mercoledì 26 marzo 2025

Dalla parte del Manifesto di Ventotene. Contro una UE oligarchica, militarista, burocratica e ferma alle logiche della Guerra Fredda. Articolo di Luca Bagatin

 

A proposito del Manifesto di Ventotene, quasi undici anni fa, alla fine del novembre 2014, scrissi un articolo pubblicato dal quotidiano nazionale “L'Opinione delle Libertà” (leggibile qui: https://opinione.it/cultura/2014/11/26/bagatin_cultura-26-11/).

Nell'articolo mi riferivo, in particolare, alla fiction “Un mondo nuovo”, trasmessa dalla Rai e che ricostruiva le vicende storiche degli autori di tale Manifesto.

Antifascisti e liberalsocialisti della prima ora.

Così li ricordavo: “Altiero Spinelli, ex militante comunista che abiura il comunismo per scegliere la strada dell'antifascismo laico; Ernesto Rossi, giornalista di formazione economica, liberalsocialista del Partito d'Azione e fra i fondatori del primo Partito Radicale ed Eugenio Colorni filosofo ebreo, anch'egli di fede politica liberalsocialista”.

Antifascisti confinati dal regime fascista nell'Isola di Ventotene e ove idearono, nel 1941 e in clandestinità, il celebre Manifesto di Ventotene, che – allora utopisticamente – parlava di Europa unita e federale, di popoli europei affratellati e di visione democratica del Continente, senza più Stati sovrani.

Nel mio articolo ricordavo che tale visione “recuperava gli ideali di Giuseppe Mazzini e di Giuseppe Garibaldi, già elaborata nell'ambito della Giovine Europa (1834)”.

E proseguivo facendo presente che “Il Manifesto di Ventotene (...) viene scritto ed elaborato dai tre senza farsi scoprire dalle milizie fasciste dell'Isola e sarà poi diffuso all'esterno grazie al contributo di due donne: Ursula Hirschmann – allora moglie di Eugenio Colorni (e successivamente diverrà moglie di Altiero Spinelli, dopo la morte di Colorni, ucciso barbaramente da una banda di fascisti) – e Ada Rossi, moglie di Ernesto Rossi. Un Manifesto, quello di Ventotene, che sarà destinato a fare clamore sia durante il regime mussoliniano che negli anni a venire, al punto che, nel 1984, Altiero Spinelli propone al Parlamento Europeo – nel quale era stato peraltro eletto nel 1979, come indipendente nelle liste del Pci – un progetto costituzionale per gli Stati Uniti d'Europa che, pur approvato, sarà successivamente bocciato dal Consiglio Europeo”.

Nel mio articolo sottolineavo come le lucide utopie di Spinelli, Rossi e Colorni, “siano state disattese, vilipese ed offuscate dai politicanti, dai burocrati e dai banchieri dei singoli Stati europei che, anziché volere una politica comune europea, su basi democratiche, hanno preferito mantenere gli Stati sovrani ed introdurre una moneta unica che, di fatto, avvantaggia solo le élite economico-finanziarie e politiche, peraltro non elette da nessuno, visto che la Commissione Europea non è un organo elettivo e lo stesso Parlamento Europeo discute unicamente di questioni marginali”.

E aggiungevo: “Chissà che direbbero oggi Spinelli, Rossi e Colorni di questo. Forse che viviamo una nuova stagione fascista, ma molto più subdola, perché ammantata di presunte libertà. E forse i loro spiriti sarebbero lì a suggerirci, ancora una volta, di lottare, ad ogni costo e con ogni mezzo”.

E siamo ancora lì, direi.

Anzi, siamo anche peggio.

Con una UE sempre più oligarchica, geo-politicamente auto isolatasi, la cui dirigenza pretende persino che essa si riarmi.

Sempre più l'opposto del Manifesto di Ventotene, che parlava di una rivoluzione europea socialista: “La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita”.

Il socialismo, invece, in Europa, è stato sistematicamente distrutto e vilipeso a partire dal 1993 e i partiti europei che si dicono tali, nella stragrande maggioranza dei casi, sono diventati liberal capitalisti, blairiani, ovvero hanno deregolamentato l'economia, distrutto i diritti dei lavoratori e sociali e promosso una fantomatica “esportazione della democrazia” a suon di armi.

In particolare, il socialismo democratico e, dunque, anticapitalista, antiburocratico e antimonopolista, del Manifesto di Ventotene, che è e sarà ispirazione dei più gloriosi partiti della Prima Repubblica, ovvero del Partito Socialista Italiano, Partito Socialista Democratico Italiano, Partito Repubblicano Italiano e del Partito Radicale (di Mario Pannunzio e dello stesso Ernesto Rossi) veniva così giustamente definito e così venivano giustamente definite le sue prospettive:

Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma — come avviene per forze naturali — essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze di progresso, che scaturiscono dall’interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica "routinière" per trovarsi poi di fronte all’insolubile problema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le differenziazioni dei salari, e con gli altri provvedimenti del genere dello stachenovismo dell’U.R.S.S., col solo risultato di uno sgobbamento più diligente. Quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità per tutta la collettività.

La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio.

Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali. In essa possono trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei Paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei Paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica. La soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale anche nella coscienza dei lavoratori”.

Ovvero di un socialismo rettamente inteso, originario, democratico e autogestionario, che poneva (come pone) una critica radicale a ogni totalitarismo, sia esso di matrice nazifascista, comunista totalitaria e liberal capitalista padronale.

Un socialismo che metta al primo posto la comunità e le sue necessità, attraverso una pianificazione razionale dal basso, promossa dagli stessi ceti produttivi e nell'interesse degli stessi, che li liberi da ogni forma di oppressione e sfruttamento del lavoro dei ceti padronali e delle élite burocratiche.

Tutto ciò è sempre stato, del resto, l'obiettivo del PSI-PSDI-PRI del dopoguerra e anche di quel piccolo Partito Radicale, fondato da Pannunzio (già liberale di sinistra), che, con gli Amici del settimanale liberalsocialista e laico “Il Mondo”, tentò di creare le basi per quella Terza Forza laica, antimonopolista, liberalsocialista, anticapitalista, anticlericale, multipolarista oltre i blocchi contrapposti, purtroppo mai nata (per quanto ci fosse stato il tentativo denominato “Unità Socialista” alle elezioni politiche del 1948, che raccolse il 7% dei voti, con il simbolo garibaldino e turatiano del Sole Nascente).

Terza Forza di cui, ancora oggi, ci sarebbe necessità.

Terza Forza (sulle cui prospettive e sulla cui storia, chi vi scrive, si è formato in gioventù, avendo letto e approfondito gli scritti di Ernesto Rossi, Mario Pannunzio, oltre che quelli del laicista integrale e nazionalcomunista mazziniano Mario Bergamo, Giuseppe Saragat, Roberto Tremelloni, Randolfo Pacciardi e altri) autenticamente democratica e da sempre o snobbata o vilipesa tanto dai ceti padronali, quanto dai vari fascio-comunismi e clericalismi italiani e europei del dopoguerra, che preferivano rimanere legati a vecchie logiche, che si sono inasprite durante la Guerra Fredda.

Logiche che, ancora oggi, sembrano rimanere tali, con questa mentalità da Guerra Fredda che la neo-militarista e burocratica UE si rifiuta di abbandonare.

E' vero che il Manifesto di Ventotene può, ancora una volta, indicarci la via. Ma non solo. 

Anche le prospettive del socialismo democratico storico, purtroppo in Italia volutamente distrutto a partire dal 1993 e in Europa poco dopo, con il blairismo e con lo svuotamento dei partiti socialisti, trasformati in partiti liberal capitalisti, ovvero in una forma di destra non diversa dall'originale.

Socialismo democratico che, fortunatamente, ha resistito e resiste in America Latina (negli Anni '90 ebbe un nuovo slancio grazie a Chavez, Lula, ai peronisti di sinistra e altri), è sviluppato nel mondo panafricano e in quello riformista cinese, in particolare a partire dalla fine degli Anni '70.

Occorre, dunque, ancora una volta, tornare a parlare di: pianificazione economica; primato del pubblico sul privato; società ordinata e moralizzata (non moralista); cooperazione; dialogo; multipolarismo; sviluppo delle nuove tecnologie a beneficio della comunità.

E di una Europa fondata su quanto scritto nel Manifesto di Ventotene, ovvero sulla “restituzione al popolo degli imprescrittibili diritti di autodeterminazione”.

Luca Bagatin

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martedì 25 marzo 2025

"Noonomia", l'evoluzione dell'economia - a beneficio della comunità - attraverso lo sviluppo della conoscenza. Articolo di Luca Bagatin

 

Le tecnologie stanno portando l'umanità “oltre i confini della produzione materiale diretta”.

Ovvero la conoscenza umana è ormai la risorsa principale di tutto il processo produttivo.

Questa la tesi di fondo di “Noonomia”, saggio dell'economista russo Sergey Bodrunov, edito recentemente dalla Sandro Teti Editore.

La noonomia è un'evoluzione già per molti versi prevista da Karl Marx, come spiega l'Autore, nella seconda metà del XIX Secolo. 

Evoluzione che pone, appunto, al centro di tutto, la conoscenza umana, ovvero lo sviluppo della mente, che consente all'uomo di distaccarsi dalla produzione materiale.

Ciò genera, e ha generato, il superamento del cosiddetto “regno delle necessità”, ovvero del soddisfacimento dei bisogni, per approdare alla fusione fra istruzione-scienza-cultura-produzione.

La produzione meccanizzata – con tanto di utilizzo di relative materie prime - appare ormai un processo superato, secondo Bodrunov.

Le tecnologie hanno permesso tale superamento. Pensiamo ad esempio al fatto che, oggi, uno smartphone o un tablet sostituiscono più prodotti assieme (il vecchio telefono, il televisore, l'orologio, il navigatore satellitare e addirittura un negozio fisico!) e i relativi processi di produzione per realizzarli.

Ciò, ha determinato certamente un calo del PIL, ma, è davvero così importante il PIL, si chiede l'Autore? E' davvero così importante un parametro quantitativo, rispetto a una realtà qualitativamente più rilevante?

La capacità di acquisire nuove conoscenze e renderle disponibili alla comunità è, a parere dell'Autore, molto più importante e centrale rispetto al PIL di un Paese.

E' in questo modo che, i Paesi, si trasformano in realtà ad alta intensità di conoscenza e capaci di rispondere alle sfide del futuro. E saranno in grado di farlo riducendo enormemente, non solo lo sfruttamento del Pianeta e delle relative materie prime, ma inquinando molto meno e realizzando prodotti e producendo servizi a costi decisamente inferiori.

Sergey Bodrunov definisce tutto ciò “Nsi 2”, ovvero “nuova società industriale di seconda generazione”. Fondata, appunto, sullo sviluppo della conoscenza umana, la quale permette non solo di soddisfare bisogni, ma di dare risposte a un'infinità di altre possibilità, qualitativamente migliori.

L'aspetto qualitativo è, nella tesi dell'Autore, elemento fondante e centrale e ciò si può ottenere solamente attraverso la ricerca, frutto della conoscenza umana.

E tutto ciò permetterà all'essere umano di “oltrepassare i confini della produzione”, rivoluzionando l'intera struttura economica.

Affinché sempre più persone non si ritrovino, improvvisamente, senza lavoro, occorre una forma di pianificazione economica, secondo l'Autore, che permetta alle persone di essere reintegrate nella società, individuando fra queste nuove figure professionali, sempre più altamente formate.

L'approccio “nooeconomico” è, dunque, un approccio orientato alla cooperazione e allo sviluppo della società nel suo insieme. 

Un approccio razionale, che superi i bisogni indotti/simulati (come quelli veicolati dalla pubblicità commerciale) e il flusso del capitale finanziario, per soddisfare bisogni reali e volti allo sviluppo della società nel suo insieme, attraverso conoscenza e formazione continue.

Massimizzare i profitti, in sostanza, è ben poco razionale e ragionevole se la conseguenza è, ad esempio, la distruzione del patrimonio ambientale e di risorse vitali per il Pianeta e gli esseri viventi.

Attraverso la conoscenza, invece, si possono porre soluzioni e alternative a tutto ciò – mettendo finalmente fine alla crescita infinita dei consumi e dei bisogni simulati - e ciò grazie all'uso razionale delle tecnologie e di tecnologie ancora da ricercare e sviluppare.

Il tutto a beneficio della comunità nel suo insieme, preservando l'attuale civiltà e diffondendo ovunque una nuova forma di civiltà, più consapevole, evoluta e razionale.

“Noonomia” è un saggio economico su tematiche complesse, reso comprensibile a tutti da un linguaggio il più semplice possibile, usato da Sergey Bodrunov, classe 1958, professore universitario, membro dell'Accademia Russa delle Scienze, Presidente della Libera Società Economica della Russia.

Ideatore, appunto, della “nuova società industriale di seconda generazione”, ha all'attivo oltre 1000 pubblicazioni scientifiche, fra le quali più di 30 monografie.

Con la Sandro Teti Editore ha già pubblicato, assieme all'economista russo-statunitense, Vladimir Kvint, “Strategizzare le trasformazioni sociali: noonomia, sapere, tecnologia”. 

Saggio nel quale, gli Autori, propongono lo studio critico e l'incorporazione delle esperienze socio-economiche della Cina e dei Paesi del Nord Europa, promuovendo così un sistema fondato su una forma di pianificazione efficiente, che combini economia di mercato a sviluppo di un solido sistema di welfare.

Luca Bagatin

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sabato 22 marzo 2025

Battersi contro un liberal fondamentalismo senza libertà. Che veicola distruzione sociale, tifoserie, ignoranza, paura e totalitarismo. Riflessioni di Luca Bagatin

In quest'epoca preda del totalitarismo liberale, ove il danaro e le armi parlano al posto del dialogo, dell'onore, della decenza comune e dell'intelligenza frutto della ricerca e dell'approfondimento libero da dogmi, il convegno “Terzo Millennio: valori e diritti negari”, tenutosi a Roma il 14 marzo 2025, è stata una ventata di aria buona e con interventi di altissimo livello e qualità. Da me riassunto a questo link: https://amoreeliberta.blogspot.com/2025/03/terzo-millennio-valori-e-diritti-negati.html

Antonio Foccillo ha denunciato la cosiddetta “libertà economica”, che ha generato paura nei confronti del domani, mentre le élite economiche hanno iniziato a diffondere informazioni insignificanti che fanno leva sulle emozioni e non sulla riflessione. E tutto ciò ha generato opposte tifoserie inconsapevoli.

Il Sen. Giorgio Benvenuto ha denunciato una UE che, dopo la caduta del Muro di Berlino, non ha costruito una Europa sociale. Anzi, ha utilizzato i Paesi dell'Est per aprire a un mercato sempre più deregolato, anziché tutelarli e rafforzarli sotto il profilo sociale.

L'Avv. Angelo Caliendo ha invitato a lavorare per la costruzione di un ordine mondiale multilaterale volto alla pace, affermando il primato della programmazione, che si può ottenere con una classe dirigente competente e pragmatica, la quale ponga al centro una politica autorevole e responsabile e riaffermi il senso di comunità, coesione sociale e partecipazione.

Tiziano Busca ha puntato il dito contro una società neoliberale che comunica paura e totale perdita del senso di comunità.

L'On. Valdo Spini ha denunciato una sinistra che ha rinunciato a sé stessa per sostenere deregulation economica e una società sempre meno sicura.

Il prof. Luigi Pruneti ha denunciato un sistema politico piatto, fatto di maggioranze e opposizioni grigie e piatte e invitato a battersi contro un “liberalismo senza più libertà”, che ha generato darwinismo sociale.

Tutte cose che condivido da anni e che sono sotto gli occhi di chi vuol vederle e ha voglia di modificare lo status quo.

(Luca Bagatin)

La dittatura, oggi, può arrivare solo per mano liberale, ovvero da parte di coloro i quali, riempiendosi la bocca delle parole "libertà" e "democrazia" non sanno affatto che cosa siano e, nei fatti, censurano o reprimono chiunque non la pensi come loro.

Così, come, nella Storia fecero i nazifascisti, i comunisti totalitari e gli invasati religiosi.

Chi conosce la libertà, ovvero chi l'ha interiorizzata, negli anni, non ha nulla da temere. Perché conosce il significato di Abrahadabra. 

Nessun totalitarismo, sia esso fascista, comunista totalitario, liberal capitalista, religioso fondamentalista potrà toccare colui il quale ha in sé Luce, Vita, Amore e Libertà. Perché nulla è più forte del Potere che tutto questo racchiude. 

Il resto, semplicemente, è illusione creata da menti deboli, ignoranti e folli.

(Luca Bagatin)

Il fondamentalismo (religioso/politico) va di pari passo con l'ignoranza.
Più sei ignorante (e conseguentemente stupido) più ti radicalizzi e finisci per credere nei simulacri e hai necessità di sicurezze esteriori.
Più sei ignorante e, quindi, più sei debole, più ricerchi certezze in qualcosa di esteriore.
Quella attuale è l'era del fondamentalismo, perché è l'era dell'ignoranza diffusa. Il confronto è stato sostituito dallo scontro.
Uno scontro di deboli e insicuri contro altri deboli e insicuri.
Uno scontro di gente, in ogni caso, pericolosa per sé stessa e gli altri.

(Luca Bagatin)

Scendere allo stesso livello dei tifosi e dei fondamentalisti di oggi equivale a perdere potere e controllo su di sé e su ciò che ci circonda.

Il tifoso e il fondamentalista, chiunque egli sia, è un soggetto debole e impaurito.

Che ricerca nei suoi dogmi quelle sicurezze che non ha.

Nessuno di noi ha sicurezze, nella vita. Ma c'è chi ha la consapevolezza che ciò sia del tutto naturale e che solo attraverso il controllo su di sé e sulla propria Volontà si possa superare ogni Abisso. Esplorandolo, senza paura.

Il soggetto debole non ha questa consapevolezza e è privo degli strumenti per raggiungerla.

Per cui crea dogmi e simulacri da adorare. E pretende che tutto ciò che lo circonda si muova attorno a questo.

Ho molta pena per i tifosi, i fondamentalisti e dunque per i deboli.

(Luca Bagatin)

 

giovedì 20 marzo 2025

E infine nacque l'EuNato. Articolo di Roberto Vuilleumier


Mentre le piazze si riempiono di voci che invocano un rafforzamento militare europeo, è lecito interrogarsi sulla lucidità di una simile richiesta, spesso mascherata da una frettolosa e superficiale analisi degli eventi geopolitici.

Molti di coloro che oggi agitano bandiere di guerra sono gli stessi allora padri che gioirono per la caduta del Muro di Berlino, simbolo di quella divisione anche culturale che ora sembrano voler resuscitare.

Oggi come allora fanno emergere una narrazione che enfatizza i valori occidentali come universalmente superiori, trascurando le diverse prospettive culturali e storiche, lo stesso arrogante presupposto che alimentava le divisioni ideologiche durante la Guerra Fredda ed in un mondo profondamente cambiato, che rende queste e quelle presunzioni ancor più anacronistiche.

Per avvalorare la tesi, si dipinge così uno scenario apocalittico di un'Europa minacciata da un'invasione russa, fantasma che la storia raramente ha materializzato.

È interessante notare come questo spettro della "minaccia russa" sia stato evocato più volte nel corso della storia europea, spesso con scopi politici.

Tuttavia, le invasioni su larga scala del territorio europeo da parte della Russia sono state rare. Le guerre napoleoniche e le due guerre mondiali, ad esempio, hanno avuto dinamiche e protagonisti ben diversi. Anzi, sarebbe più onesto riconoscere come le dinamiche espansionistiche, nel continente, abbiano spesso seguito una direzione opposta di nome Nato e di nome Europa.

Dal 1999 al 2020, la NATO ha accolto 14 nuovi membri, molti dei quali ex paesi del Patto di Varsavia. Questo processo ha suscitato preoccupazioni in Russia, che lo ha visto come una minaccia alla propria sicurezza.

Si tende colpevolmente a ignorare il lungo e complesso pregresso che ha condotto al conflitto ucraino, liquidando il tutto con una semplicistica condanna dell'aggressore. Si trascura così la complessità degli eventi che si sono susseguiti nel corso degli anni, il profondo mutamento degli equilibri politici globali e la crescente percezione di 'minaccia' da parte della Russia, posta di fronte a un blocco militare in continua espansione Guerra del Kosovo (1999): la NATO intervenne militarmente nella Repubblica Federale di Jugoslavia per fermare la pulizia etnica dei kosovari albanesi. L'intervento fu controverso in quanto non autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Guerra in Afghanistan (2001-2021): a seguito degli attentati dell'11 settembre, la NATO invase l'Afghanistan con l'obiettivo di rovesciare il regime talebano e smantellare al-Qaeda. L'intervento durò vent'anni e si concluse con il ritorno al potere dei talebani.

Intervento in Libia (2011): La NATO intervenne militarmente in Libia per proteggere i civili durante la guerra civile contro il regime di Muammar Gheddafi. L'intervento portò alla caduta del “regime”, lasciò il paese nel caos e promosse l’instabilità regionale. Dietro la retorica della difesa dei confini europei – come dimostrano i casi dell'Ucraina oggi e le passate discussioni sull'adesione della Turchia, nonostante la sua posizione geografica – si celano spesso mire imperialistiche ed espansionistiche dell'Europa, alla ricerca delle risorse di cui necessita come potenza trasformatrice.

Il riarmo, in questa prospettiva, non è una risposta a una minaccia esistenziale, ma uno strumento per proiettare forza e tentare di garantire l'accesso a tali risorse. Il dibattito sul riarmo, benché ammantato di nobili motivazioni quali la difesa della libertà e della democrazia, è in realtà alimentato dagli interessi di un'industria bellica orientata al profitto.

La prospettiva di riconvertire a proprio vantaggio settori industriali in crisi all'interno dell'Europa-NATO rappresenta una strategia però pericolosa, che rischia di generare una pericolosa dipendenza da un settore intrinsecamente legato al conflitto.

È fondamentale invece riconoscere che un massiccio “riarmo europeo” difficilmente eguaglierebbe la Russia in termini di capacità militari complessive, data la sua geografia, dottrina e risorse. Concentrarsi su una competizione militare diretta rischia di essere una strategia costosa e incerta.

Il riarmo europeo sta portando poi a una sovrapposizione sempre maggiore tra l'identità di difesa dell'Europa e quella della NATO, rendendo difficile distinguere i confini e le responsabilità delle due entità.

Se da un lato la NATO è nata come alleanza difensiva, dall'altro ha intrapreso azioni militari anche al di fuori del contesto strettamente difensivo, in paesi terzi.

Come si può essere certi che un'Europa sempre più militarizzata e integrata nella NATO non segua la stessa traiettoria, trasformandosi in una potenza bellica con ambizioni che vanno oltre la semplice difesa del proprio territorio?

Questo è un pericolo che emerge anche leggendo le conclusioni Consiglio Europeo seduta del Consiglio del 6 marzo 2025 punto 7 “Il Consiglio europeo ricorda altresì che un’Unione Europea più forte e capace nel settore della sicurezza e della difesa contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla NATO, che, per gli Stati che ne sono membri, resta il fondamento della loro difesa collettiva. Invita gli Stati membri che sono anche alleati della NATO a coordinarsi in vista del vertice NATO del giugno 2025. Il Consiglio Europeo sottolinea l’importanza di collaborare con i partner non appartenenti all’ UE che condividono le stesse idee.”

Siamo sicuri che il riarmo europeo, invece di rafforzare la sicurezza del continente, non possa paradossalmente aumentare il rischio di coinvolgimento in conflitti internazionali, alimentando una spirale di militarizzazione e ostilità?

Un'Europa eccessivamente focalizzata sulla dimensione militare non potrebbe finire per emulare le azioni di quelle potenze che in passato hanno perseguito politiche aggressive e imperialistiche?

Coloro che sostengono il riarmo con superficialità trascurano poi principi fondamentali sanciti dalle costituzioni nazionali, primo fra tutti il ripudio della guerra.

L'accettazione acritica di una corsa agli armamenti strumentalmente definiti “di difesa” aggira tali principi, normalizzando una logica che dovrebbe rappresentare l'estrema ratio, non la risposta predefinita.

Questo solleva interrogativi cruciali sul futuro delle unità nazionali e sulla natura stessa dello Stato: reggerà l’unità di quelle nazioni già profondamente divise e sempre più polarizzate da posizioni estreme e contrapposte?

Lo Stato è un'entità al servizio dei cittadini, o uno strumento nelle mani di un'oligarchia, potenzialmente manovrata dai produttori di armi? Invece di investire massicciamente in armamenti e inseguire un paragone militare irrealistico, l'Europa dovrebbe concentrarsi su una diplomazia efficace, sulla comprensione delle dinamiche storiche e sulle reali cause dei conflitti. Solo così si potrà costruire una sicurezza duratura, che non passi attraverso la minaccia e la distruzione, ma attraverso il dialogo e la cooperazione.

Roberto Vuilleumier

I dazi di Trump e gli eventuali sviluppi futuri. Articolo del prof. Giancarlo Elia Valori


Trump aveva da tempo dichiarato che nel suo primo giorno in carica avrebbe imposto tariffe elevate a vari Paesi per incoraggiare la produzione manifatturiera globale a trasferirsi negli Stati Uniti d’America e rendere il Paese di nuovo grande. Tuttavia, dopo il suo insediamento, nonostante avesse imposto tariffe a Messico, Canada e Repubblica Popolare della Cina il 1° febbraio, prima che le tariffe globali fossero implementate, Trump aveva chiesto alle agenzie federali di completare la revisione delle pratiche commerciali sleali di vari Paesi nei confronti degli Stati Uniti d’America prima del 1° aprile e di cercare modi per migliorarle. Contemporaneamente, Trump ha istituito anche l’External Revenue Service, che si sarebbe occupato della tassazione esterna, e ha pianificato di utilizzare queste entrate tariffarie per attuare la politica commerciale America First.
La CNN ha sottolineato che i dazi imposti da Trump a Messico e Canada a partire dal 1° febbraio innescheranno una guerra commerciale trilaterale e causeranno importanti cambiamenti nella struttura commerciale nordamericana. Dopotutto, nel 2024 Canada e Messico rappresentavano insieme il 30% del valore totale delle importazioni degli Stati Uniti d’America e un terzo del valore totale delle esportazioni globali. Sebbene il consigliere commerciale della Casa Bianca, Peter Navarro, abbia ribadito che Trump ha imposto dazi sui questi Paesi per fare pressione sui due governi e impedire l’ingresso di immigrazione illegale e di droghe negli Stati Uniti d’America, la Casa Bianca ha deciso di brandire la spada dei dazi e ha anche confermato che Messico e Canada hanno imposto dazi di ritorsione sulle merci esportate dagli Stati governati da membri del Partito Repubblicano. È prevedibile che l’indice dei prezzi interni negli Stati Uniti d’America salirà inevitabilmente nel 2025, con inevitabili ripercussioni sia sui consumatori nazionali che sulle imprese.
Secondo quanto riportato dalla Reuters, la presidente messicana Claudia Sheinbaum Pardo avrebbe affermato che l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti d’America, Messico e Canada non verrà rinegoziato prima del 2026. Il Messico farà inoltre tutto il possibile per impedire a Trump di modificare i termini dell’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Messico e Canada (USMCA: United States-Mexico-Canada Agreement – Tratado entre México, Estados Unidos y Canadá – Accord Canada–États-Unis–Mexique). In un’intervista alla CNN ha anche sottolineato il rispetto per le relazioni tra Stati Uniti d’America e Messico e ha cercato di calmare la situazione.
Inoltre, il 1° febbraio Trump ha annunciato che avrebbe imposto una tariffa del 10% sui prodotti cinesi. Tuttavia, la Reuters ha sottolineato che Trump avrebbe temporaneamente rinviato l’imposizione di dazi alla Repubblica Popolare della Cina per aumentare le sue possibilità di contrattazione nei futuri negoziati con Pechino. Ma in realtà, nonostante Trump abbia pianificato di visitare Pechino entro 100 giorni dalla sua elezione, sta anche valutando la possibilità di una cooperazione con quel Paese; ma non ha rallentato il ritmo della tassazione alla RP della Cina.
Vale la pena notare che Trump prevede anche di imporre tariffe fino al 20% su altri partner commerciali e ha promesso di utilizzare i dazi come strumento di negoziazione con altri Paesi per aumentare il vantaggio negoziale degli Stati Uniti d’America. Ad esempio, ha fatto pressione sulla Danimarca affinché ceda il controllo della Groenlandia agli Stati Uniti d’America, altrimenti sarebbero state imposte tariffe elevate; allo stesso modo, ha utilizzato le tariffe per cercare di indurre i cinesi a vendere TikTok alle aziende statunitensi.
Ricordiamo che nel suo discorso inaugurale, Trump ha affermato che avrebbe utilizzato i dazi per proteggere i lavoratori e le famiglie statunitensi e che sperava di aumentare le entrate del Tesoro e di proteggere le industrie nazionali attraverso tale mossa. Però la maggior parte degli economisti tradizionali teme che le misure tariffarie di Trump possano riaccendere la crisi inflazionistica degli Stati Uniti d’America e innescare una guerra commerciale su vasta scala. E questo nonostante Trump abbia assicurato che a pagare i dazi sono i Paesi stranieri e non i consumatori del suo Paese. Tuttavia, il Peterson Institute for International Economics ritiene che, poiché le catene di fornitura di varie materie prime statunitensi viaggiano avanti e indietro attraverso il confine nordamericano e vengono convertite più volte da materie prime a prodotti finiti, la politica tariffaria radicale di Trump consente solo agli importatori statunitensi di pagare tariffe elevate e poi di trasferire questi costi sui consumatori, provocando un’impennata dei prezzi negli Stati Uniti d’America.
L’ordine esecutivo di Trump di imporre tariffe a Canada e Messico potrebbe far crollare l’economia statunitense di centinaia di miliardi di dollari e invalidare l’accordo commerciale tra i tre Paesi, violando i termini dell’anzidetto trattato di libero scambio tra Stati Uniti d’America, Messico e Canada.
Inoltre, i dazi elevati potrebbero esercitare una pressione enorme sulle case automobilistiche statunitensi. Perché le loro reti di produzione sono profondamente radicate in Canada e Messico. In breve, poiché le catene di approvvigionamento di Stati Uniti d’America, Messico e Canada sono mature, i dazi unilaterali imposti da Washington avranno sicuramente un impatto sulle economie delle tre parti, per non parlare del fatto che Messico e Canada potrebbero reagire agli Stati Uniti d’America a loro volta con dazi in futuro. Un effetto ciclico così negativo è ancora più dannoso per lo sviluppo economico degli Stati Uniti d’America e persino del mondo.
Tuttavia, non sono tutti commenti negativi. Secondo quanto riportato dalla CNBC: Stock Markets, Business News, Financials, Earnings (canale statunitense di notizie economiche di proprietà di NBCUniversal News Group, un’unità di NBCUniversal di Comcast), l’amministratore delegato di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, ha dichiarato dopo l’insediamento del nuovo presidente che i dazi di Trump sui partner commerciali degli Stati Uniti d’America potrebbero essere valutati positivamente. Ritiene che «la sicurezza nazionale superi un’inflazione leggermente più alta»; ha anche affermato che si può «accettarla e superarla». Inoltre, Dimon non è l’unico CEO di Wall Street ad avere un atteggiamento positivo nei confronti delle tariffe. Il direttore generale di Goldman Sachs, David Solomon ha dichiarato, in un’intervista, di credere che col tempo ciò porterà a un riequilibrio di alcuni accordi commerciali. Se gestito correttamente, un simile riequilibrio può svolgere un ruolo costruttivo nella crescita economica degli Stati Uniti d’America, quindi si deve prestare molta attenzione alle nuove politiche che Trump adotterà gradualmente nel corso del 2025. Sebbene molti siano ancora preoccupati che i dazi proposti da Trump dopo il suo insediamento possano innescare una guerra commerciale globale e un’inflazione interna negli Stati Uniti d’America, il presidente della più grande banca del Paese per patrimonio ha anche asserito che i dazi possono anche essere un’arma economica, a seconda di come vengano utilizzati. Se utilizzati correttamente, queste tariffe possono proteggere gli interessi statunitensi e riportare i partner commerciali al tavolo delle trattative per ottenere un accordo migliore per il Paese.
Però al di là del versante dell’ottimismo di alcuni e del pessimismo di molti, vanno chiarite alcune cose in più.
La strategia di Trump, che utilizza problemi interni come pretesto per avviare guerre commerciali manca di una certa conformità alle leggi di mercato e potrebbe causare gravi ripercussioni sull’economia statunitense e sull’ordine economico globale, come accennato in precedenza.
In primo luogo va ancora detto che le guerre commerciali innanzitutto provocano un aumento dei costi per i consumatori: I dazi aumentano i prezzi dei prodotti importati, conducendo ad un incremento del costo della vita per i consumatori statunitensi. Secondo stime, queste tariffe potrebbero comportare una perdita di circa 1.200 dollari all’anno nel potere d’acquisto delle famiglie statunitensi.
Inoltre bisogna portate l’attenzione a come si ridurranno i profitti aziendali. L’aumento dei costi dovuto ai dazi riduce la redditività delle imprese. Un’analisi della Federal Reserve Bank di New York ha rilevato che le tariffe imposte già durante il primo mandato di Trump (2017-2021) hanno portato a una diminuzione dei valori azionari e sono state associate a una riduzione dei profitti futuri, delle vendite e dell’occupazione per le aziende colpite.
Ci sarà pure un impatto sul settore manifatturiero e sul mercato del lavoro. Le politiche tariffarie hanno perturbato le catene di approvvigionamento, riducendo l’efficienza e la competitività del settore manifatturiero. Già nel febbraio 2025, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è salito al 4,1%, con un incremento di 151.000 nuovi posti di lavoro, al di sotto delle aspettative, indicando una debolezza nel mercato del lavoro.
Le ripercussioni sul sistema commerciale globale e sulla crescita economica saranno notevoli. Si prevede un danneggiamento del sistema commerciale multilaterale. Le misure tariffarie unilaterali degli Stati Uniti d’America indeboliscono il predetto sistema centrato sull’Organizzazione Mondiale del Commercio, alimentando tendenze protezionistiche globali e deteriorando l’ambiente commerciale internazionale.
Per non parlare del rallentamento della crescita economica globale. Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita economica globale per il 2025 dal 2,8% all’l,9%, principalmente a causa dell’escalation delle tensioni commerciali che influenzano la ripresa economica globale.
Ci saranno anche effetti su altri Paesi e regioni, quali le misure di ritorsione dell’Unione Europea. L’UE ha annunciato l’intenzione di imporre dazi su beni statunitensi per un valore di 26 miliardi di euro in risposta alle tariffe sull’acciaio e sull’alluminio imposte dagli Stati Uniti d’America. Questo potrebbe portare a un aumento dei costi nei settori coinvolti e a un incremento dei prezzi per i consumatori, aggravando ulteriormente le tensioni commerciali globali.
Effetti anche dell’impatto sui mercati emergenti. La guerra commerciale ha causato turbolenze nei mercati globali, riducendo la fiducia degli investitori. I Paesi emergenti potrebbero affrontare pressioni dovute a deflussi di capitali e svalutazioni monetarie, mettendo a rischio le prospettive di crescita economica.
In definitiva le politiche protezionistiche in passato hanno spesso avuto effetti controproducenti. Ad esempio, lo Smoot-Hawley Tariff Act del 1930 aumentò significativamente le tariffe, portando a una drastica riduzione del commercio globale e aggravando la Grande Depressione, detta anche Grande crisi o Crollo di Wall Street del 1929 ed anni a seguire. Tutto ciò suggerisce che le guerre commerciali non solo non risolvono i problemi economici, ma possono anche innescare crisi economiche più gravi.
In conclusione, la guerra commerciale avviata dagli Stati Uniti d’America, avrà gravi ripercussioni pure sull’economia nazionale di quel Paese e sul sistema commerciale globale. Le esperienze storiche e i dati attuali mostrano che le politiche protezionistiche sono inefficaci e possono portare a crisi economiche più profonde. Gli Stati Uniti d’America dovrebbero rivedere le loro politiche commerciali, cercando soluzioni attraverso il dialogo e la cooperazione, al fine di preservare la stabilità e la prosperità dell’economia globale.

Giancarlo Elia Valori

martedì 18 marzo 2025

Il 18 marzo 1871 fa nasceva la "Comune di Parigi", ovvero il primo governo socialista della Storia. Articolo di Luca Bagatin

Il 18 marzo 1871, i quartieri popolari di Parigi insorsero e istituirono, per la prima volta nella Storia, un governo socialista autogestionario. Ovvero il primo tentativo di istituire un autogoverno operaio, edificato direttamente dalla classe proletaria per la classe proletaria medesima.

Fu, in sostanza, il primo esempio di rivoluzione proletaria e operaia della Storia. Il primo governo comunista, potremmo dire.

Lontana dalla liberale Rivoluzione Francese del 1789, che pose al governo la classe borghese e liberale, la Comune di Parigi anticipò la Rivoluzione Russa del 1905 e la grande Rivoluzione Sovietica del 1917.

Rivoluzione e rivoluzioni che, per la prima volta nella Storia, si contrapposero non solo all'oligarchia monarchica, ma anche alla borghesia sfruttatrice e al totalitarismo liberale, ancora oggi imperante in tutta Europa e nei Paesi capitalisti.

La Parigi del 1871, già provata dall'insensata guerra franco-prussiana che vide la sconfitta di Napoleone III, insorse e organizzò le prime barricate armate.

Per la prima volta nella Storia, i cittadini presero così il potere, scacciando il governo liberal-borghese di Adolphe Thiers, adottando il colore rosso quale propria bandiera e dichiarando costituita una Repubblica socialista. La Comune di Parigi, appunto, il cui Consiglio fu eletto il 28 marzo.

La Comune, fondata su principi di democrazia sociale e municipale, proclamò – fra le altre cose - la parità di salario fra uomini e donne; promosse l'istruzione femminile; garantì un alloggio per tutti; introdusse norme a tutela del lavoro; garantì libertà di stampa e di parola e la laicità assoluta dell'autogoverno costituitosi.

Purtroppo, come l'esperienza mazziniana della Repubblica Romana del 1849 e quella d'annunziana di Fiume del 1920, altri esempi di profonda democrazia diretta e socialismo autogestionario e laico, anche la Comune di Parigi ebbe vita breve e fu soppressa nel sangue nel maggio 1871, da parte del governo francese, causando un eccidio di almeno 20.000 comunardi in una settimana.

Fra gli eroi della Comune, merita un particolare ricordo l'anarchica e socialista Louise Michel (1830 – 1905). Insegnante e scrittrice, Louise Michel, fu infatti una delle più fervide combattenti fra le barricate.

Con l'accusa di istigazione alla guerra civile e al colpo di Stato, Loiuse fu successivamente condannata alla deportazione e incarcerata per vent'anni.

Tornò in Francia nel 1880 e non smise mai di fare politica, sostenendo l'ideale socialista autogestionario. Nel 1904, un anno prima di morire, sarà iniziata in Massoneria nella Loggia di Rito Scozzese Antico ed Accettato “La Philosophie Sociale”.

E' ancora oggi ricordata, come la Comune di Parigi stessa, da tutti i movimenti di ispirazione socialista, autogestionaria e anticapitalista del mondo.

Luca Bagatin

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Le terre rare sono essenziali per la tecnologia moderna. Articolo del prof. Giancarlo Elia Valori

 

I 17 elementi delle terre rare (Rare-Earths Elements), tra cui il cerio e l’ittrio, sono poco noti al grande pubblico, ma le loro proprietà magnetiche e ottiche li rendono minerali essenziali per la tecnologia moderna, utilizzati nelle turbine eoliche, nelle apparecchiature mediche, nei droni, nei veicoli elettrici, nei display elettronici e molto altro. I predetti elementi chimici sono: cerio, disprosio, erbio, europio, gadolinio, itterbio, ittrio, lantanio, lutezio, neodimio, olmio, praseodimio, promezio, samario, scandio, terbio e tulio.
«Siamo nel XXI secolo con tecnologie trasformative, ma i metalli critici sono essenziali per realizzarle. Sentiamo molto parlare dell’importanza del litio nelle batterie agli ioni di litio, ma le terre rare rientrano in realtà nella stessa categoria», afferma Patrick Ryan, CEO di Ucore Rare Metals Inc., un’azienda mineraria e tecnologica canadese specializzata in metalli critici.
Sebbene vengano chiamate “terre rare”, il problema non è la loro rarità. Come lo stagno, il piombo, il rame e altri, le terre rare si trovano nella crosta terrestre e hanno depositi naturali (luoghi in cui sono concentrati minerali utili) in tutto il mondo. Tuttavia, la loro distribuzione non uniforme e la difficoltà di estrazione lo rendono un problema sia ambientale che geopolitico. Si prevede che questi problemi diventeranno più gravi con l’aumento della domanda di tali elementi.
Immaginate se non avessimo accesso a questi metalli essenziali, se perdessimo posti di lavoro e non fossimo in grado di raggiungere i nostri obiettivi in materia di cambiamenti climatici. In base alle circostanze attuali, si prevede che la domanda di ossidi di terre rare aumenterà di cinque volte entro la fine del decennio 2020, il che potrebbe portare a carenze di approvvigionamento in futuro.
La prima sfida risiede nel processo di estrazione. Le terre rare tendono a trovarsi insieme ad altri minerali nei giacimenti. La bastnäsite, una delle principali fonti commerciali di terre rare, è composta da ossidi di più terre rare e deve essere lavorata per recuperare i singoli elementi. Questo minerale fu descritta per la prima volta dal chimico svedese Wilhelm Hisinger (1766-1852) nel 1838. Prende il nome dalla miniera di Bastnäs vicino a Riddarhyttan, Västmanland, Svezia. La bastnäsite si trova anche come esemplari di altissima qualità nei Monti Zagi, Pakistan. La bastnäsite si trova nel granito alcalino e nella sienite e nelle pegmatiti associate. Si trova anche nelle carbonatiti e nelle feniti associate e altre metasomatiti.
Questi processi estrattivi possono talvolta sollevare preoccupazioni per la salute e la sicurezza, ad esempio a causa della fuoriuscita di materiali pericolosi o radioattivi nelle falde acquifere. Le terre rare di per sé non sono particolarmente tossiche, sono semplicemente combinate con altre cose tossiche, come metalli pesanti e materiali radioattivi.
L’estrazione di una sola tonnellata di terre rare può generare fino a 2.000 tonnellate di rifiuti pericolosi. Ciò accade raramente, ma dappertutto, dove l’estrazione di terre rare è attiva, l’attività mineraria ha portato alla contaminazione del suolo e dell’acqua. Le terre rare hanno la paradossale proprietà che, pur essendo essenziali per le tecnologie a basse emissioni di carbonio, il processo di estrazione dal sottosuolo danneggia ulteriormente l’ambiente.
La seconda sfida è rappresentata dal fatto che i giacimenti minerari e le miniere in cui vengono estratti sono concentrati in determinati Paesi. L’estrazione nella Repubblica Popolare della Cina è pari al 60% dell’attività mineraria e del 90% della raffinazione, e al di fuori della Cina vi sono solo quattro impianti di raffinazione. E ciò comporta gravi rischi geoeconomici, in cui il gigante cinese si cerca di isolarlo, come meglio illustrerò in un mio prossimo libro. Infatti il settore dovrà affrontare delle sfide se non verranno adottate misure più sicure e alla pari fra i paesi produttori. Data la prevista crescita della domanda da parte del settore manifatturiero e l’attuale capacità di estrazione e raffinazione delle terre rare, è certo che si verificherà una carenza di offerta.
Una possibilità è quella di ridurre la dipendenza dalle terre rare. Un esempio è la Toyota Prius. Un tempo la Prius utilizzava circa undici chilogrammi di terre rare per auto, ma a causa del conflitto geopolitico tra Giappone e Cina e dell’impatto negativo dell’attività mineraria sull’ambiente, l’azienda sta ora passando allo sviluppo di motori per veicoli ibridi che dipendono meno dalle terre rare.
Un’altra opzione è quella di sfruttare al massimo le terre rare già estratte e raffinate. Si stanno sviluppando con successo metodi per estrarre elementi delle terre rare dai rifiuti elettronici, dalle ceneri di carbone e dai residui di bauxite senza comprometterne le importanti proprietà elettroniche e magnetiche. È un metodo molto semplice: basta bloccare il materiale di scarto tra due elettrodi e far passare un voltaggio e una corrente elevati per poco meno di un secondo. Non richiede solventi o acqua e può essere fatto su larga scala. Si sta anche cercando di limitare la produzione di rifiuti secondari altamente tossici, lavando continuamente l’area con una soluzione acida molto diluita.
Estrarre terre rare dai rifiuti è un modo per aggiungere valore e riutilizzare le parti utili dei rifiuti, anziché riciclarle. Economicamente, è molto più vantaggioso dell’attività mineraria. Non si scavano grandi buche nel terreno, non si trasportano per lunghe distanze e non si producono rifiuti secondari altamente tossici. L’attività mineraria è costosa e produce molte emissioni di gas serra, ma questo metodo evita tali problemi.
Anche le verdure più comuni, come le patate, possono essere utili. Un team di ricerca dell’Idaho National Laboratory negli Stati Uniti d’America ha sviluppato un metodo innovativo per utilizzare i batteri per recuperare elementi di terre rare da apparecchiature industriali e ad alta tecnologia. Il team ha utilizzato una tecnica chiamata bioleaching, che utilizza microrganismi per trasformare gli elementi. Dando ai batteri l’acqua usata per lavare le patate, hanno prodotto un acido specifico e sono stati in grado di usare le proprietà di quell’acido per rimuovere gli elementi delle terre rare dal materiale circostante. L’utilizzo delle acque reflue delle patate ha ridotto i costi di estrazione del 17% rispetto all’utilizzo del glucosio.
Nel frattempo, i ricercatori stanno valutando se sia possibile utilizzare nuove tecnologie per risolvere le sfide legate alla produzione di terre rare. Ad esempio, Ucore ha sviluppato un metodo proprietario per separare gli elementi delle terre rare che è almeno tre volte più efficiente rispetto ai metodi convenzionali, riducendo così di due terzi l’impatto ambientale degli impianti di produzione. Inoltre, EIT RawMaterials, un progetto finanziato dall’Unione Eropea, sta sviluppando il Circular System for Assessing Rare Earth Sustainability (CSyARES), che mira a utilizzare la blockchain per tracciare l’intero ciclo di vita delle terre rare utilizzate nei veicoli elettrici, per garantire che non causino inquinamento nocivo. La tecnologia blockchain è un meccanismo di database avanzato che permette la condivisione trasparente di informazioni all’interno di una rete specifica. Un database blockchain archivia i dati in blocchi collegati tra loro in una catena. I dati sono cronologicamente coerenti perché non è possibile eliminare o modificare la catena senza il consenso della rete.
Oltre aò CSyARES, un progetto congiunto tra l’Ames Laboratory dell’Università dell’Iowa e la Texas A&M University sta utilizzando l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico per scoprire e prevedere le proprietà dei composti delle terre rare con un’efficienza e un’accuratezza che vanno oltre ciò che gli esseri umani possono ottenere da soli.
Anche i governi di tutto il mondo stanno lavorando per rafforzare la produzione nazionale e le catene di approvvigionamento. Sin dal 2018, la Casa Bianca ha firmato accordi con Australia e Canada per garantire la fornitura di terre rare. Il governo degli Stati Uniti d’America ha inoltre annunciato vari programmi di finanziamento, tra cui una sovvenzione di 35 milioni di dollari alla MP Materials di Mountain Pass, in California, per separare e raffinare le terre rare pesanti nell’ambito di uno sforzo volto a creare una filiera di fornitura completamente nazionale per i magneti permanenti. Nel frattempo, un’iniziativa separata guidata dal Dipartimento dell’Energia ha finanziato 140 milioni di dollari per un progetto volto a recuperare terre rare dalle ceneri di carbone e da altri rifiuti presenti nelle vicinanze delle miniere, riducendo così la necessità di nuove attività estrattive.
Il governo australiano investe in aziende nazionali che cercano di integrarsi nelle catene relative del Paese ed ester. Lynas Rare Earths ha ottenuto una sovvenzione di 14,8 milioni di dollari australiani già nel 2021 per coprire metà dei costi di costruzione di un nuovo impianto di raffinazione delle terre rare nell’Australia Occidentale. Il governo ha inoltre istituito una nuova agenzia governativa, il Critical Minerals Office, per supportare l’industria nazionale e ha annunciato una serie di misure di sostegno nel bilancio, tra cui una sovvenzione di accelerazione di 200 milioni di dollari per i minerali critici e 50 milioni di dollari in fondi di sostegno alla ricerca e allo sviluppo.
In Canada, il governo della provincia del Québec ha stanziato 90 milioni di dollari canadesi per un programma di “nuova economia” legato ai minerali critici e strategici. Nel frattempo, la Commissione europea ha pubblicato le previsioni sulle future risorse minerarie critiche per incoraggiare gli Stati membri ad adottare misure proattive per assicurarsi i minerali necessari allo sviluppo delle industrie del XXI secolo, come quelle delle energie rinnovabili e della robotica. Attualmente sono in corso vari progetti in altri Paesi oltre alla Repubblica Popolare della Cina: circa venti progetti sono in corso in Australia, Canada e Stati Uniti d’America.
Ucore Rare Metals Inc. afferma che queste iniziative governative hanno svolto il ruolo di catalizzatore per le aziende private e le istituzioni accademiche, spingendole a trovare nuovi modi per raggiungere questo obiettivo, che siano allo stesso tempo convenienti e rispettosi dell’ambiente. Ciò è fondamentale per garantire una risorsa sicura e sostenibile per l’innovazione tecnologica attuale e futura.

Giancarlo Elia Valori

domenica 16 marzo 2025

Equilibrio, cooperazione, giustizia sociale, stabilità. Punti cardine della Repubblica Popolare Cinese e del suo socialismo maturo. Articolo di Luca Bagatin

 

Fra una UE che si riarma, in modo velleitario e contro nemici inesistenti, e degli USA che, pur promuovendo qualche spiraglio di pace ad Est, promuovono dazi volti a danneggiare l'economia di tutti, la Repubblica Popolare Cinese sembra essere l'unico baluardo di lungimiranza, laicità e pragmatismo nel mondo. 

Assieme peraltro al Brasile di Lula, il cui partito socialista, il Partito dei Lavoratori (PT), che ha ricevuto recentemente le congratulazioni da parte del Partito Comunista Cinese (PCC) per i 45 anni dalla fondazione, condivide ideali simili a quelli del PCC, nel solco di un moderno socialismo democratico volto allo sviluppo, alla cooperazione, all'equità, alla modernizzazione, al rispetto reciproco e alla promozione del multilateralismo.

Il 7 marzo scorso, il Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, nell'ambito della riunione dell'Assemblea Nazionale del Popolo, massimo organo legislativo cinese, ha risposto ai media, nel corso di una conferenza stampa durata 90 minuti.

Il Ministro ha delineato i fondamenti della politica estera cinese, dichiarando che la Cina continuerà “a difendere l'equità e la giustizia internazionale e a salvaguardare la pace e la stabilità nel mondo”.

Ha ribadito la storica amicizia Cina-Russia, fondata su un percorso di “cooperazione” e “win-win”, ovvero mutuo vantaggio.

I due Paesi hanno trovato un percorso di "non alleanza, non scontro e non prendendo di mira terze parti" nello sviluppo delle loro relazioni”, ha affermato il Ministro Wang. “È uno sforzo pionieristico nel forgiare un nuovo modello di relazioni tra i principali Paesi e ha dato un bell'esempio per le relazioni tra Paesi confinanti. Una relazione Cina-Russia matura, resiliente e stabile non sarà influenzata da nessuna svolta degli eventi, per non parlare di essere soggetta a interferenze da parte di terze parti. È una costante in un mondo turbolento piuttosto che una variabile nei giochi geopolitici”.

Per quanto riguarda le sfide geopolitiche del futuro, il Ministro Wang ha ribadito che “La diplomazia cinese resterà ferma dalla parte giusta della Storia e dalla parte del progresso umano. Forniremo certezza a questo mondo incerto”.

In tal senso la politica estera cinese seguirà il percorso della pace e della mutua cooperazione: “Continueremo ad espandere le nostre partnership globali caratterizzate da uguaglianza, apertura e cooperazione, utilizzeremo attivamente l'approccio cinese per risolvere i problemi più urgenti e scriveremo un nuovo capitolo del Sud globale cercando la forza attraverso l'unità. Dimostreremo con i fatti che il percorso dello sviluppo pacifico è luminoso e può garantire un progresso stabile e sostenibile, e che dovrebbe essere la scelta di tutti i Paesi”.

Un progresso volto a sostenere un “vero multilateralismo” fondato su “equità e giustizia internazionale”. “Promuoveremo una governance globale basata su ampie consultazioni, contributi congiunti e benefici condivisi. Rispetteremo gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite e creeremo più consenso per un mondo multipolare equo e ordinato”, ha sottolineato Wang.

Ribadendo come la Cina su opponga “risolutamente alla politica di potenza e all'egemonia” e ha tal proposito ha affermato: “Un detto in Occidente recita: "Non ci sono amici eterni, solo interessi permanenti". Ma noi in Cina crediamo che gli amici debbano essere permanenti e dovremmo perseguire interessi comuni”.

E ha richiamato i principi del Presidente socialista riformista Xi Jinping, Segretario generale del Partito Comunista Cinese, il quale “ha proposto di costruire una comunità con un futuro condiviso per l'umanità e ha invitato tutti i Paesi a trascendere disaccordi e differenze, a proteggere insieme il nostro unico pianeta e a sviluppare insieme il villaggio globale come nostra casa comune”.

Relativamente allo sviluppo del Sud globale, che è tema centrale per la Cina e da moltissimi decenni, il Ministro ha affermato che “il Sud del mondo è una forza chiave per il mantenimento della pace mondiale, la guida dello sviluppo mondiale e il miglioramento della governance globale”. E, in tal senso, “Il Sud globale dovrebbe rafforzarsi. Dall'inizio dell'anno, l'Indonesia è diventata membro a pieno titolo dei BRICS e nove Paesi partner si sono uniti alla famiglia dei BRICS. I BRICS stanno emergendo come spina dorsale della cooperazione e motore di crescita nel Sud globale. I BRICS più grandi dovrebbero diventare più grandi e più forti per dare più slancio allo sviluppo del Sud globale”.

Relativamente alla crisi ucraina, Wang ha fatto presente come La Cina ha chiesto una soluzione politica attraverso il dialogo e la negoziazione sin dal primo giorno della crisi, e ha lavorato attivamente per la pace e ha spinto per i colloqui. Poco dopo lo scoppio della crisi, il presidente Xi Jinping ha avanzato quattro punti su cosa deve essere fatto, una proposta importante che indica la strada per i nostri sforzi. Quindi, la Cina ha pubblicato il suo documento di posizione sulla crisi, ha inviato il suo rappresentante speciale per la diplomazia navetta e ha avviato il Gruppo di amici per la pace presso le Nazioni Unite insieme al Brasile e ad altri paesi del Sud del mondo. La nostra posizione è sempre stata oggettiva e imparziale, la nostra voce è sempre stata calma ed equilibrata e il nostro scopo è creare le condizioni e costruire un consenso per risolvere la crisi”.

E, in tal senso, ha affermato come “La Cina è pronta a lavorare con la comunità internazionale, alla luce delle volontà delle parti in conflitto, per continuare a svolgere il suo ruolo costruttivo nella risoluzione della crisi e nella realizzazione di una pace duratura”.

E ha aggiunto che “Col senno di poi, la tragedia avrebbe potuto essere evitata. Tutte le parti dovrebbero imparare qualcosa dalla crisi. Tra le tante, la sicurezza dovrebbe essere reciproca e paritaria, e nessun Paese dovrebbe costruire la propria sicurezza sull'insicurezza di un altro. Dovremmo sostenere e agire sulla nuova visione di una sicurezza comune, globale, cooperativa e sostenibile, e questo è il modo per realizzare veramente una pace e una sicurezza durature nel continente eurasiatico e in tutto il mondo”.

Relativamente al tema dell'innovazione e allo sviluppo della tecnologia, il Ministro ha affermato, fra le altre cose, che “La scienza e la tecnologia non dovrebbero essere usate per costruire una cortina di ferro. Dovrebbe essere la ricchezza a beneficio di tutti e condivisa da tutti. Per promuovere lo sviluppo comune dell'umanità, la Cina ha preso misure concrete per implementare la Global AI Governance Initiative presentata dal Presidente Xi Jinping e ha rilasciato l'AI Capacity-Building Action Plan for Good and for All. Abbiamo anche proposto l'Iniziativa sulla cooperazione internazionale nella scienza aperta insieme a Brasile, Sudafrica e Unione africana, invitando tutti a dare priorità alla creazione di capacità scientifiche e tecnologiche del Sud del mondo in modo che nessun paese venga lasciato indietro. Siamo pronti a condividere i frutti della nostra innovazione con più paesi ed esplorare insieme i misteri delle stelle e degli oceani”.

Sulla questione dazi imposti alla Cina da parte dell'Amministrazione Trump, in particolare relativamente al fentanyl, il Ministro Wang ha risposto che “Per quanto riguarda il fentanyl, bisogna chiarire fin dall'inizio che la Cina adotta sempre misure risolute contro il traffico e la produzione di droga, e ha messo in atto le politiche antidroga più dure e complete del mondo odierno. Già nel 2019, su richiesta degli Stati Uniti, la Cina ha programmato tutte le sostanze correlate al fentanyl, il primo paese a farlo. Ma l'abuso di fentanyl negli Stati Uniti è un problema che deve essere affrontato e risolto dagli stessi Stati Uniti”.

Per quanto riguarda, invece, le relazioni con gli USA ha dichiarato che “Le relazioni commerciali tra Cina e Stati Uniti si basano su interazioni reciproche e bidirezionali. La cooperazione porterà benefici reciproci e vantaggi per entrambe le parti, e la Cina adotterà sicuramente delle contromisure in risposta alle pressioni arbitrarie”.

La posizione cinese è fermamente orientata alla coesistenza pacifica e alla cooperazione con gli USA, come con ogni altro Paese del mondo, “aiutandosi a vicenda ad avere successo e prosperare insieme”.

Rispetto reciproco, coesistenza pacifica e cooperazione win-win, come ribadito dal Ministro, del resto, sono i tre principi proposti dal Presidente Xi Jinping per promuovere lo sviluppo, con gli USA e ogni altro Paese.

Egli ha inoltre ribadito che occorre “cementare la pietra angolare dell'uguaglianza sovrana”, per impedire al mondo di “tornare alla legge della giungla”. Ovvero, “Tutti i Paesi, indipendentemente dalle loro dimensioni e dalla loro forza, dovrebbero essere riconosciuti come membri paritari della comunità internazionale. A coloro che hanno braccia più forti e pugni più grandi non dovrebbe essere consentito di prendere le decisioni. In secondo luogo, il principio di equità e giustizia deve essere rispettato. Gli affari internazionali non devono essere monopolizzati da un piccolo numero di Paesi. Dovrebbe essere data maggiore attenzione alla voce del Sud del mondo. I legittimi diritti e interessi di tutti i Paesi dovrebbero essere pienamente protetti. In terzo luogo, deve essere rispettato il multilateralismo. I Paesi dovrebbero rimanere impegnati nei principi di ampia consultazione, contributo congiunto e beneficio condiviso, sostituire il confronto di blocco con una collaborazione inclusiva e frantumare i piccoli circoli con una maggiore solidarietà. In quarto luogo, deve essere rafforzata l'autorità dello stato di diritto internazionale. I Paesi principali in particolare dovrebbero assumere la guida nel sostenere l'integrità, abbracciare lo stato di diritto e opporsi al doppio standard e all'applicazione selettiva. Ancora meno dovrebbero ricorrere a bullismo, monopolio, inganno o estorsione”.

Sulla questione Mediorientale, il Ministro Wang ha ribadito che per la Repubblica Popolare Cinese, “Gaza appartiene al popolo palestinese. È una parte inseparabile del territorio palestinese. Cambiare il suo status con mezzi forzati non porterà la pace, ma solo un nuovo caos. Sosteniamo il piano per ripristinare la pace a Gaza avviato dall'Egitto e da altri Paesi arabi. La volontà del popolo non deve essere sfidata e il principio di giustizia non deve essere abbandonato. Se un Paese importante si preoccupa davvero della gente di Gaza, dovrebbe promuovere un cessate il fuoco completo e duraturo, aumentare l'assistenza umanitaria, osservare il principio dei palestinesi che governano la Palestina e contribuire alla ricostruzione a Gaza”.

Ribadendo il concetto che “Senza la pace in Medio Oriente, il mondo non sarà stabile”. Sottolineando come “la comunità internazionale dovrebbe concentrarsi maggiormente sulla soluzione dei due Stati e dare più sostegno alla statualità indipendente per la Palestina”.

Sulla questione Taiwan ha riaffermato il concetto che “Taiwan è una parte inalienabile del territorio cinese. Questa è la Storia e la realtà. Quest'anno segna l'80° anniversario della riconquista di Taiwan. Ottant'anni fa, la vittoria nella guerra di resistenza popolare cinese contro l'aggressione giapponese ha riportato Taiwan sotto la giurisdizione sovrana della Cina”. Aggiungendo, fra le altre cose, che “La risoluzione 2758 fu poi adottata nel 1971 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con una schiacciante maggioranza. Decide di ripristinare tutti i diritti legittimi della Repubblica Popolare Cinese presso le Nazioni Unite e di espellere immediatamente i rappresentanti delle autorità di Taiwan dalle Nazioni Unite e da tutte le organizzazioni ad essa collegate”.

Per quanto riguarda i rapporti con l'UE, il Ministro Wang ha fatto presente come Quest'anno segna il 50° anniversario dei legami diplomatici Cina-UE” e come in questo rapporto “la risorsa più preziosa è il rispetto reciproco, l'impulso più potente è il beneficio reciproco, il più grande consenso unificante è il multilateralismo e la caratterizzazione più accurata è il partner di cooperazione”.

Ha sottolineato come negli ultimi decenni la cooperazione e il commercio Cina-UE siano aumentate e così gli investimenti e come “Una relazione sana e stabile solleverà entrambe le parti e renderà il mondo più luminoso”.

Equilibrio, cooperazione, giustizia sociale, stabilità. Questi i punti chiave di una Cina fondata su un socialismo moderno e maturo, che in Europa è scomparso da molti decenni.

Del resto fu lungimirante l'allora Ministro degli Esteri e leader socialista italiano, Pietro Nenni, e poi Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, che guardò, per primo, allo sviluppo del multipolarismo, oltre i blocchi contrapposti (allora USA e URSS), guardando con entusiasmo alla Cina e al suo sviluppo, oltre che alla sua capacità di evoluzione (a differenza del monolitismo sovietico), che l'avrebbe peraltro portata a sostenere e per molti versi guidare i Paesi Non Allineati.

Quel Terzo e Quarto Mondo che, oggi, può essere l'unica speranza per un futuro condiviso di stabilità e pace.

Luca Bagatin

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sabato 15 marzo 2025

"Terzo Millennio: valori e diritti negati". Un convegno, a Roma, per parlare della crisi politica, morale e sociale dell'Occidente negli ultimi trent'anni. Articolo di Luca Bagatin

 

Molto interessante e partecipato il convegno organizzato dall'Ateneo Tradizionale Mediterraneo, dal titolo “Terzo Millennio: valori e diritti negati”, tenutosi a Roma lo scorso 14 marzo.

Convegno di scottante attualità e che mi ha dato peraltro la possibilità di ritrovare e rivedere vecchi amici e compagni, quali Luigi Pruneti, Rettore dell'Ateneo, e Tiziano Busca, oltre che incontrare Antonio Foccillo, il Sen. Giorgio Benvenuto e molti altri.

Il convegno è stato aperto da Romeo Gatti, Presidente dell'Ateneo e coordinato dal giornalista Riccardo Protani, il quale ha esordito facendo presente quanto, oggi, si faccia molta fatica a riportare in auge un pensiero critico.

Pensiero critico che parta da riflessioni profonde, essenza di ogni libero pensiero che vada oltre i video sui social, che durano pochi secondi e subito vengono dimenticati.

Successivamente è intervenuto il giornalista e scrittore Antonio Foccillo, già Segretario confederale della UIL e socialista di lungo corso.

Foccillo, nella sua lunga e ponderata relazione, ha parlato di come oggi i partiti e i movimenti siano in profonda difficoltà e di come, dopo il crollo del comunismo ad Est, si sia giunti non già a una nuova età dell'oro, bensì alla destabilizzazione dell'Occidente.

Destabilizzazione che, in Italia, ha preso le sembianze della cosiddetta operazione Mani Pulite, che ha consegnato il Paese nelle mani di mezze figure, con scarsa capacità e lungimiranza.

Da allora, come ha sottolineato Foccillo, si è assistito al fenomeno del leaderismo, dell'avvento della finanza internazionale e del neoliberalismo, aspetto che ha finito per concentrare nelle mani di pochi ricchi la gestione delle risorse.

Da allora si è costituita una UE burocratica, gli Stati hanno perduto la loro sovranità e il mercato neoliberale l'ha fatta da padrone.

E' così che, negli ultimi 30 anni, si sono ridotte le libertà, i diritti sociali e la democrazia, che è essenzialmente confronto pluralista fra le varie verità e opinioni.

La cosiddetta “libertà economica”, secondo Foccillo, ha generato paura nei confronti del domani, mentre le élite economiche hanno iniziato a diffondere informazioni insignificanti, sensazionalistiche, che fanno leva sulle emozioni e non sulla riflessione. Ne è, pertanto, derivata una società di tifosi e non di cittadini consapevoli, partecipi, riflessivi e formati alla democrazia.

Di pari passo, il welfare è stato smantellato e l'UE si è trasformata nell'esatto opposto rispetto all'Europa sognata dai padri fondatori. Da baluardo di pace e democrazia, è diventata l'UE dei tagli di bilancio e ha aperto le porte all'estremismo di destra.

Una UE incapace di mediazione, che investe in armamenti e che toglie risorse al sociale.

Occorre, secondo Foccillo, ricostruire una Europa fondata sulla riconquista della dignità degli Stati e delle persone. Occorrono analisi e proposte senza conformismi e una nuova classe di intellettuali critici nei confronti del modello neoliberale.

Stiamo infatti, al momento, ha sottolineato Foccillo, all'avvento di una società sempre più intollerante, che fomenta l'odio nei confronti del prossimo, che fomenta fenomeni quali il bullismo e le baby gang.

Tutto ciò ha portato a un peggioramento della qualità della vita, ove le persone si ritrovano sempre più sole con i loro social network e ove i partiti non sono più luogo di confronto e dibattito.

Oggi, a parere di Foccillo, prevale la legge del più forte e vi è una distanza incolmabile fra il ceto politico e la società nel suo complesso.

Il mondo di oggi sembra dorato, ma in realtà ha prodotto nuove forme di schiavitù del lavoro e – secondo Foccillo – ciò è visibile nel precariato lavorativo e nelle morti sul lavoro, sempre più all'ordine del giorno.

Oltre a ciò, prevalgono competizione e totale abbandono della partecipazione democratica e del dissenso.

Siamo dunque, secondo Foccillo, difronte a una crisi non solo economica, ma anche morale.

Come uscirne?

Secondo Antonio Foccillo, attraverso il recupero dei valori di laicità, tolleranza, diritti umani, legalità, dialogo e partecipazione, alla ricerca di una società più giusta e solidale. Occorre, dunque, educare le persone a cambiare abitudini e a riscoprire le regole della democrazia: dialogo, diritti civili e sociali e riconoscimento delle diversità culturali.

Tutto ciò va contrapposto all'attuale edonismo, narcisismo e consumismo, aspetti che ci stanno portando verso forme di dittatura della maggioranza, lontane anni luce dai valori della nostra Costituzione.

Successivamente, ha preso la parola il Sen. Giorgio Benvenuto, già sindacalista, ultimo Segretario del Partito Socialista Italiano, nel 1993 e attuale Presidente della Fondazione Buno Buozzi.

Benvenuto ha esordito affermando che, le crisi, sono sempre una occasione di cambiamento e, affinché ciò possa avvenire, occorre affrontarle uscendo da un clima di mera protesta, per avanzare proposte. Per fare ciò, occorre avere una visione complessiva del mondo.

L'UE, nella fattispecie, secondo Benvenuto, dopo la caduta del Muro di Berlino, non ha costruito una Europa sociale. Anzi, ha utilizzato i Paesi dell'Est per aprire a un mercato sempre più deregolato, anziché tutelarli e rafforzarli sotto il profilo sociale. Tantoché i lavoratori dell'Est non hanno gli stessi diritti rispetto ai lavoratori italiani, francesi o tedeschi.

Benvenuto ha ravvisato alcuni problemi fondamentali dell'UE: la mancanza di potere e responsabilità del Parlamento europeo; la regola di decisione all'unanimità degli Stati (che rende molto difficile a 27 Stati di mettersi d'accordo e prendere decisioni) e la mancanza di una politica fiscale uniforme, che impedisca così ogni forma di paradiso fiscale, al momento presenti in UE.

Il Sen. Benvenuto ha fatto peraltro presente che ben 400.000 sono i giovani italiani che hanno abbandonato l'Italia per cercare condizioni lavorative migliori all'estero. Segnale del fatto che, qui, non sono stati messi in grado di sviluppare al meglio le loro capacità e aspettative.

Occorre, pertanto, a parere di Benvenuto, tornare allo sviluppo della formazione e della conoscenza, che sono fondamentali in un'epoca in cui l'Intelligenza Artificiale finirà per sostituirsi agli esseri umani e a far perdere posti di lavoro.

Conoscenza e solidarietà, ha concluso Benvenuto, erano peraltro alla base degli ideali socialisti (che, oltre alla falce e al martello, avevano anche il libro, nel simbolo, ha ricordato) e a questi valori occorre tornare.

E' intervenuto poi l'Avv. Angelo Caliendo, dell'EURISPES, in sostituzione del Presidente dell'ente, Gian Maria Fara.

L'Avv. Caliendo ha fatto presente come siamo difronte a numerosi mutamenti che sopravanzano, nel corso degli ultimi trent'anni. E tali mutamenti hanno messo in luce una profonda frattura dell'Occidente. Lo stato di benessere, negli ultimi decenni, si è rivelato illusorio, mentre altre potenze si sono sviluppate, fondandosi su valori statali e pubblici.

A parere dell'Avv. Caliendo, occorre riscoprire quello spirito di coesione tipico delle generazioni del dopoguerra perché, purtroppo, 30 anni di involuzione politica e sociale in Europa, a partire dallo spartiacque che è stato l'anno 1992, hanno buttato via il bambino con l'acqua sporca.

La Prima Repubblica, a parere dell'Avv. Caliendo, ha garantito stabilità, crescita economica e visione del mondo. Mentre, dopo il 1992/93, abbiamo assistito alla perdita dell'autorevolezza delle istituzioni, anche sul piano internazionale; ad un aumento del divario fra Nord e Sud; ad un welfare messo sotto pressione; a un logoramento del rapporto fra cittadini e istituzioni.

Occorre, a parere dell'Avv. Caliendo, ritrovare coraggio per riformare totalmente il sistema in modo lungimirante. Ovvero occorre una trasformazione sistemica, senza involuzioni, come avvenuto nel nostro Paese dopo la Seconda Guerra Mondiale, ove vi sia una nuova alleanza fra pubblico e privato, aldilà delle divisioni ideologiche. Occorre, in sostanza, una visione di ampio respiro orientata al futuro e non più al presente, priva di slogan tipici dei politici di oggi, presenti nel talk show.

Occorre, a parere dell'Avv. Caliendo, lavorare per riorganizzare il welfare; affrontare la crisi relativa ai cambiamenti climatici; la necessità di lavorare per ottenere maggiore inclusione sociale e la regolazione dei flussi migratori.

Lavorando, inoltre, per la costruzione di un ordine mondiale multilaterale volto alla pace, affermando il primato della programmazione, che si può ottenere con una classe dirigente competente e pragmatica, la quale ponga al centro una politica autorevole e responsabile e riaffermi il senso di comunità, coesione sociale e partecipazione.

E' intervenuto, poi, Tiziano Busca, sociologo e attuale componente della Direzione Nazionale dell'attuale PSI.

Secondo Busca, siamo riusciti a sconfiggere i totalitarismi del passato, nazifascismo e comunismo, ma ci è rimasto il liberalismo economico, che genera squilibri e differenze fra chi accumula ricchezze, da una parte, e chi rimane indietro.

Chi ha di più, in sostanza, secondo Busca, continua ad avere di più, mentre chi ha meno continua ad avere sempre meno.

Il welfare, è infatti stato sostituito dall'avvento della finanza. Oggi, ha sottolineato Busca, siamo in balìa del mercato e il sindacato non si interfaccia più con le imprese, ma con le Borse e i fondi di investimento.

I processi decisionali, in tutto ciò, non hanno più soggettività fisica e viene a mancare la pace. Quella pace che, un tempo, era garantita da statisti che oggi mancano.

Viviamo in una società, ha affermato Busca, che comunica paura. Paura di esporsi, paura del diverso, paura del cambiamento. Manca quella consapevolezza che siamo tutti uguali. Vi è una sorta di incapacità di cogliere la diversità negli altri. Conseguentemente, vi è una perdita del senso di comunità, che è alla base della democrazia.

Il settore pubblico sta dunque implodendo e ciò sin dagli Anni '90.

Busca ha sottolineato come proprio in quegli anni, in particolare a partire dalla caduta del Muro di Berlino, il mercato abbia preso il sopravvento. Da allora il mondo ha iniziato ad avere sempre meno idee, ma a produrre una molteplicità di individualità capaci comunque di gestire il consenso.

Un consenso, però, fine a sé stesso.

In videoconferenza è poi intervenuto l'On. Valdo Spini, già socialista di lungo corso e Presidente della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, il quale ha esordito affermando che occorre analizzare le motivazioni che hanno portato la sinistra italiana e europea a guardare con eccessivo entusiasmo alla globalizzazione. Globalizzazione che ha generato il devastante fenomeno della delocalizzazione della produzione, con conseguenze al ribasso, sia in termini di salari che di qualità dei prodotti.

Tutto ciò ha portato, a parere di Spini, molti elettori di sinistra a votare a destra, così come hanno votato a destra quegli elettori di sinistra che si sono sentiti abbandonati sul fronte della sicurezza, che era storicamente tematica centrale della sinistra.

L'On. Spini ha aggiunto che occorre, pertanto, recuperare i valori originari del socialismo e ricominciare a dialogare con le persone e coglierne le necessità.

Le conclusioni sono state del prof. Luigi Pruneti, Rettore dell'Ateneo Tradizionale Mediterraneo, scrittore, saggista, già Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Gran Loggia d'Italia degli ALAM e fondatore dell'Ordine Massonico Tradizionale Italiano.

Pruneti ha ravvisato come i problemi di oggi vadano fatti risalire agli avvenimenti del 1989, che hanno fatto implodere il bipolarismo mondiale, USA-URSS.

Quegli avvenimenti furono una occasione mal sfruttata da parte dell'Europa, in quanto da allora è nato quel mercato unico che ha fatto trionfare, ha sottolineato Pruneti, l'ideologia capitalista.

Fu allora che nacque la deregulation economica, il Washington consensus e la distruzione sistematica del settore pubblico, che era l'ultimo argine alla libera circolazione dei capitali.

Negli Anni 2000, ha ricordato Pruneti, si è approdati al globalismo, sbandierato come la nascita di un bellissimo “giardino globale”, quando in realtà fu un “mattatoio globale”, visto l'aumento esponenziale dei conflitti nel mondo a partire da quegli anni.

La democrazia, conseguentemente, è sempre più entrata in crisi e ciò, ha sottolineato Pruneti, dovuto alla delusione dei cittadini nei confronti di governi e opposizioni entrambe “uguali e grigie”, che si avvicendano senza dare risultati concreti.

A ciò abbiamo assistito, a parere di Pruneti, a una sistematica crisi dell'informazione, iniziata a partire dai tempi di Tangentopoli, sino ai giorni nostri in cui le nuove generazioni di giornalisti sono spesso con contratto a termine e sono obbligate a seguire le linee editoriali dei giornali. Facendo, dunque, venir meno ogni spirito critico.

Gli ideali socialisti di un tempo, quelli che fecero saltare le dittature di Salazar in Portogallo e Franco in Spagna, a parere di Pruneti, sono scomparsi in Europa.

Abbandonando un glorioso passato, siamo approdati a un nuovo che non conoscevamo e ne è nato un bipolarismo all'anglosassone che ha aperto le porte alle lobby. Un po' come negli USA, che Pruneti definisce “il malato più grande di tutti” e che non deve stupire che abbia prodotto un Presidente come Trump.

Ad avviso del prof. Pruneti, occorre battersi contro questo “liberalismo senza più libertà”, che ha generato darwinismo sociale. Occorre far tornare le persone a pensare, riflettere, ragionare oltre l'immediatezza omologante della comunicazione di oggi.

Ovvero, a parere di Luigi Pruneti, occorre ripartire dal basso per ricostruire, attorno alle discussioni, il libero pensiero. Che è minacciato tanto quanto l'uomo, i cui valori rischiano di implodere, per essere sostituiti dall'attuale materialismo e decadenza imperanti.

Luca Bagatin

www.amoreeliberta.blogspot.it

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Luigi Pruneti e Luca Bagatin

Giorgio Benvenuto e Luca Bagatin