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lunedì 29 luglio 2024

In Venezuela vince, ancora una volta, il socialismo. Articolo di Luca Bagatin


Con un'affluenza del 59%, il Presidente socialista del Venezuela, Nicolas Maduro – alla guida della coalizione Gran Polo Patriottico, comprendente socialisti, socialisti democratici, socialisti libertari, nazionalisti di sinistra, populisti di sinistra e marxisti-leninisti - è stato rieletto con il 51,2% dei consensi (5.150.092 voti).

Battendo il candidato liberal capitalista Edmundo Gonzalez Urrutia, fermo al 44,2% (4.445.978 voti).

Gli altri candidati, dal socialdemocratico Luis Eduardo Martínez, passando per José Brito (candidato della lista di centrosinistra Primero Venezuela); Antonio Ecarri Angola (Alleanza della Matita); Enrique Márquez (Centrados); Benjamín Rausseo (Confederzione Nazionale Democratica); Javier Bertucci (Speranza per il Cambiamento); Claudio Fermín (Soluzioni per il Venezuela); Daniel Ceballos (Arepa Digital), hanno raccolto, complessivamente, il 4,6% dei consensi espressi (462.704 voti).

Nicolas Maduro rimarrà, dunque, in carica dal 2025 al 2031.

Classe 1962, ex autista della metropolitana di Caracas dal 1991 al 1998, sindacalista, in prima fila per i diritti dei lavoratori, Maduro iniziò la sua militanza politica nella Lega Socialista, negli Anni '80.

Conobbe il Comandante ed ex Presidente socialista Hugo Chavez nel 1993 e, da allora, si unì al suo Movimento Rivoluzionario Bolivariano (MBR 200) e, successivamente, al Movimento Quinta Repubblica.

Movimenti di ispirazione bolivariana e socialista del XXI Secolo, volti a combattere la corruzione interna e la depredazione delle risorse nazionali da parte delle multinazionali straniere.

Nel 1999 fu eletto, per la prima volta, deputato all'Assemblea Nazionale Costituente e partecipò alla redazione della nuova Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela.

Dal 2000 al 2006, Maduro, fu Presidente dell'Assemblea Nazionale e, nel 2006, l'allora Presidente Chavez lo nominò Ministro degli Esteri, ove lavorò alla costruzione di un mondo multipolare e all'integrazione dell'America Latina.

Ricoprì, nel 2012, il ruolo di Vicepresidente.

Dopo la morte del Presidente Hugo Chavez, nel 2013, Maduro fu candidato del Partito Socialista Unito del Venezuela e vinse, per la prima volta, le elezioni Presidenziali, con il 50,62%, battendo, anche allora, il candidato liberal capitalista, così come fece anche nel 2018 – candidato del Gran Polo Patriottico - ottenendo il 67,85%, contro il candidato dell'alleanza di centrosinistra e centrodestra AP-COPEI.

Il programma con il quale Maduro e la sua coalizione socialista e di sinistra si è, ancora una volta, presentato punta – fra le altre cose - al “consolidamento della natura pubblica e dei diritti sociali ed al miglioramento della gestione governativa al fine di aiutare i venezuelani nelle loro esigenze”, oltre che al finanziamento di “progetti sociali che contribuiscano alla qualità della vita delle persone”.

Altri punti toccati dal programma socialista sono la “lotta al cambiamento climatico” fondato su “cura della natura, sulla promozione di fonti energetiche alternative e sull’istituzione di un piano di creazione di cibo”. Oltre che la modernizzazione dell'economia, la sicurezza, la pace, la piena indipendenza e integrità territoriale.

Il governo socialista presieduto da Nicolas Maduro, inoltre, punta da tempo a far entrare il Venezuela nell'alleanza dei BRICS, a consolidare la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC) ed espandere l'Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America-Trattato del Commercio del Popolo (ALBA-TCP).

Luca Bagatin

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sabato 27 luglio 2024

Solidarietà ai socialisti democratici Pietro Longo e Robinio Costi. Articolo di Luca Bagatin


I politici italiani, dal 1994 ad oggi – in particolare quelli degli ultimi anni – dovrebbero rendere omaggio all'ex Ministro Pietro Longo e all'ex deputato alla Camera Robinio Costi, anziché togliere loro il vitalizio, come è stato fatto dal 2015 e come è stato recentemente confermato.

Pietro Longo e Robinio Costi. Socialisti democratici seri. Figli del miglior antifascismo di Giacomo Matteotti e Giuseppe Saragat.

Non ladri o delinquenti, come si vorrebbe farli passare, dal 1993 ad oggi.

Ho apprezzato molto l'articolo del 25 luglio scorso di Piero Sansonetti, su “l'Unità”, nel quale ha ricordato Pietro Longo.

Figlio della partigiana Rosa Fazio Longo, collaboratrice del leader socialista Pietro Nenni (e lo stesso Longo diverrà Segretario particolare di Nenni), erede del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e di come egli, nel 1971, abbia promosso per primo un disegno di legge che avrebbe istituito il salario minimo (antica battaglia socialista, peraltro!).

Certo, Sansonetti ricorda di come Longo finì in tribunale e fu condannato a due anni e qualche mese per via di una tangente con la quale finanziò, non sé sesso, ma il suo partito! Un partito che, dal 1947 al 1993 aveva difeso la democrazia in questo Paese. Difeso la democrazia. Ovvero non l'aveva né affossata, né vilipesa, come fecero o tentarono di fare ben altri.

Sansonetti, peraltro, nell'articolo fa presente come Longo, oggi 89enne, non possa più da tempo lavorare e non abbia reddito. E di come sia stata pessima la scelta del giornale “Il Fatto Quotidiano” di esultare alla decisione della Camera di non dare la pensione a Longo e al suo collega di partito, Robinio Costi.

Recentemente – oltre alla storia del PSDI - avevo ricostruito, in un lungo articolo, pubblicato da diverse testate, la storia politica di Pietro Longo, attraverso i suoi discorsi parlamentari e i suoi scritti, raccolti nel bellissimo quanto dimenticato volume “Il socialismo della coerenza”, pubblicato negli Anni '80 da SugarCo (https://amoreeliberta.blogspot.com/2024/03/il-socialismo-della-coerenza-di-pietro.html).

Pietro Longo parlava, non solo di salario minimo, ma anche di autogestione delle imprese e di democrazia diretta. Altro che Cinque Stelle! Altro che pseudo sinistra europea e italiana di oggi!

E l'ha fatto da Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica, da Segretario del Partito Socialista Democratico Italiano e poi anche da componente della direzione nazionale del Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi.

Quando il socialismo, in Italia e in Europa, esisteva ancora. Ovvero non si era annacquato in un indistinto liberal-capitalismo para progressista, utile a quei Poteri forti economico-finanziari che hanno distrutto la democrazia in Italia e in Europa, ovvero hanno annientato l'unico vero Centro-Sinistra (DC – PSI – PSDI – PRI) che aveva governato, con vicende alterne, ma stabilmente e democraticamente, dal 1948 al 1993 (talvolta anche con l'appoggio del PLI).

Come ebbe a denunciare Bettino Craxi in Parlamento, il finanziamento illegale ai partiti riguardava tutti i partiti. Ma andava distinto il finanziamento al partito e il finanziamento al singolo deputato, per arricchimento personale.

Così come andava tenuto conto della situazione del nostro Paese, ovvero degli equilibri nazionali e internazionali, che la falsa rivoluzione definita “Tangentopoli” hanno finito per distruggere. Sdoganando le estreme destre, le estreme sinistre (ormai svuotate da ogni forma di ideale), i Poteri forti nazionali e internazionali e aprendo le porte a una UE autoreferenziale e autocratica, totalmente al servizio dei Presidenti USA di turno e totalmente irresponsabile sotto il profilo geopolitico.

Qualche giorno fa, grazie all'amico Marco Gianfranceschi, Presidente della Fondazione Giuseppe Saragat, ho avuto modo di vedere un video del 2018, con protagonista Pietro Longo, che da molti anni non appariva in pubblico, alla commemorazione delle targa di Palazzo Barberini, a Roma.

Nel video, che ho postato anche sul mio blog, Longo parla della necessità di un socialismo che guardi ai problemi attuali, ripercorrendo le antiche lezioni dei Maestri, ovvero quelle di Filippo Turati, Anna Kuliscioff e Giuseppe Saragat. E fa presente come, oggi, le campagne elettorali siano condotte da “chi le spara più grosse”. Nel video, Longo, si rivolge anche ai giovani, invitandoli a studiare la Storia e a guardare ai problemi attuali, riprendendo in mano quelle progettualità che hanno caratterizzato i grandi leader del passato e a non cadere nelle fake news diffuse sul web.

Pietro Longo e i deputati e senatori del PSDI e del PSI, dovrebbero essere ricordati anche e soprattutto come rappresentanti di quella sinistra democratica e libertaria che non esiste più, né nel nostro Paese, né nel resto d'Europa, salvo rarissime eccezioni.

Una sinistra che di Marx rigettava gli aspetti materialistici e dogmatici, ma ne esaltava gli aspetti umanitari e libertari e che si bettè, sempre, contro ogni totalitarismo ed ogni deriva violenta.

Lunga vita al Compagno Pietro Longo e tutti i socialisti democratici del passato e senza tessera, che sempre si batteranno contro ogni sopruso e contro una politica – quella attuale - sempre più decadente, sempre meno lungimirante e sempre meno rispettosa della Storia.

Luca Bagatin

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venerdì 26 luglio 2024

La Repubblica Popolare Cinese per la pace in Medio Oriente e Ucraina. Articolo di Luca Bagatin


Mentre il Parlamento europeo rielegge l'irresponsabile e bellicista Ursula Von Der Leyen alla Presidenza della Commissione europea; mentre alle Presidenziali USA scende in campo l'altrettanto irresponsabile e bellicista Kamala Harris e mentre il nuovo governo pseudo “laburista” britannico di Starmer vuole aumentare le spese militari, la Repubblica Popolare Cinese si impegna, nuovamente, tanto quanto la diplomazia Vaticana e il governo socialista brasiliano di Lula, per la pace, sia in Medio Oriente che in Ucraina.

La Cina ha affermato di riconoscere come unico rappresentante del popolo palestinese l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (cosa che fece già – negli Anni '80 - il Presidente del Consiglio socialista Bettino Craxi), composto da 14 fazioni palestinesi riunitesi recentemente a Pechino, e di continuare a promuovere il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.

Il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha, inoltre, ribadito che i palestinesi devono poter governare la Palestina e lavorare per “promuovere la governance postbellica”, oltre alla necessità di sostenere l'entrata della Palestina nelle Nazioni Unite e la soluzione a due Stati (Palestina e Israele), quale unica via d'uscita ad una crisi che si trascina da più di sette decenni.

La comunità internazionale dovrebbe sostenere le parti interessate nell’attuazione dell’approccio in tre fasi (il cessate il fuoco completo nella Striscia di Gaza; governo della Palestina da parte dei palestinesi; entrata della Palestina nelle Nazioni Unite e soluzione a due Stati) con un atteggiamento serio”, ha affermato il Ministro Wang, sostenendo la promozione di una conferenza di pace internazionale.

Dello stesso tenore anche sulla questione ucraina ove, secondo il Ministro Wang Yi: “La Cina ritiene che la risoluzione di tutti i conflitti debba passare dal tavolo dei negoziati e che le controversie si debbano risolvere attraverso mezzi politici (…). E anche se i tempi non sono maturi, noi sosteniamo tutti gli sforzi che contribuiscano alla pace”.

La Cina, in tal senso, continua a mantenere rapporti di amicizia sia con l'Ucraina che con la Russia, promuovendo, dunque, un atteggiamento costruttivo, responsabile e non bellicista, a differenza di USA e UE.

Il Ministro Wang aveva peraltro ribadito i punti cardine della politica estera cinese anche nell'ambito delle recenti celebrazioni del 70esimo anniversario dei Cinque Principi di Coesistenza Pacifica, affermando, fra le altre cose che occorre: Sostenere l'equità e la giustizia per contribuire alla proposta cinese di una migliore governance globale. È importante sostenere il vero multilateralismo, difendere l’autorità e il ruolo delle Nazioni Unite, seguire la visione di una governance globale caratterizzata da ampie consultazioni e contributi congiunti per benefici condivisi, continuare ad aumentare la rappresentanza e la voce dei Paesi in via di sviluppo e rendere la governance globale più equilibrata ed efficace”.

Luca Bagatin

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Fascino trascendentale. Poesia di Luca Bagatin

FASCINO TRASCENDENTALE

Poesia di Luca Bagatin

Musa nella foto: Holy Mane Magdala
 

In te

Un fascino aristocratico

E popolare

Allo stesso tempo. 

In te l'essenza del Sacro

E del profano.

Un erotismo

Capace di convertire

Il Santo più pio

Rendendolo così

Ancora più Santo.

L'arte in te

Il mistero

Un'antica essenza

Dal profumo

D'incenso

E di passione.

 Luca Bagatin

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ÉROS SACRÉ  

Poésie de Luca Bagatin  

Muse sur la photo : Holy Mane Magdala

En toi
 
Un charme aristocratique
 
Et populaire
 
En même temps.
 
En toi l'essence du Sacré
 
Et du profane.
 
Un érotisme
 
Capable de convertir
 
Le Saint le plus pieux
 
Faire en sorte qu'il en soit ainsi
 
Encore plus saint.
 
L'art en toi
 
Le mystère
 
Une essence ancienne
 
Du parfum
 
De l'encens
 
Et de passion

sabato 20 luglio 2024

Il Venezuela socialista nel solco dell'emancipazione del Sud del mondo, secondo lo studioso Carlos Martinez. Articolo di Luca Bagatin


Il 18 luglio scorso, presso la storica Casa Miranda, a Londra, è stato organizzata - dall'Ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela - una conferenza – dal titolo “The Emancipatory Struggle for Independence in Latin America” - che ha visto protagonista lo studioso britannico Carlos Martinez, autore del saggio “The East is Still Red – Chinese Socialism in the 21st Century” (Praxis Press).

La scelta del luogo, la Casa Miranda, non è stato casuale, in quanto in essa visse il celebre rivoluzionario e Libero Muratore venezuelano Francisco de Miranda (1750 - 1816), il quale vi soggiornò dal 1802 al 1810.

Carlos Martinez, nell'ambito della conferenza, ha descritto il protagonismo del Venezuela nell'ambito dell'internazionalismo rivoluzionario e come il Paese sia anche stato beneficiario di tale internazionalismo.

Tutto ciò sin dal 1998, ovvero dall'elezione del socialista Hugo Chavez alla Presidenza della Repubblica, il quale ha ripreso gli ideali rivoluzionari e di emancipazione sociale portati avanti da Simon Bolivar e dal già citato Francisco de Miranda.

Ideali fondati sulla sovranità nazionale, l'indipendenza, l'internazionalismo e i rapporti pacifici con gli altri Paesi, in alternativa a ogni forma di imperialismo, in particolare quello Nordamericano.

Aspetti che hanno accomunato il Venezuela di Chavez alla ricerca di indipendenza e sovranità, portate avanti da tutti i Paesi del Sud del mondo, a guida socialista: in Africa, Asia e Medio Oriente.

Martinez, ritiene, in particolare, che tali lotte di emancipazione, in America Latina, pur con qualche battuta d'arresto, siano state possibili grazie ai governi socialisti di Cuba, Nicaragua, Bolivia, il Brasile nel quale è tornato al governo il socialista Lula, la Colombia e il Messico, che da diversi anni è guidato da socialisti autentici.

Tutti Paesi che, in questi anni, si sono schierati dalla parte dei Paesi e dei popoli oppressi, attirandosi spesso le critiche e le sanzioni dei governi USA (Cuba e Venezuela in primis).

Carlos Martinez si è soffermato in particolare sul rapporto fra il Venezuela socialista e la Repubblica Popolare Cinese, ricordando come Hugo Chavez affermasse: “La Cina è grande, ma non è un impero. La Cina non calpesta nessuno, non ha invaso nessuno, non va in giro a sganciare bombe su nessuno” e come l'alleanza fra Venezuela e Cina fosse una “Grande Muraglia contro l’egemonia americana”.

L'anti-imperialismo del Venezuela e della Cina socialiste, si colloca – secondo Martinez – nel solco dei difensori della pace, degli amici del Sud del mondo e dei sostenitori della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, promosso anche dai Cinque Principi di Coesistenza Pacifica, enunciati in Cina dal Premier Zohu Enlai nel 1954 – presenti nella Costituzione cinese dal 1982 - e portati avanti ancora oggi, ovvero: rispetto reciproco della sovranità e integrità territoriale; non aggressione; non ingerenza reciproca negli affari interni degli Stati; reciproco vantaggio e coesistenza pacifica.

E, inevitabilmente, tale anti-imperialismo, trae linfa dalla Storia del Venezuela e dell'America Latina intera, oltre che della Cina, fatta di secoli di oppressione fondata su: colonialismo, imperialismo e razzismo proveniente da Europa e Nordamerica.

Martinez ha spiegato, inoltre, come anche il sostegno di Cuba al Venezuela sia stato inestimabile, in particolare per porre fine all'analfabetismo nel Paese, oltre all'intervento dei medici cubani nelle comunità venezuelane più povere, che non avevano la possibilità di ricorrere ad una sanità prima unicamente appannaggio dei bianchi e dei ricchi.

Ed ha ricordato come i governi brasiliani di Lula e Dilma Roussef abbiano difeso il Venezuela dai tentativi di destabilizzazione operati dagli USA.

Carlos Martinez ha concluso il suo intervento citando un auspicio del Presidente cinese Xi Jinping, ovvero la necessità di costruire “un mondo aperto, inclusivo, pulito e bello che goda di pace duratura, sicurezza universale e prosperità comune” e sottolineando come occorra sempre unire le forze “verso una comunità globale di futuro condiviso per l'umanità”.

In questi tempi oscuri è quanto di più auspicabile possibile.

Luca Bagatin

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martedì 16 luglio 2024

"L'irregolare" Gianni De Michelis nella biografia di Paolo Franchi. Articolo di Luca Bagatin

 

E' la prima biografia ufficiale dedicata a Gianni De Michelis, quella pubblicata recentemente da Marsilio, scritta da Paolo Franchi e intitolata “L'irregolare”.

Una biografia nota a molti di noi, che hanno seguito e conosciuto Gianni in vita e/o hanno militato nel suo glorioso Partito Socialista Italiano, che, dal 1993 ad oggi, non esiste più, salvo la breve parentesi del Partito Socialista (avente per simbolo sette garofani rossi, un libro aperto e un sole nascente) e poi del Nuovo PSI, rifondati proprio da De Michelis alla fine degli Anni '90.

Una biografia certamente utile ai più giovani, in particolare in quanto ricorda la lungimiranza in ambito geopolitico di Gianni De Michelis, che prefigurò un mondo multipolare e la necessità di integrare la Russia al sistema europeo e un dialogo costante e strategico con la Repubblica Popolare Cinese.

Come ricorda Franchi, De Michelis, cresciuto in una famiglia protestante metodista veneziana, giovanissimo – a 11 anni - si proclamò monarchico, ma molto presto scelse la via socialista, aderendo, nel 1960, a vent'anni, al PSI e all'UGI, il movimento universitario della sinistra laica, di cui diverrà Presidente nel 1962.

Si schiererà immediatamente con la sinistra socialista, quella facente capo a Riccardo Lombardi, che lascerà molti anni dopo, quando sosterrà la candidatura di Bettino Craxi alla segreteria del partito e si proclamerà sempre laico o laicista, ovvero antifascista, anticomunista e anticlericale, come molti socialisti, repubblicani, radicali e socialdemocratici della sua epoca e generazione e come molti di noi, cresciuti nel loro esempio.

Lombardiano, dunque riformista rivoluzionario, De Michelis ritiene che il capitalismo sia una macchina a cui va cambiato il motore.

Come Lombardi, ritiene che vada creata una “società senza classi” e la parola d'ordine della sinistra di matrice socialista e socialdemocratica dell'epoca è: “Case, scuole, ospedali” e, infatti, opera principale di partiti quali il PSI, il PSDI e il PRI al governo saranno: nazionalizzazione dell'energia elettrica, riforma della scuola e dell'università, riforma urbanistica e abolizione della mezzadria.

Tutte cose considerate dalla destra, sia democristiana che missina, “l'anticamera del bolscevismo” e criticate anche dai comunisti, in quanto costoro ritengono che finiscano per “integrare la classe operaia nel sistema capitalista”.

Laureato in chimica industriale nel 1963, presso l'Università degli Studi di Padova, De Michelis iniziò la carriera accademica e, nel 1964 fu eletto consigliere comunale di Venezia e Assessore all'Urbanistica.

In quegli anni, assieme al fratello Cesare, assume il controllo della casa editrice Marsilio, che si trasforma in SpA.

Dal 1969 gli viene affidata l'organizzazione del partito e, nel 1976, riesce a farsi eleggere per la prima volta Deputato al Parlamento.

Da sempre in dialogo diretto con gli operai, come ricorda Franchi, cerca di far loro accettare anche le scelte più impopolari, convinto, anche da Ministro delle Partecipazioni Statali (dal 1980 al 1983), che occorra modernizzare il Paese e renderlo più efficiente.

Sosterrà, dunque, in questo senso, il nuovo corso socialista portato avanti da Bettino Craxi, che sarà eletto alla Segreteria del PSI nel 1976, anche grazie ai voti dei lombardiani.

Da Ministro delle Partecipazioni Statali, De Michelis, scontrandosi spesso con i democristiani, ritiene che occorra porre un argine all'assistenzialismo e al salvataggio di imprese pubbliche inefficienti, ritenendo che sia necessario introdurre “principi di economicità” nella gestione pubblica, anche a costo di perdere consenso elettorale.

Con questo spirito sosterrà la scelta di Craxi di tagliare alcuni punti della scala mobile, per frenare l'inflazione. Scelta peraltro sostenuta anche della maggioranza degli italiani che, al referendum abrogativo del 1985, sostenuto dal PCI, dal MSI, da Democrazia Proletaria e dalla CGIL, voteranno contro.

De Michelis e i socialisti in generale, peraltro, spingeranno per la riforma delle pensioni, ma saranno bloccati dalla convergenza conservatrice di comunisti, democristiani, CGIL e MSI, che continueranno a garantire i privilegi pensionistici di pochi, a scapito dei molti.

In quegli anni, peraltro, si fa crescere i capelli ed è noto il suo amore per il ballo in discoteca, di cui scrive anche una guida, con prefazione di Gerry Scotti.

Dal 1989 al 1992 ricoprirà la carica di Ministro degli Esteri e, anche in questo ambito, sarà attivissimo e sarà fra i primi a sostenere il ruolo centrale del Mediterraneo, dei Balcani, oltre che il ruolo modernizzatore, a livello internazionale, della Cina, accolto con tutti gli onori dall'allora Presidente cinese Jiang Zemin.

Nell'ambito della crisi jugoslava, peraltro, sarà in prima linea per evitare ogni conflitto, ma, purtroppo, le vicende relative alla falsa rivoluzione di Tangentopoli gli impediranno di proseguire nel suo ruolo, così come di promuovere ulteriori relazioni con la Repubblica Popolare Cinese.

Dopo la caduta, come ricorda Paolo Franchi, a seguito della vicenda denominata Tangentopoli, che abbatterà il sistema democratico dei partiti storici, De Michelis tenterà di ricomporre la diaspora socialista, ma riuscendovi solo in parte ed essendo eletto europarlamentare nel 2004, grazie al 2% ottenuto dalla lista “Socialisti Uniti per l'Europa”.

In quegli anni, come molti ex elettori del PSI, De Michelis si schiererà con Berlusconi, perché non avrebbe certo potuto schierarsi con i carnefici del socialismo italiano, ovvero con quel finto “centrosinistra” post-comunista (oggi PD e i suoi alleati) che aveva fatto di tutto per abbattere il PSI e l'unico autentico Centro-Sinistra (DC, PSI, PSDI, PRI, PLI) che l'Italia abbia mai conosciuto.

La Repubblica Popolare Cinese avrebbe voluto offrirgli un lavoro di supporto alle imprese italiane che cercavano di collocarsi nel suo mercato, ma rifiutò.

Nel 2009 accettò, invece, di fare da consulente per la Riforma della pubblica amministrazione, con uno stipendio annuo di 40.000 euro lordi e divenne anche Presidente dell'Istituto per le relazioni tra l'Italia e i Paesi dell'Africa, dell'America Latina e del Medio Oriente.

Gianni De Michelis ci lascierà l'11 luglio 2019 e, come riportato nella biografia scritta da Paolo Franchi, riportando una frase tratta da un'intervista di Stefano Lorenzetto, ci ha lasciato anche un monito su un nuovo ordine mondiale multipolare, tutto da costruire: “Dalla fine del precedente ordine mondiale sono passati invano vent'anni. O l'ordine nuovo lo costruiamo adesso, trovando i compromessi necessari per quella che io chiamo la governance multilaterale del mondo multipolare, oppure scoppierà un altro conflitto planetario. E' inevitabile (…). Un mondo così è troppo pesante anche per le spalle degli Stati Uniti, non può essere governato da un Paese solo, da un sistema unipolare”.

Luca Bagatin

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domenica 14 luglio 2024

Il limite della Rivoluzione Francese fu di essere borghese e non proletaria. Articolo di Luca Bagatin del 14 luglio 2023

Il 14 luglio si ricorda, in particolare in Francia, la presa della Bastiglia, ovvero l'avvio di quello che passerà alla Storia come l'inizio della Rivoluzione Francese (1789).

Lungi dall'essere una rivoluzione proletaria e di popolo, atta a portare avanti le istanze del Quarto Stato, la Rivoluzione Francese fu borghese e bottegaia e sostituì, semplicemente, una classe – quella aristocratica – con un'altra – quella borghese, appunto – alla guida dello Stato.

Molti ritennero, a torto, che quella francese fosse una “rivoluzione massonica”, solamente in quanto fu usato – nella “Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino” del 1789 - il motto coniato dal conte di origine portoghese Alessandro Cagliostro, ovvero “Libertà, Uguaglianza, Fratellanza” (successivamente utilizzato – ancor oggi - dalle logge massoniche in tutto il mondo).

Cagliostro fu personalità vicina al popolo di Francia e di tutta Europa – inviso alle élite – e tentò persino di portare un rinnovamento spirituale profondo nella Massoneria dell'epoca, auspicandone una riunificazione (e aprendo le logge alle donne).

Purtuttavia il messaggio di Cagliostro fu unicamente spirituale e nulla aveva a che fare con la politica e, in particolare, egli non avrebbe mai approvato il bagno di sangue che portò con sé la Rivoluzione, che per Cagliostro doveva essere unicamente interiore e spirituale.

Da dire, peraltro, che furono molti di più i massoni finiti sulla ghigliottina, rispetto ai massoni rivoluzionari.

Portatrice di un rinnovamento che giovò molto poco al proletariato francese dell'epoca – che rimase sottomesso - la Rivoluzione Francese trovò una sua dimensione più conciliante qualche decennio dopo, con l'avvento di Napoleone il Grande, il quale riconciliò le classi popolari con quelle aristocratiche.

Fu infatti con Napoleone che furono avviate riforme sociali importanti e fu ripristinato un ordine perduto con il Terrore, imposto dai giacobini. E fu con Luigi Napoleone Bonaparte, ovvero con Napoleone III, dichiaratamente socialista sansimoniano (e già aderente alla Carboneria italiana), che furono introdotte una serie di riforme che giovarono al proletariato quali: abolizione del lavoro la domenica e i giorni festivi; creazione di crediti per gli agricoltori; creazione di società di mutuo soccorso; introduzione di ispettori del lavoro; creazione del pensionamento per i dipendenti pubblici; concessione di onoreficenze a operai e donne; istituzione di ospedali e asili per disabili; autorizzazione dei sindacati sindacati e introduzione di una legge sulle società cooperative; introduzione delle scuole primarie gratuite anche per le ragazze.

Queste solo alcune importanti riforme, che pur non bastarono al proletariato francese, il quale – cogliendo l'occasione della sconfitta della Francia contro la Prussia di Bismarck - si sollevò, nel 1871, nella prima rivoluzione proletaria e socialista della Storia, che istituì la famosa Comune di Parigi. Primo governo social-comunista al mondo.

La Comune durò poco, ma ispirò altre rivoluzioni proletarie vittoriose, come quella russa del 1905 e del 1917, che edificò il primo Stato socialista, peraltro plurinazionale, conciliando dunque popoli differenti, uniti nel socialismo e nell'emancipazione delle classi proletarie.

Da non dimenticare, ad ogni modo, altre importanti rivoluzioni che – a differenza della borghese Rivoluzione Francese – furono improntate a un carattere essenzialmente proletario e in favore di operai e contadini. Pensiamo ai moti mazziniani e garibaldini risorgimentali che, oltre all'Unità d'Italia miravano a radicali riforme sociali (non dimentichiamo infatti e peraltro che Mazzini e Garibaldi parteciparono, assieme a Marx, Engels, Bakunin e Proudhon, alla costruzione della Prima Internazionale dei Lavoratori, nel 1864, prima associazione socialista della Storia).

E pensiamo anche al movimento anarco-comunista ucraino di Nestor Makno, che promosse forme di autogestione socialista nel periodo della rivoluzione russa, purtroppo scontrandosi con Lenin e finendo per rimanerne sconfitto.

Non tutte queste rivoluzioni ebbero successo, oppure finirono non sempre in modo glorioso. Ma partirono da grandi ideali di emancipazione, che coinvolsero quel Quarto Stato che la tanto osannata Rivoluzione Francese ignorò del tutto. E questo non va dimenticato.

Ideali di emancipazione ormai sopiti, forse proprio da quei regimi liberal-liberisti descritti dallo scrittore russo Eduard Limonov nei primi Anni '90 nel suo “Le grand ospice occidental”, pubblicato in Francia da Les Belles Lettres nel 1993, ripubblicato – sempre in Francia – da Bartillat e ripubblicato di recente anche da da Bietti, con il titolo “Grande ospizio occidentale”.

Regimi che usano una forma di oppressione soft, come la pubblicità commerciale e un benessere materiale effimero. Che trattano i propri sudditi come pazienti bisognosi di cure, educazione e rieducazione (secondo i diktat del mercato e del consumo). E che, così facendo, reprimono ogni dissenso in modo molto più semplice (ed efficace) rispetto al passato.

Probabilmente aveva ragione il buon conte Alessandro Cagliostro. Occorre una rivoluzione interiore e spirituale, che apra gli occhi, ma soprattutto le menti e i cuori del nuovo Quarto Stato. Che non è affatto scomparso.

Luca Bagatin

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"Se soltanto il popolo si rendesse conto di quanto (Maria Antonietta) è diventata grande nella disgrazia, dovrebbe riverirla e amarla invece di credere a tutte le cattiverie e le menzogne che sono state messe in giro dai suoi nemici"
(Luigi XVI di Francia)

"Signori, sono innocente di tutto ciò di cui vengo incolpato. Auguro che il mio sangue possa consolidare la felicità dei francesi"
(Luigi XVI di Francia)

venerdì 12 luglio 2024

Un ricordo di Giacomo Brodolini, il Ministro socialista dalla parte dei diritti dei lavoratori. Articolo di Luca Bagatin

 

Oggi sembra tutto scontato, ma, evidentemente, in presenza di nuove forme di caporalato e sfruttamento del lavoro e dei lavoratori, oltre che in presenza di chi, dal centrodestra al finto centrosinistra, ha provveduto allo smantellamento dei diritti dei lavoratori, in tutti questi anni, evidentemente non lo è.

Non è scontato, infatti, lo Statuto dei Lavoratori, così come non lo sono le lotte dei socialisti per ottenerlo.

In prima linea l'allora Ministro del Lavoro Giacomo Brodolini, nato il 19 luglio 1920 e morto l'11 luglio 1969.

Brodolini si ispirò sempre all'appello del leader socialista Pietro Nenni: “Da una parte sola. Dalla parte dei lavoratori”.

Di Recanati, come Giacomo Leopardi, militante – nel 1946 - del più nobile fra i partiti politici storici italiani, ovvero del Partito d'Azione, aderirà al Partito Socialista Italiano nel 1948.

Ricoprirà la carica di Vicesegretario nazionale della CGIL fino al 1960 (condannando, nel 1956, l'invasione sovietica in Ungheria) e quella di Vicesegretario del PSI dal 1963 al 1966 e del PSI-PSDI Unificati fino al 1968.

Sarà eletto Deputato, la prima volta, nel 1953 e ricoprirà la carica di Senatore dal 1968 fino alla morte.

Sempre vicino – anche fisicamente - agli operai e ai braccianti, nel 1969 sarà nominato Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale del primo governo Rumor (sostenuto da PSI-PSDI Unificati, DC e PRI) e sosterrà quello Statuto dei Lavoratori che getterà la basi per garantire i diritti dei lavoratori, la loro dignità e la libertà sindacale e che diventerà legge nel 1970.

Il Presidente della Repubblica, Saragat, gli conferirà la Medaglia d'Oro al Valor Civile.

A mantenerne viva la memoria, la Fondazione intitolata a suo nome, le cui attività si possono trovare a questo link: https://www.fondazionebrodolini.it

Luca Bagatin

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Miei vecchi ricordi socialisti-garibaldini

Un mio articolo su Giuseppe Garibaldi di quasi vent'anni fa (2007), quando in edicola usciva ancora il nostro "Avanti!"


Mentre Biden e Stoltenberg, fra una gaffe e l'altra, mostrano i muscoli, la Cina promuove pace, sviluppo e dialogo. Articolo di Luca Bagatin

 

Mentre il cosiddetto Occidente continua ad operare nell'irresponsabilità, evidente anche da chi attualmente lo guida, ovvero da un Biden che confonde Zelensky con Putin e la sua vice con Trump e da un Segretario Generale uscente della NATO, Stoltenberg, che punta assurdamente il dito contro la Cina, quest'ultima, da tempo, sta attuando una politica seria, pragmatica e ragionevole.

Socialista riformista, per la precisione.

In campo economico, sociale e geopolitico. Mantenendo buoni rapporti economici con tutti e gettando acqua sul fuoco dei conflitti globali, rifiutando la mentalità da Guerra Fredda.

Aspetto che peraltro guida la Repubblica Popolare Cinese sin dagli Anni '50/'60, attraverso i Cinque Principi della Coesistenza Pacifica di cui è ricorso, recentemente, il 70esimo anniversario.

A Stoltenberg ha risposto il portavoce del Ministero degli Esteri Cinese Lin Jian, con dichiarazioni pubblicate dal tabloid cinese “Global Times”: “La maggior parte dei Paesi non ha partecipato alle sanzioni contro la Russia o non ha tagliato il commercio con essa, quindi gli Stati Uniti non possono incolpare la Cina per le proprie azioni. Gli Stati Uniti hanno approvato leggi di aiuto su larga scala per l’Ucraina, accusando senza fondamento la Cina e la Russia di normali scambi economici e commerciali. Questa è palese ipocrisia e due pesi e due misure”.

Nelle scorse settimane il Presidente cinese Xi Jinping aveva incontrato il Presidente ungherese Viktor Orban, sottolineando, peraltro, la necessità del cessate il fuoco tempestivo per quanto riguarda il conflitto russo-ucraino e la ricerca immediata di una soluzione politica, osservando tre principi: “non espansione del campo di battaglia; non inasprimento dei combattimenti e non fomentare alcunché”.

Invitando, dunque, tutta la comunità internazionale a “creare le condizioni e a fornire sostegno per la ripresa del dialogo diretto e dei negoziati tra le due parti”. Infondendo “energia positiva anziché negativa”.

In tale occasione, il Presidente Xi, ha riaffermato il mantenimento delle relazioni Cina-UE, fondate sullo “sviluppo costante e solido”, invitando le due parti a “rispondere congiuntamente alle sfide globali”.

Luca Bagatin

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martedì 9 luglio 2024

Alla ricerca di un nuovo ordine mondiale. Articolo del prof. Giancarlo Elia Valori

Il mondo si sta rapidamente sviluppando verso il multipolarismo, ma i Paesi egemonici esistenti non sono disposti a rinunciare ai propri interessi acquisiti. Alcuni altri Paesi nutrono dubbi sull’ignoto mondo multipolare e non hanno consenso sui valori fondamentali dell’ordine globale.

I Paesi di buona volontà sono sempre stati impegnati a creare un sistema multipolare equo con le Nazioni Unite al centro e un mondo di globalizzazione economica universalmente inclusivo, e non per pochi escludendo i molti nei quali vi sono i Paesi più poveri e in via di sviluppo.

La stantia letteratura conflittuale occidentale a senso unico di «democrazia contro autocrazia» non può risolvere le attuali sfide che il mondo sta affrontando. Lo studioso Zhao Hai – direttore del Dipartimento di ricerca politica internazionale, think tank nazionale sulla strategia globale presso l’Accademia cinese delle scienze sociali – sostiene che la comunità internazionale deve partecipare congiuntamente alla costruzione di un nuovo sistema di vero multilateralismo, e che anche la maggior parte degli studiosi di affari internazionali stanno ragionando in tale direzione.

Dopo la fine della guerra fredda, il mondo è entrato in un “momento unipolare”. Alcuni Paesi occidentali credevano che tutto questo preannunciasse la «fine della storia», ossia un’«èra pacifica sotto il dominio statunitense» che potesse garantire pace e prosperità nel mondo con denaro e potere senza precedenti: una specie di Paradiso in terra per i soliti privilegiati occidentali.

Sì, l’unipolarizzazione ha portato il mondo in un periodo di “iperglobalizzazione”, ha promosso la crescita economica globale generale e l’ascesa del Sud del mondo. Ma il problema è che i Paesi egemonici sono arroganti e hanno perso l’autocontrollo. Credono che la loro strada sia l’unica percorribile, il che è un punto comune tra i Paesi egemonici. Di conseguenza, le loro delusioni hanno portato a guerre continue e spericolate e a divisioni interne, minando in ultima analisi l’ordine internazionale basato su regole costituite dopo la II Guerra Mondiale dall’Organizzazione della Nazioni Unite e dagli Accordi di Helsinki del 1975.

La logica dietro a tutto ciò è semplice: se le regole del gioco non si applicano ai giocatori principali, chi altro vorrà partecipare?

Il politologo norvegese Glenn Diesen ha sottolineato nel suo libro di quest’anno The Ukraine War & the Eurasian World Order che il mondo oggi probabilmente sta attraversando un «periodo di vuoto». Nel libro è affermato che mezzo millennio di egemonia occidentale è finito, e la maggior parte delle persone in tutto il mondo sono sempre più ansiose di costruire un ordine mondiale basato sulla multipolarità e sull’uguaglianza della sovranità. Aggiungiamo che tuttavia, nonostante i difetti fatali dell’egemonia liberal-capitalista, un nuovo sistema-Westfalia multipolare non è stato ancora istituito. Però è rimasta l’egemonia del dollaro statunitense che, come tutti sappiamo, serve gli interessi degli Washington ed è uno strumento della Casa Bianca per sfruttare e imporre sanzioni arbitrarie ad altri Paesi. Però non sembra esserci alcuna alternativa praticabile al dollaro che possa meglio svolgere il suo ruolo di valuta standard o intermedia o di riserva.

Il problema in realtà ha tre aspetti: in primo luogo, i Paesi egemonici rifiutano di rinunciare ai propri interessi acquisiti; in secondo luogo, le parti interessate hanno paura del caos e della fattibilità di nuovi sistemi “non dimostrati”; in terzo luogo, nel processo di ristrutturazione dell’ordine internazionale manca il consenso sul principio di equa condivisione. In breve, il mondo è bloccato in una situazione imbarazzante.

Anche se è inevitabile procedere verso il multipolarismo, nessuno è sicuro di come si svilupperà il futuro perché le loro visioni e i loro interessi sono diversi e addirittura opposti tra loro, per cui fomiti di guerra e conflitti ad alta e bassa intensità.

Proprio come la globalizzazione squilibrata ha creato “vincitori” e “perdenti” nello sviluppo economico e ha fatto precipitare molti Paesi nella polarizzazione politica, la tendenza al multipolarismo ha anche aumentato significativamente l’ansia di alcuni.

Con l’arma della finanza e del commercio e il confine tra spazio fisico e cyberspazio, molti studiosi hanno iniziato a credere che il futuro mondo multipolare diventerà una pericolosa «zona di guerra» che è allo stesso tempo imprevedibile e volatile, e che la politica delle grandi potenze e le loro iconiche jungle laws tornerà alla ribalta. I Paesi hanno dovuto formare alleanze di sicurezza per la protezione, formare blocchi economici per il mantenimento della catena di approvvigionamento e si sono uniti a organizzazioni che la pensano allo stesso modo per la stabilità politica e istituzionale.

Il modello di governance globale – ossimoricamente ingovernabile anno dopo anno – e stabilito nel corso dei decenni precedenti sta andando in pezzi man mano che il sistema internazionale si frammenta, e distrugge la capacità della società umana di rispondere alle sfide comuni e collettive.

Aspetto ancora più importante è che se il mondo multipolare scivolasse in una “feroce competizione” fuori controllo, allora il contributo di un’intelligenza artificiale controllata da pochi è in grado di causare un’apocalisse nucleare che una volta sfuggita da mani umane, può portare a quei collassi totali. Questi spesso li gustiamo nelle proiezioni distopiche di fantascienza o fantastoria nelle nostre comode poltrone di casa o in un multisala, pensando «è solo un film».

Ogni giorno i titoli dei giornali sono pieni di notizie negative, ma la realtà non è del tutto pessimistica e senza speranza. Dal momento che l’ordine esistente non è in grado di far fronte alle sfide attuali, che tipo di nuovo ordine dovrebbe costruire il mondo?

L’unica posizione di principio è un mondo multipolare equo e ordinato ed una diffusa universalmente globalizzazione economica benefica e inclusiva. Equa multipolarità significa incarnare uguali diritti, pari opportunità e pari regole tra tutti i Paesi. Una multipolarità ordinata significa rispettare congiuntamente gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite e aderire tutti alle norme fondamentali riconosciute della politica internazionale.

Oggi i BRICS e molti altri Paesi del Sud del mondo sperano di migliorare il sistema internazionale con le Nazioni Unite al centro e si oppongono risolutamente a qualsiasi tentativo di indebolire o aggirare questo sistema.

La base di una proposta razionale è che le Nazioni Unite rappresentino il vero multilateralismo, collegando strettamente più Paesi e rispettando regole riconosciute. Il sistema di governance multilaterale, con al centro le Nazioni Unite, è stato costruito sulla vittoria conquistata a fatica nella guerra antinazista e sulla dolorosa esperienza del precedente conflitto mondiale, definito da Papa Benedetto XV, l’inutile strage, il 1° agosto 1917: « «Con la pace – disse – niente è perduto, con la guerra tutto può esserlo».

Tuttavia, queste intenzioni sono state a lungo calpestate e distrutte dalle lotte di potere bipolari e unipolari, col sostegno delle forze monopolistiche e liberal-capitalistiche. Per cui la necessità di un vero multilateralismo non è mai stata così urgente, né le sue prospettive più promettenti.

Ciò di cui il mondo ha bisogno oggi non è la narrazione binaria e conflittuale occidentale della predetta e ipocrita «democrazia contro autocrazia», ma un multilateralismo efficace per gestire e risolvere attriti e problemi multipolari attuali e potenziali.

Da questa prospettiva, la comunità internazionale ha bisogno che i Paesi che nutrono tali speranze e propositi si uniscano e migliorino congiuntamente i sistemi e le istituzioni multilaterali nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite. Molti Paesi sono in prima linea nel nuovo percorso multipolare mondiale, e stanno proponendo iniziative di sicurezza e sviluppo globale nonché prese di posizione di civiltà e svolgono il ruolo di mediatori nelle controversie internazionali.

Solo quando più Paesi parteciperanno alla costruzione di un nuovo sistema di multilateralismo il mondo potrà uscire più rapidamente dall’attuale dilemma del «periodo di vuoto» di cui ha parlato il summenzionato studioso norvegese.

Giancarlo Elia Valori

lunedì 8 luglio 2024

In Francia e Gran Bretegna sconfitte le destre guerrafondaie. Vincono davvero le sinistre? Articolo di Luca Bagatin

 

I risultati definitivi delle elezioni francesi fanno il paio con quelli delle recenti elezioni britanniche.

Vengono sconfitte le forze ed i candidati che più hanno spinto sull'acceleratore della guerra; quelle che si sono lasciate incantare dalla pessima e irresponsabile amministrazione statunitense di Biden; quelle che, in questi anni, hanno attuato politiche di macelleria sociale.

In Gran Bretagna perdono i Conservatori e in Francia perde la destra liberal capitalista di Macron.

Non si può dire, in realtà, che vinca propriamente la sinistra.

O, meglio, in Gran Bretagna i “laburisti” annacquati di Stamer prendono sicuramente molti più voti rispetto ai Conservatori, ma perdono voti rispetto ai risultati ottenuti dal Labour ai tempi dell'autentico socialista Jeremy Corbyn (33,8% ottenuto dal Labour di Stamer, 40% dal Labour guidato da Corbyn).

Quel Jeremy Corbyn che – forte del suo programma fondato su “uguaglianza, giustizia e pace”, per un “mondo più gentile e giusto possibile” - nel suo storico collegio londinese di Islington North, da Indipendente, ha battuto il candidato “laburista”.

In Francia vince certamente e direi in modo prevedibile, l'ampia coalizione di sinistra riunita nel Nuovo Fronte Popolare.

Una coalizione, purtuttavia, assai composita e frutto di numerosi compromessi, fra un'area sedicente "socialista" – in realtà liberal capitalista almeno fin dai tempi di Hollande – qualche comunista più o meno moderato e un'area socialista autentica guidata da Jean-Luc Mélenchon.

Fa peraltro assai sorridere che, quest'ultimo, venga definito – dalla pessima stampa nostrana – di “sinistra radicale”, quando in realtà una delle critiche che spesso gli muovono molti francesi è proprio quella di essere anche sin troppo moderato.

Assai discutibili anche le assurde accuse di “antisemitismo” mosse da taluni a Mélenchon, solamente perché ritiene necessario il riconoscimento dello Stato della Palestina e critica un governo, quello di Netanyahu, non amato nemmeno da molti israeliani.

Che poi sono le stesse assurde critiche che taluni – specie nel suo partito di allora – mossero a Corbyn.

Di questo passo anche Bettino Craxi e Giulio Andreotti – che andrebbero ricordati invece per l'ottima e stabile politica estera italiana - sarebbero stati accusati di “antisemitismo”! Semplicemente ridicolo e vergognoso!

Purtroppo ogni accusa è buona, da parte di molti liberal capitalisti fondamentalisti, per infangare i socialisti e i sostenitori del buonsenso. E' sempre stato così, in particolare dal 1993 a questa parte, nel cosiddetto mondo Occidentale.

Il partito di Mélenchon, La France Insoumise, socialista democratico e populista di sinistra, ha ottenuto, nella coalizione vincente, il maggior numero di seggi (74 eletti). Ed è più che giusto che governi. E personalmente mi auguro che sia proprio Mélenchon a presiedere tale governo.

Certamente dovrà scendere a compromessi con i sedicenti “socialisti”, con i comunisti e con i cosiddetti ecologisti, ma sicuramente potrà rimettere ordine al caos operato dalla macelleria sociale di Macron, che ha fatto scatenare la rabbia dei francesi per troppo tempo, al punto che molti di loro si organizzarono nel movimenti civico e democratico dei Gilet Gialli.

Sempre che i sedicenti “socialisti” – guidati da Olivier Faure e Raphael Glucksmann - non vogliano ricercare il compromesso con la pessima destra liberal capitalista di Macon, che è la vera sconfitta delle elezioni e che ha causato danni seri alla Francia.

C'è quindi di che rallegrarsi?

Il popolo dovrebbe essere sovrano, ma alla fine a decidere sono spesso i politici. Quelli di oggi, in Europa, sono per la maggior parte poco colti e ancor meno responsabili.

Staremo a vedere.

Luca Bagatin

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venerdì 5 luglio 2024

I Cinque Principi di Coesistenza Pacifica, fondamento della politica estera cinese. Articolo di Luca Bagatin

 

Il 28 giugno scorso, a Pechino, si è tenuta la conferenza che ha ricordato il 70esimo anniversario dei Cinque Principi di Coesistenza Pacifica, che sono le fondamenta sulle quali si basa la politica estera cinese.

I Cinque Principi furono enunciati da uno dei più importanti, lungimiranti e riformisti leader cinesi, ovvero il Primo Ministro Zhou Enlai, nel dicembre 1953, in occasione del ricevimento di una delegazione del governo indiano.

Essi si fondano su: rispetto reciproco della sovranità e integrità territoriale; non aggressione; non ingerenza reciproca negli affari interni degli Stati; reciproco vantaggio e coesistenza pacifica.

Tali principi furono inseriti nella Costituzione cinese nel 1982 e sono la base delle pacifiche relazioni cinesi con tutti gli altri Paesi del mondo.

Alla conferenza del 28 giugno hanno partecipato ex leader politici di circa venti Paesi e, molto atteso, è stato il discorso del Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping, il quale ha sottolineato, in particolare, come i Cinque Principi, abbiano “segnato un risultato rivoluzionario ed epocale nella Storia delle relazioni internazionali”, in particolare in un'epoca in cui “il mondo era oscurato dalle nubi oscure della Guerra Fredda”.

L'azione della Cina socialista, negli Anni '50 e '60, non solo fu molto importante per portare avanti la decolonizzazione di molti Paesi asiatici e africani, ma promosse proprio quei principi di indipendenza e coesistenza pacifica - oltre i due blocchi contrapposti USA-URSS - che gettarono le basi per il suo successo, sia economico che nelle relazioni internazionali.

Come ha sottolineato il Presidente Xi nel suo discorso, peraltro, il Movimento dei Non Allineati, sorto negli Anni '60, adottò come principio guida proprio i Cinque Principi di Coesistenza Pacifica.

In particolare il Presidente Xi ha sottolineato come i Cinque Principi siano: “conformi agli scopi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite” (…); “Seguendo i Cinque Principi, anche i Paesi che differiscono tra loro per sistema sociale, ideologia, storia, cultura, fede, stadio di sviluppo e dimensioni possono costruire un rapporto di fiducia reciproca, amicizia e cooperazione” (…); “Sempre più Paesi in Asia, Africa e America Latina si sono espressi e si sono sostenuti a vicenda, si sono opposti alle interferenze straniere e hanno intrapreso un percorso di sviluppo indipendente; “I Cinque Principi sono stati istituiti con lo scopo di proteggere gli interessi e gli interessi dei Paesi piccoli e deboli dalle politiche di potenza. Si oppongono categoricamente all’imperialismo, al colonialismo e all’egemonismo e rifiutano le pratiche belligeranti e prepotenti della legge della giungla”.

Il Presidente Xi ha affermato, altresì, che “C’è un solo Pianeta Terra nell’universo e tutta l’umanità ha un’unica casa comune” e, dunque, occorre “sostenere il principio di uguaglianza sovrana”; “consolidare le basi del rispetto reciproco”; “trasformare la visione di pace e sicurezza in realtà”; “unire tutte le forze per raggiungere la prosperità”; “impegnarci per l'equità e la giustizia”; “abbracciare una mentalità aperta e inclusiva”.

Futuro condiviso, mondo più aperto e inclusivo, nuovo ruolo storico del Sud del mondo, non più subalterno a un Nord opulento e spesso belligerante.

Queste le parole d'ordine della nuova Cina di Xi Jinping, che traggono linfa da quel passato socialista riformista, costruito da Zhou Enlai e che proseguì con Deng Xiaoping e i suoi successori.

Peraltro tutti della stessa generazione e dello stesso piglio politico dei nostri leader socialisti democratici Giuseppe Saragat e Pietro Nenni. E va ricordato come quest'ultimo fu, peraltro, il primo a guardare con interesse alla Cina, a promuoverne il riconoscimento e ad avere sentimenti di amicizia con Zhou Enlai, che conobbe proprio negli Anni '50 ed al quale donò una copia del giornale socialista “L'Avanti!”.

Xi Jinping ha peraltro fatto presente, in conclusione, come “La determinazione della Cina di restare sulla via dello sviluppo pacifico non cambierà. Non prenderemo mai la strada battuta del saccheggio coloniale, o la strada sbagliata della ricerca dell’egemonia quando si diventa forti. Resteremo sulla strada giusta verso uno sviluppo pacifico. Tra i principali Paesi del mondo, la Cina ha il miglior track record in termini di pace e sicurezza. Ha esplorato un approccio tipicamente cinese per risolvere i problemi degli hotspot. Ha svolto un ruolo costruttivo nella crisi ucraina, nel conflitto israelo-palestinese e nelle questioni relative alla penisola coreana, all’Iran, al Myanmar e all’Afghanistan. Ogni aumento della forza della Cina è un aumento delle prospettive di pace nel mondo”.

Luca Bagatin

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mercoledì 3 luglio 2024

Porre al centro la comunità democratica, contro ogni forma di sfruttamento e di criminalità. Articolo di Luca Bagatin


Fra baby gang, stupri in aumento, truffe e neo-caporalato, c'è da chiedersi cosa stia facendo o voglia fare un governo le cui forze politiche che lo compongono hanno sempre sbandierato il tema “sicurezza”.

Sbandierare temi - anche per decenni - e poi fare poco o nulla per risolvere i problemi, rimane la classica pratica delle vuote promesse elettorali, per ottenere voti facili.

La ricerca del facile consenso è pratica tipica della Seconda Repubblica, ove le forze politiche si sono tramutate in prodotti pressoché commerciali, con candidati la cui esperienza nel campo della politica rimane sempre tutta da dimostrare.

Porre al centro di un progetto politico la comunità, nel suo complesso, è cosa più difficile, ma fondamentale. Ben oltre le vuote promesse da campagna elettorale.

Porre al centro la comunità significa proteggerla. Introducendo, ad esempio, pene severe per chi delinque, con ricorso all'ergastolo (specialmente nei casi in cui si commettono truffe, raggiri, violenze e abusi contro i più deboli, anziani e bambini in primis); all'esproprio dei beni (ad esempio di chi sfrutta il lavoro); se serve anche alla perdita della cittadinanza italiana, anche per i cittadini italiani che delinquono e alla castrazione per chi stupra.

Occorre, in sostanza, pensare ai diritti umani delle vittime. E sarebbe molto utile iniziare a pensare a questo anche a livello europeo.

Una società allo sbando è spesso causata dall'eccessiva opulenza, dalla noia, dal fatto che ormai tutti hanno tutto o vogliono tutto, veicolati da un marketing e da una pubblicità commerciale sempre più accattivanti e edonisti.

Quando non ci si accontenta più, si vuole sempre superare il limite.

E questo crea e sta creando danni incalcolabili, specialmente per i più deboli. Perché modifica la percezione stessa della realtà nelle persone e, dunque, nella società intera.

Occorre riflettere attentamente su questi aspetti e non lasciar correre minimamente.

Una scuola pubblica distrutta, che promuove con facilità; un sistema pubblico sempre più ridotto all'osso (aspetto peraltro pericolosissimo in tempi in cui l'Intelligenza Artificiale andrebbe governata e presieduta proprio da enti pubblici autorevoli); un sistema di liberalizzazioni e deregolamentazioni del mercato, che hanno sdoganato spesso truffe ai danni dei cittadini/consumatori.

Tutto ciò, dalla metà degli Anni '90 ad oggi, ha portato a un benessere effimero, di cartone, fondato sul nulla. Ed alla sostanziale perdita di potere e di controllo dei cittadini stessi sui loro effettivi bisogni e necessità, oltre che la perdita della loro sicurezza (sia sociale che fisica).

Invertire la rotta significa innanzitutto riflettere, prendere consapevolezza di ciò.

Pensare a nazionalizzare, più che a liberalizzare. Dare in gestione le imprese a chi ci lavora e ai cittadini, più che a speculatori e azionisti privati in giro per il mondo.

Introdurre pene severe e esemplari per chi delinque e abusa dei più deboli e dei cittadini in generale.

Promuovere una scuola che formi davvero e che sia selettiva e meritocratica, ovvero che non assecondi i desiderata degli allievi e dei genitori, che non devono più essere considerati dei clienti/consumatori.

Promuovere una economia rispettosa dell'ambiente e dei diritti dei cittadini onesti, recuperando i principi di un grande imprenditore e socialista fabiano quale fu Adriano Olivetti, che pose al centro la comunità, attraverso la pianificazione e l'umanesimo sociale.

Promuovere, in sostanza, la logica e il buonsenso, a beneficio di tutti e non solo di qualcuno.

Un po' l'opposto di quanto sembra avvenire da lungo tempo dalle nostre parti.

Luca Bagatin

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lunedì 1 luglio 2024

Elezioni legislative in Francia: la fine del macronismo. Articolo di Luca Bagatin

Le elezioni legislative francesi rilevano dati importanti.

Innanzitutto sul fronte dei programmi.

Le tre maggiori coalizioni che si sono confrontate, Rassemblement National (destra lepenista), Nuovo Fronte Popolare (coalizione social-comunista e ecologista) e Ensemble (liberali macronisti), avevano – anche se con sfumature diverse – tutte e tre programmi incentrati sul sociale.

Ovvero su alcuni dei temi sollevati dal movimento cittadino dei Gilet Gialli.

La destra ha proposto la revisione della macellaia riforma delle pensioni voluta da Macron, il taglio dell'IVA su carburanti e energia e il taglio del cuneo fiscale; la sinistra, oltre alla cancellazione della riforma delle pensioni, il blocco dei prezzi dell'energia e dei generi alimentari e l'aumento del salario minimo; persino i liberali di Macron, che in questi anni di governo hanno attuato riforme di macelleria sociale, proponevano un ampliamento dei bonus sociali e il taglio del cuneo fiscale per i salari bassi.

In generale le proteste dei Gilet Gialli e lo spirito combattivo dei francesi e dei loro sindacati – per nulla deboli o concilianti con la classe padronale e politica – hanno dimostrato di aver profondamente inciso sullo spirito dei programmi delle forze politiche francesi.

Praticamente l'opposto di quanto accade in Italia, ove le proteste sono da decenni minime e ove il malcontento nei confronti della classe politica – tutta uguale e tutta ugualmente lontana dalle necessità dei cittadini - si manifesta unicamente con un pur legittimo astensionismo di massa.

Altro dato interessante è la netta sconfitta della coalizione liberale di Macron, che, con il 20%, può iniziare il suo lento, ma inesorabile declino.

Hanno pesato, su questo dato, certamente due fattori. Le già citate politiche di macelleria sociale, ampiamente contestate dalla stragrande maggioranza dei cittadini francesi e una politica estera irresponsabile e bellicista.

Da dire che, sul fronte della politica estera, nessuna delle tre grandi coalizioni si discosta eccessivamente dal servilismo nei confronti dell'irresponsabile amministrazione statunitense retta da Biden.

La destra lepenista si discosta dal macronismo unicamente in quanto esclude l'invio di truppe francesi in Ucraina; mentre la sinistra, quantomeno, vuole lavorare sul fronte della diplomazia e la ricerca della pace.

I risultati parlano da soli: una destra lepenista al 33%, che comunque difficilmente, almeno a mio parere, riuscirà ad ottenere la maggioranza assoluta al secondo turno, vista la tradizione antifascista del popolo francese. Una sinistra neo-frontista che, pur fra mille equilibri e compromessi, è riuscita a compattarsi e a ottenere un dignitoso 28%.

La vera buona notizia, per tutti, è la fine inesorabile del macronismo, che ha distrutto la Francia, sotto il profilo sociale e democratico, dal 2017 ad oggi.

Rimangono interessanti, almeno a mio parere, le prospettive di quella sinistra repubblicana, laica, gollista, bonapartiste e sociale, provenienti dalla piccola coalizione “Nous le Peuple”, che ha scelto di non stare con nessuna delle tre coalizioni e che alle scorse europee ha raccolto 14.000 voti.

Spesso, infatti, le idee migliori, sono delle minoranze con un bagaglio storico e culturale alle spalle, che non gettano il cervello all'ammasso e che si fondano su valori quali indipendenza, giustizia e ordine sociale e internazionale.

Indipendentemente dai consensi che possono raccogliere in termini elettorali.

Luca Bagatin

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