Questa l'ottima
definizione che diede il filosofo francese Alain De Benoist in
un'intervista al sito Boulevard Voltaire nel gennaio scorso,
denunciando peraltro una serie di aspetti del nuovo governo
brasiliano, fra cui la riduzione delle tasse ai più grandi gruppi
industriali, la privatizzazione quasi totale delle imprese pubbliche,
il ritiro del Brasile dall'accordo di Parigi sul clima e i progetti
di Bolsonaro di distruzione ambientale, fra cui la decisione di voler
costruire un'autostrada attraverso l'Amazzonia.
Oltre a ciò, De Benoist,
faceva notare come la politica estera di Bolsonaro fosse tutt'altro
che nazionalista, ma del tutto piegata agli interessi di USA e dei
sui alleati: Arabia Saudita e Israele in primis, e di totale ostilità
nei confronti di Europa, Russia e Cina.
La simpatia di Bolsonaro
nei confronti della dittatura militare dal 1964 al 1985 ne completano
peraltro il quadro. De Benoist lo definì “umanamente vuoto e senza
scrupoli” e, esattamente come Macron, politicamente liberale.
Facendo peraltro notare come: l'uomo forte del suo governo, Paulo
Guedes, sia un liberale cresciuto alla Scuola di Chicago, laureato
con Milton Friedman e fondatore della banca d'investimento BTG
Pactual; il suo Ministro degli Esteri, Ernesto Araùjo, sia un
anti-ecologista legato agli interessi dell'agro-business e il suo
Ministro dell'Agricoltura, Tereza Cristina, sia rappresentante dei
latifondisti.
Bolsonaro, in questi
giorni, in barba ai diritti dei popoli indigeni del suo Paese, ha
smontato le funzioni principali della Fondazione che si occupa di
loro, ovvero la FUNAI, il cui compito principale era quello di
demarcare e proteggere i territori abitati dai popoli nativi
sopravvissuti alla colonizzazione, ovvero coloro i quali più di
tutti dovrebbero avere il diritto di essere chiamati brasiliani e
abitare quelle terre.
Bolsonaro sta dunque
tentando, attraverso i suoi primi atti di governo, di demolire sia la
legislazione ambientale che culturale del Paese, così faticosamente
costruita nel trentennio successivo alla dittatura militare da lui
ignobilmente tanto amata. Legislazione che, grazie anche al
contributo del sindacalista ambientalista Chico Mendes, ha garantito
quel minimo di protezione sia alla foresta Amazzonica che al popolo
che la abita.
Bolsonaro sarà anche
stato eletto “democraticamente”, ma le sue politiche sono
l'esatto opposto della democrazia. Peccato in Europa siano in pochi a
denunciare tale triste fenomeno, ma preferiscano accanirsi contro il
socialismo dell'America Latina, sia in Venezuela che in Nicaragua e
altrove. Proprio quel socialismo che ha liberato i poveri e i popoli
indigeni dall'oppressione coloniale e liberal capitalista.
Un giorno, forse, chissà,
apriremo finalmente gli occhi. Speriamo non sia troppo tardi.
Luca Bagatin
Nessun commento:
Posta un commento