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sabato 29 settembre 2018

"Pugni proletari e baionette prussiane - Il nazionalbolscevismo nella Repubblica di Weimar". Articolo di recensione di Luca Bagatin

Con il trattato di Versailles del 1919 - successivo alla sconfitta nella Prima Guerra Mondiale - la Germania, perdendo la propria sovranità e dovendo restituire alle potenze dell'Intesa una cifra astronomica a titolo di riparazioni di guerra, sarà preda di una delle più tremende crisi economiche della Storia.
Ciò porterà i movimenti di ispirazione socialista a rafforzarsi e a ribellarsi e, fra questi, il nascente movimento nazionalbolscevico, sorto da una costola della socialdemocrazia tedesca, avente per guide Ernst Niekisch e Karl Otto Paetel e con alle spalle qualche migliaio di militanti e un pugno di giornali, circoli e case editrici.
Di tale movimento racconta il saggio accademico "Pugni proletari e baionette prussiane - Il nazionalbolscevismo nella Repubblica di Weimar" di David Bernardini, con prefazione del prof. Marco Cuzzi edito da Biblion Edizioni (www.biblionedizioni.it), casa editrice specializzata in testi e riviste sul socialismo e la storia sociale.
Saggio agile e completo, quello di Bernardini, che contribuisce a colmare non poche lacune attorno a tale scuola di pensiero e movimento politico sorto nel cosiddetto "Biennio rosso" tedesco e destinato ad essere sconfitto e perseguitato durante l'ascesa del nazismo.
Avente per simbolo l'aquila prussiana con al centro una falce e martello, il movimento nazionalbolscevico, destinato a superare la dicotomia destra-sinistra, si proponeva di recuperare la sovranità della Germania, perduta appunto con il Trattato di Versailles, attraverso un'alleanza con la Russia bolscevica di Lenin e con il Partito Comunista Tedesco (KPD).
Contrapposto alla visione liberale, borghese, illuminista e capitalista propugnata dalla Rivoluzione Francese del 1789, asse portante delle nazioni capitaliste occidentali, il nazionalbolscevismo vedeva nella Rivoluzione d'Ottobre del 1917 il suo punto di riferimento, fondato sul primato della comunità e dell'operaio-proletario al servizio della stessa, rispetto all'egoismo dell'"homo economicus" della borghesia capitalista, la quale pensava unicamente al proprio egoistico tornaconto personale.
I nazionalbolscevichi proponevano dunque l'unità della classe operaia e proletaria in chiave nazionale e antiborghese in alleanza all'Unione Sovietica e a tutte le potenze oppresse dal colonialismo economico occidentale. In tal senso i nazionalbolscevichi si contrapposero altresì al nazismo hitleriano e al fascismo, sia per il carattere antisemita di tali ideologie, che in quanto vedevano in esse la prosecuzione della politica capitalista, borghese, imperialista e antisovietica. Tali critiche saranno formulate in particolare da Niekisch nei suoi saggi, pubblicati negli Anni '30: "Hitler - una fatalità tedesca" e "Il Regno dei Demoni" (ripubblicati recentemente da NovaEuropa e sarà mia cura recensirli prossimamente), che gli costeranno successivamente l'internamento in un campo di concentramento dal quale uscirà solo a guerra finita, nel 1945, liberato dalle tuppe sovietiche e successivamente aderirà al Partito Comunista Tedesco della nascente DDR.
Nel saggio di Bernardini si parla di questo e dell'evoluzione del movimento nazionalbolscevico dagli Anni '20 agli Anni '30, nell'epoca della Repubblica di Weimar. Ovvero dai tempi in cui i socialdemocratici amburghesi Laufenberg e Wolffheim iniziarono a distaccarsi dal loro partito, la SPD, in quanto troppo transigente nei confronti dei crediti di guerra nel 1914. Nel 1918 i due parteciparono ai moti rivoluzionari di Amburgo, successivamente aderiranno alla KPD, ovvero al Partito Comunista Tedesco e nel 1920 parteciparono alla costituzione della KAPD, il Partito Comunista Operaio di Germania. Infine costituiranno un circolo di ispirazione nazionalcomunista, la cui eredità sarà successivamente raccolta da Karl Otto Paetel e dalla sua cerchia nazionalrivoluzionaria, dando successivamente origine al Gruppo Nazionalista Social Rivoluzionario (GNSR).
Negli Anni '20, un altro esponente socialdemocratico, Ernst Niekisch, iniziò a ritenere utile e necessario un avvicinamento fra la Germania e la Russia bolscevica, contrapponendosi via via sempre di più alla visione più marcatamente filo occidentale del suo partito, la SPD e dando vita ad un raggruppamento di socialisti indipendenti denominato ASP che, purtuttavia, ebbe scarsissimo seguito elettorale.
A Niekisch va ad ogni modo il merito di aver, fra i primi, elaborato il concetto che, per emancipare i lavoratori tedeschi fosse necessario emancipare la Germania dalle potenze dell'Intesa, le quali le avevano imposto il Trattato di Versailles e, dunque, guardare verso l'Unione Sovietica e ad un modello anticapitalista e socialista autentico.
Nei primi Anni '30 i vari circoli nazionalbolscevichi e i loro organi di stampa, pur poco numerosi e scarsamente coordinati fra loro, elaboreranno una piattaforma che prevedeva in sostanza un tipo di economia pianificata sotto il controllo dello Stato, la separazione fra Stato e Chiesa e un orientamento verso Est in politica estera.
Il 30 gennaio 1933, dunque, mentre Hitler veniva nominato Cancelliere, un manipolo di nazionalisti socialrivoluzionari, in polemica con tale avvenimento, distribuiranno per le strade di Berlino un opuscolo dal titolo "Il manifesto nazionalbolscevico", con in copertina il curioso simbolo composto da una falce e martello che incrociavano una spada. Purtuttavia quello sarà proprio l'inizio della fine del movimento nazionalbolscevico, soffocato dalla dittatura hitleriana.
Il saggio di David Bernardini sul nazionalbolscevismo quale movimento politico e corrente culturale della Rivoluzione conservatrice tedesca, è dunque strumento utilissimo di approfondimento a tale aspetto storico spesso tralasciato, pur rientrando a pieno titolo fra le correnti dell'antifascismo, dell'antimperialismo e dell'anticapitalismo europeo e tedesco.
Come rilevato dal prof. Marco Cuzzi sin dalle prime righe dell'introduzione al saggio, di nazionalboscevismo si è tornato a parlare grazie a esponenti quali lo scrittore Eduard Limonov ed il filosofo Alexandr Dugin (da non dimenticare anche il cantante e chitarrista Egor Letov), fondatori negli Anni '90 del Partito Nazionalbolscevico in Russia, i quali, ispirandosi proprio al nazionalbolscevismo storico, hanno elaborato una critica al materialismo e al totalitarismo borghese, liberale, comunista e fascista e si sono posti quali guida di un movimento di sottoproletari e di giovani delusi dall'avvento del capitalismo assoluto nell'ex URSS, in chiave eurasiatista e multipolare, alternativa rispetto al blocco statunitense e capitalista.
"Pugni proletari e baionette prussiane" è dunque un saggio sul passato per comprendere anche alcuni aspetti storici e geopolitici del presente, scritto da un giovane studioso - David Bernardini - dottorato in Storia dell'Europa presso l'Università degli Studi di Teramo, che ha già all'attivo un saggio sull'anarchico Rudolf Rocker e collabora con la Rivista storica del socialismo, edita dalle stesse Biblion Edizioni.

Luca Bagatin

giovedì 27 settembre 2018

Superare la logica del profitto, del capitalismo, del consumismo, del materialismo nelle riflessioni di De Benoist, Pasolini e Limonov

"Allineandosi alla logica del profitto e alla società del mercato, sostituendo la cultura di massa alla cultura popolare, i partiti di sinistra hanno a loro volta tradito i princìpi fondatori del socialismo e deluso i loro militanti. Invece di fare autocritica, questa sinistra ha denunciato come "populisti" i tentativi del popolo di riprendere parola. Meglio ancora, si è scelta un popolo di ricambio scommettendo sugli immigrati senza vedere che questi ultimi costituiscono anzitutto le truppe di rincalzo del capitale e che sono soprattutto le classi popolari a soffrire di quelle patologie sociali generate da un’immigrazione massiva. Al contempo, si è propagato il nuovo ideale della governance. Questa nozione, la cui origine appartiene al mondo economico (corporate governance), si fonda sull’assunto secondo cui la politica è qualcosa di troppo complesso per essere lasciato al popolo: i princìpi della "buona governance" devono essere definiti da esperti, principalmente in termini di efficacia e reddito. Non è piu l’economia a dover essere messa a servizio dell’uomo, ma quest’ultimo ad adattarsi alle esigenze dell’economia, agli assiomi dell’interesse e alla logica del profitto. Nella misura in cui considera le frontiere come inesistenti, la governance conduce i popoli ad un corto circuito"
(Alain De Benoist)

"Il consumismo altro non è che una nuova forma totalitaria – in quanto del tutto totalizzante, in
quanto alienante fino al limite estremo della degradazione antropologica, o genocidio (Marx) – e che quindi la sua permissività è falsa: è la maschera della peggiore repressione mai esercitata dal potere sulle masse dei cittadini. Infatti (è la battuta di uno dei protagonisti del mio prossimo film, tratto da De Sade e ambientato nella Repubblica di Salò): “In una società dove tutto è proibito, si può fare tutto: in una società dove è permesso qualcosa si può fare solo quel qualcosa”".
"Noi ci troviamo alle origini di quella che sarà probabilmente la più brutta epoca della storia dell’uomo: l’epoca dell’alienazione industriale. [...] Il mondo si incammina per una strada orribile: il neocapitalismo illuministico e socialdemocratico, in realtà più duro e feroce che mai"
(Pier Paolo Pasolini)


L'Europa sta mentendo quando afferma che difende il Bene, la democrazia, i diritti degli uomini. L'Europa, infatti, sta uccidendo i paesi dissidenti, i diversi paesi, i diversi uomini. L'Europa persegue il bene con tutti i mezzi del male. L'Europa è in profonda crisi, in crisi di coscienza"
(Eduard Limonov)

Alain De Benoist: "Il populismo di sinistra, il populismo di destra, i fronti si muovono ..." (intervista di Nicolas Gauthier tratta da "Boulevard Voltaire" del 25 settembre 2018)

BOULEVARD VOLTAIRE: In Germania, il politico di estrema sinistra Sahra Wagenknecht ha recentemente fatto notizia annunciando la creazione di un movimento che richiede un controllo rigoroso dell'immigrazione. Questa iniziativa ha scatenato immediatamente grida di ostracismo su questo lato del Reno. Ti sembra aneddottico? 
ALAIN DE BENOIST: Assolutamente no. Penso anche che sia un evento molto importante. Non solo perché si svolge in Germania, che non ci ha abituato a questo tipo di iniziativa, ma data anche la personalità di Sahra Wagenkencht. Nata a Jena da padre iraniano e formazione marxista (è autrice di una tesi sull'interpretazione di Hegel del giovane Karl Marx), moglie per quattro anni del famoso politico di estrema sinistra Oskar Lafontaine, membro del Parlamento europeo, è anche vicepresidente del partito Die Linke, erede dell'ex SED della Germania orientale. Comprendiamo che il lancio, all'inizio del mese scorso, del suo nuovo movimento, Ausftehen ("Sollevarsi"), ha fatto rumore. Sono già registrati 100.000 membri di Die Linke.
Tuttavia, non dobbiamo fraintendere le sue intenzioni. Favorevole al diritto di asilo, soggetto ad un controllo molto rigoroso (i beneficiari dovranno rientrare nel loro paese non appena le circostanze che li hanno indotti a lasciarlo saranno scomparsi), condanna fermamente ogni politica di lassismo sulla base, in particolare, del fatto che le classi popolari sono ostili e che l'apertura delle frontiere sta esercitando una pressione al ribasso sui salari: "Il problema della povertà mondiale non può essere risolto dall'immigrazione senza frontiere, di cui l'unico effetto è quello di fornire manodopera a basso costo ai datori di lavoro".

BOULEVARD VOLTAIRE: Non è questo un tradimento dei principi della sinistra, al solo scopo di recuperare i voti dell'Alternativa per la Germania (AfD), che sembra imporsi come una forza in ascesa nel panorama politico tedesco? 
ALAIN DE BENOIST: Questo è ciò che un'analisi superficiale cerca di farci credere. Ma penso che Sahra Wagenknecht abbia compreso soprattutto che la causa principale del successo dell'AFD, che spiega anche perché il Rassemblement National è diventato il primo partito operaio in Francia, sia che la sinistra ha tradito la sua ragione d'essere: la difesa lavoratori e la lotta contro il capitale. Radunando la società di mercato e l'ideologia del "desiderio" individuale, la sinistra ha tagliato fuori le persone, le cui aspirazioni non condividono più. Da questo punto di vista, la nascita di Aufstehen non segna un tradimento dei principi della sinistra, ma piuttosto la ricomparsa di un socialismo fedele alle sue origini.
Fu presto dimenticato che Karl Marx già condannava la concorrenza sleale rappresentata dai lavoratori immigrati per il proletariato indigeno: l'immigrazione era, a suo avviso, "l'esercito di riserva del capitale". Negli anni '50, il Partito Comunista, denunciando allo stesso tempo la contraccezione e l'aborto come "vizi borghesi", non pensava diversamente: internazionalismo e cosmopolitismo non erano, a suo avviso, sinonimi. Jean-Claude Michéa ripete oggi: la globalizzazione non è altro che l'estensione globale di un capitalismo speculativo e deterritorializzato e il popolo ne paga il prezzo. Da non dimenticare anche le posizioni di André Gérin, ex sindaco comunista di Vénissieux ("L'immigrazione non è un'occasione per la Francia") o quelle del sindacalista comunista Jacques Nikonoff, ex presidente di ATTAC ("Dobbiamo fermare l'immigrazione e organizzare il ritorno su base volontaria") o, naturalmente, la lettera inviata nel 1981, in un momento in cui il FN era ancora un piccolo gruppo, da Georges Marchais al rettore dalla moschea di Parigi: "L'allerta è raggiunta. Faccio chiarezza: dobbiamo fermare l'immigrazione ufficiale e illegale".

BOULEVARD VOLTAIRE: Ciò solleva la questione se il populismo di sinistra sia possibile in Francia? 
ALAIN DE BENOIST: Una figura chiave a questo riguardo: secondo uno studio dell'IFOP dello scorso gennaio, il 51% degli elettori di Mélenchon ha rilevato che l'immigrazione si sta verificando in Francia ad un tasso troppo alto, rispetto a solo il 31% di quelli che hanno votato Emmanuel Macron. Uno su due! In realtà, non è un segreto che la France Insoumise abbia due elettorati molto diversi. Questo è il motivo per cui i progressisti libertari del tipo Danièle Obono o Clémentine Autain, e i sostenitori di un vero populismo di sinistra, stanno diventando sempre più bizzarri. Kuzmanovic, portavoce di FI per gli affari internazionali che rientra nella seconda categoria (ha corso come "candidato patriottico" nelle ultime elezioni legislative), ha recentemente rilasciato a L'Obs un'intervista in cui dichiarò che non era del tutto normale che la sinistra tenesse lo stesso discorso sull'immigrazione dei datori di lavoro. "La buona coscienza della sinistra", ha aggiunto, "ci impedisce di pensare concretamente a come rallentare o addirittura asciugare i flussi migratori". Jean-Luc Melenchon, il cui buon motivo credo ritenga che ciò nondimeno, ha pensato che fosse meglio disconoscerlo per paura delle conseguenze elettorali. Questo è, a mio avviso, un grande errore strategico.
È necessario leggere l'ultimo libro di Chantal Mouffe, Per un populismo di sinistra (Albin Michel), per capire la posta in gioco di questa lite. Mouffe era la moglie di Ernesto Laclau, argentino filosofo politico che è morto qualche anno fa, che è stato proprio il grande teorico del populismo di sinistra (che gli è valso attacchi congiunti dalla destra e dalla sinistra classica). Molto influenzata dal pensiero di Carl Schmitt, lei stessa ha avuto una chiara influenza su Mélenchon e alcuni dirigenti Podemos in Spagna. L'iniziativa di Sahra Wagenkencht deve essere collocata in questo contesto, così come è il turno dei socialdemocratici danesi, che ora si oppongono all'immigrazione. È la conferma che i fronti si muovono.


sabato 22 settembre 2018

Manifestazione comunista in Russia contro l'aumento dell'età pensionabile e l'austerità liberal-capitalista. Articolo di Luca Bagatin

Ennesima manifestazione di protesta a Mosca, sabato 22 settembre, giudata dal Partito Comunista della Federazione Russa (KPFR) di Gennady Zjuganov, contro l'aumento dell'Iva (dal 18% al 20%) e dell'età pensionabile imposte dal governo Putin-Medvedev: da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini.
Ennesima manifestazione di cui la gran parte dei media europei sembra non parlare, in quanto forse occorrerebbe ammettere che, ciò che sta avvenendo in Russia, non è dissimile da quanto accaduto nei Paesi europei e nei liberisti USA in questi anni (attuate tanto da governi di destra quanto da governi di sinistra): misure di austerità, tagli ai servizi pubblici, aumento dell'Iva, innalzamento dell'età pensionabile, liberalizzazioni selvagge, tutto a scapito dei rispettivi popoli e tutto imposto dalle politiche liberal-capitaliste del Fondo Monetario Internazionale, non a caso rifiutate e contrastate in tutti questi anni dai Paesi socialisti dell'America Latina (Cuba, Nicaragua, Venezuela, Bolivia, Uruguay in primis), invisi agli USA.
Nella Federazione Russa, alle amministrative del 9 settembre scorso, il Partito Comunista di Zjuganov ha visto aumentare e finanche raddoppiare i suoi consensi, confermandosi il maggior partito di opposizione al liberal-capitalismo putiniano e l'unico in grado di sconfiggerlo e di contenere pericolose derive d'estrema destra.
Un grande insegnamento anche per l'Europa e forse anche per gli USA. Una Europa che deve decidere se proseguire nell'austerità imposta dal liberal-capitalismo - di destra e sinistra - oppure ricercare una via socialista autentica, che riporti al centro gli esseri umani, i precari, i disoccupati, gli anziani, i bambini, le donne. Emancipandoli e garantendo loro un presente e un futuro dignitoso e di pace sociale.

Luca Bagatin

giovedì 20 settembre 2018

L'assalto alla diligenza di Cavallo Pazzo al XX secolo Mario Appignani. Un ex ragazzo all'inferno, oggi in Paradiso. Articolo di Luca Bagatin

"Mamma, mi ammazzano !" queste le ultime parole di Pier Paolo Pasolini prima di essere barbaramente ucciso all'Idroscalo di Ostia quel tragico 2 novembre 1975.
Il cantore dell'innocenza, il fustigatore della società dello spettacolo e dei consumi, il profeta contro il capitalismo assoluto, il poeta, non c'era più.
Quel poeta che fu, per Cavallo Pazzo, al XX secolo Mario Appignani, un padre ideale.
Di Mario scrissi in un mio lungo articolo, nel maggio 2015 (http://amoreeliberta.blogspot.com/2015/05/in-ricordo-di-mario-appignani-un.html), pubblicato anche dal quotidiano nazionale "L'Opinione", quando ancora vi scrivevo, raccontandone la straziante vicenda giovanile. Figlio di Tina, una prostituta, vivrà sin quasi alla maggiore età negli istituti-lager dell'Opera Nazionale Maternità e Infanzia (OMNI), seviziato e torturato, come tutti i bambini orfani della sua generazione affidati a quelle assai poco amorevoli cure statali, retaggio del regime clericofascista.
Istituti che proprio lui, grazie al libro denuncia "Un ragazzo all'inferno", contribuirà - nel 1975, a far chiudere, facendo arrestare la suora-aguzzina Diletta Pagliuca.
Quello fu, possiamo dirlo, il suo primo e coraggioso atto politico.
Tutta la vita di Mario Appignani fu, nei fatti, una manifestazione politica vissuta in prima persona.
E la sua vicenda è raccontata dal suo amico e compagno militante di sempre, ovvero Marco Erler detto "Nuvola Rossa", che ha dato alle stampe per la Armando Curcio Editore una riedizione cresciuta di due capitoli, considerata definitiva dall'autore - con tanto di fotografie - del suo romanzo biografico "Assalto alla Diligenza", con prefazioni e ricordi di Lucia Visca, Carlo Caracciolo, Renato Nicolini, Marco Grispigni, Nicola Caracciolo e postfazioni di Massimo Tosti e Tinto Brass.
Ringrazio Marco Erler per avermi regalato questo suo romanzo, che è un documento preziosissimo per chiunque volesse conoscere meglio la storia politica, umana e controculturale di Cavallo Pazzo, romano, classe 1954, leader degli Indiani Metropolitani di Roma o, meglio, di Piazza Navona.
"Assalto alla Diligenza" è peraltro uno spaccato di Storia patria che va dalla metà degli Anni '70 alla metà degli Anni '90. Dagli Anni della Contestazione agli Anni di Fango, per cosi dire.
E' la storia di Cavallo Pazzo e Nuvola Rossa, più giovane di lui di soli quattro anni, i due indiani che assaltano la diligenza del Potere e lo fanno con tutta la passione del loro essere neanche maggiorenni e proseguiranno negli anni a venire, con nel cuore D'Annunzio, Garibaldi e quel loro immortale maestro: Pier Paolo Pasolini.
E' il settembre 1973 quando i due si conoscono, casualmente, al funerale di Anna Magnani. Mario, appena diciottenne, è elegantissimo, con un mazzo di rose rosse in mano. Marco, invece, ha marinato la scuola, la quinta ginnasio. E' un minorenne timido, di estrazione borghese, a differenza di Mario. Mario gli offre un superalcolico e da quel giorno, i due, diverranno inseparabili per i successivi ventitrè anni, sino alla prematura morte di Mario, a soli quarantun anni.
Mario bazzica il Partito Radicale di Marco Pannella, il quale gli scrisse anche la prefazione al suo "Un ragazzo all'inferno" e fa subito in modo di coinvolgere Marco - allora appena sulla soglia degli ambienti della Federazione Giovanile Comunista, pur di estrazione borghese, di cui non era affatto entusiasta - in quel caravanserraglio colorato e anticonformista, almeno in apparenza, che pur già da subito sembra mal sopportare l'esuberanza e l'attivismo di Mario Appignani.
Mario cerca nelle persone amore, comprensione e amicizia incondizionate, offrendo tutto ciò a sua volta, con grande spontaneità, forse proprio perché gli sono mancate da bambino, quando era legato al letto e, come i suoi compagni d'orfanotrofio, costretto a urinarsi e defecarsi addosso, spesso senza lenzuola e coperte. E' con questo spirito che coinvolge Marco nella sua prima impresa, ovvero quella di preparare il pranzo, con dei panini farciti, per i barboni che sono riuniti a congresso a Roma e lo fa spendendo tutto ciò che ha a disposizione. Successivamente, gli presenta il poeta Dario Bellezza, che vede in Appignani un italico Genet, come amico diverrà di Pasolini, considerandolo da sempre un maestro e un padre.
I due, Mario e Marco, daranno dunque vita, nel 1977, alla più esplosiva e intrisa di ironia corrosiva tribù di Indiani Metropolitani d'Italia, prendendo i nomi, rispettivamente di "Cavallo Pazzo" e "Nuvola Rossa", guidando la contestazione a Luciano Lama alla Sapienza di Roma; ispirandosi alla Beat Generation di Kerouac, Burroughs e Ginsberg, al situazionismo di Guy Debord, al futurismo di Marinetti e al fiumanesimo dannunziano; raggruppando un popolo colorato di figli dei fiori, animalisti, buddisti, coniando slogan dissacranti - anche nei confronti dei sessantottini e dei radical chic - quanto buffi (fra i più celebri "Sarà un risotto che vi seppellirà"); proponendo la costruzione di un laghetto dei cigni al posto dell'Altare della Patria, la legalizzazione della cannabis, oltre che guidando le manifestazioni antinucleariste a Montalto di Castro. Forme di contestazioni nonviolente e libertarie in un'epoca che stava scivolando verso il terrorismo degli Anni di Piombo. Forme che affascineranno persino alcuni militanti più libertari della destra, fra i quali l'amico Luciano Lanna, oggi noto giornalista.
Forme di contestazione che Cavallo Pazzo e Nuvola Rossa proseguiranno anche alla Mostra del Cinema di Venezia, con incursioni fuori programma atte a contestare l'americanizzazione del cinema, con tanto di vilipendio alla bandiera degli USA, che costerà a Cavallo Pazzo-Appignani, a soli 25 anni, il suo primo arresto.
Ma quelle contestazioni saranno rivolte via via anche contro il Partito Radicale, dal quale Cavallo Pazzo e Nuvola Rossa, dopo sei anni di militanza, usciranno sdegnati ravvisandone cinismo e poco interesse per le tematiche riguardanti gli emarginati e la lotta al Potere.
Appignani, in un intervento fiume nel Congresso radicale di Genova del 1979, pur molto contestato dalla presidenza e dalla platea, denuncerà presunti ammanchi di bilancio da parte del gruppo parlamentare radicale, nonché il problema dell'eroina - di cui egli stesso era vittima - proponendo la somministrazione controllata della stessa. E ciò anticipando i tempi di almeno vent'anni sull'esperimento svizzero in tal senso. Mentre Marco, a sua volta, propone il MANTRA (Movimento Alternativo Normative Tossicodipendenze Radicali Associati), ovvero il primo movimento federativo radicale antiproibizionista, precedente e alternativo rispetto al nascente movimento antiproibizionista di Taradash.
Ma molte, moltissime altre furono le "irruzioni" giovanili di Cavallo Pazzo sulla scena pubblica, raccontate nel romanzo biografico di Erler: dallo schiaffo ad Alberto Moravia sino allo "smascheramento" di Gandalf il Viola (personaggio che Cavallo Pazzo - alla presenza di un giovanissimo Massimo d'Alema - non riconoscerà come Indiano Metropolitano); passando per quella al teatro Caio Melisso per contestare la rappresentazione de "Il lebbroso" di Giancarlo Menotti, nel quale Appignani apparve in scena nei panni del lebbroso, sino a quella in cui - ventenne - si finse per alcuni mesi un insegnante, a Spoleto.
Le capacità camaleontiche e di travestimento di Cavallo Pazzo, atte a suscitare scandalo, erano davvero impressionanti, ma tutte avevano lo scopo di contestare il Potere costituito o di denunciare il malaffare, sino a quelle più celebri nelle quali, pochi anni prima di morire, negli Anni '90, arrivò a togliere il microfono a Pippo Baudo in diretta tv alla consegna dei Leoni d'oro alla 48esima Mostra internazionale del Cinema di Venezia e, successivamente, al Festival di Sanremo del 1992, nella quale dichiarò chi lo avrebbe vinto.
Per finire, nel 1994, già malato di tumore, invase per l'ennesima volta - da tifoso sfegatato della Roma - lo Stadio Olimpico per denunciare il malaffare nel mondo del calcio.
Per anni e anni queste sue incursioni gli costeranno continue entrate e uscite dagli istituti carcerari. Nel romanzo biografico di Erler sono infatti contenuti molti dei suoi scritti e lettere ai politici provenienti proprio dal carcere di Rebibbia e fatti recapitare all'amico di sempre. Nei suoi scritti denuncia le condizioni inumane del sistema carcerario e giudiziario e, negli anni della falsa rivoluzione di Tangentopoli, esprime vicinanza e profonda commozione per i tristi suicidi di Gabriele Cagliari e Sergio Moroni e difenderà sempre a spada tratta quella Prima Repubblica che il ciclone di Tangentopoli spazzerà via per sempre, colpendo in particolare quel Bettino Craxi che sempre sarà amico di Cavallo Pazzo e sempre avrà una parola buona per lui, finanche dal suo esilio di Hammamet.
E proprio ad Hammamet Marco Erler si recherà - nel 1994 - nel periodo della malattia di Mario, per tentare in extremis di convincere Craxi a pagare un trapianto di fegato che potesse salvare la vita al suo amico. Craxi si adopererà in tal senso, pur non avendo grande possiblità di manovra, per ragioni contingenti. Un ex potente, per così dire, che pur aveva saputo essere amico di un emarginato, di un beatnik, di un figlio di una prostituta e contestatore integrale, ma intellettualmente onesto, come Mario Appignani. E di questo Appignani gli fu sempre riconoscente, tanto che negli anni - dopo la parentesi radicale - si era avvicinato al Partito Socialista Italiano.
Questo era Cavallo Pazzo-Mario Appignani. Un ragazzo che ha conosciuto la disperazione e è diventato un uomo, meritando di essere ricordato con un nome di battaglia legato ai Nativi d'America e che, il giorno prima di morire (il 13 aprile 1996), in ospedale, farà festa ballando a perdifiato con le sue infermiere preferite.
Un ragazzo, Mario Appignani, che, catapultato dall'inferno, oggi abita in Paradiso.

Luca Bagatin

lunedì 17 settembre 2018

Riflessioni brevi di Luca Bagatin sul momento presente (settembre 2018)

Non vedo differenze fra ammiratori dell'Unione Europea, ammiratori degli USA e ammiratori di Putin.
Il perché l'ho scritto in innumerevoli articoli.
Chi è anticapitalista, populista nel senso originario del termine e socialista, non può che stare da un'altra parte.
Da quella dei popoli e dei poveri.
Dalla parte dell'Amore e della Libertà.


I ricchi e gli arricchiti non hanno una patria, non hanno un sentimento d'amore, non hanno valori spirituali. A loro è sufficiente guadagnare.
Il loro unico valore è il danaro e il potere.
Non godono, in generale, della mia simpatia.


I cosiddetti "social" sono l'esatto opposto dell'approfondimento.
Pensavamo che internet sarebbe stato una alternativa alla televisione.
Sbagliavamo. Ne è la prosecuzione.



La retorica televisiva è assai poco stimolante e non produce idee nuove, processi mentali originali atti a solleticare l'appetito intellettuale delle persone. Così la retorica da "social" - che di sociale non ha nulla - appare come un continuo ripetersi di slogan proferiti dai media. Privi di una base ideale frutto dello studio costante e/o dell'approfondimento. In questo senso il "social" diviene il nuovo luogo comune per eccellenza, che, anziché stimolare il dubbio, stuzzica lo sterile livore di colui il quale ritiene di avere la verità in tasca. Una verità spesso vuota e frutto di idee inculcate dai media o dalla retorica comune.

(Luca Bagatin)

giovedì 13 settembre 2018

"Bellezza che rifiorisce". Poesia di Luca Bagatin

Bellezza femminile.
Essa non passa
Con il passare degli anni.
Non sfiorisce.
Non svanisce.
Sempre rapisce.
Il mio cuore
Infranto.
Infranto dalle troppe
Passate delusioni.
Non vedo presente.
Ma non è questo che m'importa.
Tu, Musa
Illuminazione Celata
Illuminazione nascosta ma,
Mai morta
Che ancora il mio cuore
Riesci a schiudere
Facendomi respirare amore.
Sei lì presente
Sei lì vivente
Sei lì a ricordarmi
A ricordarmi di amarmi
E di amarti.

Luca Bagatin

Alle amministrative russe avanzano i comunisti, alternativa al liberal-capitalismo oligarchico. Articolo di Luca Bagatin

Mentre l'Unione Europea si appresta a varare sanzioni contro l'Ungheria, le quali, come ogni sanzione economica, finirà per danneggiare unicamente il popolo e forse persino per rafforzare il governo autoritario di Orban - il quale farà la vittima - e non a caso sono contrastate dai partiti comunisti d'Europa, in particolare dal Partito Operaio Ungherese e dal Partito Comunista Portoghese, in Russia alle elezioni amministrative di domenica 9 settembre, il liberal-capitalismo del partito di Putin Russia Unita sembra subire un arretramento, grazie all'avanzata dei comunisti patriottici del Partito Comunista della Federazione Russa (KPFR), guidato dal granitico Gennady Zjuganov.
Domenica 9 si è votato in 80 regioni. In tutte il KPFR ha incrementato i suoi voti, come segnala il sito dell'Associazione Marx21, riportando il commento del Vicepresidente del KPFR Ivan Melnikov - attestandosi fra il 17% e il 27% circa - e in alcune ha addirittura superato il partito putiniano Russia Unita, come ad esempio nella regione di Ulyanovsk, (ottenendo il 36,3%, mentre Russia Unita si è fermata al 34%); nella regione di Irkutsk (34% ai comunisti contro il 28% dei putiniani); nella Repubblica di Chakassia (31% al KPFR contro il 25,5% di Russia Unita). Nella città di Togliattigrad, come segnala Yurii Colombo su "il manifesto", Russia Unita passa addirittura dal 65% al 28,7%, mentre i comunisti si attestano al primo posto con il 35,8%.
Certo, a Mosca, pur con una astensione record del 70%, ha vinto il candidato putiniano, ma il candidato del Partito Comunista si è piazzato comunque al secondo posto.
Il merito del KPFR - come ricordavo in un altro articolo alcune settimane fa (http://amoreeliberta.blogspot.com/2018/08/il-risveglio-dellopposizione-socialista.html) - è di aver guidato in questi mesi la battaglia contro l'aumento dell'Iva (passata dal 18% al 20%) e dell'età pensionabile, che è passata da 60 a 65 anni per gli uomini e da 55 a 63 anni per le donne.
Gennady Zjuganov
Le politiche di austerità e di deregolamentazione imposte negli anni dal governo liberal-capitalista russo, non dissimili da quelle della gran parte dei governi europei e da quello USA, sono dunque rifiutate e rispedite in gran parte al mittente e, fortunatamente, a differenza che in Europa, il voto è intercettato dai comunisti e non da coloro i quali fomentano politiche neo-autoritarie.
Sarebbe interessante fosse l'inizio di un nuovo possibile ritorno del socialismo, ovvero di superamento del capitalismo che, dagli Anni '90 ad oggi, ha portato unicamente alla messa in vendita di ogni cosa, persino della dignità dei lavoratori, aumentando la precarietà, la disoccupazione e le tariffe in ogni settore.
Forse la strada è ancora lunga, ma, ad ogni modo, i neo-proletari di tutto il mondo stanno ricominiciando a svegliarsi.

Luca Bagatin

sabato 8 settembre 2018

"Il Golem" di Gustav Meyrink. Articolo di Luca Bagatin

Il Golem è una creatura della mitologia ebraica che scaturisce da un atto magico, mediante l'utilizzo di nomi sacri. Il termine "golem" significa "materia grezza" o "embrionale" e appare una sola volta nella Bibbia, come qualche cosa di imperfetto. Si deve alla tradizione cabalistica medievale il significato di Golem quale creatura magica, in particolare grazie al testo esoterico ebraico chiamato "Sefer Yetzirah", il quale tratta della creazione del cosmo e, secondo alcuni autorevoli commentatori, fornirebbe istruzioni sul come plasmare la materia e creare dunque tale particolare tipo di automa in grado di seguire gli ordini del proprio creatore. Il Golem potrebbe essere paragonato, nella modernità, ad una sorta di robot o computer, se vogliamo.
Su tale figura, nella letteratura, sono state costruite e scritte miriadi di storie: da "Isabella d'Egitto" di Achim Von Arnim a "Frankenstein" di Mary Shelley, sino all'italiano "Pinocchio" di Carlo Collodi e molte altre, tutte con un risvolto spirituale ed esoterico.
La più emblematica è certamente quella di Gustav Meyrink (1868 - 1932), "Il Golem", appunto, che la casa editrice Tre Editori (www.treditori.com) ha recentemente pubblicato in una pregevole edizione commentata da Anna M. Baiocco, con tanto di illustrazioni d'epoca di Hugo Steiner-Prag.
Meyrink, pseudonimo di Gustav Meyer, austriaco, di professione banchiere ma assai poco incline alla materia e più alle scienze occulte in seguito a disagi esitenziali, fu Teosofo, Rosacroce e si convertì al Buddhismo Mahayana negli ultimi anni della sua vita.
Fu autore del fantastico, tale da affascinare il maestro dell'orrore H.P. Lovecraft e l'italiano Julius Evola, il quale contribuì alla diffusione delle sue opere, ma il suo scopo era essenzialmente esoterico, piuttosto che letterario. Il suo stile è assai semplice, ma le sue opere sono oniriche e sottendono significati nascosti, che solo il lettore più attento e la sua coscienza più intima possono comprendere, approdando ad una dimensione trascendentale.
"Il Golem" di Meyrink, pubblicato per la prima volta in volume nel 1915 (ma già negli anni precedenti a puntate sulla rivista "Die weissen Blatter") e ambientato in una Praga magica, oscura e misteriosa, si ispira al libro del rabbino Yeudah Rosenberg del 1909. Il protagonista è l'intagliatore di pietre preziose Athanasius Pernath, che vive nel ghetto ebraico e la vicenda si svolge, per la maggior parte, in prima persona e, come dicevamo, in una dimensione onirica, sospesa fra la realtà ed il sogno. Il romanzo è un percorso iniziatico e alchemico che il lettore compie fra la terra ed il cielo, in una ricerca perenne sospesa fra il buio e la Luce della conoscenza. Luce e conoscenza alla quale finalmente si approderà e che è l'unica in grado di illuminare il cuore e la mente.
Gustav Meyrink
"Il Golem" di Meyrink sembra dunque un percorso buddhista, nel quale il protagonista e l'ignaro lettore si ritrovano a praticare un cammino che li condurrà da uno stato di sonnambulismo, di sonno/veglia, sino al risveglio della mente. In una vera e propria esperienza spirituale, dunque, che attraversa varie tradizioni e diverse culture mistiche e spirituali, unite ed accomunate tutte dalla ricerca del Divino in ciascun essere vivente, come vuole la tradizione teosofica e gnostica alla quale lo stesso Meyrink apparteneva.
"Il Golem", opera singolare nel suo genere, ha peraltro ispirato l'omonimo film del 1915 di Paul Wegener e Henrik Galeen e finanche, nei tempi odierni, una delle storie del fumetto della Sergio Bonelli Edotore a sfondo esoterico "Dampyr", nel quale appare, in una di queste, - fra i personaggi - lo stesso Gustav Meyrink, autore che merita di essere scoperto e riscoperto.

Luca Bagatin

venerdì 7 settembre 2018

"Perché il socialismo ?" Articolo di Albert Einstein (tratto da "Monthly Review, maggio 1949)

E' prudente per chi non sia esperto in materia economica e sociale esprimere opinioni sul problema del socialismo? Per un complesso di ragioni penso di sì.
Consideriamo dapprima la questione dal punto di vista della conoscenza scientifica. Potrebbe sembrare che non vi siano essenziali differenze di metodo tra l'astronomia e l'economia: in entrambi i campi gli scienziati tentano di scoprire leggi generalmente accettabili per un gruppo circoscritto di fenomeni, allo scopo di rendere il più possibile comprensibili le connessioni tra questi stessi fenomeni. Ma in realtà tali differenze di metodo esistono. La scoperta di leggi generali nel campo economico è resa difficile dal fatto che i fenomeni economici risultano spesso influenzati da molti fattori difficilmente valutabili separatamente. Inoltre l'esperienza accumulata dal principio del cosiddetto periodo civile della storia umana è stata, come ben si sa, largamente influenzata e limitata da cause che non sono di natura esclusivamente economica. Molti dei maggiori Stati, per esempio, dovettero la loro esistenza a conquiste. I conquistatori si stabilirono, giuridicamente ed economicamente, come classe privilegiata nel Paese conquistato. Essi si presero il monopolio della proprietà terriera e formarono un sacerdozio con uomini della loro classe. I preti, avendo il controllo dell'educazione, trasformarono la divisione in classi della società in un'istituzione permanente e crearono un sistema di valori dal quale, da allora in poi, il popolo si lasciò in gran parte inconsciamente guidare nella sua condotta sociale.
Ma la tradizione storica è, per così dire, di ieri; oggi noi abbiamo realmente superato quella che Thorstein Veblen chiamò la "fase predatoria" dello sviluppo umano. I fatti economici osservabili appartengono a quella fase e anche le leggi che noi possiamo ricavare non sono applicabili alle altre fasi. Poiché il vero scopo del socialismo è precisamente di superare e andare al di là della fase predatoria dello sviluppo umano, la scienza economica nelle sue attuali condizioni può gettare ben poca luce sulla società socialista del futuro.
In secondo luogo, il socialismo mira ad un fine etico-sociale. La scienza, viceversa, non può creare fini, e ancormeno imporli agli esseri umani; essa, al massimo, può fornire i mezzi con cui raggiungere certi fini. Questi sono concepiti da persone con alti ideali etici e se essi non sono sterili, ma vitali e forti, sono assunti e portati avanti da quella larga parte dell'umanità che, per metà inconsciamente, determina la lenta evoluzione della società.
Per queste ragioni, noi dovremmo guardarci dal sopravvalutare la scienza e i metodi scientifici quando si tratta di problemi umani; e non dovremmo presumere che gli esperti siano i soli che hanno il diritto di esprimersi su questioni che concernono l'organizzazione della società.
Da un po' di tempo innumerevoli voci asseriscono che la società sta attraversando una crisi, che la sua stabilità è stata gravemente scossa. Caratteristica di questa situazione è che gli individui si sentano indifferenti e persino ostili al gruppo, sia esso grande o piccolo, cui appartengono. Per illuminare questo concetto, ricorderò un'esperienza personale. Recentemente discutevo con un uomo intelligente e di larghe vedute sulla minaccia di una nuova guerra che, a mio giudizio, porterebbe gravi danni all'esistenza del genere umano, e facevo notare che solo un'organizzazione internazionale potrebbe proteggerci da questo pericolo. Allora il mio interlocutore, con molta calma e freddezza mi disse: "Perché siete così profondamente contrario alla scomparsa della razza umana?". lo sono sicuro che solo un secolo fa nessuno avrebbe fatto con tanta leggerezza una dichiarazione di questo genere. E' la dichiarazione di un uomo che si è sforzato di raggiungere il suo equilibrio interno e ha più o meno perduto la speranza di riuscirvi. E' l'espressione di una penosa solitudine e di un isolamento di cui molti soffrono. Quale ne è il motivo? C'è una via d'uscita?E' facile sollevare queste questioni, ma difficile rispondervi con un certo grado di sicurezza. Tenterò tuttavia, come meglio posso, sebbene sappia che i nostri sentimenti e i nostri sforzi siano spesso contradditori e oscuri e non possano essere espressi in formule semplici e chiare.
L'uomo è, nello stesso tempo, un essere solitario e sociale. Come essere solitario, egli tenta di proteggere la sua esistenza e quella di coloro che gli sono vicini, di soddisfare i suoi desideri personali e di sviluppare le sue innate capacità. Come essere sociale, egli cerca di guadagnarsi la stima e l'affetto degli altri esseri umani, di partecipare alle loro gioie, di confortarli nei loro dolori e di migliorare le loro condizioni di vita.
Solo l'esistenza di questi vari e spesso contradditori sforzi dà ragione del particolare carattere di un uomo, e le loro speciali combinazioni determinano in quale grado un individuo possa raggiungere un equilibrio profondo e contribuire al benessere della società. E' possibile che la relativa forza di questi due indirizzi sia in gran parte determinata dall'eredità. Ma la personalità che emerge alla fine è largamente formata dall'ambiente nel quale accade che l'uomo si trovi durante il suo sviluppo, dalla struttura sociale in cui cresce, dalle tradizioni di quella società e dal suo giudizio sui particolari tipi di comportamento. L'astratto concetto di "società" significa per l'essere umano individuale la somma totale dei suoi rapporti diretti e indiretti con i suoi contemporanei e con tutti gli uomini delle precedenti generazioni.L'individuo è in grado di pensare, sentire, lottare e lavorare da solo; ma è tale la sua dipendenza dalla società, nella sua esistenza fisica, intellettuale ed emotiva, che è impossibile pensare a lui o comprenderlo fuori dalla struttura della società. E' la "società" che provvede l'uomo del cibo, dei vestiti, della casa, degli strumenti di lavoro, della lingua, delle forme di pensiero e della maggior parte dei contenuti del pensiero; la sua vita è resa possibile dal lavoro e dalle realizzazioni dei molti milioni di uomini, passati e presenti, che si nascondono dietro la piccola parola "società".
E' evidente perciò che la dipendenza dell'individuo dalla società è un fatto di natura che non può essere abolito; proprio come nel caso delle formiche e delle api. Tuttavia, mentre l'intero processo della vita delle formiche e delle api è fissato fin nei più piccoli dettagli dai rigidi istinti ereditari, il modello sociale e le relazioni tra gli esseri sociali sono molto variabili e suscettibili di mutamenti. La memoria, la capacità di nuove combinazioni, il dono della comunicazione verbale hanno reso possibili tra gli essere umani sviluppi che non sono dettati da necessità fisiologiche. Tali sviluppi si manifestano in tradizioni, istituzioni e organizzazioni, nella letteratura, nel perfezionamento scientifico e costruttivo, in opere d'arte. Questo spiega come accade che, in un certo senso, l'uomo possa influenzare la propria vita con la sua condotta, e che in quel processo possano avere una parte il pensiero e la volontà consapevoli.
L'uomo acquista dalla nascita, per eredità, una costituzione biologica che dobbiamo considerare inalterabile e fissa, che contiene gli impulsi naturali caratteristici della specie umana. Inoltre, nel corso della sua vita, egli acquista un abito culturale che riceve dalla società per mezzo di un complesso di rapporti e di molte altre specie di influenze. Questo abito culturale, col passare del tempo, è soggetto a mutamento e determina in grado molto elevato le relazioni tra l'individuo e la società. Su questo possono poggiare le loro speranze coloro che lottano per migliorare il destino dell'uomo; gli esseri umani non sono condannati, a causa della loro costituzione biologica, ad annientarsi l'un l'altro o a essere alla mercé di un destino crudele.
Se ci domandiamo come la struttura della società e l'atteggiamento culturale dell'uomo dovrebbero essere modificati al fine di rendere la vita umana quanto più possibile soddisfacente, dobbiamo essere costantemente consci che vi sono certe condizioni che non possono essere modificate. Come ho già detto, la natura biologica dell'uomo non è soggetta a mutamenti, almeno praticamente. Inoltre, gli sviluppi tecnologici e demografici degli ultimi secoli hanno creato condizioni destinate a durare. In popolazioni stabili e di densità relativamente elevata, con i beni indispensabili alla loro esistenza, sono assolutamente necessari un'estrema divisione del lavoro e un sistema produttivo altamente centralizzato. Il tempo, ai nostri occhi così idillico, in cui gli individui o gruppi relativamente piccoli potevano essere completamente autosufficienti, è passato per sempre. E' appena una lieve esagerazione affermare che il genere umano costituisce fin d'ora una comunità planetaria di produzione e di consumo.
Eccomi giunto al punto in cui mi è possibile indicare brevemente che cosa per me costituisca l'essenza della crisi del nostro tempo. L'individuo è divenuto più che mai consapevole della sua dipendenza dalla società. Questa dipendenza però egli non la sente come positiva, come un legame organico, come un fatto produttivo, ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali o anche alla sua esistenza economica. Inoltre, la sua posizione nella società è tale che gli impulsi egoistici del suo carattere vanno costantemente aumentando, mentre i suoi impulsi sociali, che sono per natura più deboli, vengono di mano in mano deteriorandosi. Tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro posizione nella società, sono danneggiati da questo processo di deterioramento. Inconsciamente prigionieri del loro egoismo, essi si sentono malsicuri, soli e privi dell'ingenua, semplice e non sofisticata gioia della vita. L'uomo può trovare un significato alla vita, breve e pericolosa com'è, solo votandosi alla società.
L'anarchia economica della società capitalistica, quale esiste oggi, è secondo me la vera fonte del male. Vediamo di fronte a noi un'enorme comunità di produttori, i cui membri lottano incessantemente per privarsi reciprocamente dei frutti del loro lavoro collettivo, non con la forza ma, complessivamente, in fedele complicità con gli ordinamenti legali. Sotto questo punto di vista è importante comprendere che i mezzi di produzione -vale a dire tutta la capacità produttiva che è necessaria sia per produrre beni di consumo quanto per produrre capitale addizionale- può essere legalmente, e per la maggior parte dei casi è, proprietà dei singoli individui.
Per semplicità, nella discussione che segue, io chiamerò "lavoratori" tutti coloro che non partecipano alla proprietà dei mezzi di produzione, sebbene ciò non corrisponda all'uso abituale del termine. Il proprietario dei mezzi di produzione è in grado di comperare il potere-lavoro del lavoratore. Usando i mezzi di produzione, il lavoratore produce nuove merci che divengono proprietà del capitalista. Il punto essenziale di questo processo è la relazione tra ciò che il lavoratore produce e la misura in cui viene pagato, misurando entrambe le cose in termini di valore reale. Dal momento che il contratto di lavoro è "libero", ciò che il lavoratore percepisce è determinato non dal valore delle merci che produce, ma dalle sue esigenze minime e dalla richiesta capitalistica di potere-lavoro, in relazione al numero dei lavoratori che sono in concorrenza tra di loro per i posti di lavoro. E' importante comprendere che anche in teoria il pagamento del lavoratore non è determinato dal valore del suo prodotto.
Il capitale privato tende a essere concentrato nelle mani di una minoranza, in parte a causa della concorrenza tra i capitalisti e in parte per il fatto che lo sviluppo tecnologico e la crescente divisione del lavoro incoraggiano la formazione di più larghe unità di produzione a spese delle più piccole. Il risultato di questo sviluppo è un'oligarchia del capitale privato, il cui enorme potere non può essere effettivamente arrestato nemmeno da una società politica democraticamente organizzata. Ciò è vero dal momento che i membri dei corpi legislativi sono scelti dai partiti politici, largamente finanziati o altrimenti influenzati dai privati capitalisti che, a tutti gli effetti pratici, separano l'elettorato dalla legislatura.
La conseguenza si è che di fatto i rappresentanti del popolo non proteggono sufficientemente gli interessi degli strati meno privilegiati della popolazione. Inoltre, nelle condizioni esistenti, i capitalisti privati controllano inevitabilmente, in modo diretto o indiretto, le principali fonti d'informazione (stampa, radio, insegnamento). E' così estremamente difficile, e in realtà nella maggior parte dei casi del tutto impossibile, che il cittadino privato giunga a oggettive conclusioni e a fare un uso intelligente dei suoi diritti politici.
La dominante in un'economia fondata sulla proprietà privata del capitale è caratterizzata da due principi basilari: primo i mezzi di produzione (il capitale) sono posseduti da privati e i proprietari ne dispongono come meglio credono; secondo, il contratto di lavoro è libero. Naturalmente una società capitalistica pura, in questo senso non esiste. In particolare si dovrebbe notare che i lavoratori, attraverso lunghe e dure lotte politiche, sono riusciti ad assicurare per certe loro categorie una forma alquanto migliorata di "libero contratto di lavoro". Ma, presa nell'insieme, l'economia odierna non differisce dal "puro" capitalismo.
Si produce per il profitto, non già per l'uso. Non esiste alcun provvedimento per garantire che tutti coloro che sono atti e desiderosi di lavorare siano sempre in condizioni di trovare un impiego; un "esercito di disoccupati" esiste quasi in permanenza. Il lavoratore vive nel costante timore di perdere il suo impiego. Poiché i disoccupati e i lavoratori mal retribuiti non rappresentano un mercato vantaggioso, la produzione delle merci per il consumo è limitata, con conseguente grave danno. Il progresso tecnico spesso si risolve in una maggiore disoccupazione, piuttosto che in un alleggerimento del lavoro per tutti. Il movente dell'utile, insieme con la concorrenza tra i capitalisti, è responsabile dell'instabilità nell'accumulazione e nell'utilizzazione del capitale, destinata a portare a crisi sempre più gravi. Una concorrenza illimitata porta a un enorme spreco di lavoro e a quel deterioramento della coscienza sociale degli individui cui ho prima accennato.
Questo avvilimento dell'individuo io lo considero il maggior male del capitalismo. Tutto il nostro sistema educativo ne è danneggiato. Un'attitudine competitiva esagerata viene inculcata allo studente, così condotto, come preparazione alla sua futura carriera, ad adorare il successo.
Sono convinto che vi sia un solo modo per eliminare questi gravi mali: la creazione di una economia socialista, accompagnata da un sistema educativo volto a fini sociali. In una tale economia i mezzi di produzione sono di proprietà della società e vengono utilizzati secondo un piano. Un'economia pianificata che adatti la produzione alle necessità della comunità, distribuirebbe il lavoro tra tutti gli abili al lavoro e garantirebbe i mezzi di sussistenza a ogni uomo, donna e bambino.
L'educazione dell'individuo, oltre che incoraggiare le sue innate qualità, dovrebbe proporsi di sviluppare il senso di responsabilità verso i suoi simili, invece dell'esaltazione del potere e del successo che è praticata dalla nostra attuale società.
E' tuttavia necessario ricordare che un'economia pianificata non è ancora socialismo. Un'economia pianificata come questa può essere accompagnata dal completo asservimento dell'individuo. Il raggiungimento del socialismo richiede la soluzione di alcuni problemi politico-sociali estremamente difficili: come è possibile in vista di una centralizzazione di vasta portata del potere politico ed economico, impedire che la burocrazia divenga potente e prepotente? Come possono essere protetti i diritti dell'individuo ed essere con ciò assicurato un contrappeso democratico alla potenza della burocrazia?

Albert Einstein (da "Monthly Review", maggio 1949)

Flessioni e ri-flessioni. Di Luca Bagatin

Non ho una ideologia di riferimento.
Semplicemente perché non mi interessa avere una ideologia di riferimento.
Senza approfondimento, senza il "vivere" (storicamente parlando, dalla culla alla bara), le ideologie di riferimento sono poca cosa.
Si possono veicolare e approfondire le ideologie e farle proprie solo se le si rielaborano. Contribuendo così a narrare i fatti: sia quelli storici che quelli contemporanei e contingenti.
E così fu che nacque "Amore e Libertà" (www.amoreeliberta.blogspot.it ), un pensatoio (anti)politico, (contro)culturale e populista-socialista. Non ideologico, ma psicologico, spirituale, antropologico se vogliamo. 

Se oggi sostengo i comunisti in Italia, i bolivariani e i peronisti in America Latina, i nazionalbolscevichi e i comunisti in Russia e i socialisti rivoluzionari in Francia, non è per ragioni meramente ideologiche, ma pratiche.
Con la svendita del patrimonio statale, con le successive privatizzazioni selvagge, con l'avvento del capitalismo assoluto e del privato truffaldino, con la decadenza dei costumi, solo un socialismo autentico e originario può porre un minimo di ordine al caos creato da almeno vent'anni e oltre di politiche liberal capitaliste e avventuriste. 


Luca Bagatin