Volendo usare un termine
per definire il 2018 appena passato, sotto il profilo politico,
potremmo definirlo anno "populista". O, quantomeno, anno
nel quale i popoli del mondo hanno voluto far sentire, a diversi
livelli, la propria voce ed esprimere la loro contrarietà nei
confronti di politiche liberali, capitaliste e di austerità.
Pensiamo innanzitutto
alle manifestazioni comuniste in Russia contro l'aumento dell'Iva e
dell'età pensionabile, che hanno segnato un arretramento del fronte
liberal-putiniano, sia nei sondaggi che alle elezioni amministrative,
in favore del Partito Comunista della Federazione Russa (KPFR)
guidato da Gennady Zjuganov, la cui visione della politica è la
seguente: "La politica dovrebbe essere basata su quattro
principi: potenza, collettivismo, spiritualità, giustizia".
E sempre, in Russia, il
movimento nazionalbolscevico Altra Russia di Eduard Limonov, grazie
in particolare alla giovane attivista Olga Shalina, ha denunciato lo
stato drammatico in cui vivono i carcerati nel Paese e, con il Fronte
della Sinistra di Udalstov e il KPFR, ha sostenuto le manifestazioni
contro l'austerità.
Pensiamo alla Francia dei
Gilet Gialli, i quali, ancora oggi, non hanno cessato le loro
manifestazioni contro le politiche di Macron e sono riusciti peraltro
ad ottenere, dall'Unione Europea, la possibilità di sforare il
fantomatico e assurdo tetto del 3% deficit/PIL.
Pensiamo all'Italia, le
cui elezioni hanno visto la sconfitta delle forze europeiste ed
elitarie - Pd e Forza Italia - e l'avanzare di partiti anti-Unione
Europea (per quanto tali solo a parole) quali Movimento Cinque Stelle
e Lega, le cui politiche, pur in maniera assai timida e pasticciata,
vorrebbero - quantomeno in parte, pur minima - contrapporsi
all'austerità europeista e ad una immigrazione che, ad oggi, ha
rappresentato una vera e propria deportazione di esseri umani e una
nuova lotta fra poveri.
Pensiamo alla vittoria in
Messico del candidato socialista populista Andres Obrador e al
Venezuela, che ha visto la riconferma al governo del socialista
Nicolas Maduro, per quanto l'astensionismo, tanto quanto nei Paesi
europei menzionati, sia comunque aumentato, segnale di come i popoli
vorrebbero maggiormente avere la possibilità di dire la loro.
In Brasile, purtroppo,
"grazie" all'impossibilità di candidare Lula, ha vinto
l'esponente dell'oligarchia ricca, ovvero Jair Bolsonaro e persino in
Argentina continuano i tentativi di delegittimazione dell'ex
Presidentessa Cristina Kirchner, la quale è pronta, nel 2019, a
ricandidarsi contro l'attuale Presidente Mauricio Macri, il quale ha
svenduto il Paese alle politiche di austerità del Fondo Monetario
Internazionale e ha tagliato ogni fondo per il sociale e la
disabilità.
Pensiamo infine
all'Ungheria che, finalmente, inizia a ribellarsi alle politiche
liberal-capitaliste di Orban, che ha varato una vera e propria legge
schiavista sul lavoro e, anche lì, tornano in campo i comunisti del
Partito Operaio Ungherese, di matrice patriottica e autenticamente
socialista.
Dove stia andando e dove
andrà il mondo, non sappiamo. Certo sarebbe molto se i popoli ricchi
comprendessero la necessità di vivere con meno, ma con il giusto,
senza pensare di sfruttare altri popoli imponendo loro la propria
visione oppure "deportando" manodopera a basso costo o
sfruttandola in loco, attraverso le delocalizzazioni.
Sarebbe molto se concetti
tipici del socialismo delle origini, come la "sovranità" e
il "populismo", fossero recuperati, ma non in maniera
feticistica o ideologica, bensì come alternativa al globalismo
capitalista e alla dittatura del danaro, del lucro e del consumo, al
fine di approdare ad una dimensione di autosufficienza economica:
produci ciò che consumi, il resto lo distribuisci.
Forse siamo ben lontani
da questa dimensione e dal superamento dell'egoismo, che è forse
quel totalitarismo che accompagna l'Umanità sin dai suoi albori.
Saremo ben lontani, ma,
ad ogni modo, credo che questa possa essere l'unica via per
l'emancipazione sociale dell'essere umano. Una via non materialista,
spirituale, di ricerca di una democrazia piena e autentica, ovvero di
consapevolezza interiore, che permetta di autogestirsi e
autogovernarsi, senza la necessità di alcun "leader" e
capace di superare e annientare ogni forma di totalitarismo e di
diseguaglianza.
Crescono i "mammoni",
così scrivono alcuni giornali che commentano i dati Eurostat
relativi al 2017 che ci dicono che, in Italia, le persone di età
compresa fra i 18 e i 34 anni che vivono con i genitori sono il 66,4%
rispetto al 65,8% del 2016. Il 72,2% dei maschi e il 59,8% delle
femmine.
Il dato più alto a
livello europeo dopo Croazia, Malta e Grecia, a fronte di una media
europea del 50%.
Dove sia lo scandalo,
davvero non sappiamo.
In un'epoca in cui le
famiglie sono sempre più disgregate in favore dell'ideologia del
consumo, della deregolamentazione (dei consumi e dei costumi), della
precarietà lavorativa e del cosmopolitismo imposto con relativo
sradicamento identitario (migrazioni da un Paese all'altro, dettate
da necessità economiche imposte dalla globalizzazione e dalla
deregolamentazione economica), il fatto che, nella nostra bella
Italia ancora resista l'idea che si può vivere e bene in famiglia -
con i propri genitori e conserviamoceli cari - è tutt'altro che da
considerarsi scandalosa.
Scandalosa lo è, forse,
per coloro i quali auspicano, ancora una volta, una società di
atomi, da dare in pasto al dio mercato. Una società di individui
separati fra loro: senza più una identità comunitaria, sia essa
culturale, storica, sociale, spirituale. Una società che crea nuove
povertà e razzismo laddove si impone ai popoli di migrare, facendo
così perdere loro ogni contatto con la propria comunità di origine,
con la propria storia e cultura e ciò in nome di sedicenti "società
aperte", ovvero in nome dello sfruttamento e della deportazione
di esseri umani da un posto all'altro, affinché siano separati dalle
proprie origini, dai propri simili e dai propri affetti, affinché
divengano docili strumenti posti di fronte alle richieste incessanti
del mercato, del consumo, dello sfruttamento dettato dal danaro e
dall'ideologia del desiderio di beni di consumo e modelli di vita
sempre più sofisticati ai quali ambire... al prezzo di un lavoro
sempre più sottopagato, o di un lavoro in nero o di nessun lavoro.
Ecco che allora, il circo
politico-mediatico "liberal" addita coloro i quali crescono
e vivono in famiglia come "bamboccioni" o "mammoni",
anzichè considerarli gli ultimi resistenti di una comunità
tradizionale in disgregazione. Comunità già attaccata dalla
deregolamentazione dell'affettività e dell'amicalità, laddove i
rapporti umani, sociali e affettivi sono ridotti a conversazioni
asettiche attraverso il pc, il tablet o lo smartphone, senza più
incontrarsi, vedersi, guardarsi negli occhi. Confrontandosi,
amandosi, discutendo, creando legami forti e forme di democrazia
partecipativa. Rapporti che divengono invece sempre più superficiali
e virtuali e quindi sempre più impossibili nella vita reale, come
pornograficamente o pornocraticamente voluto dall'industria del
"libero scambio" e della "sessualità libera"
purchè rigorosamente a pagamento, sul web, o in varie altre modalità
asettiche, onanistiche, disumane (si veda peraltro l'assurda e
vergognosa apertura dei bordelli con prostitute robot o la messa in
produzione di "bambole del sesso", neo surrogati di persone
ormai del tutto anestetizzate dal marketing commerciale).
La famosa "ideologia
del desiderio" - ovvero il nuovo totalitarismo - denunciata dal
filosofo comunista francese Michel Clouscard nel '68 e da Pier Paolo
Pasolini negli stessi anni è ormai, in epoca odierna, la regola dei
Paesi a ideologia liberal-capitalista.
Una "ideologia"
che accetta, senza battere ciglio, separazioni, divorzi, famigli
allargate, imponendo tutto ciò ai relativi figli, i quali vengono
"rabboniti" e "consolati" con ogni sorta di bene
di consumo, vizio, capriccio.
In Italia resiste - pare
- una certa mentalità familista, che si unisce alle difficoltà
economiche delle categorie più giovani, le quali hanno pagato e
continueranno a pagare le conseguenze di un modello di
(sotto)sviluppo insostenibile, ovvero il modello della crescita
economica, sino a che gli economisti e i soloni della politica
liberal-cosmopolita non si renderanno conto che questa non è affatto
illimitata e che le risorse sono limitate e vanno condivise
all'interno di ciascuna comunità, nel rispetto degli usi e constumi
di ogni comunità e realtà geografica.
Teniamoci cari il nostro
o i nostri genitori, dunque. Sono l'ultima isola felice di una realtà
in totale distruzione. Resistiamo, con le unghie e con i denti, alla
fine dell'affettività, dell'amicalità, dei sentimenti, dell'amore e
facciamolo rinunciando alla becera mentalità consumista,
ipertecnologica, cosmopolita, capitalista, modernista,
liberaleggiante. Costruendo una realtà diversa e alternativa a
quella attuale.
Il rivoluzionario di oggi
non può che essere un conservatore. Un resistente all'ideologia del
desiderio. Un ricercatore di quella che mi piace definire "Civiltà
dell'Amore". Un conservatore dei sentimenti in primo luogo. Come
lo era Jack Kerouac, un giramondo, un amante degli eccessi di ogni
tipo, ma legato alla sua identità, legato a sua madre, con la quale
ha sempre vissuto e legato al senso del Sacro. Quel senso del Sacro
che gli ha fatto reinterpretare il suo cattolicesimo in senso
buddhista zen.
(...) Il Natale e la Pasqua sono state antiche feste religiose pagane (la
nascita del sole e l’avvento della primavera) piene di rozzo, mitico
spirito religioso: si sono poi trasfuse nelle feste cristiane portando
la loro antica ingenuità nella nuova insegnata da Cristo. Ma dopo la
Controriforma e nell’attuale momento storico, non c’è niente di più
prosaico, ipocrita, conformista dello spirito impresso dal clero a
simili occasioni d’amore. (...)
Stavo pensando che i miei
"miti" del '900/2000 sono stati catalogati in quell'area
che viene definita di "destra culturale", pur non essendo
mai stati veramente di destra (ma sicuramente non erano/sono di
sinistra nel senso canonico e tradizionale del termine).
Gabriele
D'Annunzio, Juan e Evita Peron, Jack Kerouac, Pier Paolo Pasolini,
Mario Appignani detto “Cavallo Pazzo”, Moana Pozzi, Roberta
Tatafiore, Alain De Benoist, Aleksandr Dugin, Egor Letov, Eduard
Limonov e, non ultimo, il mitico Andrea G. Pinketts.
Anime
trasgressive, libertarie, fuori dagli schemi e dalle ideologie
novecentesche e dai totalitarismi, oltre che dai riti e dalle
banalità del sinistrismo, del politicamente corretto, dello
scioccamente banale o buonista per forza.
Per questo non potevano
assolutamente essere incasellati nel salotti della “borghesia bene”
o “liberal-progressista”. In particolare perché, quei salotti, o
non li hanno mai frequentati o, se lo hanno fatto, è stato più per
destare scandalo che per altra ragione.
Limonov, Letov, Dugin
Moana
Allo stesso tempo, tali
personaggi - siano essi fisicamente viventi o viventi nella nostra
memoria e spirito – non possono essere comunque definiti di destra,
come invece sono spesso stati erroneamente incasellati (escluso
Pasolini, che pur non era troppo amato “a sinistra” e ha
ricevuto, nel corso degli anni, maggiori apprezzamenti “a destra”),
in quanto per nulla inclini alla gerarchia, allo sciovinismo e al
clericalismo (semmai alla spiritualità). Per essere veramente
"buoni" occorre essere dei "cattivi ragazzi o
ragazze". E soprattutto occorre essere AUTENTICI. Con le proprie
"follie", il proprio andare controcorrente, ma non per
sfida o per essere bastiancontrari, quanto per far notare che la vita
può essere concepita, vissuta, approfondita diversamente. Si può
essere nati poveri, come Evita Peron, che divenne poi la paladina dei
diseredati; essere nati emarginati e aver vissuto l'infanzia in un
brefotrofio, come Mario
Pinketts
Kerouac
Appignani; si può essere stati dei “dandy”
amanti degli eccessi sessuali che ambivano a “un comunismo senza
dittatura”, come Gabriele D'Annunzio; si può esse
re state delle
pornodive che hanno guidato poi la prima lista civica italiana,
ovvero il Partito dell'Amore, come Moana Pozzi; si può essere stati
dei giramondo e dei bevitori e fumatori incalliti ed al contempo
“mammoni” come gli scrittori Jack Kerouac e Andrea G. Pinketts;
si può essere dei nazionalbolscevichi come il filosofo Aleksandr
Dugin e dei nazionalbolscevichi “punk” come il cantante e
chitarrista Egor Letov e lo scrittore Eduard Limonov; si può essere
stati ed essere degli intellettuali controcorrente, scomodi,
trasgressivi come Pier Paolo Pasolini e Alain De Benoist. In
questo senso, tali personaggi che furono, sono o vengono assimilati
alla "destra culturale" risultano, a parer mio,
intellettualmente più "sexy" di quelli legati alla
sinistra bacchettona, moralista, borghese, cosmopolita.
E, come tali, sono e
vanno ben oltre le ideologie e i feticismi partitici.
Era Lazzaro Santandera,
il suo alter ego letterario, in grado di sgominare bande di criminali
incalliti e persino di resuscitare.
Andrea G. Pinketts - al
secolo Andrea Giovanni Pinchetti - con le sue cravatte fantasia, le
sue giacche e cappelli colorati - era immortale e tale rimarrà.
Ex pugile, ex
fotomodello, ex istruttore di arti marziali, giornalista
investigativo e soprattutto scrittore di gialli e di racconti noir.
Grande viveur, bevitore
di birre enormi (nello storico locale milanese "Le Trottoir"
gli fu dedicata - oltre che una sala - la birra formato gigante
battezzata, per l'appunto, "birra Pinketts") e fumatore di
sigari. Andrea Pinketts era scrittore funambolico e poliedrico.
Negli Anni '80 recitò un
piccolo ruolo nel film di Carlo Vanzina "Via Montenapoleone".
Diventeranno celebri le sue inchieste giornalistiche per "Esquire"
e "Panorama", che lo porteranno, negli Anni '90, ad
incastrare alcuni camorristi nella città di Cattolica;
all'incriminazione della setta dei "Bambini di Satana" e a
suggerire agli inquirenti il profilo del "mostro di Foligno"
Luigi Chiatti.
Furono queste esperienze
che gli permisero di scrivere i suoi numerosi romanzi e racconti
gialli e noir: da "Lazzaro vieni fuori" a "La capanna
dello zio Rom", passando per "Il vizio dell'agnello",
"Il conto dell'ultima cena", "Il senso della frase"
e moltissimi altri (almeno una ventina).
Il protagonista era
sempre lui, ovvero il suo alter ego: Lazzaro Santandrea. Un
perdigiorno che vive con la madre ed il cagnolone Benvenuto e si
mantiene con l'eredità della ricca zia Olghina. Frequentatore
seriale di bar, amici e belle donne, Lazzaro si ritrova
inevitabilmente sempre coinvolto in casi di cronaca nera che...armato
del suo sigaro (rigorosamente Antico Toscano) e del suo "senso
della frase", condito di giochi di parole funambolici e della
sua abilità nel provocare e vincere risse, riuscirà immancabilmente
a risolvere. Incastrando il criminale o i criminali di turno,
riuscendo a, come dice stesso Lazzaro, "fare giardino",
ovvero risollevare le sorti di una situazione disastrosa riscrivendo
e "sovvertendo" ogni regola.
I romanzi di Andrea erano
e rimangono dei pezzi unici di letteratura per diverse ragioni: sono
tratti da casi di cronaca nera che lui ha vissuto in prima persona; i
personaggi sono tutto tranne che immaginari, ma rappresentano -
spesso con tanto di nome e cognome reali - i suoi amici e conoscenti
(uno dei quali ho avuto modo di conoscerlo personalmente); sono uno
scoppiettante susseguirsi di assonanze e giochi di parole e
letterari, battute comiche ad effetto, pur calate in un contesto da
romanzo giallo, noir, ricco di colpi di scena.
Andrea Pinketts li ha
scritti regolarmente tutti nel locale che ha sempre frequentato ogni
sera e notte - "in mezzo al casino", che gli permetteva di
concentrarsi, come diceva lui - ovvero Le Trottoir, in pieno centro a
Milano. E sono stati tutti scritti con la sua fedele penna Mont
Blanc, in quanto non amava le tecnologie e, quando lo conobbi, sapeva
a malapena maneggiare un telefono cellulare di vecchissima
generazione.
Luca Bagatin e Andrea G. Pinketts, aprile 2004
Andrea era un caro amico,
che ho avuto l'onore e il privilegio di conoscere nella primavera del
2004, proprio al Trottoir. Lì ci siamo dati appuntamento, dopo che
avevo divorato gran parte della sua produzione letteraria e ne ero
rimasto affascinato. Da allora ci siamo visti spesso, in quegli anni,
abbiamo bevuto e fumato sigari a lungo sia al Trottoir che allo
Smooth di Via Buonarroti, vicino a dove abitava con la madre Mirella,
la quale, ricordo, gli preparava le valige ogni qual volta era
invitato a tenere presentazioni dei suoi libri, oppure doveva
presiedere qualche concorso in qualità di giurato.
Come Jack Kerouac, anche
Andrea, oltre ad essere uno sregolato in tutto, era legatissimo a sua
madre. E come Jack Kerouac, anche Andrea era amico di Fernanda
Pivano, la quale lo definì, nelle prefazioni ai suoi libri "un
duro dal cuore di meringa".
Andrea Pinketts era "un
duro", sin da ragazzino. Sin da quando fu espulso dal liceo per
aver "menato" il preside. Ragazzo irrequieto, insofferente
alle costrizioni, evase dalla caserma dei granatieri di Orvieto e si
finse psicopatico. Bevitore e fumatore incallito sin da ragazzo, non
smise mai quel suo vizio che, come da lui stesso ammesso, finirà per
portarlo nella tomba, novello Kerouac, novello "scrittore
maledetto" che, sino all'ultimo ha lottato, non già contro i
suoi vizi, che per lui erano piaceri e virtù, ma contro la tristezza
della sofferenza, contro la tristezza della malattia. Quella
tristezza che ti fa essere e sentire debole, mentre Andrea Pinketts,
documentando la sua degenza all'ospedale Niguarda di Milano con
numerosi video su Youtube, ci appare come sempre pieno di spirito e
di giochi di parole funambolici.
Quei giochi di parole
usati anche nelle sue apparizioni televisive in qualità di showman o
di opinionista, ove, presentandosi sempre completamente ubriaco
(esattamente come Kerouac nelle sue celebri interviste), e pieno di
spirito (non solo alcolico), ribaltava ogni canone mediatico,
lasciando di stucco la presentatrice o il presentatore di turno che,
rimasto senza parole, non poteva che arrendersi al genio e alla
sregolatezza di questo artista dei nostri tempi.
Pinketts era, come il suo
personaggio letterario Lazzaro, un antieroe. Un "cattivo
ragazzo", ma sempre dalla parte dei più deboli e sempre dalla
parte dei "buoni" contro i "cattivi", fossero
costoro corrotti, stupratori, stalker, balordi che si divertivano a
dar fuoco ai barboni. Andrea Pinketts interveniva sempre, in prima
persona, con il suo metro e novanta di stazza e le sue capacità di
"persuasione".
I romanzi di Andrea
Pinketts, a onor del vero, erano più letti all'estero che in Italia.
Non era un profeta in Patria, in sostanza. Amatissimo in Francia e lì
pluri-premiato, fu apprezzato molto dal regista e sceneggiatore
Claude Chabrol che, in ogni suo film, omaggerà Pinketts con un cameo
dei suoi romanzi e che avrebbe voluto realizzare un film tratto dal
romanzo (a parer mio il più bello) "Il conto dell'ultima cena".
Con Andrea Pinketts, che
se ne va a soli 57 anni, non se ne va Lazzaro Santandrea, in quanto,
l'ultimo romanzo che lo vede protagonista - "La capanna dello
zio Rom" - lascia un finale aperto.
Forse nemmeno Andrea
Pinketts se ne va del tutto. Almeno non se ne andrà dal mio cuore,
ove lo tengo fra i miei "eroi-antieroi" preferiti, viventi
e non, conosciuti da me personalmente o meno (assieme a Jack Kerouac,
William Burroughs, Moana Pozzi, Mario Appignani, Peter Boom, Eduard
Limonov).
La madre Mirella così lo
ricorda, nel suo necrologio ed è con queste toccanti parole - le
parole della persona che più lo ha amato al mondo - che vorrei
concludere questo mio articolo in sua memoria:
"Con passo
marziale sta valicando i confini degli spazi celesti e dei cieli
infiniti Andrea G. Pinketts, scrittore-giornalista. Ha accanto
l’amore di chi lo ha preceduto che lo accoglie con gioia accorata,
così presto! Lazzaro Santandrea, la sua creatura, è ansioso di
future, mirabolanti avventure da vivere insieme. Mirella Marabese
Pinketts è fiera del tuo talento e della tua genialità. Prosegue il
cammino terreno come tu vuoi. Non ti dirò mai addio. Mamma".
Chi
è Sathya Sai Baba ? Un mistico ? Un santone ? Un guru ? Nella
poliedrica varietà di sadhu e mistici che popola il vastissimo
continiente asiatico, è facile confondere Sai Baba con uno di
loro. Ma Sai Baba è – in realtà - molto di più.
Nato a
Puttaparthi - un piccolo villaggio dell'Andra Pradesh, regione
dell'India meridionale - il 23 novembre del 1926, sin da bambino,
dall'età di 10 anni, dimostra di possedere poteri
sovrannaturali. Sai Baba, studiato da numerosissimi ricercatori da
decenni, possiede infatti poteri cognitivi come la chiaroveggenza, la
psicodiagnosi, la telepatia; poteri psicocinetici come la capacità
di materializzare oggetti, apportarli, moltiplicarli, anche sotto
l'occhio vigile di chi gli si trova di fronte. Ma egli stesso non
sembra dare alcuna importanza ai miracoli che compie. Sai Baba sembra
compiere miracoli unicamente per focalizzare l'attenzione di chi lo
ascolta, per lanciare un messaggio di unità fra tutte le religioni
(simboleggiato anche dal Suo vessillo, il Sarva
Dharma: un fior di loto
contornato dal simbolo dell'Om Indù; dalla Ruota buddhista; dal
Fuoco zoroastriano; dalla Stella di David; dalla Luna e la Stella
dell'Islam e dalla Croce cristiana)."Esiste
una sola religione", afferma
Sai Baba, "la religione
dell'Amore. Esiste una sola razza, quella dell'umanità. Esiste un
solo Dio, che è onnipervadente". Questo,
in sintesi, il messaggio che Sai Baba vuole trasmettere a chi lo
ascolta. Ho avuto la fortuna, fra il 2002 ed il 2005, di
frequentare settimanalmente la casa di due anziani coniugi, da anni
abitanti a Pordenone: la romana Gerarda Cesarini, detta
amichevolmente Gegè, ed il napoletano verace Oscar Martino. Entrambi
citati anche in numerose opere dedicate a Sai Baba, in primis quelle
dello psicologo Giancarlo Rosati, massimo studioso italiano del
fenomeno Sai Baba. Gegè
ed Oscar sono stati, infatti, i primi fondatori di un Centro
intitolato a Sai Baba in Italia, negli anni '60 a Roma, in via
Benedetto Musolino, quando ancora era poco conosciuto. Questa
simpatica coppia fu anche in assoluto la più ricevuta dal
Maestro.
Oggi i Centri Sai Baba in Italia - peraltro tutti senza
scopo di lucro e senza alcuno spirito di proselitismo - sono
centinaia e nel mondo i devoti del Maestro, sono milioni. Dal
Maestro, sì, perché infondo Sai Baba non è che un Maestro
spirituale il cui messaggio va ben oltre i suoi miracoli, per così
dire, ed il cui messaggio mira sempre a trasformare il cuore
umano. Sai Baba, come dicevamo, è solo nato in un contesto indù,
ma il suo insegnamento - che fonda le sue radici nella concezione
gnostica ed esoterica delle Sacre Scritture di tutte le fedi e
tradizioni, i Veda in primis e che Baba invita a studiare, a partire
dal concetto di Reincarnazione
- si basa sulla ricerca della Divinità insita in ciascun individuo
per mezzo del canto devozionale, i Bahjan, della ripetizione dei
mantra vedici ed in particolare per mezzo del rispetto quotidiano di
cinque valori umani: Verità, Amore, Pace, Rettitudine e
Nonviolenza. Per mezzo delle frequentazione dei coniugi Martino,
sono rimasto letteralmente rapito nella descrizione delle loro
esperienze dirette con il Maestro. Quando ad esempio ad Oscar
materializzò un anello d'oro, preziosissimo, sotto i suoi stessi
occhi, o quando regalò ad entrambi una cornice d'oro recante la sua
effige ricavata dalla povere dorata che Baba stesso lanciò in aria
per poi ricomporsi, magicamente,
fra le sue mani. Sai Baba, chissà perchè, amava moltissimo Gegè
ed Oscar. Una coppia di teosofi adorabile, semplicissima e sempre
pronta a dare una mano al prossimo. Una coppia che fu peraltro, per
anni, in contatto con Madre Teresa di Calcutta e con Padre Anthony
Elenjimittam, ultimo discepolo vivente del Mahatma Gandhi, alle cui
missioni elargirono gran parte del loro patrimonio. Si recarono in
India, a Puttaparthi, sino in età avanzata, 90 anni Oscar e 80 Gegè.
E puntualmente, pur fra una marea di devoti in attesa di uno sguardo
dal Maestro, furono ricevuti in udienza privata. Oscar, uomo
sensibilissimo, mi raccontò che confidò a Sai Baba che avrebbe
voluto morire prima della moglie, perché non avrebbe sopportato il
dolore della sua scomparsa. Fu allora che Sai Baba predisse loro che
sarebbero morti l'uno a distanza di due soli giorni dall'altra. Prima
sarebbe morto Oscar e successivamente Gegè. La scena mi commosse
molto. Ricordo inoltre ancora con affetto quando - conoscendo la
mia golosità - Oscar mi ricopriva letteralmente di dolciumi e Gegè,
pur non essendo consigliabile per la sua salute, ne approfittava per
mangiarne in quantità. Volevo molto bene a Gegè ed Oscar, che
per me erano come dei nonni ai quali confidavo veramente tutto e fu
un duro colpo quando appresi della loro morte. Il Messaggero
Veneto di Pordenone del 10 gennaio 2006 titolava, a tutta pagina:
"Muore di dolore due giorni
dopo il marito. Gerarda Cesarini e Oscar Martino sono rimasti legati
fino all'ultimo da un'incredibile storia d'amore".
Nell'articolo, ovviamente, si parlava anche di Sai Baba e della sua
previsione e di come la coppia fosse a lui legata. Persino il
prete, in Chiesa, nonostante Sai Baba sia fortemente criticato ed
osteggiato dalla Chiesa cattolica, si prodigò in elogi nei confronti
di questo particolarissimo Maestro indiano dalla folta e curiosa
capigliatura.
Sai Baba, lungi
dall'essere un fenomeno da baraccone o un santone mediatico, è
universalmente noto per la sua opera umanitaria e nel campo del
sociale: dalla costruzione di ospedali nei quali si eseguono
interventi sofisticatissimi e a titolo completamente gratuito (come
il Super Speciality Hospital di Puttaparthi e quello di Whitefield,
entrambi inaugurati alla presenza del Primo ministro dell'India) a
scuole, centri di accoglienza per indigenti, e numerosi progetti
finalizzati a rendere potabile l'acqua nei villaggi rurali e nelle
regioni limitrofe ove vi è siccità.
Dagli anni '60 ad
oggi, numerosissimi studiosi, abbiamo detto, hanno cercato di
approfondire la realtà di Sai Baba.
Su di lui sono
stati scritti numerosissimi testi e notiamo come anche gli studiosi
più critici, alla fine, si sono convinti che questo curioso Maestro
indiano ha qualche cosa di profondamente mistico.
Pensiamo ad
esempio al prete cattolico Don Mario Mazzoleni che, partito per
Puttaparthi per fare un inchiesta per conto dell'Osservatore Romano,
finì per convertirsi
al credo di
Sai Baba, tanto che venne scomunicato.
Oppure
al già citato psicologo Giancarlo Rosati, forse il più prolifico
nello scrivere e nel descrivere il fenomeno
Sai Baba,
tanto che egli lo accosta al Cristo
Cosmicoannunciato
da Gesù nel Vangelo di Giovanni, ma anche al Kalki
Avatar,
l'ultima incarnazione divina descritta dai Veda.
Invero,
Rosati, porta a sostegno di queste affermazioni una serie di
coincidenze:
il Vishnu Purana annuncia che il Kalki Avatar nascerà nell'India del
Sud, in un territorio bagato da tre mari, nel villaggio dei coni o
termitai (e Puttaparthi corrisponde esattamente a questa descrizione
n.d.a.) e vivrà sino a 95 anni (Sai Baba ha annunciato che vivrà
sino a quell'età).
Inoltre
nell'Apocalisse di Giovanni il Cristo Cosmico è chiamato “Fedele”
e Verace. E guarda casoil nome
di nascita di Sai Baba è Satya Narayana, che in sanscrito significa
appunto “Fedele” e “Verace”.
Andando
oltre, possiamo notare cone il grande mistico indù Sri
Aurobindo,
il 24 novembre del 1926, un giorno dopo la nascita di Sai Baba, fece
l'annuncio che quella notte il Divino si era incarnato portando con
sé tutti i poteri divini: l'Onnipotenza, l'Onniscenza e
l'Onnipresenza.
Maometto,
il fondatore dell'Islamismo, fra le sue profezie, fece la descrizione
di quello che chiamò El
Mahdi Maoud o
il Maestro
del mondo.
E lo descrisse distintamente: “La
sua chioma sarà folta, i capelli neri giungeranno fino alle spalle.
Le sopracciglia si uniranno al centro della fronte, che apparirà
ampia. Il naso sarà dritto e avrà un infossamento alla radice. Avrà
un neo sulla guancia e non porterà mai la barba. I denti centrali
saranno separati e allontanati tra di loro. I suoi occhi saranno neri
e pungenti. Il suo corpo sarà minuto e le sue gambe saranno quelle
di un adolescente. Indosserà due abiti color fiamma, l'uno sopra
l'altro (....). Materializzerà piccoli oggetti con la mano (…).
Egli vivrà fino a 95 anni.”
Qui,
guarda caso, la
descrizione fisica è addirittura soprendentemente identica a quella
di Sai Baba: dalla chioma sino ai tratti somatici, passando per la
bassa statura (Baba è alto all'incirca 150 centimentri) e la
materializzazione di oggetti.
Sai
Baba, materializza, in primis, una curiosa cenere profumata, chiamata
vibhuti.
La
vibhuti,
secondo l'iconografia indù, è attribuita al Dio Shiva, che la porta
sulla fronte e su altre parti del corpo a rappresentare l'immortalità
dell'anima.
Sai
Baba ne materializza in quantità, unicamente per mezzo del palmo
della sua mano che agita in senso orario, così, dal nulla. La dona
ai devoti più bisognosi ed essa ha proprietà spesso miracolose, per
così dire.
Ora,
sappiate che chi scrive – per indole caratteriale – è a
prescindere uno scettico. Purtuttavia ho avuto modo di applicare una
sola volta della vibhutisulla
zampina malata della mia gattina, che anni fa soffriva di un
incurabile tumore, visibilissimo e purulento. Dopo un paio di giorni
il tumore le si era completamente riassorbito e quindi scomparso, con
grande sorpresa mia e del veterinario.
Questo
è solo un banalissimo caso accadutomi personalmente, ma nelle
pubblicazioni dedicate a Sai Baba (edite in Italia dalle Edizioni
Milesi) se ne trovano a bizzeffe e di molto toccanti.
Sai Baba ha fatto
inoltre numerose profezie per gli anni a venire, come quella che - a
partire dal 2015 – ci sarà un ritorno all'Età dell'Oro, di pace e
prosperità, che dovrebbe avere il suo apice attorno al 2021, anno
della morte prevista per Sai Baba stesso.
Numerosissime
altre cose ci sarebbero da dire su questo Maestro spirituale che
afferma con candore: “Io
sono Dio, ma lo sei anche tu”,
ma, forse, l'unico modo per comprendere davvero la sua realtà
spiritualeè
quella di accostarsi al Divino, nella forma in cui ciascuno si
riconosce maggiormente e continuare a ricercare, entro sé stessi,
quella scintilla divinache
rende ciascuno di noi – quotidianamente - davvero speciale.
L’Ungheria, come molti Paesi dell’Est europeo – dal
crollo del Muro di Berlino ad oggi – ha attuato politiche via via sempre
di maggiore deregulation del mercato del lavoro. Non a caso proprio in
questi Paesi, dagli Anni ’90 ad oggi, vengono delocalizzate gran parte
delle imprese europee e non solo.
Deregulation che ha aumentato il divario fra ricchi e poveri, fra sfruttatori e sfruttati.
Deregulation che è ormai il leitmotiv tanto amato
dall’Unione Europea e dai cosiddetti “mercati”, che hanno applaudito i
vari “Jobs Act” del Pd, le “Loi Travail” di Hollande-Macron e così via.
Tornando all’Ungheria: addio kadarismo degli anni in
cui fu guidata dal leader comunista Janos Kadar, ecco arrivato il
liberal capitalismo, da tempo, negli ultimi decenni, in salsa orbanista.
Ecco che Viktor Orban e la maggioranza
elettoralistica del Parlamento ungherese contribuisce ancora una volta a
distruggere quei pochi diritti dei lavoratori rimasti: con 130 voti
contro 52 è stata approvata una riforma del codice del lavoro che
prevede l’innalzamento a 400 ore straordinarie – contro le 250 previste –
che i datori di lavoro potranno chiedere ai loro dipendenti. Legge
peraltro molto permissiva per quanto riguarda il pagamento delle stesse,
prolungando a tre anni il tempo che le aziende avranno per poterle
pagare, rispetto ad un anno previsto dalla legislazione precedente.
Lajos Kosa, deputato del partito governativo FIDES ha così difeso la legge: “Coloro che vogliono guadagnare di più lavorando di più, ne avranno la possibilità”.
I sindacati ungheresi sono intanto sul piede di
guerra e pare che oltre l’80% degli ungheresi sia contrario a tale nuova
legislazione.
Il Partito Operaio Ungherese (Magyar Munkàspàrt),
erede del Partito Comunista Ungherese (dovette cambiare nome nel 2013,
in quanto una legge ha vietato l’uso del termine “comunista”) – guidato
da Thurmer Gyula e che il 9 dicembre scorso ha celebrato il suo 27esimo
congresso – è il partito di opposizione più determinato e si è infatti
detto vicino ai sindacati e con essi intende manifestare. Il partito di
Gyula con Orban condivide unicamente la politica anti-immigrazione, pur
per ragioni differenti. Il Partito Operaio Ungherese ritiene infatti che
essa sia una minaccia per la crisi economica, sociale e culturale ,
conseguenza del capitalismo e dell’idelogia liberale.
E’ un movimento popolare, populista nel senso
migliore e originario del termine. Si contrappone all’austerità imposta
dal cosiddetto “governo dei ricchi”, ovvero il governo Macron-Philippe,
con le sue politiche in linea con la visione globalista e liberal
capitalista della crescita illimitata, dell’immigrazione incontrollata,
del taglio ai servizi pubblici, della precarietà lavorativa e delle
privatizzazioni, tanto volute dall’Unione Europea, mai votate o decise
da nessun cittadino europeo.
E’ un movimento senza leader, che nasce dal basso e
che ha raccolto persone di ogni orientamento politico e da ogni parte
della Francia, ottenendo l’80% del sostegno popolare.
Sorto a metà novembre, in opposizione alle imposte
sul carburante, quello dei Gilet Gialli ha, mano a mano che i giorni
passavano e le manifestazioni si susseguivano, elaborato una vera e
propria piattaforma programmatica che va dall’aumento dei salari sino
all’abbassamento dell’età pensionabile; dall’aumento dei fondi per la
disabilità sino alla lotta alla povertà e all’introduzione della
democrazia partecipativa e a molto altro.
Un movimento trasversale, che spaventa i governi
oligarchici, abituati ad avere a che fare con le destre, i centri, le
sinistre. Non con i popoli, le persone, le periferie. Gli esseri umani
pensanti.
Abbiamo voluto intervistare alcune persone, chiedere
le loro impressioni sull’attuale situazione in Francia, sul movimento
dei Gilet Gialli e che cosa li ha spinti a sostenerlo e a partecipare
alle manifestazioni.
Nadia Zellal, classe 1984, vive a Marsiglia. Si definisce comunista e progressista. “All’inizio
del movimento, la nostra lotta era incerta, il nostro Presidente ha
usato le divisioni per governare meglio, ma questo movimento ha portato
alla luce un insieme di persone di tutti i ceti sociali, che sostengono
la stessa lotta per “una vita decente”. Attualmente questa lotta è
praticamente vinta”.
Cosa pensi del movimento dei Gilet Gialli e che cosa ti ha motivato a partecipare alle manifestazioni? Le chiedo. “È un movimento apartitico, quindi senza leader. Ciascuno milita come
desidera, secondo le sue convinzioni, le sue disponibilità e i suoi
desideri. Sono stata motivata a partecipare alle manifestazioni a causa
del grande divario tra i ricchi, che diventano sempre più ricchi, e i
poveri che diventano sempre più poveri”.
Dany Colin è un cineasta di origine congolese,
appassionato studioso del cinema di Pasolini. Si definisce “militante
sovranista del popolo francese e africano”. “La povertà sta dilagando anche fra le classi medie e le differenze di classe stanno aumentando” – ci racconta – “Stiamo
gradualmente assistendo a uno sconvolgimento dei modelli politici
dominanti nel pensiero del popolo francese. Il movimento dei Gilet
Gialli esprime tale rabbia e questa frustrazione legittima ha la
particolarità di non avere un capo preciso, né un sindacato , né un
partito alla sua testa. I media e la società dello spettacolo, per
neutralizzare il movimento, fanno affidamento sulla sua frangia
reazionaria che vuole solo riadattare il consumismo e il capitalismo per
loro stessi. Mi auguro che tale movimento non rimanga solo un semplice
grido di rabbia, ma possa estendersi a dimensioni politiche più
pragmatiche”.
Fra i sostenitori dei Gilet Gialli anche dei
militanti e attivisti della CGT, ovvero la Confederazione Generale del
Lavoro, uno fra i maggiori sindacati francesi. Camarade B. – che
preferisce essere chiamato così e non rivelare il suo nome – è proprio
un attivista sindacale della CGT, il quale si definisce politicamente
populista e ritiene che sia molto positivo che “la gente si ribelli
contro il governo di Macron e che lo faccia un movimento che ha saputo
federare persone oltre le divisioni sinistra/destra e abbia unito i
francesi affrontando nemici comuni. Io sono dalla parte delle persone e
quindi mi sento parte di questo movimento. C’è la volontà di abbattere
questa oligarchia e ciò mi spinge a manifestare”.
Sull’argomento è intervenuto anche David L’Epée,
cittadino svizzero ma redattore della rivista francese bimestrale di
approfondimento politico, culturale e scientifico “Eléments”, fondata
dal filosofo Alain De Benoist.
Anche David ritiene che “Il governo non è caduto
sabato 8 dicembre come alcuni speravano, ma è solo una partita
rimandata. Il movimento ha già vinto in quanto, pur aggrappato al suo
potere, Macron non ha potuto evitare il deterioramento della situazione e
l’esasperazione dei conflitti. Anzi, è il primo responsabile per questa
escalation”.
Gli chiedo che cosa ne pensi del movimento dei Gilet Gialli, se li appoggi e come egli si definisca politicamente. “Appoggio con entusiasmo questo movimento, ma non mi considero un Gilet Giallo perché non sono francese, ma svizzero.
Personalmente sono andato a Parigi per sostenere i miei compagni
presenti in loco e in solidarietà con il popolo francese, che soffre
terribilmente dalla crisi sociale causata dal suo governo e merita un
destino diverso.
Mi definisco un “elettrone” libero, lontano da qualsiasi partito. Ad
ogni modo gli ideali che mi animano sono il socialismo, il patriottismo e
la democrazia diretta”.
Di parere simile anche Louis Alexandre, redattore
della rivista socialista rivoluzionaria “Rébellion”, che alle
Presidenziali di un anno e mezzo fa invitò gli elettori all’astensione,
giudicando tutti i candidati come parte del medesimo “sistema”.
Per Louis “La Francia popolare e
periferica ha sofferto a causa dell’abbandono e del disprezzo delle
élite. Lasciando a se stesse intere aree del territorio”.
Cosa ne pensi del movimento dei Gilet Gialli – gli chiedo – Ti senti parte di esso ?
“I Gilet Gialli sono l’espressione di una rottura. La rottura della
gente in relazione all’oligarchia. Facendo parte dalle classi più
popolari, mi sento totalmente parte di esso.
Sono un socialista rivoluzionario europeo, ovvero sostengo la comunità
popolare, la giustizia sociale e una più ampia autonomia”.
Da Macron, criticato pesantemente anche da chi lo
aveva in un primo momento sostenuto, come l’economista Jean-Paul
Fitoussi, che lo accusa di non conoscere il suo Paese e di aver favorito
solamente le classi agiate, arrivano intanto i primi “mea culpa” e le
prime autocritiche. Il movimento dei Gilet Gialli ha colpito nel segno.
E' Professore della City
University di Londra e, nel suo ultimo saggio - Commodity: The
Global Commodity System in the 21st Century - individua
nell'accumulo della ricchezza di pochi, la ragione principale della
crisi economica globale.
Photis
Lysandrou propone dunque l'introduzione di una tassa
patrimoniale da far pagare ai ricconi del Pianeta, introducendo –
attraverso un apposito organismo internazionale, composto da esperti
fiscali nominati dai governi nazionali - una imposta sulla ricchezza
globale per i patrimoni superiori ai 30 milioni di dollari.
Una imposta che egli
ritiene necessaria per far pagare la crisi ai suoi diretti
responsabili, ovvero ai ricchi o, quantomeno, ai super ricchi.
Il Professore osserva che
oggi 21mila miliardi sono nelle mani di appena 145mila persone e la
gran parte è sotto forma di azioni ed obbligazioni. Da un lato, in
sostanza, c'è stata una concentrazione di ricchezza, mentre
dall'altro, con i salari dei lavoratori dipendenti rimasti bloccati,
c'è stata una dispersione e, secondo il Professor Lysandrou, senza
una tale dispersione, non sarebbe stato necessario inventarsi i
cosiddetti mutui subprime, una delle principali cause della crisi
economica mondiale dal 2007 in avanti.
Egli ritiene dunque che
un’autorità fiscale globale sarebbe solo un primo passo, pur
piccolo, per ribaltare le ineguaglianze in termini di reddito e di
ridistribuzione della ricchezza.
Egli ritiene che uno dei
principali problemi sia la differenza fiscale fra Paese e Paese
all'interno dell'Unione Europea, mentre, se ogni singolo Stato avesse
il medesimo regime fiscale, non vi sarebbe più concorrenza fiscale
fra i Paesi e dunque le multinazionali non avrebbero più la
possibilità di investire in quelle realtà ove le aliquote sono più
basse e, dunque, ad esse favorevoli.
Analisi interessante e
suggestiva quella del Prof. Photis
Lysandrou, per quanto si tratti di una analisi che non supera affatto
il sistema capitalista, ma, ancora una volta, lo sdogana e lo
accetta, senza riserva alcuna. Una proposta, in sostanza, non di
radicale risoluzione al problema dell'accumulo della ricchezza
mondiale, che è causato dall'unico sistema che genera
automaticamente crisi di ogni tipo: economica, umana, civile,
sociale, ambientale, migratoria, ovvero il sistema capitalista, che
sdogana l'egoismo umano e tutti i suoi più bassi istinti, in un
crescendo senza fine.
Il
sistema riformista, keynesiano o di redistribuzione del reddito, ad
oggi, in sostanza, non ha portato ad alcun risultato concreto, se non
l'illusione che qualcuno possa essere un po' meno povero e qualcun
altro leggermente meno ricco e ciò a tutto vantaggio, unicamente,
del sistema consumista, del mercato e della cosiddetta crescita, che
altro non è che concorrenza fra le persone, distruzione
dell'ambiente, distruzione dei rapporti sociali e civili.
Il
capitalismo, in sostanza, non può essere riformato, in quanto è un
cancro sin dall'origine. Un cancro che andrebbe asportato, attraverso
misure di condivisione della ricchezza, abolizione della schiavitù
del salario e del lavoro. Permettendo ai lavoratori di diventare
proprietari del proprio lavoro e di produrre quel tanto che necessita
al fabbisogno di un Paese e della propria comunità.
Ciò,
proprio attraverso le nuove tecnologie, messe gratuitamente a
disposizione della comunità – in modo del tutto open source, come
si direbbe oggi – darebbe la possibilità a tutti non solo di
lavorare il giusto e quindi meno, ma anche di condividere i frutti
del proprio lavoro con la comunità intera nella quale si vive,
avvicinando così le persone – oggi diffidenti e divise da barriere
culturali e sociali dettate dall'ego e dall'accumulo di ricchezza -
fra loro.
Certo,
a quel punto, non esisterebbero molto probabilmente più né azioni
né obbligazioni; né multinazionali (che andrebbero messe al bando);
né ricchi da tassare, né poveri da sfruttare, ma persone in un
sistema democratico ed egualitario.
Chissà
cosa ne penserebbe il Prof. Lysandrou in merito.
Sta conducendo, da oltre
40 giorni, uno sciopero della fame in quanto nel carcere ove è stato
trasferito non può ricevere le cure mediche necessarie per le sue
patologie croniche (gastrite, spondilite anchilosante e
ipertensione).
Stiamo parlando di Jorge
Glas, ex Vicepresidente dell'Ecuador, arrestato nell'ottobre 2017 e
condannato a sei anni di carcere con l'accusa di aver ricevuto
tangenti dalla multinazionale brasiliana Odebrecht, per assicurarsi
l'attribuzione di contratti pubblici nel Paese. Nessuna prova
concreta e Glas si è sempre dichiarato innocente, al punto di aver
sempre dichiarato di avere fiducia nella giustizia.
Un nuovo caso Lula, se
pensiamo che Glas è stato per anni il simbolo della Rivoluzione
Cittadina portata avanti dall'ex Presidente socialista Rafael Correa,
del cui governo fu ministro e vicepremier, il quale ha contribuito a
risollevare le sorti del Paese, renderlo libero dall'imperialismo
straniero, abbattendo la povertà, l'analfabetismo, lottando per i
diritti civili e includendo i cittadini nel processo politico e
sociale.
Glas fu, per un breve
periodo, anche Vicepresidente del nuovo governo socialista guidato da
Lenin Moreno, eletto nel maggio 2017, sino a quando questi tradì il
suo mandato con gli elettori e con il partito Alianza Pais e iniziò
a smantellare le conquiste sociali e civili della Rivoluzione
Cittadina.
Da allora i rapporti con
Glas si incrinarono e Moreno sospenderà Glas dalle sue funzioni
nell'agosto 2017, con l'accusa di corruzione.
Jorge Glas è stato
trasferito, dall'ottobre scorso, in un carcere di Quito di massima
sicurezza ove la sua salute si è deteriorata e in
condizioni che il suo avvocato, Eduardo Franco Loor, ha definito
"deplorevoli e disumane".
Glas, che si definisce un
prigioniero politico - trasferito in un carcere di massima sicurezza
per umiliarlo e senza alcuna altra spiegazione - ha iniziato da
allora uno scopero della fame che ha ormai superato il suo 45 esimo
giorno e che sta rischiando di costargli la vita.
Glas ha fatto appello
all'ONU, alla Santa Sede, alla Corte Interamericana, alla Corte
dell'Aia e alle organizzazioni per i diritti umani affinchè
intervengano nel suo caso e al fine di essere riportato nel carcere
precedente, di minima sicurezza, ove possa essere curato.
E' di questi giorni anche
l'appello dell'ex Presidente dell'Ecuador Rafael Correa in suo
sostegno e di denuncia dell'attuale situazione intollerabile nella
quale versa Jorge Glas. Correa punta in particolare il dito contro
Lenin Moreno e l'attuale governo, quale principale causa di quanto
sta accadendo a Glas, il quale è ancora in attesa di un ricorso in
Cassazione con il quale i suoi avvocati potranno dimostrare le
irregolarità del processo contro di lui.
Solidarietà all'ex
Vicepresidente Glas è arrivata anche da numerosi esponenti politici
e intellettuali latinoamericani, i quali hanno indetto una petizione
in suo sostegno.
E' probabilmente il primo
movimento di protesta e di proposta nato dal basso in Francia e in
Europa in epoca odierna. Quello dei Gilet Gialli è forse oggi
l'unico movimento che si contrappone proprio a quell'Europa
autoreferenziale e delle élite economiche abituate a imporre misure
di austerità e a incoraggiare una crescita economica - che non è
affatto illimitata - e a deregolamentare un mercato sempre più
dannoso. Dannoso per i lavoratori, i quali sono costretti a
svendersi e per i disoccupati che il lavoro non lo trovano affatto; dannoso per quelle piccole e medie imprese che non sono in
grado di tenere il passo della globalizzazione, ovvero del
capitalismo assoluto e infine dannoso per i cittadini, bombardati dal
consumismo e dalla pubblicità commerciali, che li ha resi nuovi
automi in balia del sistema economico-commerciale (il famoso trinomio
"produci-consuma-crepa").
E così, un movimento
sorto spontaneamente in opposizione all'aumento del carburante
imposto dal governo Macron-Philippe, è diventato molto di più. Con
l'80% dei consensi popolari e recentemente sostenuto da filosofi del
calibro di Jean-Claude Michéa e di Alain De Benoist, i Gilet Gialli
hanno rivendicato numerose proposte sociali. Un vero e proprio
programma di governo autenticamente populista e socialista, potremmo
dire. Un programma che consta di vari punti, qui riassunti: richiesta
di un salario minimo di 1300 euro netti e di uno massimo a 15.000
euro; aumento dei fondi per i disabili; taglio delle tariffe di luce
e gas, con rinazionalizzazione delle società energetiche; lotta
alla povertà e eliminazione del problema dei senzatetto; abolizione
del Senato e introduzione di una Assemblea dei cittadini; riduzione
delle imposte sul reddito e inasprimento delle tasse sulle grandi
imprese commerciali (McDonald, Google, Carrefour, Amazon);
proibizione delle delocalizzazioni; affrontare le cause della
migrazione forzata; divieto di vendita del patrimonio pubblico
francese; mezzi adeguati alle forze di polizia e all'esercito, con
straordinari pagati; pensioni a 60 anni; introduzione dei referendum
popolari in Costituzione; abolizione dell'indennità Presidenziale a
vita e altre misure che, ad oggi, nessun partito né della destra, né
del centro, né della sinistra, ha mai proposto o attuato. Sia in
Francia che in Europa.
Anche per questo i Gilet
Gialli, pur sostenuti e "corteggiati" sia da Marine Le Pen
che da Jean-Luc Mélenchon, oltre che dal maggior sindacato francese,
ovvero la CGT, rifiutano di identificarsi con qualsivoglia partito o
movimento politico e vogliono mantenersi civici e del tutto
indipendenti.
Pur con tentativi di
infiltrazione violenta e con tentativi di screditarli da parte delle
élite politiche e talvolta mediatiche, il movimento del Gilet Gialli
incassa ad ogni modo la sua prima, per quanto parziale, vittoria sul
governo francese. Il Primo Ministro Edouard Philippe ha infatti
annunciato una moratoria di alcuni mesi sull'aumento delle tasse sui
carburanti. Moratoria che dovrebbe essere accompagnata da altre
misure di pacificazione nei giorni seguenti.
Poco, molto poco, come
afferma Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, che
definisce il governo "non all'altezza delle attese e delle
precarietà in cui si dibattono i francesi".
Ad ogni modo i Gilet
Gialli intendono nuovamente scendere in piazza sabato prossimo.
Il governo
Macron-Philippe, che oggi gode di appena il 25% di popolarità e che
già è stato eletto da una minoranza del Paese nel 2017 (il 18%
netto circa dei consensi, in quanto molte sono state le astensioni e
i voti alla Le Pen e a Mélenchon), non può non tenere conto del
fatto che non è possibile governare senza il sostegno popolare.
Il problema è il salario o, meglio, il danaro. Lo
hanno capito i situazionisti di Guy Debord, che si battevano contro il salario e, infatti, per l'abolizione del danaro, che è strumento di schiavitù e alla base di
ogni prostituzione. Ad oggi il lavoro salariato è infatti una forma di prostituzione. È la forma primaria di prostituzione. E' una forma di compravendita, infatti: io metto in vendita il mio tempo e il mio lavoro e lo metto a disposizione di qualcun altro.
Non sono libero di gestire il mio tempo e il mio lavoro, cosa che sarebbe possibile superando il capitalismo e abolendo il danaro, attraverso una economia del dono e reintroducendo aspetti legati al baratto. Senza interesse (economico, egoistico), solo per il bene del proprio prossimo e, dunque, della comunità di cui tutti facciamo parte. Produci ciò che consumi. Il resto lo redistribuisci o lo scambi. Nell'attuale situazione capitalistica, purtroppo, essendo il danaro
necessario, tutti quantomeno dovrebbero avere un reddito. O stampando danaro, oppure
obbligando chi è ricco e ha il danaro a fornire un reddito a chi non lo ha. Il capitalismo - che esiste in quanto sdogana l'egoismo umano e grazie al sistema dell'accumulo e del danaro - favorisce la ricchezza di pochi e garantisce lo sfruttamento di molti, purtroppo.
Questo, al lettore medio, potrebbe forse apparire un discorso di sinistra.
Purtuttavia, personalmente, non potrò mai dirmi di sinistra, in quanto la sinistra - in Europa - ha sempre coperto il
fianco dei liberali e dei capitalisti ed è fondamentalmente moralista e
borghese, sin dalla sua nascita ai tempi della borghese Rivoluzione Francese.
Non potrò ad ogni modo mai dirmi di destra perché, benché i miei valori siano conservatori, non amo né i ricchi né le gerarchie, e penso che entrambi tali aspetti non dovrebbero esistere in un mondo che voglia essere democratico, ovvero autogestito dal basso, in modo egualitario.
Sono dunque un socialista originario, direi, piuttosto. Utopista nei limiti del fatto che, se esiste il sentimento, non esiste alcuna utopia, ma semplice realtà e volontà del cuore. La volontà dell'amore unita alla libertà.