Il cosiddetto
"influencer" sembra essere quella non-figura professionale
del nostro tempo che racchiude in sè tutta la precarietà del
capitalismo assoluto spinta alle sue massime conseguenze.
L'influencer, figlio del
capitalismo assoluto odierno, del marketing e della società dei
consumi per eccellenza, appare come lo sradicato (da ogni tempo,
cultura, ideale, sentimento) che "influenza", con la sua
presunta "autorevolezza" - spesso dettata dalle mode
imposte dagli operatori del capitalismo stesso, ovvero del marketing
- il comportamento delle persone che lo "seguono", magari
sul web, ormai diventato la prosecuzione del mezzo televisivo di
massa. Nuovo simulacro di plebi adoranti alla ricerca di un effimero
apparire estetico, di una effimera ricerca di ricchezza, di una
effimera ricerca di potere. Potere ormai sempre più divenuto "potere
d'acquisto", "potere di possedere" (oggetti, persone,
menti...) in un caravanserraglio che immagini edonistiche sugli
ortaggi o i balletti nei supermercati (ove lavorano persone, spesso
anche ventiquattro ore al giorno - festivi compresi - perché così
"chiede" il mercato...sic !) non sono altro che una
rappresentazione scenica, scenografica, tristemente grottesca della
realtà odierna. Una realtà che potrebbe essere definita di
"totalitarismo liberale", ove l'ideologia propagandata e
dominante è appunto la "libertà" (presunta) di consumare,
di arricchirsi (a spese del più debole o a prezzo di lavoro
continuo, senza sosta o peggio ancora di continui indebitamenti, sia
privati che pubblici, volendo ampliare l'orizzonte della
riflessione), di apparire (eternamente giovani, fighi, ricchi,
bellissimi, glamour, "social") anziché di essere. Essere
persone reali, con una vita reale, un lavoro reale, anche difficile,
umile o nel quale si guadagna poco, ma per la quale vita ed il quale
lavoro si può comunque andare fieri. Essere persone che tornano a
parlarsi per davvero, di persona, senza mediazioni o cosiddetti
"social" che, nei fatti, al netto dell'edonismo
consumistico e profondamente asociale che veicolano, non hanno nulla
di sociale. Essere persone che tornano ad amarsi e non più a
"masturbarsi" - in senso metaforico e mentale - davanti al
web o alla televisione volendo far immaginare al prossimo di avere
una vita "figa", glamour, seducente a tutti i costi. Oppure
creandosi una vita effimera, pretendendo di essere eternamente
giovani ricorrendo a grottesche quanto orrende e innaturali chirurgie
estetiche tali da apparire delle persone di plastica in un mondo a
sua volta già plastificato e "brandizzato".
Ed ecco che il prodotto
agricolo, anzichè essere edonisticamente esibito, potrebbe invece
prestarsi ad una riflessione in questo senso. Il prodotto agricolo
che proviene, appunto, dal mondo agricolo. Da quella "coltura"
che è origine stessa del termine e del concetto di "cultura".
Quanta convivialità,
quanto amore, quanta vita vera e reale vi era nella cosiddetta
civiltà contadina di un tempo, tanto amata dal nostro Giuseppe
Garibaldi - che mai si vergognò di essere sempre stato un contadino
- tanto decantata da Pasolini e dal bellissimo film del 1978 di
Ermanno Olmi "L'albero degli zoccoli", film nel quale gli
attori erano tutti contadini veri !
Ricordo di aver letto di
recente un articolo nel quale viene intervistata una dei
co-protagonisti del film - Maria Teresa Brescianini, oggi ottantenne
- la quale interpretava la vedova Runc. Nell'intervista parla di
questo, ovvero della semplicità della campagna dei suoi ricordi
d'infanzia. Di come si ritrovavano tutti nel cortile, come
un oratorio ove condividere la vita di tutti i giorni: giochi,
sorrisi, pianti... A differenza di oggi, ove gli anziani vengono
lasciati soli, disprezzati (in alcune strutture lager persono
maltrattati !), i giovani non socializzano e qualcuno si permette
persino di insultare i disabili, non facendo magari nemmeno caso
all'enormità e gravità delle parole che proferisce (sic !).
E' questa la modernità.
E' questo il cosiddetto "progresso", vero regresso umano e
spirituale. Vera involuzione di una specie che ricerca il piacere
effimero, anzichè anelare ad una autentica civiltà. Quella che
personalmente mi piace definire Civiltà dell'Amore.
Una civiltà che
comprende - a differenza della società moderna attuale - che la
libertà, senza amore, può diventare una delle peggiori forme di
schiavitù. Che la libertà dei capitalisti non è vera libertà, ma
la sua negazione, in quanto priva di una base sentimentale, ovvero
spirituale.
L'intellettuale Carlo
Terracciano scriveva, in tal senso: "Il capitalista è un
malato psichico, un monomaniaco i cui incubi, materializzandosi negli
ultimi due secoli, hanno generato la mostruosità del mondo moderno,
divorando, con il pianeta, i corpi e soprattutto le anime di uomini e
popoli".
Pier Paolo Pasolini, che
sulla denuncia del consumismo e del capitalismo è stato maestro,
scriveva fra le altre cose, frasi emblematiche: "I nuovi valori
consumistici prevedono infatti il laicismo, la tolleranza e
l’edonismo più scatenato, tale da ridicolizzare risparmio,
previdenza, rispettabilità, pudore, ritegno e insomma tutti i vecchi
"buoni sentimenti"". Ed ancora: "Il potere ha
avuto bisogno di un tipo diverso di suddito, che fosse prima di tutto
un consumatore".
Gennady Zjuganov -
attuale Segretario del Partito Comunista della Federazione Russa
(KPFR), maggior partito istituzionale presente nella Duma, ovvero nel
parlamento russo ad opporsi a Putin ed al suo partito liberal
capitalista - si è più volte espresso contro quello che egli
definisce il "fascismo liberale", affermando fra le altre
cose: "Un altro elemento proprio del fascismo "liberale"
è il mondialismo, ossia la volontà ostinata di distruggere la
sovranità e l'indipendenza degli stati nazionali, che ha come
obiettivo finale la costruzione di un'unica struttura politica
globale sovranazionale con alla testa un supergoverno mondiale. I
miti del fascismo "liberale", studiati in ogni suo aspetto
e inculcati abilmente nella coscienza di massa, sono lo strumento
ideologico principale utilizzato dalle forze occulte mondiali per il
lavaggio del cervello dei popoli. Cosa possiamo contrapporre al nuovo
fascismo, ai suoi pseudovalori, ai suoi miti ideologici ? La società
russa può e deve contrapporre al cosmopolitismo l'amore per la
patria, all'anonimato dell'"uomo globale" l'identità
nazionale russa, all'individualismo egoista il collettivismo e lo
spirito comunitario, alla russofobia l'amicizia tra i popoli,
all'anticomunismo un'effettiva giustizia sociale, al culto del
consumismo una elevata spiritualità. Tutti questi ideali sono
contenuti in una sintesi equilibrata nella concezione del socialismo
russo, che unisce i nostri millenari valori nazionali alle più
elevate conquiste dell'era sovietica".
Anche l'ex Presidente
dell'Uruguay, il socialista José "Pepe" Mujica, ha
denunciato più volte il sistema del danaro e del consumo, suggerendo
una via d'uscita nella rinuncia all'accumulo, nella ricerca di una
vita più sana, lenta, ove lavorare il giusto, ove tutti abbiano di
che vivere, senza arricchirsi ma senza essere poveri.
Così l'ex Presidente
uruguayano - che è sempre vissuto povero, anche durante il suo
mandato governativo, decidendo di percepire uno stipendio equvalente
a circa i nostri 800 euro mensili - si è più volte espresso: “Se
non posso cambiare il mondo posso cambiare la mia condotta personale
e la posso cambiare adoperandomi nella ricerca della felicità. È
fondamentale difendersi dagli attacchi del mercato. E per far ciò
serve la sobrietà
nel vivere, che consiste nel trovare il tempo
di vivere. Questo è l’unico reale esercizio della nostra libertà.
Ci inventiamo una montagna di consumi superflui. Stiamo sprecando le
nostre vite, perché quando
io compro qualcosa non lo compro con il denaro ma con il tempo che ho
speso per guadagnare quel denaro.
L’unica cosa che non si può comprare è la vita. La vita si
consuma. Ed è da miserabili consumare la vita per perdere la
libertà”.
Sobrietà, decrescita,
ritorno alla natura e alle origini del nostro vivere conviviale.
Anticapitalismo non necessariamente ideologico, ma quale via di
ritorno al Sacro. Parole d'ordine antiche, se vogliamo, e sicuramente
alternative a quelle di oggi.
Parole per un ritorno
alla democrazia, all'autogoverno, a una civiltà ove le persone
tornino a ragionare, parlarsi, confrontarsi, amarsi, scambiarsi beni
e servizi non per il proprio tornaconto personale, non per il proprio
arricchimento o per lucro, bensì per la crescita e l'evoluzione
(interiore) della comunità intera. Per una possibile Civiltà
dell'Amore.
Luca Bagatin