L’Ungheria, come molti Paesi dell’Est europeo – dal
crollo del Muro di Berlino ad oggi – ha attuato politiche via via sempre
di maggiore deregulation del mercato del lavoro. Non a caso proprio in
questi Paesi, dagli Anni ’90 ad oggi, vengono delocalizzate gran parte
delle imprese europee e non solo.
Deregulation che ha aumentato il divario fra ricchi e poveri, fra sfruttatori e sfruttati.
Deregulation che è ormai il leitmotiv tanto amato
dall’Unione Europea e dai cosiddetti “mercati”, che hanno applaudito i
vari “Jobs Act” del Pd, le “Loi Travail” di Hollande-Macron e così via.
Tornando all’Ungheria: addio kadarismo degli anni in
cui fu guidata dal leader comunista Janos Kadar, ecco arrivato il
liberal capitalismo, da tempo, negli ultimi decenni, in salsa orbanista.
Ecco che Viktor Orban e la maggioranza
elettoralistica del Parlamento ungherese contribuisce ancora una volta a
distruggere quei pochi diritti dei lavoratori rimasti: con 130 voti
contro 52 è stata approvata una riforma del codice del lavoro che
prevede l’innalzamento a 400 ore straordinarie – contro le 250 previste –
che i datori di lavoro potranno chiedere ai loro dipendenti. Legge
peraltro molto permissiva per quanto riguarda il pagamento delle stesse,
prolungando a tre anni il tempo che le aziende avranno per poterle
pagare, rispetto ad un anno previsto dalla legislazione precedente.
Lajos Kosa, deputato del partito governativo FIDES ha così difeso la legge: “Coloro che vogliono guadagnare di più lavorando di più, ne avranno la possibilità”.
I sindacati ungheresi sono intanto sul piede di
guerra e pare che oltre l’80% degli ungheresi sia contrario a tale nuova
legislazione.
Il Partito Operaio Ungherese (Magyar Munkàspàrt),
erede del Partito Comunista Ungherese (dovette cambiare nome nel 2013,
in quanto una legge ha vietato l’uso del termine “comunista”) – guidato
da Thurmer Gyula e che il 9 dicembre scorso ha celebrato il suo 27esimo
congresso – è il partito di opposizione più determinato e si è infatti
detto vicino ai sindacati e con essi intende manifestare. Il partito di
Gyula con Orban condivide unicamente la politica anti-immigrazione, pur
per ragioni differenti. Il Partito Operaio Ungherese ritiene infatti che
essa sia una minaccia per la crisi economica, sociale e culturale ,
conseguenza del capitalismo e dell’idelogia liberale.
Luca Bagatin
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