L'epoca moderna nella
quale viviamo, caratterizzata dall'ideologia dominante liberale, ha
ormai privatizzato ogni cosa: dai rapporti sociali a quelli politici.
Ha anteposto il primato dell'economia ad ogni altro aspetto. Ogni
rapporto fra le persone è divenuto un rapporto concorrenziale e
interessato; ogni essere umano è considerato alla stregua di
“capitale umano” o di “consumatore”; ogni atto del vivere è
divenuto misurabile in termini quantitativi; l'avere è privilegiato
rispetto all'essere; tutti sono ormai divenuti sostituibili e non più
indispensabili, esattamente come le merci e i vari beni di consumo.
L'ideologia del desiderio
e del “diritto individuale” prevale sull'etica del dovere, sul
senso di comunità e sullo scambio, gratuito, fra gli esseri umani,
in comunione con l'ambiente naturale e sociale nel quale costoro si
trovano a vivere.
Questa la critica
fondamentale posta dal filosofo francese Alain De Benoist nel suo
ultimo saggio, edito da Arianna Editrice, “Critica del liberalismo
– La società non è un mercato”.
La società, appunto, non
dovrebbe essere un mercato, ma lo è diventata. Il regno del liberal
capitalismo, denunciato da decenni da De Benoist, è divenuto il
regime dello sfruttamento del lavoro, del precariato lavorativo,
sentimentale, amicale; il regime del narcisismo e della solitudine di
massa, del condizionamento pubblicitario e mediatico; il regime del
reality show, dell'utilitarismo, del primato del giusto sul bene
comune; il regime del politicamente corretto in nome dell'ideologia
dei “diritti dell'uomo” che, nei fatti, lungi dall'emancipare
l'essere umano, vorrebbero uniformarlo al pensiero unico liberale,
mediatico ed economicista.
Pensiero unico che, di
fatto, de-politicizza ogni problema, delegandolo, di fatto, a
fantomatici “esperti”: siano essi economisti, grandi magnati
della finanza e così via, ovvero ai signori dell'austerità e del
capitalismo assoluto. Il trionfo del sogno reaganiano e thatcheriano,
che ormai dagli Anni '90 ad oggi, unisce tanto la destra quanto la
sinistra liberali e borghesi, legate fra loro dal dogma della
“crescita illimitata” e dalla disgregazione dei valori sociali.
E' la logica del
capitalismo e del mercato, che non si autoregola affatto, ma che
genera bisogni indotti, ricerca di un piacere effimero e di una
altrettanta effimera ricchezza materiale. Una logica che si pone a
difesa della sedicente “democrazia rappresentativa” in luogo
della democrazia autentica, partecipativa e diretta. Una “democrazia
rappresentativa” che, non a caso, negli ultimi decenni – nel
cosiddetto Occidente liberaldemocratico” - sta generando
disaffezione nei confronti dei partiti di matrice liberale e facendo
nascere nuove istanze politiche e sociali di matrice populista,
regionalista, ecologista, identitaria e sovranista, quale risposta a
quello che potrebbe essere definito un vero e proprio “totalitarismo
liberale”.
L'ideologia liberale
criticata da De Benoist, la cui nascita va ricercata nella borghese
Rivoluzione Francese del 1789, la quale escluse del tutto il Quarto
Stato (e differenza delle rivoluzioni proletarie e socialiste quali
la Comune di Parigi del 1871 e la Rivoluzione bolscevica del 1917, di
ispirazione mutualista, patriottica e federalista), è infatti il
fondamento dell'individualismo, rispetto ad ogni forma di ricerca del
bene comune e collettivo. Forma di ricerca del bene comune e
collettivo che, invece, trae il suo fondamento nelle società
arcaiche, lontane da ogni influenza moderna, incentrata sull'egoismo,
sul progresso materiale e sull'accumulo delle risorse, ovvero su una
falsa idea di emancipazione. Sostituendosi alla classe sfruttatrice
aristocratica, la classe sfruttatrice liberal borghese non ha fatto
altro – dunque - che ingannare il popolo, al fine di sottometterlo.
Il liberalismo, secondo
De Benoist, è quindi “l'ideologia che mette la libertà al
servizio del solo individuo” e, dunque, non è affatto
l'ideologia della libertà, ma solo la libertà di possedere (ovvero
di avere e non di essere). Individuo, che, dunque, agirà unicamente
secondo il suo proprio tornaconto e il suo interesse individuale,
oltre e persino contro ogni forma di interesse collettivo e di bene
comune.
Nella società liberale,
dunque, afferma De Benoist, “l'uomo non è emancipato, né reso
autonomo (come invece tentarono di fare i primi socialisti,
opponendosi alla schiavitù del lavoro dipendente), bensì
trasformato in monade. E' atomizzato”.
Il liberale, in nome
dunque della massimizzazione del profitto individuale, è favorevole
alla libera circolazione di capitali, merci e di esseri umani,
permettendo così di esercitare una pressione al ribasso sui salari
degli autoctoni. Per questo il liberale è uno strenuo sostenitore
sia dell'immigrazione (vera e propria deportazione di massa e fini
economici) e della delocalizzazione delle imprese.
Nel saggio, De Benoist,
fa notare come, da tempo, i partiti cosiddetti “di sinistra”, in
Europa, ormai abbandonata ogni forma di socialismo autentico e
originario, abbiano abbracciato l'ideologia “progressista” e
“liberal”, al fine di aderire in toto alla società del mercato,
favorendo così i desideri individuali dei singoli, ma contrastando
ogni forma di emancipazione sociale e di rivendicazione sociale.
Si noti, non a caso, come
tutte le leggi di precarizzazione del lavoro siano state sostenute sì
dalla destra liberale, ma favorite dalla sinistra al governo: Jobs
Act, Loi Travail, abolizione dell'Articolo 18, misure di austerità,
di privatizzazione selvaggia (si vedano ad esempio quelle, in Italia,
varate dai vari governi Prodi, D'Alema, Letta, Monti, Renzi e quelle
in Francia con Hollande e oggi Macron).
Per decenni, fa notare De
Benoist, il capitalismo liberale è stato largamente accettato dalla
popolazione europea per tre ragioni principali: favoriva la crescita,
innalzava il livello di vita medio e alimentava i consumi ben oltre
le necessità primarie dei cittadini. Salvo rendersi conto, oggi, che
questi tre aspetti non sono più garantiti, né potrebbero esserlo.
Il potere d''acquisto diminuisce, la classe media si sta declassando,
la precarietà lavorativa e sociale è sempre più diffusa e,
parimenti, gli Stati, avendo da tempo ceduto la loro sovranità
politica ed economica, non possono più far fronte alla crisi dei
mercati finanziari, ormai senza controllo. L'economia, peraltro, è
ormai da tempo del tutto slegata dai beni e servizi effettivamente
prodotti, ma è legata sempre più alle speculazioni borsistiche e
finanziarie ed agli indebitamenti degli Stati e dei privati, favoriti
proprio dal sistema dominante.
Il liberal capitalismo –
fondato sull'ideologia individualista, del danaro e del valore
materiale - ha dunque completamente fallito, oltre a non essere
affatto riformabile e, pertanto, andrebbe, secondo De Benoist, del
tutto superato e abbattuto.
Occorre, dunque, secondo
il filosofo francese, riappropriarsi dei legami sociali, del senso di
comunità, di appartenenza e di bene comune; del senso di
reciprocità, di mutuo aiuto e di dono reciproco, libero da ogni
interesse e da ogni forma di prostituzione, perché è questo, di
fatto, ogni tipo di rapporto commerciale e di lavoro salariato, tanto
decantato dalla società liberale, mercantile , ovvero capitalista.
Prospettive che, peraltro, hanno fatto proprie da sempre anche
diversi intellettuali conservatori “di sinistra”, fra i quali -
ricorda De Benoist - George Orwell, Christopher Lasch, Jean-Claude
Michéa, Ivan Illich, Gunther Anders e Pier Paolo Pasolini.
Luca Bagatin
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