Già sul finire del XIX
secolo e nei primi anni del XX, fu lo scrittore Mark Twain a
denunciare il carattere imperialista del suo Paese, ovvero gli Stati
Uniti d'America. E sin dai tempi della guerra di invasione delle
Filippine. Ciò porterà il noto umorista ad aderire alla Lega
Antimperialista e a scrivere numerosi articoli irriverenti contro
l'imperialismo a Stelle e Strisce, denunciandone il neocolonialismo
del biennio 1898-1899 a Cuba, Guam, Portorico, nelle Hawaii, nelle
Samoa, oltre che nelle già citate Filippine.
Da allora in poi note
saranno le invasioni e i tentativi di destabilizzazione di Paesi
sovrani operati dalla sedicente "più grande democrazia del
mondo". E ciò sia da parte di Presidenti "democratici"
che da parte di Presidenti "repubblicani".
Laddove a dominare è la
logica del danaro, ove l'unica libertà veramente concessa è quella
di "fare soldi" e di "consumare", laddove a
dominare sono le lobby e le corporation a dispetto della volontà dei
cittadini sempre più anestetizzati da un sistema mediatico a senso
unico e dal sistema della pubblicità commerciale, oltre che da un
sistema scolastico sempre più al ribasso, è assai difficile parlare
di democrazia.
E' più facile imporre la
propria volontà e il proprio sistema ad altri Paesi. In fondo i
Nativi americani sterminati sono un po' la tristissima e macabra
metafora di questo triste modello di inciviltà.
E così c'è stata le
guerra in Vietnam, la dittatura di Pinochet in Cile (una volta
defenestrato Allende), l'imposizione di dittature militari in
Uruguay, in Argentina (una volta defenestrato Perón), l'invasione di
Grenada, i numerosi tentativi di destabilizzazione della Cuba
socialista e il conseguente embargo, le destabilizzazioni nei Paesi
africani a guida socialista, la guerra in Jugoslavia, quella in Iraq,
l'invasione della Libia, la guerra in Siria e, oggi, il tentativo di
sostenere l'ennesimo colpo di Stato nel Venezuela socialista.
L'elenco è peraltro
ancor più lungo e, guarda un po', riguarda sempre il tentativo USA
di destabilizzazione di Paesi laico socialisti, spesso fomentando i
fondamentalismi, le divisioni etniche, religiose, culturali, così
faticosamente tenute a bada dal socialismo che, in nome della laicità
dello Stato e dell'eguaglianza fra gli esseri umani, è riuscito a
garantire quel minimo di benessere e di giustizia sociale che il
sistema liberal capitalista ha spesso negato, ampliando le
diseguaglianze fra i ricchi e i poveri, imponendo l'apartheid (anche
non dichiarandolo esplicitamente), distruggendo il sistema
dell'istruzione scolastica e imponendo modelli televisivi e mediatici
che, nei fatti, hanno spento ogni senso critico ed ogni discussione
pacata, fondata sul ragionamento e sul dibattito che prescinda da
ogni interesse egoistico, materiale e monetario.
Ecco che il problema non
è necessariamente Trump, che è solo l'ennesima conseguenza di un
sistema non democratico, non pluralista, non multipolare.
I Bush, i Clinton e gli
Obama non si sono certo comportati in maniera differente da Trump in
politica estera e nell'ambito dell'imposizione dei loro modelli
economico-militari. E prima di loro i Roosevelt, i Truman, i Kennedy,
i Nixon, i Carter, i Reagan e via discorrendo.
Solo due candidati direi
che hanno saputo puntare il dito contro questo tipo di sistema. Uno
fu candidato indipendente dei "repubblicani" e l'altro fu
candidato indipendente dei "democratici".
Il primo è il libertario
Ron Paul, il quale ha più volte denunciato al Congresso la politica
estera espansionistica degli USA, in spregio alla loro stessa
Costituzione e citando il motto del Padre Costituente Thomas
Jefferson: "Pace, commercio e amicizia con tutte le nazioni,
nessun vincolo d’alleanze”. Ron Paul, purtroppo, è stato
sconfitto ogniqualvolta ha presentato una sua candidatura alle
primarie del Partito Repubblicano USA. Assai boicottato dal sistema
mediatico, nonostante avesse ricevuto il plauso ed il sostegno del
regista Oliver Stone.
Il secondo candidato a
voler prospettare un orientamento diverso degli USA è Bernie
Sanders, il quale addirittura osa definirsi "socialista" in
un Paese che giudica tale termine quasi una bestemmia.
Che Bernie Sanders sia un
autentico socialista nel senso originario del termine direi che
questo è assai esagerato, ma, quantomeno, la sua visione è
orientata al sociale e a una politica estera non imperialista, il che
non sarebbe comunque poco.
Sanders, già candidato
come indipendente del Partito Democratico USA alle scorse primarie -
raccogliendo milioni di consensi - ci riprova ancora e annuncia dal
suo Stato di riferimento, ovvero il Vermont, che intende ricandidarsi
alle primarie in vista delle elezioni presidenziali del 2020, al fine
di battere Trump.
Come Ron Paul, Sanders,
non è più giovanissimo, ma, alla bellissima età di 77 anni
dimostra di avere quel senso di umanità e di responsabilità che
candidati più giovani hanno ampiamente dimostrato di non avere.
Sanders, fra le altre
cose, propone un programma di assistenza sanitaria gratuita (e ciò,
se fosse attuato, renderebbe finalmente gli USA un Paese civile), un
sistema universitario pubblico gratuito (e non garantito solo ai
super ricchi, come avviene oggi, ove peraltro il sistema scolastico
pubblico negli USA è lasciato allo stato brado), e un salario minimo
orario a 15 dollari (una proposta che sembra addirittura mutuata dal
programma del Partito Comunista di Marco Rizzo, che lo propose alle
ultime elezioni politiche italiane).
E' chiaro che, in un
sistema politico-economico come quello statunitense, ove a prevalere
sono le logiche delle corporation e delle lobby - come ampiamente
dimostrato da studiosi del calibro di Noam Chomsky - sarà assai
difficile far passere proposte e prospettive di tale portata.
Ad ogni modo Bernie
Sanders, ad oggi, negli USA, sembra rappresentare l'unica speranza di
civiltà e democrazia. Chissà se, effettivamente, sarà così.
Luca Bagatin
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