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sabato 7 dicembre 2019

La "Critica del liberalismo" di Alain De Benoist. Articolo di Luca Bagatin

L'epoca moderna nella quale viviamo, caratterizzata dall'ideologia dominante liberale, ha ormai privatizzato ogni cosa: dai rapporti sociali a quelli politici. Ha anteposto il primato dell'economia ad ogni altro aspetto. Ogni rapporto fra le persone è divenuto un rapporto concorrenziale e interessato; ogni essere umano è considerato alla stregua di “capitale umano” o di “consumatore”; ogni atto del vivere è divenuto misurabile in termini quantitativi; l'avere è privilegiato rispetto all'essere; tutti sono ormai divenuti sostituibili e non più indispensabili, esattamente come le merci e i vari beni di consumo.
L'ideologia del desiderio e del “diritto individuale” prevale sull'etica del dovere, sul senso di comunità e sullo scambio, gratuito, fra gli esseri umani, in comunione con l'ambiente naturale e sociale nel quale costoro si trovano a vivere.
Questa la critica fondamentale posta dal filosofo francese Alain De Benoist nel suo ultimo saggio, edito da Arianna Editrice, “Critica del liberalismo – La società non è un mercato”.
La società, appunto, non dovrebbe essere un mercato, ma lo è diventata. Il regno del liberal capitalismo, denunciato da decenni da De Benoist, è divenuto il regime dello sfruttamento del lavoro, del precariato lavorativo, sentimentale, amicale; il regime del narcisismo e della solitudine di massa, del condizionamento pubblicitario e mediatico; il regime del reality show, dell'utilitarismo, del primato del giusto sul bene comune; il regime del politicamente corretto in nome dell'ideologia dei “diritti dell'uomo” che, nei fatti, lungi dall'emancipare l'essere umano, vorrebbero uniformarlo al pensiero unico liberale, mediatico ed economicista.
Pensiero unico che, di fatto, de-politicizza ogni problema, delegandolo, di fatto, a fantomatici “esperti”: siano essi economisti, grandi magnati della finanza e così via, ovvero ai signori dell'austerità e del capitalismo assoluto. Il trionfo del sogno reaganiano e thatcheriano, che ormai dagli Anni '90 ad oggi, unisce tanto la destra quanto la sinistra liberali e borghesi, legate fra loro dal dogma della “crescita illimitata” e dalla disgregazione dei valori sociali.
E' la logica del capitalismo e del mercato, che non si autoregola affatto, ma che genera bisogni indotti, ricerca di un piacere effimero e di una altrettanta effimera ricchezza materiale. Una logica che si pone a difesa della sedicente “democrazia rappresentativa” in luogo della democrazia autentica, partecipativa e diretta. Una “democrazia rappresentativa” che, non a caso, negli ultimi decenni – nel cosiddetto Occidente liberaldemocratico” - sta generando disaffezione nei confronti dei partiti di matrice liberale e facendo nascere nuove istanze politiche e sociali di matrice populista, regionalista, ecologista, identitaria e sovranista, quale risposta a quello che potrebbe essere definito un vero e proprio “totalitarismo liberale”.
L'ideologia liberale criticata da De Benoist, la cui nascita va ricercata nella borghese Rivoluzione Francese del 1789, la quale escluse del tutto il Quarto Stato (e differenza delle rivoluzioni proletarie e socialiste quali la Comune di Parigi del 1871 e la Rivoluzione bolscevica del 1917, di ispirazione mutualista, patriottica e federalista), è infatti il fondamento dell'individualismo, rispetto ad ogni forma di ricerca del bene comune e collettivo. Forma di ricerca del bene comune e collettivo che, invece, trae il suo fondamento nelle società arcaiche, lontane da ogni influenza moderna, incentrata sull'egoismo, sul progresso materiale e sull'accumulo delle risorse, ovvero su una falsa idea di emancipazione. Sostituendosi alla classe sfruttatrice aristocratica, la classe sfruttatrice liberal borghese non ha fatto altro – dunque - che ingannare il popolo, al fine di sottometterlo.
Il liberalismo, secondo De Benoist, è quindi “l'ideologia che mette la libertà al servizio del solo individuo” e, dunque, non è affatto l'ideologia della libertà, ma solo la libertà di possedere (ovvero di avere e non di essere). Individuo, che, dunque, agirà unicamente secondo il suo proprio tornaconto e il suo interesse individuale, oltre e persino contro ogni forma di interesse collettivo e di bene comune.
Nella società liberale, dunque, afferma De Benoist, “l'uomo non è emancipato, né reso autonomo (come invece tentarono di fare i primi socialisti, opponendosi alla schiavitù del lavoro dipendente), bensì trasformato in monade. E' atomizzato”.
Il liberale, in nome dunque della massimizzazione del profitto individuale, è favorevole alla libera circolazione di capitali, merci e di esseri umani, permettendo così di esercitare una pressione al ribasso sui salari degli autoctoni. Per questo il liberale è uno strenuo sostenitore sia dell'immigrazione (vera e propria deportazione di massa e fini economici) e della delocalizzazione delle imprese.
Nel saggio, De Benoist, fa notare come, da tempo, i partiti cosiddetti “di sinistra”, in Europa, ormai abbandonata ogni forma di socialismo autentico e originario, abbiano abbracciato l'ideologia “progressista” e “liberal”, al fine di aderire in toto alla società del mercato, favorendo così i desideri individuali dei singoli, ma contrastando ogni forma di emancipazione sociale e di rivendicazione sociale.
Si noti, non a caso, come tutte le leggi di precarizzazione del lavoro siano state sostenute sì dalla destra liberale, ma favorite dalla sinistra al governo: Jobs Act, Loi Travail, abolizione dell'Articolo 18, misure di austerità, di privatizzazione selvaggia (si vedano ad esempio quelle, in Italia, varate dai vari governi Prodi, D'Alema, Letta, Monti, Renzi e quelle in Francia con Hollande e oggi Macron).
Per decenni, fa notare De Benoist, il capitalismo liberale è stato largamente accettato dalla popolazione europea per tre ragioni principali: favoriva la crescita, innalzava il livello di vita medio e alimentava i consumi ben oltre le necessità primarie dei cittadini. Salvo rendersi conto, oggi, che questi tre aspetti non sono più garantiti, né potrebbero esserlo. Il potere d''acquisto diminuisce, la classe media si sta declassando, la precarietà lavorativa e sociale è sempre più diffusa e, parimenti, gli Stati, avendo da tempo ceduto la loro sovranità politica ed economica, non possono più far fronte alla crisi dei mercati finanziari, ormai senza controllo. L'economia, peraltro, è ormai da tempo del tutto slegata dai beni e servizi effettivamente prodotti, ma è legata sempre più alle speculazioni borsistiche e finanziarie ed agli indebitamenti degli Stati e dei privati, favoriti proprio dal sistema dominante.
Il liberal capitalismo – fondato sull'ideologia individualista, del danaro e del valore materiale - ha dunque completamente fallito, oltre a non essere affatto riformabile e, pertanto, andrebbe, secondo De Benoist, del tutto superato e abbattuto.
Occorre, dunque, secondo il filosofo francese, riappropriarsi dei legami sociali, del senso di comunità, di appartenenza e di bene comune; del senso di reciprocità, di mutuo aiuto e di dono reciproco, libero da ogni interesse e da ogni forma di prostituzione, perché è questo, di fatto, ogni tipo di rapporto commerciale e di lavoro salariato, tanto decantato dalla società liberale, mercantile , ovvero capitalista. Prospettive che, peraltro, hanno fatto proprie da sempre anche diversi intellettuali conservatori “di sinistra”, fra i quali - ricorda De Benoist - George Orwell, Christopher Lasch, Jean-Claude Michéa, Ivan Illich, Gunther Anders e Pier Paolo Pasolini.

Luca Bagatin

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