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giovedì 21 febbraio 2019

Sarà Bernie Sanders a porre un freno all'imperialismo USA ? Articolo di Luca Bagatin tratto da "Alganews"

Già sul finire del XIX secolo e nei primi anni del XX, fu lo scrittore Mark Twain a denunciare il carattere imperialista del suo Paese, ovvero gli Stati Uniti d'America. E sin dai tempi della guerra di invasione delle Filippine. Ciò porterà il noto umorista ad aderire alla Lega Antimperialista e a scrivere numerosi articoli irriverenti contro l'imperialismo a Stelle e Strisce, denunciandone il neocolonialismo del biennio 1898-1899 a Cuba, Guam, Portorico, nelle Hawaii, nelle Samoa, oltre che nelle già citate Filippine.
Da allora in poi note saranno le invasioni e i tentativi di destabilizzazione di Paesi sovrani operati dalla sedicente "più grande democrazia del mondo". E ciò sia da parte di Presidenti "democratici" che da parte di Presidenti "repubblicani".
Laddove a dominare è la logica del danaro, ove l'unica libertà veramente concessa è quella di "fare soldi" e di "consumare", laddove a dominare sono le lobby e le corporation a dispetto della volontà dei cittadini sempre più anestetizzati da un sistema mediatico a senso unico e dal sistema della pubblicità commerciale, oltre che da un sistema scolastico sempre più al ribasso, è assai difficile parlare di democrazia.
E' più facile imporre la propria volontà e il proprio sistema ad altri Paesi. In fondo i Nativi americani sterminati sono un po' la tristissima e macabra metafora di questo triste modello di inciviltà.
E così c'è stata le guerra in Vietnam, la dittatura di Pinochet in Cile (una volta defenestrato Allende), l'imposizione di dittature militari in Uruguay, in Argentina (una volta defenestrato Perón), l'invasione di Grenada, i numerosi tentativi di destabilizzazione della Cuba socialista e il conseguente embargo, le destabilizzazioni nei Paesi africani a guida socialista, la guerra in Jugoslavia, quella in Iraq, l'invasione della Libia, la guerra in Siria e, oggi, il tentativo di sostenere l'ennesimo colpo di Stato nel Venezuela socialista.
L'elenco è peraltro ancor più lungo e, guarda un po', riguarda sempre il tentativo USA di destabilizzazione di Paesi laico socialisti, spesso fomentando i fondamentalismi, le divisioni etniche, religiose, culturali, così faticosamente tenute a bada dal socialismo che, in nome della laicità dello Stato e dell'eguaglianza fra gli esseri umani, è riuscito a garantire quel minimo di benessere e di giustizia sociale che il sistema liberal capitalista ha spesso negato, ampliando le diseguaglianze fra i ricchi e i poveri, imponendo l'apartheid (anche non dichiarandolo esplicitamente), distruggendo il sistema dell'istruzione scolastica e imponendo modelli televisivi e mediatici che, nei fatti, hanno spento ogni senso critico ed ogni discussione pacata, fondata sul ragionamento e sul dibattito che prescinda da ogni interesse egoistico, materiale e monetario.
Ecco che il problema non è necessariamente Trump, che è solo l'ennesima conseguenza di un sistema non democratico, non pluralista, non multipolare.
I Bush, i Clinton e gli Obama non si sono certo comportati in maniera differente da Trump in politica estera e nell'ambito dell'imposizione dei loro modelli economico-militari. E prima di loro i Roosevelt, i Truman, i Kennedy, i Nixon, i Carter, i Reagan e via discorrendo.
Solo due candidati direi che hanno saputo puntare il dito contro questo tipo di sistema. Uno fu candidato indipendente dei "repubblicani" e l'altro fu candidato indipendente dei "democratici".
Il primo è il libertario Ron Paul, il quale ha più volte denunciato al Congresso la politica estera espansionistica degli USA, in spregio alla loro stessa Costituzione e citando il motto del Padre Costituente Thomas Jefferson: "Pace, commercio e amicizia con tutte le nazioni, nessun vincolo d’alleanze”. Ron Paul, purtroppo, è stato sconfitto ogniqualvolta ha presentato una sua candidatura alle primarie del Partito Repubblicano USA. Assai boicottato dal sistema mediatico, nonostante avesse ricevuto il plauso ed il sostegno del regista Oliver Stone.
Il secondo candidato a voler prospettare un orientamento diverso degli USA è Bernie Sanders, il quale addirittura osa definirsi "socialista" in un Paese che giudica tale termine quasi una bestemmia.
Che Bernie Sanders sia un autentico socialista nel senso originario del termine direi che questo è assai esagerato, ma, quantomeno, la sua visione è orientata al sociale e a una politica estera non imperialista, il che non sarebbe comunque poco.
Sanders, già candidato come indipendente del Partito Democratico USA alle scorse primarie - raccogliendo milioni di consensi - ci riprova ancora e annuncia dal suo Stato di riferimento, ovvero il Vermont, che intende ricandidarsi alle primarie in vista delle elezioni presidenziali del 2020, al fine di battere Trump.
Come Ron Paul, Sanders, non è più giovanissimo, ma, alla bellissima età di 77 anni dimostra di avere quel senso di umanità e di responsabilità che candidati più giovani hanno ampiamente dimostrato di non avere.
Sanders, fra le altre cose, propone un programma di assistenza sanitaria gratuita (e ciò, se fosse attuato, renderebbe finalmente gli USA un Paese civile), un sistema universitario pubblico gratuito (e non garantito solo ai super ricchi, come avviene oggi, ove peraltro il sistema scolastico pubblico negli USA è lasciato allo stato brado), e un salario minimo orario a 15 dollari (una proposta che sembra addirittura mutuata dal programma del Partito Comunista di Marco Rizzo, che lo propose alle ultime elezioni politiche italiane).
E' chiaro che, in un sistema politico-economico come quello statunitense, ove a prevalere sono le logiche delle corporation e delle lobby - come ampiamente dimostrato da studiosi del calibro di Noam Chomsky - sarà assai difficile far passere proposte e prospettive di tale portata.
Ad ogni modo Bernie Sanders, ad oggi, negli USA, sembra rappresentare l'unica speranza di civiltà e democrazia. Chissà se, effettivamente, sarà così.

Luca Bagatin

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