2021 scrissi peraltro già un articolo, sempre in risposta a coloro i quali (il partito della Meloni in primis) avrebbero voluto equiparare tali aspetti storico-politici, diametralmente opposti e allo scopo ultimo, in definitiva, di bandire definitivamente dall'Europa la memoria storica socialista e comunista (cosa già peraltro ampiamente fatto a partire dal 1993, come più volte ho scritto).

Così scrivevo: “Equiparare comunismo a nazifascismo non solo è storicamente sbagliato, ma anche ideologico e pretestuoso.

Se il primo fu un esempio di emancipazione civile e sociale (sia nella sua versione marxista-leninista che anarchica e socialista), declinato nei secoli nelle varie “vie nazionali al socialismo”, il secondo fu un fenomeno essenzialmente capitalista e razzista, come peraltro rilevato negli Anni '20 – quindi agli albori del fenomeno hitleriano - dai nazionalbolscevichi tedeschi Ernst Niekisch e Karl Otto Paetel.

E' pretestuoso in quanto equiparazione sbandierata già in sede UE dai liberal-capitalisti e da tempo applicata in Paesi semi-autoritari quali Polonia, Ucraina, Paesi Baltici, Slovacchia e Ungheria”.

E continuavo:

Preoccupante, dunque, la proposta di legge del partito della Meloni, che vorrebbe identificare il comunismo quale “totalitario” (dimenticando che totalitario è piuttosto il liberal-capitalismo, che sta mettendo e mette ogni cosa in vendita, persino le vite delle persone) (…).

Puntare il dito poi contro Cina, Vietnam, Corea del Nord e Cuba, quali Paesi comunisti “totalitari”, significa non solo non conoscerne i meccanismi politici e socio-economici, ovvero il significato di che cosa sono le democrazie popolari, ma anche pensare che tali sistemi siano uguali fra loro, quando invece ciascuno segue la propria personale via nazionale al socialismo, adattata non solo alle caratteristiche sociali, culturali e economiche, ma anche alla volontà dei rispettivi popoli (senza contare che ciascuno di questi Paesi presenta sistemi elettorali e finanche aspetti di democrazia diretta).

Parimenti, puntare il dito contro l'Unione Sovietica quale “dittatura totalitaria”, da parte del partito della Meloni, è altrettanto scorretto, in quanto l'URSS fu un sistema socio-economico e geopolitico ampiamente condiviso dalla popolazione (al punto che questa votò a maggioranza - 77,8% - per la sua conservazione, in un celebre referendum – nel marzo 1991 - poi disatteso dal golpismo di Eltsin), del quale ha ancora oggi nostalgia”.

Da tener presente, poi, che nella Federazione Russa, esistono oggi numerosi partiti comunisti e sono tutti all'opposizione del governo liberal capitalista di Putin, il quale, spesso, o impedisce loro di presentare liste elettorali, o, talvolta, li mette anche in galera. O falsa i risultati elettorali, in modo che, i comunisti, non abbiano mai sufficienti voti per governare.

Che differenza c'è, dunque, fra le politiche di Putin e ciò che vorrebbe il Parlamento europeo?

Mi piace poi ricordare che il Vate della letteratura italiana, Gabriele d'Annunzio, si definì egli stesso comunista e disse, nell'intervista a una rivista anarchica: “Io sono per il comunismo senza dittatura […] È mia intenzione di fare di questa città (Fiume) un’isola spirituale dalla quale possa irradiare un’azione, eminentemente comunista, verso tutte le nazioni oppresse”.

Da notare, peraltro, come proprio l'Unione Sovietica leninista fosse l'unica ad aver riconosciuto la Reggenza del Carnaro dannunziana e come Lenin, a proposito di d'Annunzio, lo elogiasse quale “unico rivoluzionario in Italia”.

Il simbolo della falce e martello, il cui utilizzo, qualcuno (compresi tanti finti "socialisti" europei), vorrebbe abolire in UE, fu il simbolo anche del primo partito politico italiano, ovvero il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, di Filippo Turati e Anna Kuliscioff, fondato nel 1892. E tale simbolo fu usato persino da Giuseppe Saragat, che mai si definì anticomunista, nel 1947, fondando il PSLI (poi PSDI), che comprendeva anche trotzkisti che alla Rivoluzione bolscevica, comunque, si ispiravano (e nelle fila di quel partito militò la grande rivoluzionaria e femminista Angelica Balabanoff).

Studiare la Storia, senza pregiudizio, sarebbe sempre bene per tutti. Anche perché, in UE, fra ignoranza di andata, ritorno e veicolata dai media, oltre che da una politica che favorisce sempre di più gli autoritarismi (quelli veri) striscianti, sino a sdoganarli... un ritorno agli inquietanti Anni '30 è tutt'altro che lontano dalla realtà.

Luca Bagatin

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giovedì 23 gennaio 2025

Se le destre vincono è perché il sinistrismo borghese (che ad esse finge di contrapporsi) non è socialismo. Articolo di Luca Bagatin


Stupisce che molti si stupiscano dell'avanzare delle estreme destre in un Occidente liberal capitalista da tempo sempre più irresponsabile, sempre meno democratico, sempre più guerrafondaio e reso così dalle varie maggioranze Ursula, dai vari Biden, dai finti socialisti, finti verdi e vere destre, benché si presentino come “moderate”.

Ovvero da un “sinistrismo” borghese che, da una trentina d'anni, ha affossato il socialismo, la giustizia sociale, la sovranità nazionale, per smantellare progressivamente lo stato sociale e i diritti dei lavoratori (vedi i vari Jobs Act); sdoganare le più assurde culture “woke”; promuovere i diritti e le libertà per i più ricchi (come i vari uteri in affitto); promuovere le esportazioni di democrazia a suon di bombe e imporre embarghi a Paesi sovrani, solo perché non allineati ai desiderata degli USA o delle multinazionali europee.

Un sinistrismo borghese (in Italia ampiamente rappresentato da PD; Cinque Stelle; Bonelli e Fratoianni; Calenda, Renzi e Bonino) niente affatto diverso da quelle destre liberal capitaliste (di cui la Meloni, Salvini e Tajani sono i più celebri esponenti, in Italia), più o meno estreme, alle quali finge di contrapporsi.

Da almeno una decina di anni scrivo, sia in articoli che saggi, che occorre un sano ritorno al socialismo originario, ovvero a un sano populismo di sinistra, che recuperi gli ideali e i valori della Prima Internazionale dei Lavoratori (sintesi fra pensiero socialista umanitario, repubblicanesimo, marxismo e anarchismo) e che guardi a esperienze moderne e vincenti, quali il Socialismo Latinoamericano del XXI Secolo (di cui il Presidente brasiliano Lula è uno dei più noti esponenti); il socialismo con caratteristiche cinesi di Xi Jinping (ovvero economia socialista di mercato); quello slovacco di Robert Fico e Peter Pellegrini e alle proposte della tedesca Sahra Wagenknecht, dell'irlandese Mick Wallace; del francese Mélenchon e del britannico Jeremy Corbyn.

Un socialismo (un tempo, in Italia, rappresentato in particolare dal Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi, ma anche dal PRI di Mario Bergamo e Randolfo Pacciardi e dal PSDI di Pietro Longo), che abbia valori antichi e promuova scelte moderne; che rompa con l'egemonia liberal capitalista; che ponga al centro il cittadino e la comunità; che riporti nelle mani pubbliche i settori chiave dell'economia (società energetiche; telecomunicazioni; trasporti; settore bancario, siderurgico e militare); che apra all'autogestione delle imprese da parte dei lavoratori; che getti le basi per una società ordinata, senza sconti nei confronti di una criminalità sempre più dilagante; che punti alla costruzione di un mondo multipolare, portando l'UE nei BRICS; riduca le spese militari, anziché irresponsabilmente volerle aumentare, come vorrebbero le destre e il “sinistrismo” borghese europeo; investa massicciamente in ricerca, sanità e istruzione; promuova il dialogo e la cooperazione internazionale.

Tutto ciò a me pare anche più che evidente. Che ciò sarà possibile, in un momento storico come quello attuale, in cui il socialismo è stato totalmente affossato nei Paesi liberal capitalisti (e non solo, pensiamo anche alla recente detronizzazione del socialismo laico in Siria, nel silenzio più assordante dei sedicenti “laici” e “democratici” di casa nostra), non mi illudo affatto lo sia.

Luca Bagatin

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martedì 21 gennaio 2025

L'alternativa socialista democratica di Antonio Cariglia. Articolo di Luca Bagatin


Il Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) fu un piccolo partito di sinistra e d'opinione, protagonista più volte nella Storia politica italiana, ma troppo spesso dimenticato e bistrattato, fra le pieghe della Storia.

Come dimenticati furono molti dei suoi protagonisti.

Nel recente passato, ho avuto modo di ripercorrere la storia di questo interessante partito e alcuni dei suoi esponenti più significativi, grazie anche agli ottimi saggi del prof. Michele Donno, editi da Rubbettino (“Socialisti democratici. Giuseppe Saragat e il PSLI (1945 – 1952)" e “I socialisti democratici e il centro-sinistra (1956 – 1968)”); grazie alla raccolta di discorsi e scritti dell'On. Pietro Longo (edita da Sugarco negli Anni '80, dal titolo “Il socialismo della coerenza”) e grazie all'ottimo saggio di Mattia Granata, edito da Rubbettino, sul Ministro Roberto Tremelloni, “Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico” .

Con “L'Alternativa impossibile – L'Idea socialdemocratica di Antonio Cariglia tra Italia e Europa negli anni della “prima” Repubblica”, edito da Marsilio e ottimamente scritto da Simone Visciola, si potrà aggiungere un ulteriore tassello a questa Storia gloriosa e dimenticata.

Ciò che colpisce, del corposo saggio di Visciola, è la grande mole di informazioni sul PSDI, in particolare dagli Anni '70 alla sua scomparsa, almeno come partito serio e storico, nel 1992-1993, oltre che sull'On. Antonio Cariglia, che guidò il partito dal 1988 sino al 1992.

Cariglia, nato a Vieste nel 1924, si trasferì, nel 1937, a Pistoia, con la famiglia, in quanto il padre, Matteo, aveva vinto il concorso per un posto di comandante nei vigili urbani.

Egli iniziò il suo percorso politico in forma clandestina, come molti antifascisti della prima ora.

Come spiega Visciola, nel suo saggio, Cariglia si avvicinò al marxismo (ma non nella declinazione leninista) grazie alla lettura – ai tempi del liceo – degli scritti del filosofo socialista Rodolfo Mondolfo.

Da lì, il passo nell'entrare nel Partito Socialista Italiano di Filippo Turati, fu breve. Partito marxista “gradualista” e che detestava il più vago e annacquato termine “riformista” (oggi finanche troppo abusato).

Ben presto, Cariglia, si ritroverà sulle posizioni di Giuseppe Saragat, ovvero su un marxismo umanitario, promotore di libertà, giustizia sociale e democrazia, contro ogni forma di totalitarismo, fosse esso fascista o comunista totalitario.

Con Saragat e moltissimi altri, del resto, condivise la storica scissione socialista di Palazzo Barberini, del 1947, nell'ambito della quale nacque il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), che riprendeva il nome dallo storico partito fondato da Turati e Anna Kuliscioff, nel 1892 (primo partito politico italiano).

Un partito che contemplava un socialismo largo, che andava dai gradualisti fino ai trotzkisti e che, in ogni caso, come ricordò lo storico e politico socialista Gaetano Arfè, citato da Simone Visciola, mai si definì “moderato” e per il quale il marxismo rimaneva la dottrina di riferimento.

Come ricorda Visciola, nel suo saggio, del resto, il PSLI non abbandonò dal suo simbolo la storica falce e martello e lo storico inno rimase “L'Internazionale”.

Il PSLI segnò, dunque, un distacco da un PCI che guardava a Stalin e da un PSI che, all'epoca, lo seguiva a ruota.

A 25 anni, Cariglia, iniziò la sua carriera di partito impegnandosi nel sindacato e molto attive furono le sue collaborazioni anche con il sindacato statunitense e, con Saragat, iniziò a far sì che il partito iniziasse a collaborare anche con gli altri socialisti all'estero, in particolare con i laburisti britannici, oltre che con i socialdemocratici tedeschi.

Nel corso degli anni, Cariglia, divenne, come lo definisce Visciola, una sorta di “termometro” del Partito Socialista Unitario (PSU) e, quindi, del PSDI (evoluzioni successiva del PSLI a partire dal 1948 in poi, che abbandonò la falce e martello per il simbolo del Sole Nascente di garibaldina e turatiana memoria).

Egli non amava le correnti, ma cercava, per quel che gli era possibile, di mantenere un equilibrio fra le varie posizioni interne al partito.

A lui, del resto, si deve l'invenzione, nel 1966, della cosiddetta “bicicletta” fra PSDI e PSI, simbolo di un tentativo, quantomeno elettorale, di riunificare il socialismo italiano, pur per un breve periodo.

Del resto, come spiegato ampiamente dal saggio di Visciola, fin dal titolo stesso, l'obiettivo principale di Cariglia fu sempre quello di ricercare l'unità delle forze laico-socialiste, in modo da poter creare una alternativa socialista democratica repubblicana alla DC, alle destre e a un PCI fondamentalmente conservatore.

In questo senso lavorò per tutta la vita, proponendo un apparentamento fra il PSDI, il PSI (che con Craxi, alla fine degli Anni '70, si era smarcato dal marxismo-leninismo, per sviluppare l'idea di un socialismo largo e libertario), il PRI e il Partito Radicale.

Un apparentamento che, a parere di Cariglia, doveva essere favorito da una nuova legge elettorale con appositi sbarramenti e premi di maggioranza, pur mantenendo un assetto proporzionale.

Nel 1985 trovò favorevole in particolare il Partito Radicale guidato da Giovanni Negri che, con altri radicali, prese la doppia tessera al PSDI e nelle cui fila si candidò, qualche anno dopo.

Peraltro in quegli anni si costituirono anche liste unitarie PSDI-PSI-Partito Radicale, nelle cui fila Cariglia fu peraltro rieletto.

Un progetto lungimirante e terzaforzista e che peraltro, diciamolo, auspicarono, decenni prima, anche quegli “Amici de “Il Mondo”” guidati da Mario Pannunzio e Ernesto Rossi e che, in parte, trovò ragione nella presentazione della lista Unità Socialista, alle elezioni del 1948, raccogliendo il 7% dei consensi.

Alla fine degli Anni '80, il PSDI di Cariglia promosse riforme molto avanzate, quali la riduzione dell'orario lavorativo a 35 ore settimanali; una riforma istituzionale che permettesse al Parlamento di scegliere il premier e che questi avesse maggiori poteri e promosse la costituzione di coalizioni prima delle elezioni, sulla base di un programma concordato.

Fra le altre cose, peraltro, annunciò che il PSDI avrebbe rinunciato al finanziamento pubblico e promosse un progetto di legge che prevedesse il finanziamento volontario ai partiti, attraverso la denuncia dei redditi, sul modello dell'8 per mille alle confessioni religiose.

Tutti aspetti, assieme a moltissimi altri, molto probabilmente, sconosciuti ai più e che trovano ampia trattazione ne “L'alternativa impossibile” di Simone Visciola che, in appendice, presenta anche un'ampia selezione di interventi parlamentari dell'On. Antonio Cariglia, dal 1965 al 1993.

Luca Bagatin

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sabato 18 gennaio 2025

José "Pepe" Mujica, il Presidente socialista dell'Amore e della Libertà. Articolo di Luca Bagatin


Fu in assoluto il miglior leader politico al mondo e lo possiamo dire senza esagerazioni.

José “Pepe” Mujica, 89 anni, un grande socialista. Il più grande di tutti.

Ex Presidente dell'Uruguay dal 2010 al 2015, alla guida del Frente Amplio, seppe portare avanti progetti e ideali ritenuti ancora oggi per molti, specie nella decadente, liberal capitalista e irresponsabile Europa, utopistici.

Parliamo di autogestione delle imprese da parte dei lavoratori; della legalizzazione della marjiuana; degli investimenti nella scuola e nell'educazione, triplicati in pochi anni. Parliamo della legalizzazione del matrimonio omosessuale e l'adozione di bambini da parte di coppie omosessuali. 

Tutte riforme che nell'Uruguay di Mujica sono state attuate e non sono affatto state imposte ai cittadini, bensì sono nate - come ama ricordare lo stesso Mujica - anche e proprio su ispirazione dei suoi stessi concittadini.

I risultati della sua ottima amministrazione, del resto, si sono visti e sono anche stati ottimi.

In Uruguay l'indice di disoccupazione scese al 6%; i salari aumentarono; il PIL è cresciuto del 6% in dieci anni ed il tasso di povertà è diminuito dal 39% al 6%. 

Mujica ha impressionato il mondo soprattutto per il suo stile di vita povero, frugale, semplice.

Nato a Montevideo nel 1935 da padre di origine basca e madre di origine genovese, fu influenzato dalle idee peroniste dello zio materno.

Oltre a Peron, Mujica rimarrà affascinato dal pensiero anarchico e socialista di Proudhon, Bakunin, Kropotkin e Marx, oltre che dall'interesse per la biologia e per l'agricoltura.

Nell'Uruguay militarista autoritario degli Anni '60 sostenuto dagli USA, Mujica aderirà al Movimento di Liberazione Nazionale (MLN) Tupamaros, fondato da Raul Sendic, già militante del Partito Socialista, il quale ispirò il suo movimento a Tupac Amaru, ovvero all'ultimo sovrano dell'Impero inca, eroe dei popoli andini in lotta contro gli spagnoli.

Il MLN Tupamaros, in sostanza, attraverso l'attività di guerriglia e di assalto ad istituti bancari, mirava a combattere la deriva autoritaria e dittatoriale dei regimi neo-militaristi dell'Uruguay e a ridistribuire la terra ai contadini ed ai meno abbienti.

La violenze commesse dai guerriglieri Tupamaros, va detto, non furono mai gratuite, ma sempre dettate dalla necessità politica di liberare il Paese dall'autoritarismo al pari di quanto fecero, in quegli anni, i Montoneros peronisti, per liberare l'Argentina dalla dittatura militare.

Fra i Tupamaros, dunque, anche il nostro Mujica e Lucia Topolansky, che successivamente diverrà sua moglie, i quali purtuttavia ribadiranno sempre la loro contrarietà ad una deriva militarista del Movimento.

Nel 1972, Pepe Mujica, fu catturato dai militari e spedito in carcere, ove rimarrà sino al 1985, subendo umiliazioni e torture, sino allo stremo delle forze fisiche e psicologiche, assieme ad altri compagni del suo Movimento.

Nel 1985, con la fine della dittatura, Mujica e i suoi compagni furono amnistiati e, pur ritornato alla sua attività di agricoltore e di fioraio, non smise mai di fare politica. 

Assieme ad altri suoi compagni Tupamaros, infatti, creò il Movimento di Partecipazione Popolare che, alle elezioni del 1994, si presentò all'interno del Fronte Ampio, ovvero una coalizione eterogenea di forze di sinistra e di centro, di ispirazione socialista, cristiana e libertaria e fu eletto quale primo tupamaros in Parlamento ed il suo stile semplice e sobrio - con jeans e senza cravatta - lo caratterizzeranno subito quale politico “diverso” rispetto agli altri. 

Saranno proprio la sobrietà e la ricerca della felicità per tutti, fatta anche della ricerca del tempo libero, in luogo di una vita di lavoro e di sfruttamento del lavoro attraverso la ricerca di una ricchezza effimera, i punti cardine degli ideali di Pepe Mujica.

Ideali agli antipodi rispetto alla realpolitik e alla politica tradizionale – che inizierà ad attuare già come Ministro dell'Agricoltura nel 2005, facendo abbassare il costo della carne per i meno abbienti - e saranno proprio tali ideali, assieme al suo linguaggio diretto, a renderlo popolarissimo, anche all'estero. Oltre che, come abbiamo già scritto, la sua scelta di vivere semplicemente, continuando a coltivare la terra - anche oggi che ricopre la carica di Presidente dell'Uruguay - assieme a sua moglie ed a Manuela, la sua cagnetta zoppa, permettendo ai senzatetto di utilizzare i palazzi presidenziali.

Interessante anche la sua concezione libertaria della rappresentanza popolare alle elezioni, molto vicina all'idea dell'Agorà greca. In un'intervista, infatti, egli affermò: “La gente prende molto sul serio il tema della rappresentanza e finisce per credere di rappresentare qualcuno. Per me è un'idea assurda, anche se la Costituzione dice varie cose, e in questo credo di continuare ad essere un libertario. Nessuno rappresenta gli altri”.

Nell'ottobre 2009, José Mujica fu dunque candidato del Fronte Ampio alle elezioni nazionali e ne uscì vincitore con il 52% dei consensi. 

A proposito delle sconsiderate e fallimentari politiche dell'UE, “Pepe” Mujica affermò: “La sobrietà è concetto ben diverso da austerità, termine che avete prostituito in Europa, tagliando tutto e lasciando la gente senza lavoro. Io consumo il necessario ma non accetto lo spreco. Perché quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli. E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi. L'alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui che però ti tolgono il tempo per vivere... Lo spreco è invece funzionale all'accumulazione capitalista che implica che si compri di continuo, magari indebitandosi sino alla morte”.

Il Presidente Mujica affascinò anche il regista jugoslavo Emir Kusturica, il quale gli dedicò un film documentario dal titolo “Pepe Mujica - Una vita suprema”, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2018. 

Un film nel quale Mujica si racconta a Kusturica e lo fa con la profonda umiltà e semplicità che lo contraddistinguono. Mostrando la sua umile vita di agricoltore, quale è sempre stato, pur avendo ricoperto la carica di Presidente e peraltro di unico leader mondiale ad essersi ridotto drasticamente lo stipendio.

Mujica racconta che l'esperienza del carcere, in isolamento, durante la dittatura militare, lo ha segnato molto. Ma lo ha segnato in bene, ovvero gli ha permesso di essere meno superficiale e più vicino al prossimo e al popolo. Egli afferma, altresì che in politica occorre “scegliere persone dal cuore grande e dal portafogli piccolo”, ricordando che essa è servizio ai cittadini, non bramosia di potere né arricchimento personale.

Nel novembre 2023, José “Pepe” Mujica incontrò un altro grande socialista, ovvero il musicista e attivista britannico Roger Waters, già co-fondatore dei Pink Floyd. Entrambi si sono sempre stimati reciprocamente e hanno sempre condiviso i comuni ideali di lotta contro ogni forma di autoritarismo, sostenendo sempre politiche umanitarie e anticapitaliste.

In UE, che ha sostanzialmente messo al bando il socialismo dal 1993 in poi, distruggendolo dall'interno e dall'esterno, si fa spesso fatica a comprendere come siano potuti esistere leader come “Pepe” Mujica.

Leader che dovrebbero farci riflettere sulla direzione che in mondo dovrebbe intraprendere, nel solco del Socialismo originario, sia esso latinoamericano, panafricano, panarabo laico, asiatico.

In Uruguay le prospettive di José “Pepe” Mujica, ad ogni modo, continueranno, anche grazie al neo-eletto Yamandù Orsi, anch'egli socialista del Frente Amplio e che, come primo atto da Presidente, nel novembre scorso, rese omaggio a Mujica, alla sua vita, alla sua Storia.

Che è la Storia di chi ha sempre lottato dalla parte giusta.

Luca Bagatin

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giovedì 16 gennaio 2025

"Niente è come appare". Poesia di Luca Bagatin in memoria di David Lynch


Hai lasciato 

Solamente 

Il tuo corpo terreno

Raggiungendo l'Eterno Ritorno

Che attende tutti noi.

Fino a congiungerci, 

Un giorno,

Con l'Infinito.

Senza Tempo

Senza Spazio.

Così come 

Avevi spiegato anche tu

Nelle tue Opere.

Siamo un sogno

Dentro un altro sogno

Ma, chi è il sognatore?

Nulla esiste

Perché Tutto esiste.

Esiste solo il sogno

Esiste solamente il sognatore.

Tu lo sapevi

Conoscevi la Via

Ce l'hai mostrata.

Ora sta a noi

Fonderci con il sogno

E capire che niente è come sembra

Perché tutto E' come E'.

Luca Bagatin

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martedì 14 gennaio 2025

Commemorare Bettino Craxi per ricostruire un socialismo scomparso, in Italia e Europa, nel 1993. Articolo di Luca Bagatin


A giorni ricorrerà il 25esimo anniversario della scomparsa di Bettino Craxi, ovvero da quel triste 19 gennaio 2000.

L'ultimo grande statista italiano e l'ultimo socialista europeo, quel giorni, ci lasciò per sempre.

Ultimo grande statista, perché, dalla sua fine politica, avvenuta in quel tragico 1993, non abbiamo mai più avuto un Presidente del Consiglio valido, serio, lungimirante, preparato, in grado di dare dignità all'Italia, all'Europa e a tutto il mondo, cosiddetto, Occidentale.

Ultimo socialista europeo perché, salvo le rare eccezioni di politici lungimiranti e capaci di far rispettare la dignità, sovranità e i diritti sociali del proprio Paese, quali il premier socialista democratico slovacco Robert Fico, il socialista britannico Jeremy Corbyn, il francese Jean-Luc Mélenchon e l'irlandese Mick Wallace, in Europa il socialismo è pressoché totalmente scomparso e il cosiddetto PSE è ormai da tempo occupato da liberal-capitalisti e guerrafondai di ogni risma.

La liquidazione politica di Bettino Craxi, da parte dei poteri forti internazionali, finanziari, ma anche militari e politici, con sede negli USA e nelle stanze di Bruxelles, coincise – infatti - con la fine politica del Socialismo in Europa.

E a proposito della nascente Unione Europea, Bettino Craxi ebbe a dire:

Si presenta l’Europa come una sorta di paradiso terrestre, arriveremo al paradiso terrestre… L’Europa per noi, come ho già avuto modo di dire, per noi nella migliore delle ipotesi sarà un limbo. Nella peggiore delle ipotesi l’Europa sarà un inferno. Quindi bisogna riflettere su ciò che si sta facendo. Perché la cosa più ragionevole di tutte era quello di richiedere e di pretendere, essendo noi un grande Paese – perché se l’Italia ha bisogno dell’Europa l’Europa ha bisogno dell’Italia – pretendere la rinegoziazione dei parametri di Maastricht”. E disse anche: “Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare”.

Nel tragico 1993 implodevano l'URSS e i Paesi del Patto di Varsavia, contro la volontà dei rispettivi popoli, ma causate da golpe interni (pensiamo – fra gli altri - al golpe che defenestrò e uccise barbaramente Nicolae Ceausescu, in Romania, ordito dal KGB gorbacioviano) con il contributo esterno; la guerra che distrusse la Jugoslavia socialista; la guerra che distrusse l'Iraq socialista; la guerra che distrusse l'Afghanistan socialista e poi ancora, anni dopo, la guerra che distrusse la Libia socialista e il recente golpe islamista che ha distrutto la Siria socialista.

E, ancora, i tentativi di golpe anti-socialisti in America Latina, sempre in agguato in Venezuela e a Cuba, ma che colpirono la Bolivia di Morales e l'Ecuador di Correa e il tentativo di liquidazione per via giudiziaria del socialismo brasiliano di Lula e del peronismo argentino della Kirchner.

Fortunatamente, quantomeno nell'ottimo Brasile, il socialismo è ben saldo e dovrebbe, al pari di quello slovacco e del riformismo socialista cinese di Xi Jinping, rappresentare un faro per tutti gli autentici socialisti che vogliono un mondo pacifico, cooperante e socialmente giusto.

In UE, cosiddetti “socialdemocratici” come la Premier finlandese Sanna Marin innalzano muri anti-migranti al confine con la Russia e il già “socialdemocratico” ex Segretario Generale della NATO Stoltenberg – in gioventù contrario alla guerra in Vietnam – ha promosso un invio massiccio a un Paese non NATO come l'Ucraina, con il beneplacito delle destre e degli pseudo “socialisti” europei.

Un tempo, i socialisti, quelli autentici e originari, si battevano – diversamente - contro ogni arma e contro ogni bomba. Per il pragmatismo e la diplomazia internazionale.

In questo senso, Bettino Craxi, nominato peraltro rappresentante del Segretario Generale dell'ONU Javier Pérez de Cuéllar per i problemi dell'indebitamento dei Paesi in via di Sviluppo e successivamente consigliere speciale per lo sviluppo e il consolidamento della pace e sicurezza, fu sempre in prima linea.

Con fermezza, pragmatismo, umanesimo socialista e democratico.

E lo fu persino nel suo esilio di Hammamet, quando, su “L'Avanti” del 18 dicembre 1998, scrisse un editoriale in prima pagina dal titolo “No alle bombe”, invitando ai negoziati fra USA e Iraq (mentre le destre e le pseudo sinistre italiane facevano l'opposto).

Bettino Craxi – erede politico del grande Pietro Nenni - ancorato alla cultura e tradizione occidentale, ma allo stesso tempo in dialogo con tutti, seppe guardare ai popoli laici e socialisti del Mediterraneo, del Medio Oriente, dell'America Latina, dell'Est (pensiamo agli ottimi rapporti fra il PSI di Craxi e il Partito Comunista Rumeno di Ceausescu, oltre che con la Lega dei Comunisti di Jugoslavia), dell'Estremo Oriente e a quello panafricano. Pensiamo agli ottimi rapporti di amicizia fraterna fra Craxi e il Presidente socialista della Somalia Mohamed Siad Barre, leader del Partito Socialista Rivoluzionario Somalo, al punto che Craxi nominò Paolo Pillitteri, allora Sindaco di Milano, console onorario della Somalia a Milano e Siad Barre definì la Somalia la “Ventunesima Regione d'Italia”.

Bettino Craxi fu un sostenitore di quel socialismo che sapeva tenere a bada il capitalismo e i poteri forti finanziari, che dalla falsa rivoluzione di Tangentopoli seppero come trarre vantaggio economico, sulle spalle del Paese e di una classe politica dell'unico e solo Centro-Sinistra che l'Italia abbia mai avuto, che aveva, nel bene o nel male, saputo garantire stabilità e prosperità, dal dopoguerra sino al 1993.

Nel 1978, in particolare, Bettino Craxi, nell'ambito della promozione dell'eurosocialismo (contrapposto all'eurocomunismo berlingueriano, molto più confuso e velleitario), mirava ad abbracciare tutti i fratelli socialisti d'Europa (fra cui i partiti socialdemocratici in esilio all'estero, quali quello polacco e cecoslovacco). Fra questi, come dimostra la corrispondenza fra Craxi e Ceausescu di quegli anni, un rinnovato rapporto fra PSI e PCR e un incontro ufficiale a Bucarest, nell'ottobre '78, fra Craxi e il Presidente rumeno. Un Presidente rumeno, Ceausescu, apprezzato non solo dall'Italia dell'epoca, ma da tutti i Paesi europei e che – fin dagli Anni '70 - mirava a promuovere un ordine multipolare, esattamente come Bettino Craxi e i socialisti democratici guidati da Pietro Longo (e lo stesso Longo, già peraltro in gioventù capo della segreteria politica dell'allora Vicepresidente del Consiglio Pietro Nenni, entrerà, nel 1989, nel PSI di Craxi).

Da non dimenticare che Bettino Craxi – alla guida del PSI - ai tempi del sequestro di Aldo Moro da parte delle BR, si schierò contro il cosiddetto “fronte della fermezza” (composto tanto dalla DC quanto dal PCI), ovvero propose di avviare una trattativa per salvare l'ex Presidente del Consiglio democristiano (al pari dei radicali, di indipendenti di sinistra quali Raniero Valle e pochi altri), mostrando quella sensibilità umanitaria socialista che i clerico-comunisti, tanti finti laici e i missini, non ebbero.

Bettino Craxi, pur giustamente critico e diffidente nei confronti dei “comunisti” italiani e ancor più dei post-comunisti che finiranno per approdare al capitalismo assoluto (vedi le successive emanazioni dal PDS al PD a Italia Viva e Azione), lanciò, negli Anni '90, quell'Unità Socialista che sarà invece proprio contrastata dal PDS, che gli preferirà Amato, Carlo Azeglio Ciampi e quel Mario Draghi, che già nel 1992 avrebbe voluto la privatizzazione del patrimonio pubblico italiano. Progetto da sempre contrastato fortemente da Bettino Craxi.

Da non dimenticare anche la sua visione socialista anticapitalista, che espresse nel 1966, nel suo rapporto ai quadri del partito, contenuta nel volume “Socialismo e realtà” (Sugarco Editore): “Il socialismo mantiene la sua fondamentale ed essenziale natura di movimento anticapitalistico. Esso nasce come reazione umana e razionale nei confronti delle ingiustizie delle ineguaglianze che il nascente capitalismo industriale portava con sé. Le contraddizioni e le crisi della società capitalistica costituirono oggetto delle analisi, della critica penetrante, delle previsioni dei teorici socialisti. I mutamenti intervenuti dopo le due guerre mondiali, la modificazione della natura e delle manifestazioni del capitalismo non hanno mutato la ragione fondamentale della lotta socialista e cioè quella di provocare un superamento del capitalismo con il passaggio ad un ordine economico, sociale e politico più evoluto, che arricchisca le libertà dell'uomo, le sue condizioni di vita materiale e spirituale”.

Craxi sarà – da Presidente del Consiglio - amico persino di quel Mario Appignani detto “Cavallo Pazzo”, orfano, figlio di una prostituta, freak, beatnik, indiano metropolitano che primo fra tutti denunciò – per averli subiti sulla sua pelle – gli orfanotrofi “lager” gestiti dall'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, che proprio grazie alle sue denunce saranno chiusi definitivamente.

Craxi sarà dunque amico dei potenti, ma anche dei più umili e, soprattutto, sarà amico dei Paesi e dei popoli liberi, dall'America Latina alla Palestina e lo sarà sempre in nome dell'Eroe dei Due Mondi, Giuseppe Garibaldi, di cui fu appassionato studioso e collezionista di cimeli.

Bettino Craxi recupererà, nel panorama culturale e politico, figure allora marginalizzate dall'intellighenzia italiana e europea, ovvero l'anarchico conservatore Pierre-Joseph Proudhon e il socialista liberale Carlo Rosselli, unendo aspetti sino allora considerati ossimorici dal sinistrismo borghese imperante che, negli anni successivi alla morte fisica di Craxi, darà vita al partito delle élite antisocialiste, ovvero al PD.

E da non dimenticare come il socialismo di Craxi fosse contrastato dai post-fascisti del MSI (poi AN, poi Fratelli Meloni) e dalla Lega (prima Nord e poi non più Nord), per non parlare di Beppe Grillo, oggi partiti sostenitori del capitalismo assoluto e della politica atlantista fondamentalista e filo USA, tanto quanto il PD e che, non a caso, in questi ultimi anni, sostennero tutti assieme il Governo Draghi e ancora oggi ne seguono le linee guida.

In Europa, parimenti, dopo l'esempio del Partito Socialista Italiano di Craxi (il cui simbolo, da Craxi stesso voluto e disegnato dal compianto Filippo Panseca, fu quel Garofano Rosso, simbolo della Comune di Parigi del 1871), nessun partito che si richiamava – a parole – al socialismo, fu più davvero socialista, ma adottò l'ideologia della crescita economica illimitata, delle privatizzazioni selvagge, dell'esportazione della “democrazia”... ma unicamente contro Paesi laici e socialisti quali Iraq, Libia, Siria e Jugoslavia (sic!).

Nel gennaio 2020 uscì, postumo, un interessante romanzo-verità, scritto da Craxi e edito da Mondadori: “Parigi – Hammamet”, che sembra spiegare la triste realtà della nostra epoca.

In quarta di copertina, Craxi, scrisse: “Gli avvenimenti che sto per narrare sono assai singolari. Incredibili per eccesso di credibilità. Rientrano infatti nella categoria degli accadimenti comunemente ritenuti impossibili non perché inimmaginabili, ma proprio per il contrario. Chi non ha immaginato almeno una volta la possibilità che esistesse davvero la “Spectre”? E raffigurandosela, ognuno di noi l'ha disegnata ogni volta sempre più efferata e incontrollabile... Ogni tanto, però, quelle che abbiamo sempre considerato nostre fantasie estreme si rivelano, appunto, drammaticamente reali, come dimostrano gli eventi singolarissimi che mi accingo a raccontare”.

Nel romanzo. Bettino Craxi affida alla finzione letteraria, attraverso un romanzo di fantapolitica, il racconto della triste vicenda politico-giudiziaria che lo vide coinvolto negli ultimi anni della sua vita e parla, appunto, di una sorta di “Spectre”, ovvero di una potentissima organizzazione segreta transnazionale denominata “Koros”, “Il Mucchio”. Un'organizzazione infiltrata in tutti i centri del potere, finanziata e sostenuta da lobbies finanziarie promotrici della globalizzazione. Un'organizzazione i cui componenti “considerano l'identità e l'unità nazionale come ostacoli al mercato e si comportano come capi di uno Stato sovranazionale” e che utilizzano tecniche “terroristico-eversive”. Un'organizzazione gerarchica e con un intero esercito numeroso a disposizione, senza rapporti ufficiali con gli Stati, ma “non è escluso un coinvolgimento di settori istituzionali degli Stati Uniti e della Germania unificata” e che ha utilizzato la guerra nell'ex Jugoslavia come “il primo test da internazionalizzare”.

Nel romanzo-verità, Craxi, peraltro, scrive di come lui (nel romanzo con lo pseudonimo di Ghino), sia entrato nel mirino di “Koros” già ai tempi del caso Abu Abbas, ovvero ai tempi del suo no agli USA nella consegna di Abbas e il suo sostegno alla causa palestinese. Oltre a questo, il suo essere un “ostacolo al predominio incontrollato delle “grandi famiglie” italiane, agli affiliati della “trilateral”, ai potentati collegati ai gruppi avventuristici della finanza internazionale”. Oltre che, naturalmente, la sua ideologia “neogollista di sinistra”, che voleva un'Europa sovrana, indipendente dai due blocchi e amica del mondo arabo laico e socialista, oltre che alleata al Terzo Mondo.

Nel romanzo, Craxi, fa parlare così i suoi personaggi, rivelando le sue verità, anche nell'ambito della politica internazionale, condendole di una certa dose di finzione narrativa. Verità che sono, del resto, quelle che affidò, nei suoi ultimi anni di vita, alla stampa ed ai volumi che scrisse, nel triste esilio di Hammamet.

Nel romanzo, a dare una spallata a Koros, sarà il governo della Federazione Russa, d'intesa con le Nazioni Unite, “richiedendo ufficialmente al governo degli Stati Uniti di uscire dalle ambiguità e di perseguire i mandanti della destabilizzazione mondiale”.

Un Craxi che già oltre vent'anni fa, prima di morire, aveva visto molte cose e – pur inascoltato, persino da tanti sedicenti “socialisti” - non le aveva taciute.

Bettino Craxi rappresenta, ancora oggi, quei socialisti senza tessera e senza partito (perché l'unico vero Partito Socialista Italiano fu quello che iniziò nel 1892 con Filippo Turati e Anna Kuliscioff e finì purtroppo con Bettino Craxi nel 1992), come chi vi scrive, che, se sono profondamente delusi dalla politica – dal 1993 ad oggi – non hanno comunque mai smesso di analizzarla.

Di tutti questi aspetti e di molte figure del socialismo autentico, riformatore, autogestionario e non dogmatico, ancora oggi presente – a vario titolo – in molti Paesi latinoamericani (fra cui il Brasile di Lula in primis e la sua lungimirante politica estera e interna), nel mondo panafricano e nella Repubblica Popolare Cinese guidata dal riformista Xi Jinping – ho parlato diffusamente nel mio ultimo saggio “Ritratti del Socialismo”, edito di recente da IlMioLibro (https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/670930/ritratti-del-socialismo), con prefazione di una delle nipoti di Bettino, Ananda Craxi.

E molte sono ancora oggi le battaglie che attendono e attenderebbero i socialisti autentici in tutto il mondo, fra le quali:

1) nazionalizzazione delle società energetiche; delle telecomunicazioni (web e telefonia), dei trasporti; del settore bancario, siderurgico e militare;

2) investimenti massicci in sanità, istruzione, ricerca;

3) promozione di un mondo pacifico, multipolare, dialogante e volto alla collaborazione reciproca in ogni ambito, da quello sanitario a quello relativo alla sicurezza internazionale; promuovendo l'entrata nei BRICS dell'UE e un allargamento della NATO anche a Russia, Repubblica Popolare Cinese e a quanti più Paesi possibili, su un piano paritario, lavorando finalmente per combattere ogni forma di terrorismo e conflitto;

4) messa al bando dell'intelligenza artificiale per uso civile, che è destinata a distruggere non solo posti di lavoro, ma a mettere a rischio la sicurezza dei cittadini stessi, oltre che la loro capacità di ragionare;

5) promozione dell'autogestione delle imprese – da affidare direttamente ai lavoratori/produttori – nell'ottica del superamento dello sfruttamento del lavoro salariato.

Altro che fantomatiche e pericolose agende Draghi e Von Der Leyen, che hanno sempre mirato alla liquidazione del socialismo!

E' il momento di recuperare ciò che è stato distrutto: un socialismo largo, popolare, democratico, pragmatico, adatto ai nostri tempi, oltre ogni fondamentalismo.

Luca Bagatin

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lunedì 13 gennaio 2025

In memoria di Julián Isaías Rodríguez Díaz, socialista democratico, ex Vicepresidente del Venezuela e Ambasciatore in Italia. Articolo di Luca Bagatin

Julián Isaías Rodríguez Díaz e Luca Bagatin nel 2016

Ho appreso con tristezza della scomparsa di Julián Isaías Rodríguez Díaz, che conobbi nel 2016, quando era Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia e che, in quegli anni, intervistai due volte.

Isaías Rodríguez, oltre ad essere politico socialista democratico di lungo corso, era anche un poeta e uomo di grande cultura.

Mi invitò a pranzo nella sua casa di Roma - in quegli anni - e gli donai il mio saggio “Ritratti di Donna”, che ricordo apprezzò molto.

Classe 1942, giurista, iniziò la sua militanza politica nel partito socialista democratico venezuelano Azione Democratica, che abbandonò nel 1967 per aderire al Movimento Elettorale del Popolo, nato da una scissione a sinistra di AD. Nel MEP, Isaías Rodríguez, rimase fino al 1981.

Negli Anni '90, ricoprì il ruolo di procuratore dello Stato di Aragua e, nel 1998, aderendo al Movimento Quinta Repubblica, socialista e bolivariano, fondato da Hugo Chavez, fu eletto per la prima volta Senatore e, l'anno successivo, fu eletto Vicepresidente del Parlamento, ovvero dell'Assemblea Nazionale Costituente.

Nel gennaio 2000 fu chiamato da Chavez a ricoprire il ruolo di Vicepresidente del Venezuela e, nel dicembre dello stesso anno, fu nominato Procuratore Generale della Repubblica. Ruolo che ricoprì fino al 2007.

Ambasciatore del Venezuela in Spagna, dal 2009 al 2011, ricoprì il ruolo di Ambasciatore del Venezuela in Italia dal 2011 al 2019 e, dal 2017 in poi, fu eletto nuovamente Vicepresidente dell'Assemblea Nazionale Costituente.

Nella sua vita, oltre alla carriera politica, si annoverano molte opere poetiche, letterarie e giuridiche, pubblicate dal 1965 al 2007.

Lo conobbi come uomo franco, trasparente, intellettualmente e umanamente onesto.

Nelle interviste che mi rilasciò (e i cui link desidero riportare qui di seguito), disse cose molto importanti, a proposito del Venezuela, ingiustamente sanzionato da USA e UE e diffamato da troppa grande stampa europea e italiana, così come diffamato è il socialismo, almeno dal 1993 ad oggi.

Fra queste mi disse: "L’Unione Europea è stata sconsiderata e parzializzata politicamente contro il processo politico venezuelano. A nostro avviso si è lasciata influenzare dalla Spagna e da alcuni governi conservatori. Specialmente dal neoliberismo che porta avanti la politica dello sfruttamento. Le multinazionali ed il potere finanziario internazionale segnano le loro politiche, che non coincidono con quelle dell’America Latina in cerca della propria identità, integrazione, sovranità e capacità di negoziazione per difendere le proprie materie prime".

Il Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolas Maduro, così lo ha ricordato su Instagram: “Ci ha lasciato un grande uomo, avvocato, poeta, difensore dei lavoratori, impeccabile, leale e coerente con le giuste cause del popolo venezuelano, Isaías Rodríguez, un coraggioso rivoluzionario.
Illustre costituente degli anni 1999 e 2017, curatore degli articoli e dei capitoli fondamentali della nostra Magna Carta e che ci ha accompagnato nella fondazione della Quinta Repubblica, icona dell'eroica Storia venezuelana.
Lo ricordo in quei giorni di aprile del 2002, quando denunciò fermamente il colpo di Stato contro il comandante Hugo Chávez, fomentando in modo decisivo la ribellione rivoluzionaria che avrebbe riscattato l'istituzionalità e la democrazia.
Oggi, 12 gennaio, scrivo queste righe nel contesto della sua irreparabile scomparsa fisica che ci riempie di profondo dolore. Le mie condoglianze alla sua famiglia e ai suoi amici. Onore e gloria eterna a Isaias Rodriguez!”

Questi i link delle interviste che mi rilasciò, nel 2016 (https://amoreeliberta.blogspot.com/2016/03/intervista-di-luca-bagatin_31.html) e nel 2017 (https://amoreeliberta.blogspot.com/2017/06/intervista-di-luca-bagatin.html).

Luca Bagatin

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domenica 12 gennaio 2025

I regimi e il Potere secondo Eduard Limonov


"L’umanità civilizzata si è affrancata dai regimi duri, optando per i regimi molli. Se la violenza dura consiste nel reprimere fisicamente l’individuo, al contrario la violenza morbida si basa sullo sfruttamento delle sue debolezze. La prima tende a trasformare il mondo in una cella di massima sicurezza, mentre la seconda mira a fare dell’uomo un animale domestico"
 

sabato 11 gennaio 2025

venerdì 10 gennaio 2025

La Namibia a guida socialista rafforza la sua cooperazione con la Repubblica Popolare Cinese. Articolo di Luca Bagatin


Proficuo l'incontro del 6 gennaio scorso fra il governo socialista democratico della Namibia, presieduto da Nangolo Mbumba e rappresentato dalla Presidentessa eletta Netumbo Nandi-Ndaitwah (prima presidente donna eletta in Namibia) e il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, nell'ambito delle sue visite, dal 5 all'11 gennaio, in Namibia, Repubblica del Congo, Ciad e Nigeria .

Entrambe le parti sono impegnate a promuovere la cooperazione bilaterale, così come la Repubblica Popolare Cinese è impegnata, da molti decenni, nel rafforzare i rapporti con l'Africa e, in generale, il Sud del mondo e a promuoverne la modernizzazione.

Il Ministro Wang ha in particolare elogiato il partito socialista democratico della Namibia, ovvero l'Organizzazione Popolare dell'Africa del Sud-Ovest (SWAPO), in quanto ha adottato una governance fondata sulle necessità dei cittadini, guidando il Paese lungo un percorso di sviluppo, tenendo conto delle peculiarità nazionali del Paese.

Lo SWAPO, che alle ultime elezioni Parlamentari del 2024 ha ottenuto il 53% dei consensi e alle Presidenziali dello stesso anno il 58%, è partito socialista “con caratteristiche namibiane” affiliato all'Internazionale Socialista, che, ai tempi del colonialismo europeo, fu partito indipendentista legato al Movimento dei Paesi Non Allineati.

Il governo socialista della Namibia e la Repubblica Popolare Cinese, hanno così riaffermato la volontà di continuare a cooperare, nel segno dell'amicizia fra i popoli e del comune allineamento ideologico.

Luca Bagatin

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giovedì 9 gennaio 2025

Fra Primavere arabe e Golan. Articolo del prof. Giancarlo Elia Valori

Ve le ricordate le cosiddette “primavere” arabe? Confusione imperante dei sommovimenti eterodiretti da Stati Uniti d’America, Regno Unito e Francia nell’Africa settentrionale da gennaio 2011, che furono chiamate fraudolentemente “rivoluzioni”. Al contrario, come abbiamo ben visto, il sistema di produzione, nel Nord Africa è rimasto invariato ed, anzi, in Libia all’equilibrio di Gheddafi è succeduto il tribalismo di Sarkozy, con la benedizione di Washington, Parigi e Londra. L’Italia s’è dovuta accodare, minacciata dal bombardamento degli “alleati” UE sulle installazioni ENI: eventuale fuoco amico a firma Parigi e Londra (a quel tempo non ancora in odore di Brexit).
Leggiamo le chiavi di lettura “occidentali” dei fenomeni che avevano ancora sconvolto l’arco mediterraneo meridionale col tentato spaccio delle sedizioni in fattori richiamanti masse di musulmani che si stavano ribellando. Invece secondo certa stampa embedded-copia-e-incolla, essi, i rivoltosi, auspicavano forme di governo liberal-democratiche multipartitiche in cui trionfassero anche là gli dèi del capitalismo che vediamo adorare ogni giorno. Si sono adoperati vocaboli assurdi nel contesto – rivoluzione, controrivoluzione, primavere, agorà, dittature sultanali, nuovi “89”, laicità, uscita dal Medioevo, entrata nella modernità, tecnologia come progressismo (scordandosi di DĀ’IŠ e al-Qā’ida), ecc. – a masse che con l’Occidente nulla hanno avuto e hanno a che spartire, salvo colonizzarle e depredarle, e oggi in comune posseggono solo smartphone e internet.
Le “primavere” arabe miravano innanzitutto a distruggere il governo siriano e laico di Baššār Ḥāfiẓ ‘Alī al-Asad, alleato dell’Iran e testa di ponte della Via della Seta. Dopo tentativi durati tredici anni al-Asad è caduto l’8 dicembre 2024 in quest’ultima scaturigine delle infami “primavere” arabe, lasciando Israele in piena preoccupazione per le alture del Golan.
Le alture del Golan rappresentano un baluardo di difesa a settentrione, e come ci dice il Prof. Ahron Bregman, ne La vittoria maledetta. Storia di Israele e dei territori occupati (Einaudi, Torino, 2017): sono ben cinquant’anni che nelle alture del Golan, non si spara un colpo. Questo tipo di modus vivendi era possibile col laico al-Asad, e no di certo con l’attuale governo siriano formato da giadisti e salafiti.
Andiamo con ordine. La politica estera turca nei confronti del Medio Oriente dal 2013, sia in termini di grado di attività da parte di Ankara, sia in termini di cambio di direzione, va da una politica che fa ampio uso degli strumenti del soft power a una politica che si affida maggiormente agli strumenti dello hard power. Le cosiddette “primavere” arabe e le tendenze intra-turche a partire dal 2013 hanno portato Erdoğan a creare una sintesi unica nella storia della Turchia. Dalla politica estera repubblicana ha preso il nazionalismo, la militarizzazione e il sospetto verso il resto del mondo, e dal passato ottomano ha preso la dimensione religiosa, l’elemento di espansione e di revisionismo. Trattandosi di una sintesi, a volte prevale una dimensione e talvolta un’altra a seconda del soggetto e del periodo. Sebbene il pericolo per Israele sia chiaro se la dimensione islamica fosse più prominente nella politica estera turca, va anche notato che esistono pericoli derivanti da una linea nazionalista-indipendente nella politica estera turca, poiché la porta in conflitto con alcuni degli alleati di Israele. Inoltre, la linea nazionalista-indipendente incoraggia la Turchia a diventare sempre più autosufficiente e ad autoprodurre sistemi d’arma avanzati che, anche se non rappresentano una minaccia diretta e immediata per l’Israel Defense Forces, possono raggiungere elementi ostili a Israele.
Dalla politica estera repubblicana ha preso il nazionalismo, la militarizzazione e il sospetto verso il resto del mondo, e dal passato ottomano ha preso la dimensione religiosa, l’elemento di espansione e di revisionismo. Trattandosi di una sintesi, a volte prevale una dimensione e talvolta un’altra dimensione, a seconda del soggetto e del periodo.
La Turchia ha fondato un’entità nel nord della Siria controllata esclusivamente da Ankara, ed Erdoğan non immaginava che avrebbe avuto l’opportunità di proseguire verso Damasco attraverso le organizzazioni dell’opposizione siriana. Ankara non ha perso occasione quando la Russia, impegnata in Ucraina, e l’Iran, in conflitto con Israele sono usciti per il momento dalla scena. Di conseguenza, la Turchia sunnita sostituisce Russia cristiana e Iran sciita quale protettore della Siria.
La percezione prevalente in Medio Oriente, a partire dall’amministrazione Obama I e II e poi durante l’amministrazione Trump I, secondo cui gli Stati Uniti d’America stavano cercando di ridurre il proprio coinvolgimento nella regione, ha creato un vuoto che ha incoraggiato i Paesi della regione, e in particolare Ankara, ad intraprendere azioni indipendenti. In poche parole, gli strascichi delle “primavere” arabe si sono trasformate in azioni antisraeliane sotto regia turca.
Oltre a ciò, la comprensione ad Ankara dei cambiamenti avvenuti nella struttura del sistema internazionale, da un sistema unipolare in cui vigeva il predominio americano ad un sistema multipolare, in cui i fattori su cui si basano possono e devono essere diversificati, porta la Turchia a intraprendere sempre più azioni oltre ciò che ci si potrebbe aspettare da un membro fedele della NATO. La Turchia attua una forma doppiogiochista: islamista ma con propensione entrare nell’Unione Europea.
Uno dei termini che spesso compaiono nella descrizione della politica estera della Turchia è “neo-ottomanismo”. Sono molti i commentatori, sia nei media che nel mondo della ricerca, che amano chiamare Erdoğan “Sultano” e definiscono la sua politica neo-ottomana. L’uso del termine neo-ottomanesimo non è iniziato con Erdoğan, ma è stato ampiamente utilizzato per la prima volta per descrivere i cambiamenti introdotti dal presidente turco Turgut Özal nella politica turca negli anni Ottanta. Viene a indicare cambiamenti rivoluzionari rispetto alla politica repubblicana della Turchia dai tempi di Atatürk, che sosteneva il mantenimento dello statu quo, e si riferisce alla crescente attività della Turchia nella regione e all’ingresso di elementi pan-turchi e islamici nella narrativa politica.
Oggi, l’uso dell’espressione neo-ottomanesimo presso l’opinione pubblica internazionale è spesso pronunciata da elementi ostili alla Turchia, che la utilizzano per indicare intenzioni espansionistiche turche o per condannare misure non in linea con gli interessi dell’Occidente, a cui la Turchia aspira a farne parte. Nella presentazione estrema del termine, viene utilizzato per accusare Erdoğan di voler stabilire un’area sotto il controllo o l’influenza turca sulla falsariga del vecchio impero ottomano, o addirittura di “ristabilire l’impero ottomano”.
Il passato ottomano occupa sempre più spazio nell’intera società turca e in particolare nelle dichiarazioni di Erdoğan, che lo usa per giustificare alcune delle sue attività, anche nella sua politica estera.
Tuttavia, si può sostenere che la politica estera turca è neo-ottomana nel senso di attivismo e di maggiore attività turca, ed è anche impossibile negare l’ombra ottomana presente in diversi passi turchi sulla scena internazionale. Sebbene la dirigenza turca eviti di usare l’espressione neo-ottomanesimo, soprattutto per definire le proprie politiche, il passato ottomano occupa sempre più spazio nell’intera società turca e in particolare nelle dichiarazioni di Erdoğan, che lo usa per giustificare alcune delle sue attività, anche nella sua politica estera. Ad esempio, il presidente turco ha giustificato la sua posizione riguardo a Gerusalemme nell’ottobre 2020 con le parole: “In questa città che abbiamo lasciato in lacrime durante la prima guerra mondiale, si possono ancora vedere i resti della resistenza ottomana. Pertanto, Gerusalemme è la nostra città, è la nostra città”. È anche possibile notare l’importanza delle aree che appartenevano all’Impero Ottomano negli sforzi internazionali turchi in Siria, Iraq, Libia, nel Mediterraneo orientale e, in una certa misura, nei Balcani. La nostalgia per l’Impero Ottomano gioca un ruolo importante anche nella politica di soft power della Turchia, come dimostrato dal grande successo delle serie televisive “storiche” turche in Medio Oriente, nel mondo musulmano e persino nei Balcani.
Ad esempio, le operazioni turche nel nord della Siria e nel nord dell’Iraq si svolgono in aree che il Movimento nazionale turco ha definito come terra turca, finché Atatürk non ha accettato di rinunciarvi. Per molti sostenitori di Erdoğan, l’ingresso delle forze turche in quelle zone è un risultato che compensa questa concessione. Allo stesso modo, i problemi relativi alla delimitazione dei confini marittimi nel Mediterraneo orientale derivano da alcune disposizioni del Trattato di Losanna (24 luglio 1923), firmato da Atatürk dopo la Guerra d’indipendenza turca. Anche in questo ambito Erdoğan può presentarsi un passo avanti rispetto al suo famoso predecessore. In molti casi, la visione storica del presidente turco è quella di paragonarsi al laico Atatürk in un modo che lo lusinga più che essere un “nuovo sultano”.
In conclusioni desidero riaffermare e ripetere che – mio parere – le “primavere” arabe sono state un dono occidentale al neo-ottomanesimo turco, per tenere a freno le spinte di Ankara verso l’UE. Non ci voleva un genio per capire che tutto questo si sarebbe trasformato successivamente in manovre antisraeliane.

Giancarlo Elia Valori