II lavoro come (autentica) ideologia totalitaria.
Da sempre.
Ieri come oggi.
Fatto passare come "diritto" (da destra, centro e sinistra). Come base dell'economia, ma capitalistica, borghese, fondata sull'accumulo, la crescita e la distruzione delle risorse, dell'ecosistema, del tempo libero.
Anche in piena pandemia si permette la "libertà di contagio" nei posti di lavoro.
Pensateci.
Sarebbe ora.
Superare l'ideologia del lavoro e lo sfruttamento del lavoro salariato. Articolo di Luca Bagatin del 21 novembre 2020
“La vita non è
fatta solo per lavorare, ma ha bisogno di tempo libero per
l’esercizio della libertà. Non si può vivere oppressi dal mercato
che ci obbliga a comprare, comprare, perché non paghi con i soldi,
ma con il tempo della tua vita”.
Questo uno degli
insegnamenti fondamentali che ci ha lasciato l'ex Presidente
socialista dell'Uruguay, José “Pepe” Mujica. Il Presidente
povero e dei poveri, che ha governato il suo Paese dal 2010 al 2015
(e fu Ministro dell'Agricoltura e della Pesca dal 2005 al 2008).
Risollevandone le sorti e attuando politiche sociali e socialiste,
sul modello autogestionario e libertario.
Un modello che supera
l'insana “ideologia del lavoro” ad ogni costo. E che supera il
conseguente “sfruttamento dal salario”. Un modello che guarda,
invece, a quello che Mujica stesso definì “un cammino di lotta al
servizio e in solidarietà con gli altri esseri umani”. Ovvero “una
politica permanente a favore di chi ha la volontà di lavorarla”,
ad esempio organizzando “colonie di terra pubblica in cui si paga
un affitto”.
Un modello non dissimile
da quello della Jugoslavia di Tito, fondato sull'autogestione delle
imprese e della Libia del Raìs Mu'Ammar Gheddafi, laico e socialista
ideatore della Terza Teoria Universale, ovvero della “Repubbica
delle masse” e della “democrazia diretta” (Jamahiriyya), che fu
attuata nell'ambito di Congressi e Comitati popolari aperti a tutti i
cittadini.
Gheddafi, nel suo “Libro
Verde”, ovvero il suo saggio sociale e politico fondamentale,
scrisse, in merito all'organizzazione sociale e del lavoro: “Nella
società socialista non ci sono infatti possibilità di produzione
individuale al di sopra del soddisfacimento dei bisogni personali. In
essa non è permesso di soddisfare i propri bisogni a spese degli
altri. Le istituzioni socialiste lavorano per soddisfare i bisogni
della società. (…). A ciascun individuo è consentito di
risparmiare ciò che vuole, soltanto nell’ambito del proprio
fabbisogno, in quanto l’accumulo di risparmio in misura maggiore, è
a detrimento della ricchezza collettiva. La gente abile e
intelligente non ha il diritto di appropriarsi delle unità di
ricchezza altrui per via della propria abilità e intelligenza,
tuttavia può utilizzare quelle qualità per soddisfare i deficienti
e gli incapaci non perciò devono essere privati di quella stessa
parte della ricchezza sociale di cui godono i sani”.
Egli ritenne, dunque, in
concordia con il socialismo delle origini (da Saint-Simon, a Marx,
sino a Pierre Leroux, Proudhon e così via), che i lavoratori
dovessero essere considerati produttori, non più dei salariati,
ovvero degli sfruttati. E dunque, ciò che loro producono, dovesse
essere considerato di loro stessa proprietà.
Il salario, per Gheddafi
(e in realtà per tutti i socialisti, sin dalla fondazione della
Prima Internazionale dei Lavoratori, nel 1864), è indice di
sfruttamento e un lavoratore/produttore non può essere schiavo di
nessun padrone. Sia esso un padrone privato o statale.
Oltre a ciò, il Raìs,
ritenne che nessuno potesse possedere più di quanto gli fosse
necessario per vivere. Ciò perché – non essendo le risorse
illimitate - l'accumulazione della ricchezza da parte di alcuni è
fonte di ingiustizia, corruzione e segna il sorgere della società
dello sfruttamento.
I concetti fondamentali
del socialismo originario o autogestionario, inveratosi sia nella
Jugoslavia titina che nella Libia di Gheddafi, ma per molti versi
anche nell'Argentina peronista; nella Cuba del Che e Fidel Castro;
nell'Egitto nasseriano e via via nei modelli più recenti del
Socialismo del XXI Secolo latinoamericano (dal chavismo sino al
modello uruguayano del Frente Amplio di Mujica, al modello del Buen
Vivir ecuadoriano, sino, in parte, al socialismo boliviano di Evo
Morales), propone dunque un nuovo modello di sviluppo.
Uno modello che supera da
una parte il produttivismo e dall'altra il capitalismo. Poponendo che
il cittadino/lavoratore viva del necessario e lavori a beneficio
della società e dei bisognosi e non già per un salario. E che
ciascuno sia proprietario del proprio lavoro, nell'ambito di attività
economiche socialiste autogestite.
Moltissima strada vi è
da fare. Soprattutto per “decolonizzare l'immaginario”, come
direbbe l'economista Serge Latouche. Per creare un'alternativa
all'assurdo modello di sviluppo occidentale, capitalista, fondato sul
danaro e sullo sfruttamento del lavoro.
Lavoro che toglie tempo
libero; che lega a un datore di lavoro (e ad eventuali ricatti); che
è utile solo a generare profitto e conseguente sfruttamento delle
risorse economiche, sociali, ambientali e non già per aiutare la
comunità stessa e le sue necessità primarie e fondamentali.
Necessità che saranno sempre maggiori e sempre più essenziali in
periodi di pandemia.
Necessità che non sono
legate al vil danaro, che è uno strumento per sua natura schiavista,
in quanto rappresenta un debito nei confronti di qualcuno (ed è il
maggiore e più perverso strumento di perdita di sovranità dei
cittadini e dei Paesi).
Una società sana,
socialista, autogestita, libera e libertaria, è una società che
supera i vincoli imposti dall'egoismo umano. Che supera il sistema
del danaro (e della conseguente usura o interessi sui
debiti/prestiti). Che supera il sistema del lavoro salariato. Che
supera il sistema del consumismo e della distruzione delle risorse e
del Pianeta.
Per approdare a qualcosa
di antico, ma allo stesso tempo di genuino, comunitario, umanitario,
spirituale, ecologista e socialista al contempo.
Come ancora oggi avviene
in alcune società matriarcali, che vivono su quella che
l'antropologo Marcel Mauss definì “economia del dono”. Sullo
scambio reciproco, alla pari. Sul baratto. Sul lavoro in comune e a
beneficio del prossimo.
“Per far uscire”,
come ebbe a dire lo stesso Latouche, “l'umanità dalla miseria
psichica e morale” nella quale vive da secoli. Semplicemente
per aver adottato un modello che sdogana un'infezione della psiche
umana chiamata egosimo e accumulo.
Luca Bagatin
www.amoreeliberta.blogspot.it