In pochi sanno ciò che
accade veramente in Africa da decenni, anzi, da secoli. In molti
preferiscono voltare le spalle dall'altra parte, magari
rinchiudendosi nel proprio intimo razzismo o nella xenofobia.
Altri invece,
preferiscono acriticamente aprire i porti, accogliere tutti. Senza
chiedersi se ciò sia davvero giusto, ovvero se sia giusto
“deportare” esseri umani nei nostri Paesi, i quali magari
finiscono nelle mani sbagliate, nei giri della malavita locale. Senza
chiedersi – in sostanza - quali siano le cause delle migrazioni,
ovvero aiutare gli africani a riappropriarsi delle proprie terre,
della propria sovranità e aiutarli a non snaturarsi, a non
disintegrarsi nella cultura occidentalista-capitalista, sempre più
preda di un mercato che ha messo in vendita ogni cosa e che incita ad
un consumo selvaggio e al conseguente sfruttamento dell'essere umano
sull'essere umano.
Ecco che in pochi
conoscono la storia di eroi panafricani quali Thomas Sankara, Patrice
Lumumba, Kwame Nkrumah, Nelson Mandela, Mu'Ammar Gheddafi e molti
altri leader. Tutti di ispirazione socialista, tutti eroi politici
democratici che hanno combattuto, nelle rispettive terre, il
colonialismo e il neocolonialismo europeo e statunitense. E per
questo hanno spesso pagato con la vita.
Come europei dovremmo
riflettere su questo. Siamo stati e siamo davvero un popolo civile e
democratico, in rapporto a quello africano ?
Perché non cerchiamo di
capire e di approfondire ?
Oggi la bandiera
panafricana è ripresa in mano da attivisti come Kemi Seba, che nei
giorni scorsi, con la sua ONG “Urgences Panafricanistes” ha
organizzato diverse manifestazioni in Africa contro il sistema del
Franco CFA. La tesi di Kemi Seba è quella di invitare i suoi
fratelli africani a non emigrare, ma lottare nella propria terra
d'origine, affinché torni ad essere finalmente libera e sovrana.
Questa è anche la tesi di Mohamed Konare, che il 2 marzo ha
organizzato a Roma, alle ore 10, una manifestazione di pace delle
comunità africane italiane che partirà da Piazza dell'Esquilino per
arrivare a Piazza della Madonna di Loreto. L'obiettivo è quello di
sensibilizzare l'opinione pubblica relativamente allo sfruttamento
dei poteri economico-politici occidentali che depredano l'Africa
delle sue risorse e costringono gli africani ad emigrare, imponendo
così una “concorrenza al ribasso” fra lavoratori e nuove lotte
fra poveri.
Filippo Bovo, giornalista
e studioso di politica dell'Africa, nonché autore del saggio
“Eritrea, avanguardia di una nuova Africa”, edito da Anteo, può
spiegarci meglio il fenomeno panafricano e che cosa sta accadendo in
Africa in questo momento.
Luca Bagatin: In
Italia e in Europa si parla molto del fenomeno dell'immigrazione
africana, ma molto poco delle ragioni di tale immigrazione e della
situazione che stanno vivendo i Paesi e popoli africani da decenni.
Cosa puoi dirci in merito ?
Filippo
Bovo: È indubbiamente una
tematica complessa. Riassumendo, potremmo dire che i frutti mai
curati del colonialismo - insieme agli ulteriori peggioramenti
causati dal neocolonialismo – abbiano, col tempo, prodotto una
sempre più incontenibile crescita demografica, frutto delle attuali
ondate migratorie. Di tale problematica già ci avvisava una grande
figura come il Presidente algerino Houari Boumédiène negli Anni
’70. Già allora, poi, si intravedevano gli enormi pericoli che in
futuro sarebbero sorti da gravi problemi climatici come la
desertificazione, devastanti per l’autosufficienza alimentare di
quei Paesi. Qualche anno dopo, anche un certo Bettino Craxi ci mise
in guardia, in tempi decisamente non sospetti, sulla gravità di
questa situazione, a suo giudizio prossima ad esplodere. Come
Occidente e come Europa, su tutta questa faccenda, abbiamo dunque non
soltanto dormito, ma persino proseguito ad oltranza con certi errori
pensando che non ci sarebbero mai stati dei limiti di cui rendere
conto. La storia è insomma molto lunga e i recenti conflitti causati
da una visione “neocolonialista” dei rapporti fra Africa e Paesi
occidentali sono stati un fiammifero acceso gettato in un bidone
pieno di benzina. Costa d’Avorio, Libia, Congo, Ciad, Niger, Sudan,
Sud Sudan, Etiopia-Eritrea, Somalia, Niger, Mali, sono tutte crisi
locali o regionali che comunque compongono un più vasto quadro a
livello continentale. La povertà e la precarietà che si vivono in
molti Paesi africani, poi, hanno facilitato anche la vita a certi
fenomeni di crimine organizzato, come le mafie nigeriana o
senegalese, che ad un certo punto hanno deciso di colonizzare anche i
nostri “mercati”. Ci troviamo dunque di fronte ad una situazione
profondamente frastagliata ed eterogenea, non riassorbibile di certo
con qualche slogan o frase fatta come qualche politico o governante,
tanto in Africa quanto in Europa, crede che invece si possa fare.
Luca Bagatin: I
panafricani francesi si stanno battendo in particolare contro il
sistema del Franco CFA. Puoi spiegarci questo sistema, più nel
dettaglio ?
Filippo
Bovo: Il Franco CFA, stampato
dalla Banca Nazionale Francese, consente a Parigi di controllare le
economie dei Paesi africani un tempo sue colonie, quelli che in
Francia ancora chiamano “Françafrique”. Più di metà delle
transazioni economiche e commerciali di quei Paesi finiscono quindi
alla Francia, per un ammontare che corrisponde grosso modo a 400
miliardi di euro all’anno. Come se ciò non bastasse, se un’impresa
estera vuole instaurare con uno di questi Paesi un accordo economico
o commerciale di una certa entità, deve prima di tutto ricevere il
consenso del Ministero dell’Economia della Francia: non di quel
Paese, ma della Francia. Sono dunque Paesi a sovranità limitata, e
non solo in senso monetario. Si tratta, insomma, di un sistema di
sfruttamento palese e mi meraviglio di chi, in Europa, ancora si
ostini a difenderlo, dal momento che ho visto politici e giornalisti
nostrani darsi anche a simili bassezze. È anche un sistema pensato
per inibire l’iniziativa economica e produttiva locale, perché per
esempio se si va in Camerun, tanto per fare un esempio, è
impossibile trovare certi prodotti alimentari di produzione locale,
dal momento che quelli in vendita sono tutti francesi. Eppure la
materia prima abbonderebbe: è che, tra concorrenza sleale da una
parte e mancanza di preparazione professionale dall’altra, è quasi
utopistico trovare un macellaio che per esempio sappia fare le
salsicce. Le salsicce vengono tutte dalla Francia e costano non meno
di 10 Franchi CFA, un prezzo abnorme per un consumatore locale. Se
fossero prodotte in loco, costerebbero molto meno di un terzo. Mi
rendo conto di aver fatto un esempio un po’ “casereccio”, ma
era tanto per dare un’idea. Quanto a Kemi Seba, di cui fai
menzione, basti pensare che è stato persino incarcerato per aver
protestato in pubblico contro il sistema di sfruttamento basato sul
Franco CFA. In Senegal fu incarcerato, su impulso della locale
Ambasciata Francese, per aver bruciato davanti alla folla una
banconota di Franco CFA con l’accendino. Il Senegal, tutti lo
sappiamo, non è certo fra i Paesi della “Françafrique” che
versano in condizioni peggiori: eppure è potuto succedere questo.
Figuriamoci altrove !
Luca Bagatin: Cosa
ne pensi delle battaglie storiche e attuali dei movimenti panafricani
?
Filippo
Bovo: Il panafricanismo ha
goduto momenti d’oro a partire da Kwame Nkrumah, il grande
Presidente del Ghana degli Anni ’60, morto poi in esilio in Romania
negli Anni ’70 dopo che fu stato spodestato da un golpe
“filo-colonialista”. Fu uno dei primi a parlare di Africa unita
con un libro, “Africa Must Be United”, che per molto tempo
riscosse una grande attenzione fra i giovani intellettuali e
rivoluzionari africani e che ancor oggi, mai dimenticato, sta
conoscendo un meritato revival. In tanti hanno raccolto o condiviso
quella sua lezione. Di leader africani noti o meno noti che hanno
detto cose bellissime sull’unità africana ce ne sono stati
tantissimi e saggiamente Mu'Ammar Gheddafi aveva voluto che tutti
fossero ricordati ed onorati. La sua eliminazione, nel 2011, ha
procurato un grave stop a questo processo, che comunque oggi sta
conoscendo un nuovo rilancio. Questo fenomeno ci consegna un
insegnamento molto importante: si possono uccidere le persone e
persino i sistemi che hanno creato, ma non le loro idee.
Luca Bagatin: Il
tuo saggio parla dell'Eritrea. Uno di quei Paesi di cui si sente,
purtroppo, parlare molto poco nei media nazionali. Che situazione
politica sta vivendo attualmente ?
Filippo
Bovo: L’Eritrea ha
conquistato l’indipendenza nel biennio 1991-1993, dopo trent’anni
di guerra per l’indipendenza, dapprima contro l’Etiopia del Negus
e quindi contro quella del DERG di Menghistu. Ha instaurato fin da
subito un sistema socialista innovativo, che teneva conto delle
particolarità locali e degli errori dei sistemi socialisti del
passato, da correggere. L’Eritrea di oggi si presenta come un Paese
che, avendo investito soprattutto nelle campagne anziché nelle
città, ha evitato il doloroso problema delle immense baraccopoli
tanto comuni nelle grandi città delle altre nazioni africane e che
- sempre rispetto ad esse - vanta non soltanto la quasi
autosufficienza alimentare, ma anche ottimi standard, in rapporto al
contesto africano, per quanto riguarda la sanità e l’istruzione. È
inoltre uno dei pochissimi Paesi in Africa a lottare senza quartiere
contro le mutilazioni genitali femminili e a lavorare per garantire
pari opportunità fra uomini e donne, dall’esercito agli altri
settori dello Stato, fino all’economia privata. Per anni il Paese è
stato ingiustamente sotto sanzioni a causa di false accuse in merito
al suo operato in Somalia: prove fabbricate dal vecchio governo
etiopico, con cui il Paese ha combattuto una guerra fra il 1998 e il
2000 e dall’Amministrazione Obama hanno accusato l’Eritrea di
aiutare le milizie di al-Shabaab in Somalia, legata ad al-Qaeda.
Nella primavera del 2018 il vecchio governo etiopico, guidato dal
Fronte Popolare di Liberazione del Tigray è caduto e al suo posto è
arrivata una nuova coalizione, guidata dal 42enne Abiy Ahmed, che al
contrario ha subito chiesto la pace con l’Eritrea. Nel 2000, a
guerra finita, l’Eritrea aveva sottoscritto tutti i termini della
pace con l’Etiopia, rappresentati dal Trattato di Algeri, ma la
controparte si era sempre rifiutata. L’apertura dell’Etiopia,
imprevedibile fino a pochi mesi prima, ha così dato una tardiva ma
importante soddisfazione all’Eritrea, e soprattutto ha avviato un
immenso processo d’integrazione regionale, che sta mettendo a
collaborare insieme Etiopia, Eritrea, Somalia, Gibuti, Sudan, Sud
Sudan, Kenya, ecc, in nome del benessere e della pace di tutta la
regione. Già ora Etiopia ed Eritrea stanno collaborando per
integrarsi a vicenda, cominciando dalle infrastrutture e non solo.
Luca Bagatin: Pensi
che i popoli africani riusciranno a liberarsi finalmente dal
neocolonialismo ?
Filippo
Bovo: Il percorso è ancora
molto lungo, però si vede già una luce in fondo al tunnel.
Recentemente è nato il nuovo mercato comune africano, voluto
dall’Unione Africana, l’AfCTA. Tra i suoi obiettivi vi sono
quelli di far incrementare il commercio fra i vari Paesi africani,
oggi davvero attestato a numeri minimi, ma anche quello di arrivare
ad una moneta comune, sostitutiva di tutte quelle già esistenti e
tra queste, tanto per tornare indietro di qualche riga, vi è anche
il Franco CFA. Sappiamo che Nicolas Sarkozy volle la guerra contro
Gheddafi anche perché quest’ultimo voleva introdurre una nuova
valuta panafricana, il Dinaro agganciato all’oro, in luogo delle
altre vecchie valute africane, cominciando proprio da quella
“cartastraccia” di produzione francese. Il lascito di Gheddafi e
degli altri panafricanisti che l’hanno accompagnato, dunque, è
ancora molto forte, persino in istituzioni che a prima vista
potrebbero sembrare un po’ troppo “abbottonate” come l’Unione
Africana, ma che comunque nacque per volere proprio di Gheddafi. Il
mercato comune africano può essere uno strumento per facilitare la
“decolonizzazione” dell’Africa, sottraendola dalle vecchie
potenze coloniali e neocoloniali. In ciò avranno sicuramente un
ruolo importante le potenze e le economie emergenti, dalla Cina
all’India fino alla Russia e non solo, che oggi vengono accusate di
“colonialismo” soprattutto da quei Paesi che, il colonialismo
vero, in Africa l’hanno fatto sul serio. Il volano di tutto questo
meccanismo, in ogni caso, si è già messo in moto: al di là di
tutte le polemiche, da oggi in poi i risultati li vedremo in maniera
sempre più consistente.
Luca
Bagatin