Nell'epoca dell'ipersessualizzazione dei costumi e dei consumi
imposta dall'economia liberale, dal modello inculturale
tecnomodernista, l'arte viene accomunata alla pornografia. Quando
invece la vera pornografia, la vera pornocrazia, è il capitalismo
assoluto.
Non capisco chi cura l'estetica della propria persona
all'estremo. Meno che meno quelli o quelle che si rifanno,
assomigliando a clown. Penso che siano ridicoli e perdano
tempo. La natura è natura e va accettata. Ciò che si può
curare - e poco si fa - è solo la propria interiorità.
La gente teme la democrazia e pensa che libertà sia qualche cosa
che attiene il danaro e la sfera economica (più hai danaro più hai
libertà...una vera assurdità).
Personalmente sono per la
democrazia e la libertà autentiche, il che presuppone libertà dal
danaro e dall'interesse economico, comunità federate, indipendenti
e autogestite e spirito di sacrificio e collaborazione.
E' chiaro che, nella Società dello Spettacolo, ovvero nella Inciviltà
della Morte Civile, anche una manifestazione che utilizzi il linguaggio
dello spettacolo, clownesca, goliardica, boccaccesca, può essere utile.
Lo comprese il d'Annunzio di Fiume e così l'Asso di Cuori Guido Keller.
Lo compresero i radicali degli Anni '70 e gli Indiani Metropolitani:
primo fra tutti Mario Appigniani Cavallo Pazzo. Lo comprese lo Schicchi
di Diva Futura, lo compresero le Femen e i Nazionalbolscevichi di
Limonov. Usare la spettacolarizzazione per farsi beffe della Società
dello Spettacolo, del consumismo, del capitale, del liberalismo, dell'autoritarismo e di
tutta la merda che tutto ciò si porta dietro.
Era la più bella delle
attiviste Femen, a parer mio. Quella che in me suscitava maggiore
passione e sensibilità, al punto che qualche anno fa, dopo aver
scritto l'ennesimo articolo sul loro attivismo
(http://amoreeliberta.blogspot.com/2016/11/femen-paladine-damore-democrazia-e.html),
decisi di apporre sulla fascia destra del mio blog "Amore e
Libertà" una sua foto - volendo così inserirla quale icona
d'Amore e Libertà - e in diversi post alle Femen dedicati, posi
spesso la sua immagine in risalto. Dedicando a lei e a tutte le
eroine e le donne dell'Est, finanche una poesia.
Oksana Shachko era
un'artista ucraina, oltre che un'attivista contro la mercificazione
dei corpi e delle menti e contro l'autoritarismo della politica e
della religione. Oksana era l'incarnazione del detto ucraino: "Nuda,
scalza, ma con una corona di fiori in testa". Una ragazza povera
ma bella, che con poco riesce a valorizzare la sua personalità.
Fra le co-fondatrici di
Femen nel 2008, Oksana sarà costretta a rifugiarsi nel 2013 in
Francia in quanto perseguitata politica nel suo Paese a causa del suo
attivismo. A Parigi, ritiratasi alcuni anni fa dal movimento Femen,
si dedicherà alla pittura, ispirandosi alle icone ortodosse, ma
renterpretandole in chiave trasgressiva e umanista, sostenendo che
"La vera arte è la rivoluzione".
Oksana aveva già tentato
in passato il suicidio pare. Si è impiccata il 23 luglio, a 31 anni,
lasciando una lettera d'addio ai suoi amici e una scritta in inglese:
"Siete tutti un falso".
Mi sento di comprendere
il gesto di Oksana, che è il gesto estremo scelto anche da Alex
Langer e da Roberta Tatafiore, anche loro - peraltro - attivisti per
l'ambiente, i diritti civili e delle donne.
Noi persone sensibili,
che vorremmo un mondo diverso, meno falso, meno violento, meno
mercificato, meno perverso, non sempre riusciamo a reggere alla
pressione esterna.
Talvolta decidiamo di
volare via, come hai fatto anche tu, dolcissima e bellissima Oksana.
Ti voglio e ti ho sempre
voluto bene e vorrei ricordarti con la poesia che segue, che ho
dedicato a te e a tutte le donne che lottano. Ti tengo nel mio cuore.
Che il superamento
dell'elettoralismo e del parlamentarismo sia inevitabile non
sappiamo, che sia auspicabile in favore della democrazia
partecipativa, sarebbe certamente positivo per la democrazia stessa.
Sarebbe auspicabile in
quanto la democrazia prevede che sia il popolo stesso a decidere per
sè stesso, senza mediazioni di sorta, fatte di ideologismi, di
lobbismi ed interessi particolari, come spesso rischia di accadere.
Davide Casaleggio dice
quindi una cosa giusta, per quanto egli ravvisa che ciò sia
possibile attraverso la rete web.
Personalmente ho parecchi
dubbi relativamente alla democraticità e trasparenza della rete,
oltre che dell'effetiva efficacia del mezzo, oggi certamente utile,
ma che limita fortemente la vera comunicazione e l'effettivo
dibattito fra le persone, producendo spesso assurdi odi incrociati e
invettive. In questo senso il web appare come un prolungamento della
televisione e dei mass media in generale, totalmente avulsi dalla
realtà delle persone comuni e rispondenti piuttosto a logiche
mercantilistiche e di audience.
Affinché la democrazia
partecipativa sia possibile sono dunque necessarie delle assemblee
popolari pubbliche. Ove le persone tornino a parlarsi e a
confrontarsi direttamente, guardandosi negli occhi. Venendo meno le
sezioni di partito di un tempo, che erano anche palestre di
formazione politica e di confronto, oggi, è più che mai auspicabile
un sistema assemblearista aperto, su base federata il più possibile:
a partire dai quartieri e via via sino ai livelli superiori. Ovvero
dalla periferia sino al centro.
Un sistema di questo tipo
è peraltro per molti versi profetizzato dal saggista Van Reybrouck
nel suo libro "Contro le elezioni - perchè votare non è più
democratico", edito da Feltrinelli e nel quale egli propone un
sistema ove il Parlamento sia composto da persone estratte a sorte
(una proposta peraltro contenuta anche nel saggio "Semplicemente
liberale" di Antonio Martino, se non ricordo male) ed è un
sistema non lontano da quello cubano - ove i candidati all'Assemblea
Nazionale sono scelti a partire da assemblee di quartiere, su vari
livelli e i deputati svolgono il loro lavoro a titolo gratuito, quale
servizio alla comunità - o da quello libico gheddafiano nel quale
vi erano congressi e comitati popolari aperti.
Il sistema della
democrazia partecipativa sarebbe quanto di più democratico
possibile, ma ciò presuppone che si investa fortemente nella scuola
e nella formazione politica delle persone. I partiti stessi, le
associazioni culturali, le fondazioni ecc... dovrebbero e potrebbero
mutare la loro funzione in questo senso, ovvero tornare ad essere
luoghi dove formare le persone.
Nella scuola (oltre che
nella sanità) si dovrebbe investire almeno il 50% del PIL perché
unico vero settore di crescita e di sviluppo umano, che è di gran
lunga più importante della crescita economica, utile solo a chi
vuole arricchirsi e accumulare beni materiali.
La democrazia
partecipativa presuppone anche che ogni realtà locale torni ad
essere una comunità di persone che vivono la medesima situazione e
non un insieme di atomi separati, ciascuno arroccato nel proprio
orticello e nel proprio particolaristico ed egoistico interesse.
In questo senso la
democrazia partecipativa si coniuga con un sistema che superi
egoismo, interesse e capitalismo, ovvero introduca forme di
autogestione socialista ove ogni cittadino sia responsabile nei
confronti di sè stesso e dunque dell'intera comunità.
Utopia ?
Le Civiltà Matriarcali,
ancora oggi esistenti, si fondavano e fondano su questo. Ed erano e
sono civiltà pacifiche e libere della mercificazione indotta dalla
modernità liberale, dalla crescita illimitata, dallo sfruttamento,
da un progresso che in realtà è solo regresso umano ed ecologico.
Questa la base di una
possibile civiltà egualitaria, autogestita, ecologista,
partecipativa e dunque pienamente democratica.
"...nulla
mi pare più contrario al mondo moderno di quella figura: di quel
Cristo mite nel cuore, ma «mai» nella ragione, che non desiste un
attimo dalla propria terribile libertà come volontà di verifica
continua della propria religione, come disprezzo continuo per la
contraddizione e per lo scandalo. Seguendo le «accelerazioni
stilistiche» di Matteo alla lettera, la funzionalità
barbarico-pratica del suo racconto, l’abolizione dei tempi
cronologici, i salti ellittici della storia con dentro le
«sproporzioni» delle stasi didascaliche (lo stupendo, interminabile
discorso della montagna), la figura di Cristo dovrebbe avere, alla
fine, la stessa violenza di una resistenza: qualcosa che contraddica
radicalmente la vita come si sta configurando all’uomo moderno, la
sua grigia orgia di cinismo, ironia, brutalità pratica, compromesso,
conformismo, glorificazione della propria identità nei connotati
della massa, odio per ogni diversità, rancore teologico senza
religione.”
(Pier Paolo
Pasolini)
"Nulla
muore mai in una vita. Tutto sopravvive. Noi, insieme, viviamo e
sopravviviamo. Così anche ogni cultura è sempre intessuta di
sopravvivenze. Nel caso che stiamo ora esaminando [La ricotta] ciò
che sopravvive sono quei famosi duemila anni di "imitatio
Christi", quell'irrazionalismo religioso. Non hanno più senso,
appartengono a un altro mondo, negato, rifiutato, superato: eppure
sopravvivono. Sono elementi storicamente morti ma umanamente vivi che
ci compongono. Mi sembra che sia ingenuo, superficiale, fazioso
negarne o ignorarne l'esistenza. Io, per me, sono anticlericale (non
ho mica paura a dirlo!), ma so che in me ci sono duemila anni di
cristianesimo: io coi miei avi ho costruito le chiese romaniche, e
poi le chiese gotiche, e poi le chiese barocche: esse sono il mio
patrimonio, nel contenuto e nello stile. Sarei folle se negassi tale
forza potente che è in me: se lasciassi ai preti il monopolio del
Bene".
(Pier Paolo
Pasolini)
Queste le parole di un eretico, anticlericale ma cristiano, come Pier Paolo Pasolini. Un eretico, anticlericale e cristiano contro la modernità e il consumismo che tutto hanno distrutto. Persino l'Amore e quindi la Libertà. L. B.
Il
leader indigeno boliviano ha inoltre evidenziato che nel luglio del
1979 con il trionfo del Fronte di Liberazione Nazionale Sandinista
(FSLN) contro il dittatore Anastasio Somoza Debayle, ha avuto inizio un
«un periodo di cambiamenti epocali in Nicaragua»
Il presidente boliviano Evo Morales saluta il 39° anniversario della
Rivoluzione Sandinista e denuncia le «strategie criminali» dell’impero
contro il Nicaragua. Strategie criminali che si dipanano su più fronti,
dall’economico al mediatico, per accerchiare il governo Ortega e
costringerlo ad abbandonare il potere nonostante la recente elezione
dove il Fronte Sandinista ha ottenuto quasi il 70% delle preferenze dei
nicaraguensi.
Attraverso un tweet Evo Morales omaggia la Rivoluzione Sandinista e
denuncia il ruolo delle famigerate agenzie USA impegnate nella
destabilizzazione del governo Ortega: «Nell’anniversario del trionfo
della Rivoluzione Sandinista, bisogna denunciare che l’impero sta
dispiegando strategie criminali contro il governo del fratello Daniel
Ortega. USAID e NED sostengono apertamente la violenza. Respingiamo
l’ingerenza».
Il leader indigeno boliviano, già cocalero e dirigente del sindacato
dei cocaleros, ha inoltre evidenziato che nel luglio del 1979 con il
trionfo del Fronte di Liberazione Nazionale Sandinista (FSLN) contro il
dittatore Anastasio Somoza Debayle, ha avuto inizio un «un periodo di
cambiamenti epocali in Nicaragua».
Da oltre tre mesi, in Nicaragua vi sono proteste violente scoppiate
dopo l'entrata in vigore di una controversa riforma dell'Istituto
nazionale di sicurezza sociale (INSS), approvata con l'obiettivo di
aumentare il contributo delle imprese e dei lavoratori. Sebbene
l'emendamento sia stato revocato, i manifestanti hanno intrapreso la via
della violenza con l’obiettivo di rovesciare il governo sandinista con
l’esplicito sostegno degli Usa e delle gerarchi cattoliche.
Ortega, nel frattempo, denuncia che dietro questi atti violenti, che
hanno causato la morte di oltre 200 persone, tra cui bambini, donne e
funzionari, c'è una «cospirazione» guidata da gruppi sostenuti dagli
Stati Uniti e da narcotrafficanti.
In questo senso, il presidente nicaraguense, attraverso un messaggio
trasmesso dalla moglie (il vicepresidente del paese), Rosario Murillo,
ha invitato il popolo a seguire la via del cristianesimo, del socialismo
e della solidarietà per ottenere «sicurezza, pace, lavoro e vita».
Ho incontrato alcune
settimane fa l'editore Sandro Teti nel suo studio romano e gli ho
chiesto che cosa pensasse di Eduard Limonov, di cui ha editato nei
mesi scorsi il romanzo "Zona Industriale".
Mi ha risposto così: "E'
un uomo affascinante, sui generis. Mi ha colpito per il suo distacco
dalle cose e dal danaro, per il suo comportamento ascetico, tranne
che in ambito sessuale...".
Sandro Teti conobbe
Limonov negli Anni '90, davanti al mausoleo di Lenin fatto chiudere
da Eltsin, ove si erano riuniti diversi oppositori al nuovo regime
pseudo democratico della Federazione Russa.
Proprio in quegli anni
Limonov e un manipolo di giovani e giovanissimi "desperados"
delle periferie russe, fonderanno il Partito Nazional Bolscevico,
quello che diverrà il principale partito d'opposizione al governo di
Putin e che da questi sarà - unico partito in Russia a subire tale
destino - messo fuorilegge nel 2007.
Eduard Veniaminovich
Savenko, più conosciuto con il nome di Eduard Limonov e divenuto
popolare nel mondo grazie al romanzo biografico - nel quale però
Limonov non si riconosce affatto - "Limonov" scritto da
Emmanuel Carrére, è una via di mezzo fra Gabriele d'Annunzio,
Pasolini e Giacomo Casanova. E' ed è stato, oltre che leader e
dissidente politico: scrittore, poeta, giornalista, vagabondo,
soldato.
Limonov ha scritto almeno
sessanta libri, di cui pochissimi editi in Italia. Sono
principalmente romanzi autobiografici ove, attraverso la sua
avventurosa vita egli parla delle vicende della Russia sovietica e
soprattutto post-sovietica.
Sandro Teti mi ha detto
che vorrebbe editare prossimamente altri due suoi libri: "Vacanze
americane" e "Palach il boia".
"Zona Industriale",
che l'Autore definisce "romanzo moderno", narra delle sue
vicende appena uscito dal carcere di Lefortovo, ove ha scontato la
pena a due anni e mezzo con l'accusa di traffico d'armi e tentativo
di colpo di stato in Kazakistan.
Il libro è dunque
ambientato fra il 2004 ed il 2007, principalmente nella periferica
zona industriale moscovita di Syry, ove Limonov andrà a vivere in un
appartamento fatiscente e malmesso, affittato da due suoi amici.
Limonov è accompagnato
sempre dalle sue guardie del corpo, i suoi fedeli nazbol, osannati
anche dalla compianta giornalista Anna Politkovskaja, i quali sono
divenuti celebri e per questo perseguitati in Russia per le loro
azioni goliardiche di protesta contro il governo di Putin attraverso
lanci di uova e pomodori alle autorità e occupazione di uffici del
potere, ricordando per molti versi le imprese goliardiche dei
legionari fiumani fedeli al Vate d'Annunzio.
All'uscita dal carcere
Limonov è atteso dalla sua fedele compagna, la ventenne Nastja,
militante nazionalbolscevica molto più giovane di lui e che
soprannominerà "bambina bulterrierrina" in quanto sempre
in compagna del suo enorme cane bulterrier, che andrà con loro a
vivere nell'appartamento di Syry, almeno sino a quando le
incomprensioni fra Limonov e Nastja non faranno loro prendere strade
diverse.
Nastja regalerà a
Limonov un simpatico ratto bianco femmina, che egli battezzerà Krys
ed al quale in "Zona Industriale" sono dedicate pagine
bellissime e commoventissime. Il rapporto fra l'apparentemente
"cinico" e "duro" Limonov e Krys è davvero molto
tenero. Krys ama il sapone da bucato e odora di quello. Ama saltare
sulle gambe e sulle spalle del Nostro e correre per l'appartamento.
Purtroppo Limonov apprende che i topi, a dispetto o proprio in quanto
animali molto vispi e energici, vivono pochi anni. Quando vede la sua
Krys indebolirsi si intristisce e non accetta il suo invecchiare e,
quando Krys, il 10 marzo 2005 muore, Limonov le costruisce con una
scatola un giaciglio, mettendovi dentro ovatta come cuscino e una
ghirlanda che le pone attorno ai fianchi. E la fa seppellire dalle
sue guardie del corpo nella cavità di un albero. Le voleva davvero
bene.
Limonov si descrive come
un cinico, ma in realtà è un uomo che ama. E che ha amato le sue
numerose donne, tutte molto più giovani di lui, spesso "bad
girl", ragazze alternative a tratti punk, un po' come lui, che
sono state sue mogli e amanti. Per quanto i rapporti fra lui e
l'altro sesso siano stati piuttosto burrascosi.
In "Zona
Industriale" l'Autore descrive lungamente il suo rapporto con
l'Attrice, la donna che gli darà due bellissimi figli: Bogdan e
Aleksandra. L'Attrice è la sua ultima moglie, il cui rapporto
descrive come quello di uno "sciamano" con la sua "Venere".
Rapporto passionale ma anche burrascoso, fatto di incomprensioni,
durato alcuni anni. Anni nei quali il Nostro non smette di fare
politica e, assieme a Kasparov e a Kasyanov, organizza una coalizione
antigovernativa - L'Altra Russia - composta da nazionalbolscevichi,
liberali, comunisti e nazionalisti, la quale portroppo naufragherà a
causa dei litigi interni alla componente liberale.
Nel libro Limonov esalta,
fra le altre cose, il sesso, inteso non nella sua funzione
riproduttiva ma di "love making", parlando della sua
"teoria del superamento della solitudine cosmica", ovvero
la solitudine umana - che rischia di far appassire l'essere umano -
può essere superata solo attraverso il sesso, sia esso eterosessuale
che omosessuale, ovvero unendosi a un altro essere umano, anch'egli
avvolto in questo senso di solitudine cosmica. In questo senso Eduard
Limonov si riconferma al contempo degno erede e compagno d'erotismo
di Casanova e del già citato d'Annunzio.
Alcuni capitoli di "Zona
Industriale" sono dedicati a riflessioni di ordine spirituale e
metafisico, a interpretazioni personali della Bibbia, a
interpretazioni attorno all'universo femminile, grande Mistero che
affascina da sempre il Nostro e con il quale ha da sempre un rapporto
alterno, di amore e conflittualità, persino con l'anziana madre il
quale lo rimprovera al telefono affettuosamente di dover mettere "la
testa a posto" e di smettere con le sue "stramberie".
Eduard Limonov non si è
mai arricchito grazie al suo lavoro. E' un eterno giovane di 75 anni.
Un dissidente integrale. Un erotico-eretico con i suoi occhiali, il
suo pizzetto, i suoi capelli rasati ai lati e dietro in stile
post-punk. Un personaggio da romanzo. Un "cinico" dal cuore
tenero che ha affascinato e continuerà ad affascinare generazioni di
giovani delle estreme periferie dell'Est e dell'Ovest del pianeta
terra, che lottano dalla parte dei più deboli.
Le persone ti danno retta solitamente
quando la pensi come loro.
Poi si eclissano. Meglio rimanere
soli.
E non eclissarsi mai.
Meglio rimanere soli.
Soli e splendenti, con i nostri raggi.
Il problema della miseria secondo me è
sempre la ricchezza.
Se detieni troppe risorse e danaro, vuol
dire che le stai sottraendo ad altri (poco importa se legalmente o
illegalmente).
Non ho simpatia per chi ha troppe risorse e
ricchezze.
Sin da bambino non ho mai ambito a diventare ricco, ma
ho sempre ambito al contrario: abolire i ricchi e rendere tutti un
po' più sereni.
Ciascuno tira acqua al suo mulino
ideologico, senza andare oltre.
Personalmente ho i miei
riferimenti politico culturali, che sono socialisti e autogestionari,
ma non ho una ideologia.
Non sono mai riuscito a sposarne in toto
nessuna, così come non sono mai riuscito a sposare una donna (molti
si sposano e tradiscono, io non mi sposo ma non ammetto nessun
tradimento).
Occorre approfondire sempre e andare oltre gli
steccati.
Il rimanere fissi su qualcosa porta solo a disaccordi
inutili in un mondo già zeppo di divisioni.
Perché farsi il
sangue amaro ?
Già la vita è difficile e triste.
Sapete cosa
vuol dire farsi la guerra ideologica ?
A tutto questo preferisco
l'auto isolamento.
Amo l'isolamento per una ragione: permette di
ricongiungersi con ciò che di più profondo c'è in ciascuno.
E
permette in parte di capire l'assurdità della vita.
La prima volta che cercai lavoro avevo
19 anni.
Mi recai all'Unione Industruali, che allora metteva in
contatto i giovani con le imprese e mi chiesero:
"Che cosa
cerca?".
"Un lavoro stabile".
Mi fu risposto con
un ironico sorriso: "Beh, stabile, non esageriamo !".
Già
allora cominciava la precarizzazione e c'è chi aveva di che
ironizzare.
Vent'anni dopo sarebbe mancato anche il lavoro.
Detesto discutere con le persone.
Per
questo, se posso, evito le persone.
Se non mi riesce, con le
persone, preferisco uscirci a bere e a chiacchierare.
Le
discussioni non le ho mai sopportate nemmeno con le mie ex.
Che
infatti sono ex.
Per principio non accetto mai offerte commerciali da società
private.
In sostanza non rispondo mai ai call center.
Chiamatemi
solo quando queste società torneranno in mano pubblica.
Per indole e carattere detesto tutto ciò che è moderno o
progressivo.
Sono un tradizionalista e un conservatore e per
questo sono un socialista.
Vivi con poco, disfati del non
necessario.
Nessuna innovazione esteriore.
Solo evoluzione
interiore.
Verrà il giorno in cui il profitto e il guadagno saranno
considerate vizi e malattie da curare.
Alla modernità giacobina, che distrugge ogni coscienza collettiva
e diversità, preferisco il mondo arcaico, contadino, pasoliniano.
Sono per il superamento del danaro e il recupero dell'arcaismo in
ogni sua forma, compreso il ritorno al sistema del baratto e a
un'economia egualitaria, ovvero all'economia del dono. Detesto
ogni forma di accumulo egoistico e di sfruttamento, frutto della
follia dell'essere umano non risvegliato.
Si è tenuta, dal 5 al 15 luglio, nel
parco del Circolo "Concetto Marchesi" nel quartiere
popolare Tiburtino III di Roma, la consueta festa nazionale del
Partito Comunista - dal titolo "Unità - con musica, balli,
cibo e dibattiti.
Presente anche il Segretario generale
Marco Rizzo, il quale, intervistato dal giornalista del TG 3 Maurizio
Mannoni, non ha lesinato critiche al capitalismo, all'Unione Europea
oligarchica e al reddito di cittadinanza, ricordando che i comunisti
sono per il lavoro per tutti, la lotta al precariato e non per la
promozione del consumismo e l'incentivazione di "desideri
individuali", tanto amati da quella che egli definisce la
"sinistra fucsia", con la quale il Partito Comunista non ha
nulla a che spartire.
Marco Rizzo e Luca Bagatin
Molto radicato nel quartiere, costruito
da ex militanti del PCI, il Partito Comunista - che di recente ha
aperto anche una sezione a Pordenone - vede la presenza di
numerosissimi giovani dai 18 ai 25 anni, militanti del Fronte della
Gioventù Comunista, i quali hanno animato la serata e hanno svolto
un servizio cucina e bar davvero encomiabile.
Nel corso delle serate - una delle
quali in ricordo di Rino Gaetano e una in ricordo del poeta sovietico
Majakovskj interpretato dall'attore e cantautore Pierpaolo Capovilla
- hanno suonato band del calibro di "David Short Brass Factory",
"Giulia Ananìa e Bella Gabriella", "Enrico Capuano e
la Tammuriata Rock", "Radici nel cemento" e si è, nei
pomeriggi, dibattuto di diritto alla casa e speculazione edilizia,
situazione in Palestina, immigrazione, sport popolare e molto altro.
Porto camicie e magliette rosse da una
vita. Lo faccio in onore a Garibaldi e al socialismo. Ovvero
per le ragioni opposte rispetto a liberali, sinistri e
europeisti al caviale.
Una fra le differenze fondamentali fra
il socialismo e la sinistra è che, mentre il primo ritiene che il
capitalismo non sia riformabile e che solo l'uscita da esso possa
generare condizioni di eguaglianza e libertà per tutti, la sinistra
ritiene che i poveri, gli indigenti, vadano aiutati, come se fossero
dei piccoli bisognosi di cure, ma da tenere a bada. La sinistra è pietista, borghese,
anti popolare, assistenzialista. Il socialismo è emancipatorio,
proletario, popolare, populista e autogestionario. Personalmente
sono socialista e garibaldino proprio perché non sono né di sinistra né di destra.
Penso
che dividere gli sfruttati e i proletari, ovvero i socialisti, sia,
sin dalla borghese Rivoluzione Francese, lo scopo della destra e della
sinistra, ovvero dell'alta e della media borghesia.
Mira è un'insegnante
trentacinquenne di Parma, componente del Partito Comunista Italiano
in un'Italia alternativa rispetto a quella che conosciamo. Un'Italia
socialista non revisionista, ove è stata abolita la proprietà
privata e i mezzi di produzione sono stati messi in comune. Esistono
solo attività statali e cooperative. Ogni differenza di classe è
stata abolita, c'è piena occupazione e tutti
dispongono di
un'abitazione e vivono in kommunalki, ovvero abitazioni comuni ove
l'ingegnere divide il suo spazio con l'operaio e ciò - fra l'altro -
ha favorito la socializzazione fra le persone. Un'Italia ove la
crimintalità, il terrorismo e la mafia sono stati debellati e
l'immigrazione è solo un miraggio, in quanto i principi
marxisti-leninisti prevedono che ciascun popolo debba lottare per la
propria emancipazione e non sfruttare la manodopera a basso costo
favorendo un cosmopolitismo senza confini.
Questa la realtà immaginata
da Andrea Marsiletti, autore del romanzo ucronico "Se Mira, se
Kim" edito da Bloom.
Andrea Marsiletti è
direttore di ParmaDaily, quotidiano online di Parma e proprio in
questa città simbolo è ambiento gran parte del suo romanzo
d'esordio, frutto dei suoi studi e di un suo viaggio a Pyongyang -
nel settembre 2016 - come relatore del "Seminario internazionale
sullo Juche e l'antimperialismo".
Lo Juche è il sistema
ideologico comunista della Corea del Nord ideato da Kim Il Sung negli
Anni '50, che al marxismo-leninismo unisce i principi del
patriottismo coreano.
Il romanzo è un viaggio
ucronico anche nello Juche, in quanto Mira è fidanzata con Kim,
addetto all'Ambasciata della Corea del Nord con sede nella nuova
Capitale d'Italia, ovvero Firenze.
Ma come ha fatto l'Italia
ucronica immaginata da Marsiletti a diventare un Paese socialista
reale ?
A seguito di un attentato al
Segretario del PCI Palmiro Togliatti, ucciso da un esaltato nel 1948,
gli ex partigiani e i comunisti ripresero le armi e fecero la
rivoluzione, guidata da Pietro Secchia, il quale, una volta vinta la
rivoluzione diventerà Capo del Governo. Del primo governo comunista
d'Italia, che si doterà di una Costituzione comunista (i cui
articoli - ideati dall'Autore - sono inseriti in appendice al
romanzo) e lo Stato prenderà la denominazione di Repubblica Popolare
d'Italia, mantenendo quale bandiera nazionale il Tricolore, con
l'aggiunta di una stella rossa al centro.
La città che maggiormente
si spese per il trionfo del comunismo sarà la sanguigna e popolare
Parma, che l'Autore descrive facendo un parallelismo fra la Parma
reale di oggi e quella socialista reale del romanzo, immaginandosi
egli stesso uno dei personaggi minori, nei panni, ovviamente, di sé
stesso, direttore di un ParmaDaily...comunista.
Il romanzo, ad ogni modo,
oltre a raccontare tale realtà alternativa, è incentrato sulle
vincende di Mira, ortodossa comunista stalinista sempre a caccia di
revisionisti, trotzkisti e "rottamatori", come ad esempio
il suo ex compagno di liceo nonché suo primo amore Pietro Privitera,
bibliotecario e appassionato studioso di Vangeli apocrifi, gnosi e
spiritualità orientale - in particolare buddhista - che egli ritiene
essere compatibile e contigua con gli ideali marxisti, ponendo al
centro l'essere umano e ricercando una via per la liberazione dalla
sofferenza.
"Se Mira, se Kim",
ad ogni modo, è anche il teatro di una guerra imminente fra un
Giappone ritornato ad essere nazifascista e imperialista - alleato
agli Stati Uniti d'America - e la Corea del Nord guidata da Kim Jong
Un, che difende la sua indipendenza e il suo modello socialista e
sarà proprio tale evento di portata epocale a segnare le vite di
Mira e del suo innamorato Kim, sino al colpo di scena finale.
Romanzo appassionato, a
tratti estremo, a tratti romantico, l'opera prima di Andrea
Marsiletti incuriosirà certamente tutti i cultori del genere storico
"alternativo", che mescola eventi e personaggi storici
reali, anche contemporanei, in un contesto immaginario dai contorni
che più rossi di così non si può.
"Il nemico dei popoli non sono i migranti, ma piuttosto
quelli che saccheggiano e distruggono le nazioni costringendo le persone
a migrare. Solo l'unità dei popoli oppressi di fronte all'oligarchia
atlantista permetterà alle varie forme di umanità di emanciparsi "
Giuseppe Garibaldi: l'amico degli umili e dei popoli. Articolo di Luca Bagatin del 10 marzo 2017
La figura di Giuseppe Garibaldi (1807 -
1882) è ancora oggi poco conosciuta, in quanto poco studiata ed
approfondita, specie attraverso gli scritti di coloro i quali vissero
e combatterono con lui e ne descrissero le gesta. Prima fra tutti la
biografa e giornalista, oltre che patriota Jessie White Mario (1832 –
1906), le cui opere dell'epoca non risultano più essere state di
recente ripubblicate.
Purtroppo sulla figura di Garibaldi,
salvo gli storici contemporanei Denis Mack Smith ed Aldo A. Mola,
pochi sono coloro i quali hanno scritto del Generale in modo
obiettivo, senza livore complottistico ed antirisorgimentale tipico
di coloro i quali hanno preferito seguire certa storiografia
clericale e marxista anziché la realtà storica e le gesta dell'Eroe
senza macchia, che visse e morì povero, senza onori, che peraltro
rifiutò.
Giuseppe Garibaldi fu fra i fondatori,
con Mazzini, Marx, Engels e Bakunin, della Prima Internazionale dei
Lavoratori (1864) e questo certa storiografia preferisce
dimenticarlo, forse perché il Generale, lungi dall'essere marxista,
fu socialista libertario, sansimoniano e umanitario. E Friedrich
Engels (1820 - 1895), grande sostenitore dell'impresa dei Mille
(1860), ebbe sempre per lui parole di stima, come quando, a proposito
di tale azione militare, scrisse: “Garibaldi ha dimostrato di
essere non soltanto un capo coraggioso, ma anche un generale dotato
di una buona preparazione scientifica. L'attacco aperto a una catena
di forti costieri è un'impresa che richiede non soltanto talento
militare, ma anche scienza militare”.
Pochi sanno che il Generale Giuseppe
Garibaldi scrisse peraltro due romanzi, ripubblicati nel 2006 dalla
casa editrice Kaos, ovvero “Cantoni il volontario” e “Il
governo dei preti”, entrambi pubblicati per la prima volta nel
1870, prima della Breccia di Porta Pia. Scrive in proposito il prof.
Giorgio Galli nella prefazione ad uno dei romanzi di Garibaldi,
ovvero “Cantoni il volontario”, riedito dalla casa editrice Kaos
nel 2006: “Tra le righe di “Cantoni il volontario”, così
come del “Governo dei preti”, si possono leggere i tratti del
profilo di Garibaldi. Socialista libertario ingenuo ma non incolto,
generale guerrigliero ma non militarista né guerrafondaio, eroe
popolare vittorioso ma schivo, anticlericale eppure non insensibile
alla fede e alla spiritualità. Solidale con le condizioni delle
classi subalterne, rispettoso della figura e del ruolo della donna,
cosmpolita e terzomondista ante litteram, perfino dotato di una
sensibilità ambientalista (…)”.
Ritango che tale
descrizione fatta dal prof. Galli sia davvero emblematica e
riassuntiva del personaggio che fu eroe di tutte le cause –
dall'America Latina all'Italia – d'emancipazione popolare e
sociale. Eroe che richiese sempre precisi impegni ai suoi
interlocutori e, non a caso, rifiutò di combattere a fianco dei
nordisti nella Guerra Civile Americana o Guerra di Secessione
Americana (1861 – 1865) in quanto Lincoln non prese mai un impegni
pubblico per l'abolizione della schiavitù.
Fu
amante dell'ambiente e degli animali, tanto che fondò l'Ente
Nazionale Protezione Animali (ENPA) tutt'oggi attivo. Fu ingenuo,
certo, in quanto si fidò del Re e di Casa Savoia pur di fare
l'Italia. Un'Italia che però non nacque come egli e Mazzini
auspicavano: onesta, laica, indipendente, sovrana. Ma corrotta e ben
presto clericale, al punto che Garibaldi – coerentemente con i suoi
principi e le sue idee – il 27 settembre 1880 si dimise da deputato
al Parlamento scrivendo sul giornale “La Capitale” di non voler
essere “tra i legislatori di un Paese dove la libertà è
calpastata e la legge non serve nella sua applicazione che a
garantire la libertà ai gesuiti ed ai nemici dell'unità d'Italia.
Tutt'altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa, miserabile
all'interno e umiliata all'estero”.
Dopo di ciò il Generale tornò nella sua Caprera a fare il mestiere
di sempre, ovvero l'agricoltore.
Garibaldi fu
massone e teosofo e lo rimase per tutta la vita nel suo cuore, anche
allorquando, in polemica con i massoni della sua epoca assai poco
massoni, si dimise da ogni carica. Ricoprì la carica di Gran Maestro
del Grande Oriente d'Italia e fu il primo ad iniziare le donne in
Massoneria, iniziando, pare, anche l'occultista russa Helena Petrovna
Blavatsky (1831 - 1891), fondatrice della Società Teosofica e che fu
sempre una sua sostenitrice, anche durante la battaglia di Mentana
(1867) alla quale prese parte.
Molte
cose potrebbero essere dette su Garibaldi, come sui suoi amori. Il
più grande fu quello per la rivoluzionaria brasiliana Anita, ovvero
per Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva (1821 - 1849), la quale
combattè al suo fianco sia in America Latina che in Italia, in
particolare durante la Repubblica Romana (1849), ove morì poco dopo
a causa della malaria a soli 28 anni. Di Anita, ad ogni modo, parlai
già in un altro articolo di qualche tempo fa
(http://amoreeliberta.blogspot.it/2016/01/anita-garibaldi-eroina-dei-due-mondi.html).
Giuseppe Garibaldi
è e rimane una figura centrale nel panorama non solo risorgimentale,
ma anche degli Eroi di tutti i tempi. Giuseppe Garibaldi fu infatti
prima di tutto l'amico degli uomini e dei popoli per eccellenza e,
come al conte Alessandro Cagliostro, sembrò toccare la stessa sorte:
amato dagli umili, vilipeso da coloro i quali erano e sono in
malafede.
Ma ciò non può
toccare il cuore di coloro i quali ricercano, intimamente, il bene
dell'umanità e credono nel valore dell'amore e della fratellanza
universale. Senza distinzioni.
All'amore non credo più da tempo. Semmai credo nell'Amore. Nella coerenza dei rapporti. Troppe persone mi hanno detto "Ti voglio bene", "Ti amo". E poi sono sparite nel nulla. Raramente ho usato frasi così. Quando le ho dette erano vere. Ma sono stato coerente. Sono rimasto. Sino a che altri evaporavano. Ci ho fatto il callo. Alla malinconia si è sostituita la rassegnazione, poi l'indifferenza. "Sei maturato" mi dice una ex. No, sono indifferente, ma questa frase la tengo per me. Non credo all'amore, ho smesso di cercare. Tutto tanto, comunque, è destinato a finire. E noi non sappiamo. Anche se noi stessi siamo destinati ad evaporare. E a contare solo su noi stessi.
(Luca Bagatin)
Quando ero bambino proponevo a tutte le donne che mi piacevano di sposarmi. In realtà lo faccio ancora oggi, ma per scherzo.
Fu uno shock, crescendo, scoprire che il matrimonio era un contratto
economico, che in minima (ma proprio minima) parte aveva a che vedere
con quel sogno di vivere accanto per tutta la vita con la persona amata.
Fu così che capii che danaro e amore non potevano andare d'accordo. E
non mi stupì più di tanto il fatto che la gran parte delle coppie si
separassero (mi sarei stupito del contrario !). Ovviamente non mi sposai mai e dubito mi accadrà.