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martedì 30 aprile 2019
Venezuela. Guaidò incita i militari alla rivolta. Il governo socialista resiste. Articolo di Luca Bagatin tratto da "Alganews"
Nuovo tentativo di
destabilizzazione del Venezuela. Nuovo tentativo di incitamento alla
rivolta da parte dell'ex deputato Juan Guaidó, in un messaggio video
assieme a Leopoldo Lopez, ex leader dell'opposizione, già agli
arresti domiciliari con le accuse di istigazione alla violenza e
danneggiamento della proprietà pubblica nell'ambito delle proteste
di piazza del 2014. Guaidó questa volta si rivolge ai militari, che
invita a ribellarsi al governo legittimamente eletto e guidato dal
Presidente socialista Nicolas Maduro.
“E' in atto un
tentativo di golpe, lo stiamo sventando”, afferma il Ministro
della Comunicazione Jorge Rodriguez.
Il governo, attraverso il
suo Ministro, parla di un piccolo gruppo di soldati traditori che si
sono posizionati “nella zona di Altamira per promuovere un colpo
di stato contro la Costituzione e la pace della Repubblica”. E
ha proseguito affermando: “A questo tentativo si è unita la
destra estrema golpista e assassina che da mesi aveva annunciato la
sua agenda violenta. Chiediamo alle persone di rimanere in allerta in
modo che, insieme alla gloriosa Forza Armata Nazionale Bolivariana,
sconfiggeremo il tentativo di golpe e preserveremo la pace”.
Il Presidente
dell'Assemblea Costituente, Diosdado Cabello, ha chiamato a raccolta
i sostenitori del chavismo presso il palazzo presidenziale di
Miraflores, affermando, parlando alla tv di Stato VTV: “Ora
siamo schierati e invitiamo tutto il popolo di Caracas a venire qui a
Miraflores (…). Vediamo cosa possono fare contro il nostro popolo”,
rassicurando di avere l'esercito a sostegno del governo, così come
ha fatto il Ministro della Difesa venezuelano, Vladimir Padrino,
affermando: “Respingiamo questo movimento golpista. Gli pseudo
leader politici che si sono posti in prima linea in questo movimento
sovversivo hanno usato truppe e polizia con armi da guerra su una
strada pubblica della città per creare ansia e terrore”,
aggiungendo che la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (Fanb),
l'istituzione militare al servizio della Difesa, “resta ferma
nella difesa della Costituzione”.
Mentre dagli USA arrivano
le dichiarazioni del senatore repubblicano Marco Rubio, a sostegno
del colpo di stato, il Presidente della Bolivia Evo Morales condanna
“vigorosamente il tentativo di golpe in Venezuela” e si
dice convinto di un suo totale fallimento.
Luca Bagatin
sabato 27 aprile 2019
Sulle sterili contrapposizioni politiche, sulla figura del padre, sulla famiglia, sul matrimonio. Riflessioni brevi di Luca Bagatin
In ambito politico penso
che ci sia da sempre molta confusione.
Il problema, spesso e storicamente, sono le sterili divisioni e contrapposizioni.
Non avendo io mai avuto una ideologia di riferimento che non fosse la mia (libertaria in ambito personale, socialista in ambito economico, conservatrice in ambito sentimentale e spirituale), ho sempre fatto fatica a riconoscermi in tali contrapposizioni. Preferendo, quindi, tentare di riunire ciò che è e fu sparso.
Fu così che nacque il mio pensatoio/blog "Amore e Libertà", che, spero a settimane, diventerà anche il mio terzo saggio.
Il problema, spesso e storicamente, sono le sterili divisioni e contrapposizioni.
Non avendo io mai avuto una ideologia di riferimento che non fosse la mia (libertaria in ambito personale, socialista in ambito economico, conservatrice in ambito sentimentale e spirituale), ho sempre fatto fatica a riconoscermi in tali contrapposizioni. Preferendo, quindi, tentare di riunire ciò che è e fu sparso.
Fu così che nacque il mio pensatoio/blog "Amore e Libertà", che, spero a settimane, diventerà anche il mio terzo saggio.
(Luca Bagatin)
A volte sento qualcuno
dire che la figura del padre sarebbe scomparsa.
Mi è capitato di leggerlo anche in un commento di confronto a un mio vecchio video su YouTube, qualche giorno fa.
A me pare che più che altro siano i padri ad essere scomparsi.
Alcuni se ne vanno appena sanno di esserci diventati.
Altri se ne vanno dopo o poco dopo. Altri magari vengono mandati via, per un sacco di ragioni, spesso legittime. Però poi, decenni dopo, smettono di interessarsi comunque dei figli.
Penso che essere padri o genitori sia o debba essere una missione e una vocazione. Io non ci ero tagliato e sono rimasto figlio. Altri non ci erano tagliati, ma lo sono malauguratamente diventati. Salvo poi sottrarsi.
Su questo non si riflette mai.
Mi è capitato di leggerlo anche in un commento di confronto a un mio vecchio video su YouTube, qualche giorno fa.
A me pare che più che altro siano i padri ad essere scomparsi.
Alcuni se ne vanno appena sanno di esserci diventati.
Altri se ne vanno dopo o poco dopo. Altri magari vengono mandati via, per un sacco di ragioni, spesso legittime. Però poi, decenni dopo, smettono di interessarsi comunque dei figli.
Penso che essere padri o genitori sia o debba essere una missione e una vocazione. Io non ci ero tagliato e sono rimasto figlio. Altri non ci erano tagliati, ma lo sono malauguratamente diventati. Salvo poi sottrarsi.
Su questo non si riflette mai.
Se proprio dovesse essere utile una fazione, un partito, un convegno della famiglia, dovrebbe parlare di questo. Riflettere di questo. Anziché propagandare l'ideologia familista, come fosse un feticcio, dovrebbe promuovere la figura del genitore come una missione.
Ben consapevoli che di questa missione, come per ogni missione che si rispetti, potranno farsene carico pochissimi. Perché pochissimi potranno avere, nel mondo materiale, tale vocazione.
È un fatto.
(Luca Bagatin)
Non credo
nell'indissolubilità del matrimonio.
Credo nell'indissolubilità dell amore, che non ha nulla a che vedere con il matrimonio e men che meno con il patrimonio.
Credo nell'indissolubilità dell amore, che non ha nulla a che vedere con il matrimonio e men che meno con il patrimonio.
(Luca Bagatin)
Unidos Podemos...costruire la Civiltà dell'Amore
Questo blog/pensatoio, ha sempre sostenuto le istanze del partito spagnolo Podemos, i cui ideali si rifanno al Socialismo del XXI Secolo, alla democrazia diretta e partecipativa, all'ambientalismo, al populismo e al patriottismo comunitario.
Oggi Podemos si è allargato ad altre forze e ha cambiato nome, aggiungendo, nel simbolo, un cuore. Simbolo dell'Amore (e della Libertà). Simbolo che tanto ci è caro e che assunse anche Hugo Chavez - indimenticato Presidente socialista del Venezuela - nelle sue numerose uscite pubbliche e che ancora oggi è un importante simbolo del Socialismo del XXI Secolo.
Forse questo non è affatto un caso, anzi.
Ecco perché, ancora una volta, anche a questa tornata elettorale spagnola, vogliamo sostenere gli amici di Unidos Podemos.
Perché uniti, con la forza dell'Amore e della Libertà, possiamo battere le oligarchie liberal-capitaliste di destra e sinistra. Attuando e attualizzando una possibile economia socialista di non-mercato e una democrazia finalmente autentica, diretta a partecipativa.
E, chissà, un giorno, costruire la Civiltà dell'Amore. Dalle macerie dell'odio e del dolore.
Luca Bagatin
Luca Bagatin
www.lasonrisadeunpais.es
Vedi anche: http://amoreeliberta.blogspot.com/2015/12/e-lora-dei-popoli-affamati-dalla.html
Vedi anche: http://amoreeliberta.blogspot.com/2015/12/e-lora-dei-popoli-affamati-dalla.html
giovedì 25 aprile 2019
Argentina. Alla commemorazione del 70esimo anniversario del Primo Congresso Nazionale di Filosofia Dugin ricorda Peron. Articolo di Luca Bagatin
Nei giorni scorsi si è
tenuta, in Argentina, a Buenos Aires, la settimana di commemorazione
del 70esimo anniversario del Primo Congresso Nazionale di Filosofia,
che si tenne per la prima volta a Mendoza, nella primavera del 1949,
con la partecipazione dell'allora Presidente Juan Domingo Peron e di
sua moglie Evita, oltre che dei ministri del suo governo e dei
maggiori esponenti delle Università del Paese. Fu un evento
importante, perché per la prima volta fu organizzato un convegno di
filosofia a carattere nazionale, fortemente voluto e sostenuto dal
governo.
Quest'anno, fra gli
ospiti della settimana commemorativa, tenutasi presso la Facoltà di
Giurisprudenza dell'Università di di Lomas de Zamora, il filosofo
russo Aleksandr Dugin, autore de “La Quarta Teoria Politica”, i
cui fondamenti si basano sulla critica dei totalitarismi
novecenteschi, sul superamento di ogni scontro di civiltà, sulla
critica alla modernità e su un recupero del socialismo originario,
privo di ateismo, progressismo e materialismo.
In questo senso Dugin è
intervenuto ricordando la grande figura storica e politica di Peron,
affermando: “Peron è grande, è il profeta ontologico. Solo
Peron ha individuato nella sua visione il problema più importante:
quello dell'essere. E solo l'umanità può essere una comunità”.
E ha proseguito: “Le idee di Peron sono così universali, così
grandi, sono così simili ai sogni dei patrioti russi che posso
vedere la mia identità e i miei valori riflessi in essi (…), Juan
Peron è l'esempio da seguire per tutti i capi di Stato”.
Ricordando come sia stato “l'unico capo di Stato che ha
convocato un Congresso di Filosofia” e che “non solo
sapeva come ascoltare i filosofi, ma sapeva anche come fare la
filosofia”.
Citando uno fra i testi
fondamentali scritti da Peron, “La Comunità Organizzata”, i cui
concetti furono introdotti dal Presidente stesso proprio alla fine
del Congresso di Filosofia del 1949, Dugin ha fatto presente come:
“La Comunità Organizzata è la risposta filosofica su ciò che
l'Argentina è e dovrebbe essere, un'Argentina che è una comunità,
o non è, ed è una comunità in Sud America, perché c'è una
identità comune tra i popoli americani che si pensano ancora come
comunità” ed ha concluso ricordando come il pensiero
socialista di Peron sia stato volto a combattere i liberalismi di
destra e sinistra, ovvero la modernità e l'ideologia capitalista.
Al convegno è
intervenuto anche il politologo argentino Marcelo Gullo, il quale ha
fatto presente come oggi l'oligarchia finanziaria abbia
fondamentalmente due braccia: il neoliberismo e il progressismo e che
per contrastarla sia necessario un ritorno al pensiero di Peron.
Pensiero di Peron che,
ricordiamo, fu fortemente constrastato dalle dittature militari negli
Anni '60 e da quelle successive con a capo Videla; fu infangato da
finti peronisti come Menem – in realtà neo-liberali - e fu
recuperato solamente negli ultimi decenni da Nestor e Cristina
Kirchner, che hanno alleviato le sofferenze del Paese.
Non dimentichiamo che
oggi l'Argentina, governata dal liberale Mauricio Macri, è tornata
indietro di decenni in ambito sociale, civile ed economico e che
purtroppo il fronte peronista che gli si contrappone è ancora oggi
drammaticamente diviso. Fronte peronista che – per le elezioni
presidenziali dell'ottobre prossimo - dovrà fare quadrato e
decidere il suo candidato fra i nomi di Daniel Scioli e Cristina
Kirchner: il primo sconfitto da Macri per una manciata di voti e la
seconda, ex Presidentessa che ha governato il Paese risollevandolo da
povertà e analfabetismo.
Se dovessero presentarsi
questa volta con liste divise, il rischio di una nuova vittoria del
fronte liberal-capitalista potrebbe essere davvero molto forte. E per
l'Argentina sarebbero ancora tempi oscuri.
Luca Bagatin
martedì 23 aprile 2019
"Bandiera rossa": canzone repubblicana, mazziniana, garibaldina, oggi anche socialista e comunista
In pochi sanno o ricordano che l'inno "Bandiera rossa" ha origini repubblicane, mazziniane e garibaldine.
La canzone sembra essere romagnola e, originariamente, il suo titolo era "Bangera rossa", scritto da un Anonimo del 1900. I personaggi citati nella canzone originaria erano Giovan Battista Pirolini e Roberto Mirabelli, esponenti e deputati del Partito Repubblicano Italiano di Ravenna, quando ancora quello storico partito predicava la cooperazione operaia, l'autogestione e l'unione del capitale e del lavoro nelle stesse mani, ovvero si opponeva al capitalismo e al liberalismo e i suoi ideali erano, assieme a quelli socialisti e anarchici, una delle colonne portanti della Prima Internazionale dei Lavoratori del 1864.
Questo il testo originario, con tanto di breve storia, che è reperibile al seguente link: http://www.ritosimbolico.it/studi2/canti/10.html
Sta forte o Pirulini
e non ti avelire
che prima di morire
repubblica farem.
Allegro popolo
a la riscossa
bangera rossa
trionferà.
Bangera rossa la s’indosserà
evviva la repubblica e la libertà.
Giovan sono
e pensier non ho
se passa Garibaldi
a voi andè cun lò.
Allegro popolo noi siam fratelli
con Mirabelli vogliam marciar.
Con Mirabelli
noi vogliam marciar
evviva la repubblica e la libertà
Da ex iscritto al PRI oggi, riconosco per molti versi nei comunisti del Partito Comunista quella continuità ideale, risorgimentale e socialista.
Per cui dico volentieri: bentornata bandiera rossa !
Evviva la Repubblica, il Socialismo, l'Amore e la Libertà !
sabato 20 aprile 2019
venerdì 19 aprile 2019
Ecuador. Nuove persecuzioni politico-giudiziarie contro esponenti socialisti. E' la volta dell'ex Ministro Patino. Articolo di Luca Bagatin
L'Ecuador sta tornando
indietro di decenni. Sta tornando ai tempi nei quali era suddito
degli USA e preda delle oligarchie economiche e di politici corrotti.
L'attuale Presidente
dell'Ecuador, Lenin Moreno, una volta eletto nel maggio 2017 con i
voti socialisti quale successore dell'ex Presidente Rafael Correa (di
cui fu Vicepresidente), ha tradito da tempo i suoi elettori e il suo
mandato. Ha via via distrutto ogni conquista sociale, civile e civica
della “Revolucion Ciudadana” (Rivoluzione Cittadina) e fatto
arrestare – pochi mesi dopo la sua elezione - prima il suo Vice,
Jorge Glas, con un'accusa di corruzione ancora tutta da provare (e
che è ancora in carcere, in precarie condizioni di salute) e oggi
vuole far arrestare l'ex Ministro degli Esteri di Correa, Ricardo
Patiño, colui il quale rinegoziò il debito pubblico con l'estero;
diede priorità allo sviluppo umano; fece espellere l'Ambasciatrice
USA e diede asilo politico all'attivista libertario Julian Assange
nell'Ambasciata dell'Ecuador di Londra.
Quel Julian Assange la
cui protezione è stata tolta proprio da Lenin Moreno di recente.
Forse perché, come riportato dal “The Guardian”, WikiLeaks
potrebbe essere sospettato di collegamento con un sito web anonimo
che ha accusato il fratello di Moreno di aver aperto delle società
offshore. La medesima accusa che peraltro ha mosso, su Twitter, anche
l'ex Presidente Rafael Correa a Moreno stesso.
Ad ogni modo, oggi è il
turno di Ricardo Patiño. Accusato di istigazione alla protesta
contro il governo, unicamente in quanto ha invitato, durante una
riunione del partito “Revolucion Ciudadana” - il nuovo partito
socialista dei sostenitori dell'ex Presidente Correa - a protestare
contro Lenin Moreno.
Patiño, durante una
intervista rilasciata a teleSur, ha parlato di “chiarissima
persecuzione politica” e ha sostenuto che “le autorità
vogliano liquidare il correismo”, utilizzando la giustizia a
questo scopo. Questo ricorda peraltro molto il periodo della
tangentopoli italiana e l'accanimento contro il socialista Bettino
Craxi, ma anche le accuse di corruzione mosse ai socialisti Lula e a
Dilma Roussef in Brasile e alla peronista Cristina Kirchner. Ovvero a
tutti coloro i quali non si erano allineati al verbo liberal
capitalista a guida USA e hanno attuato politiche in favore delle
classi più povere e indigenti.
Nell'intervista, Patiño
ha proseguito affermando: “Quando governavamo abbiamo colpito
gli interessi dei più ricchi, abbiamo distribuito la ricchezza in
forma adeguata e questo non lo hanno sopportato. Si vendicano
aggredendoci. Lo Stato agisce in funzione della vendetta e non della
giustizia”.
Su Patiño pende inoltre
un'altra accusa, che sembra ormai “di moda”, ovvero quella di
essere in combutta con fantomatici “hacker russi e svedesi”
attraverso i quali avrebbe tentato, nientemeno, di destabilizzare il
governo di Lenin Moreno (sic !).
Patiño ha ricordato che
la sua lotta è “per le strade” e non certo attraverso
fantomatici hacker.
Il giudice Flavio Palomo
ha emesso un ordine di detenzione preventiva contro l'ex Ministro
degli Esteri Patiño per il presunto reato di istigazione alla
protesta.
Patiño si è a sua volta
rifugiato in Perù al fine di sfuggire alla persecuzione politica,
operata da un governo che ha tradito completamente ogni ideale
socialista.
Luca Bagatin
mercoledì 17 aprile 2019
Brevi riflessioni su Radio Radicale, il socialismo, la sinistra e il web. A cura di Luca Bagatin
Su Radio Radicale sembra sceso un pregiudizio politico. In parte comprensibile.
Senza più la forza di Marco Pannella, con una lista "radical boniniana" percepita e non a torto come la rappresentante dell'establishment e con un partito radicale transnazionale sempre meno significativo, era difficile aspettarsi diversamente.
A me spiace, perché Radio Radicale è stata spesso una voce libera. Però mi sembra un po' la metafora del radicalismo italiano: da avanguardia libertaria contro il sistema a gruppo liberal capitalista assoluto.
Chi vuole confrontarsi con il "mercato", anziché combatterlo, non può che aspettersi che questo. Ovvero che il "mercato", appunto, soffochi ogni voce libera.
Senza più la forza di Marco Pannella, con una lista "radical boniniana" percepita e non a torto come la rappresentante dell'establishment e con un partito radicale transnazionale sempre meno significativo, era difficile aspettarsi diversamente.
A me spiace, perché Radio Radicale è stata spesso una voce libera. Però mi sembra un po' la metafora del radicalismo italiano: da avanguardia libertaria contro il sistema a gruppo liberal capitalista assoluto.
Chi vuole confrontarsi con il "mercato", anziché combatterlo, non può che aspettersi che questo. Ovvero che il "mercato", appunto, soffochi ogni voce libera.
La differenza abissale fra il socialismo e la sinistra sarà evidente anche alle elezioni europee di quest'anno.
Socialista sarà ad esempio la lista del Partito Comunista, alternativa al capitalismo, all'ideologia del mercato e della crescita economica "illimitata".
La sinistra presenta diverse liste, più o meno "liberal", tutte con un progetto interno al sistema del capitale e della sua riproduzione sistematica, in una spirale viziosa senza fine. Una spirale infinita di nuove povertà e nuove diseguaglianze.
Socialista sarà ad esempio la lista del Partito Comunista, alternativa al capitalismo, all'ideologia del mercato e della crescita economica "illimitata".
La sinistra presenta diverse liste, più o meno "liberal", tutte con un progetto interno al sistema del capitale e della sua riproduzione sistematica, in una spirale viziosa senza fine. Una spirale infinita di nuove povertà e nuove diseguaglianze.
Sono sul web dal 2002. Stabilmente dal
2004. Come blogger e autore.
Ho notato che il web sta diventando sempre più come la TV. Non un "luogo", per quanto virtuale, nel quale scambiarsi idee, opinioni, approfondimenti, ma un contenitore per fare soldi attraverso la pubblicità. Ovvero un "luogo" dove diffondere merda e banalità, funzionali al consumo facile. Come il mercato, che è la merda del mondo sedicentemente civilizzato.
Andando avanti, temo sarà anche peggio.
Il che mi ha non poco deluso.
Ho notato che il web sta diventando sempre più come la TV. Non un "luogo", per quanto virtuale, nel quale scambiarsi idee, opinioni, approfondimenti, ma un contenitore per fare soldi attraverso la pubblicità. Ovvero un "luogo" dove diffondere merda e banalità, funzionali al consumo facile. Come il mercato, che è la merda del mondo sedicentemente civilizzato.
Andando avanti, temo sarà anche peggio.
Il che mi ha non poco deluso.
lunedì 15 aprile 2019
Kazakistan e Cina: alternative multipolari. Intervista di Luca Bagatin al direttore di "Scenari Internazionali" Andrea Fais
E' sempre di più
l'Eurasia e il Sud-est asiatico l'alternativa ad un mondo unipolare,
a guida Statunitense e capitalista.
Lo vediamo con la
Repubblica Popolare Cinese, la quale è ormai la prima potenza del
pianeta e ciò grazie ad un socialismo “con caratteristiche
cinesi”, un'economia centralizzata, ma allo stesso tempo aperta
allo scambio ed una politica estera volta a rapporti pacifici e
duraturi con tutti i partner mondiali.
E lo vediamo con il
Kazakistan che, anche dopo il colpo di stato in Unione Sovietica ed
il conseguente smantellamento del comunismo ad Est, è riuscito a
ritagliarsi un ruolo fondamentale quale Repubblica indipendente,
eurasiatica e multipolare.
E ciò grazie al suo
ultimo Presidente, Nursultan Nazarbayev, ex operaio siderurgico che
che è stato anche l'ultimo dei Segretari del Partito Comunista
Kazako nel 1991 e colui il quale ha preso in mano le redini del
Paese, con il suo partito Nur Otan, sino ad oggi.
Il Kazakistan, posto al
confine fra Russia e Cina, rappresenta un importante trait-d'union
fra le due realtà.
Grazie al suo progetto di
Unione Economica Eurasiatica e di pianificazione economica che rende
questo Paese simile alla Cina socialista ma aperta al mercato,
Nazarbayev ha messo al centro del suo progetto l'essere umano e la
sua emancipazione ed è riuscito ad aumentare la retribuzione media
di ben cinque volte rispetto agli Anni '90 e ad accrescere di tre
volte le pensioni. L'aspettativa di vita in Kazakistan è
notevolmente cresciuta e così il PIL, che è uno dei più alti al
mondo, anche grazie agli investimenti nella costruzione di scuole e
strutture sanitarie pubbliche e abitazioni.
Da poche settimane il
Presidente Nazarbayev, giunto all'età di quasi 80 anni, nonostante
il grande consenso popolare, che lo ha portato più volte ad essere
rieletto con oltre il 90% dei consensi, si dimesso. Il motivo è che
il suo governo non è riuscito ad eradicare completamente la povertà
e a diversificare l'economia, oggi fortemente dipendente dal
settore degli idrocarburi.
Di Kazakistan e Sud-est
asiatico parliamo con Andrea Fais, giornalista, saggista, e direttore
della rivista “Scenari Internazionali”, nonché co-autore dei
saggi “Il Risveglio del Drago. Politica e strategie della rinascita
cinese” e “La Grande Muraglia. Pensiero politico, territorio e
strategia della Cina Popolare”, e autore de “L'Aquila della
Steppa. Volti e prospettive del Kazakistan”, che si avvale della
prefazione del filosofo e politologo russo Aleksandr Dugin, relativo
alla situazione socio-economica del Kazakistan odierno.
Iniziamo dalla fine,
ovvero dalle motivazioni che hanno portato l'ormai ex Presidente
kazako Nursultan Nazarbayev a dimettersi e a trasferire, ad interim,
i suoi poteri all'attuale Presidente del Senato Kassym-Zhomart
Tokayev. Cosa puoi dirci in merito ? Quali saranno i successivi
sviluppi ? C'è chi parla, quale successore, alle prossime elezioni,
della figlia di Nazarbayev, Dariga. E' così ?
Non saprei rispondere a
quest'ultima domanda. Credo che sia prematuro parlarne, almeno fino a
quando non saranno presentate ufficialmente le candidature. Ad ogni
modo, la leadership di Nazarbayev era evidentemente giunta a
compimento, esaurendo il tempo naturale a sua disposizione. L'età e
le non perfette condizioni di salute avevano già messo in dubbio la
sua presenza alle ultime elezioni presidenziali di quattro anni fa.
Eppure, l'elevatissimo consenso ottenuto aveva evidentemente convinto
Nazarbayev a restare in sella ancora per qualche tempo.
Oggi, come giustamente ha
fatto notare lo stesso ex Presidente nel suo messaggio al Paese,
c'era invece bisogno di un passo indietro per dare spazio ad una
nuova generazione che dovrà guidare il Paese da qui al 2030, sulla
scia della strategia nazionale lanciata nel 1997, preparando le basi
per gli obiettivi al 2050, seguendo l'impronta della strategia
nazionale lanciata nel 2012. Certo, non sarà facile trovare una
figura altrettanto capace e carismatica. L'eredità politica dei
ventotto anni di Nazarbayev alla presidenza della Repubblica è
sostanziosa: ci sono tantissimi programmi da implementare, completare
e mettere a regime, a partire da Nurly Zhol, il piano di
stimolo economico lanciato alla fine del 2014 per modernizzare le
infrastrutture a tutti i livelli e per imprimere dinamismo alla
piccola e media impresa, e dai Cento Passi Specifici per
Implementare le Cinque Riforme Istituzionali, che dovranno
ridefinire l'architettura complessiva del Paese rendendo lo Stato più
snello, coeso, efficace, digitale e business-friendly.
Il Kazakistan è un
esempio virtuoso di come una ex Repubblica Sovietica, pur dopo lo
smantellamento del comunismo in URSS, è riuscita non solo ad
emanciparsi, ma anche ad elevare il tenore di vita dei suoi stessi
cittadini e ciò grazie al forte intervento statale e ad un progetto
che ha messo al centro non già l'economia, ma il benessere della
popolazione. Cosa puoi dirci, relativamente a tale aspetto ?
A differenza di quanto
avvenuto in Russia, negli anni Novanta, la stabilità e il
ruolo-guida dello Stato hanno permesso al Paese di sviluppare, in un
clima di relativa tranquillità, una nuova repubblica indipendente,
simboleggiata dalla posa, nel 1997, della prima pietra della moderna
e futuristica capitale, Astana, recentemente ribattezzata Nur-Sultan,
in onore del Presidente uscente.
Quella kazaka è
un'economia di mercato in costruzione ed il vecchio modello, fondato
principalmente sull'industria estrattiva, non è ancora stato
superato, con gli idrocarburi ancora troppo incisivi sull'export del
Paese. Stando agli ultimi rapporti dello scorso anno, il Kazakhstan è
28° nella classifica Doing Business della Banca Mondiale. Tre anni e
mezzo fa era al 41° posto. Per quanto riguarda l'Indice di
Competitività Globale, redatto dal Forum Economico Mondiale, è
invece al 59° posto, perdendo terreno rispetto a tre anni fa.
Insomma, le riforme vanno avanti ma necessitano ancora di diversi
anni di lavoro che il nuovo presidente sarà chiamato a svolgere.
Tuttavia sono stati
compiuti passi in avanti notevoli. In generale, c'è oggi in
Kazakistan maggior spazio per l'industria leggera, orientata anche e
soprattutto ai consumi interni, in particolare per quanto riguarda i
settori alimentare, tessile, elettronico e farmaceutico. Più risalto
è stato dato anche al settore delle energie rinnovabili, che ha
ispirato l'Expo di Astana due anni fa. Al tempo stesso, una maggiore
attenzione ai bisogni del cittadino ha messo al centro dell'azione di
governo un'idea di welfare più concreta di cui, tuttavia, vedremo
gli effetti più importanti nei prossimi anni.
Il Kazakistan si trova
posto fra la Russia, con la quale condivide un ottimo rapporto
socio-economico - anche all'interno dell'Unione Economica Eurasiatica
- e la Cina.
La Cina è sempre più,
ormai da tempo, forse la prima potenza mondiale e lo stiamo vedendo
anche grazie agli investimenti cinesi in Europa, oltre che da tempo
in America Latina ed Africa, pur senza voler imporre il suo modello e
senza voler colonizzare quei territori.
In merito hai
collaborato alla stesura di ben due saggi. Qual è la tua opinione in
merito ?
Se parliamo in termini di
PIL nominale, la Cina è ancora seconda dietro gli Stati Uniti. Se
prendiamo a riferimento il PIL a parità di potere d'acquisto, già
da tempo la Cina è la prima economia mondiale. I due saggi citati
risalgono a 7-8 anni fa, c'era ancora Hu Jintao alla guida del Paese.
Permane, di fondo, l'idea generale secondo cui il mercato debba
svolgere un ruolo sempre più decisivo nel processo di allocazione
delle risorse ma con Xi Jinping la situazione è notevolmente
cambiata. La nuova contraddizione principale individuata dalla
leadership è quella fra uno sviluppo sbilanciato e le aspirazioni
della popolazione ad una migliore qualità della vita. Il paradigma
economico cinese è ora incentrato su un modello di crescita
sostenibile, fondato sulla qualità manifatturiera, piuttosto che
sulla quantità, dove sarà sempre più decisivo il ruolo delle
start-up e degli innovatori in generale, secondo un'idea di
imprenditorialità di massa.
La riforma strutturale
dell'offerta adottata da Pechino ha semplificato la macchina
amministrativa e ha ridotto gli oneri fiscali e burocratici per
milioni di micro, piccole e medie imprese, specie in settori come
l'hi-tech, la salute e l'ambiente. Con la nuova legge sugli
investimenti approvata dall'ultima Assemblea Nazionale del Popolo a
marzo, che entrerà in vigore il primo gennaio 2020, il Paese ha
inoltre aperto in modo più forte il mercato cinese al resto del
mondo fornendo nuove e più efficaci garanzie sia sulla parità di
trattamento che sui diritti di proprietà intellettuale.
La Cina è indubbiamente
la realtà contemporanea più dinamica ed è normale che questo suo
dinamismo coinvolga tanti Paesi nel mondo, a partire da quelli che,
partendo da condizioni di indigenza e sottosviluppo analoghe a quelle
della Cina di quaranta o cinquant'anni fa, vogliono ripercorrerne le
orme. L'importante è capire che non esiste più un modello politico
ed ideologico universale, ma che ogni realtà seguirà una propria
strada e le classi dirigenti di tutto il mondo saranno giudicate dai
rispettivi corpi sociali sulla base dell'efficacia nel fornire ai
cittadini e alle imprese risposte rapide, servizi di qualità,
ecosistemi funzionali e città vivibili. Ha ragione Parag Khanna nel
suo La rinascita delle città-stato, quando cita la Svizzera e
Singapore come due modelli con precise caratteristiche di riferimento
per poter definire l'assetto politico nell'era della post-democrazia,
un assetto che lui chiama "tecnocrazia diretta", ma che in
realtà è una sorta di democrazia risolutiva partecipata.
L'Eurasiatismo è una
corrente di pensiero elaborata da Konstantin Leont'ev nell'800, la
quale è volta a recuperare la spiritualità del cristianesimo
ortodosso contrapposta al razionalismo e al materialismo occidentale.
Resa attuale dal filosofo Aleksandr Dugin e da lui coniugata alla
geopolitica, l'Eurasiatismo, oggi, si propone di unificare i Paesi
postsovietici a quelli europei, in chiave anti-statunitense e
anti-atlantica, al fine di costituire un nuovo ordine globale fondato
sul multipolarismo e la cooperazione pacifica internazionale.
Pensi che tale visione
possa essere condivisibile ? E, se sì, perché ?
In origine,
l'eurasiatismo era semplicemente un tentativo di fornire un'identità
culturale e spirituale comune al vastissimo territorio dell'Impero
russo, ritenuto un plesso non appartenente né all'Europa né
all'Asia, definito appunto col nome di "Eurasia", un luogo
a cavallo - per così dire - fra i due continenti, dove convivevano
decine di popoli, lingue ed etnie riconducibili principali a tre
ceppi: indoeuropeo, uralo-altaico e paleosiberiano. A queste si
aggiungevano nell'area caucasica realtà etno-linguistiche autoctone,
come il georgiano o l'abcaso. Anche secondo il punto di vista
scientifico di Lev Gumilëv, l'etnogenesi eurasiatica altro non era
che la formazione storico-geografica di questo grande spazio compreso
fra Europa ed Asia, tuttavia né pienamente europeo né pienamente
asiatico.
Il neo-eurasiatismo è
qualcosa di diverso, è un vero e proprio progetto
politico-ideologico rispetto al quale personalmente ho sempre nutrito
dubbi. Non soltanto perché certe distanze culturali e religiose sono
incolmabili (basti solo pensare allo scontro russo-ucraino o alle
tensioni russo-polacche tanto per restare fra popoli slavi, senza
nemmeno tirare in ballo quelli musulmani), ma perché credo nessuno
senta il bisogno di tornare alla geopolitica dei blocchi
contrapposti, anzi: la logica dello scontro di civiltà è qualcosa
contro cui, personalmente, mi sono sempre battuto. Condivido l'idea
che il concetto stesso di "fine della storia", espresso da
Francis Fukuyama alla fine degli anni Ottanta, altro non sia che un
feticcio ideologico del secolo scorso, ma ormai è semplicemente
contraddetto dai fatti, non c'è bisogno di affrontarlo di petto.
Va poi ricordato che
Dugin espone questa teoria fra gli anni Novanta e i primi anni
Duemila, in piena epoca "unipolare", come l'ha spesso
descritta, quando cioè gli Stati Uniti erano la sola superpotenza
superstite della Guerra Fredda e potevano disporre di un raggio
d'azione globale praticamente illimitato a livello strategico, che
non di rado ha visto Washington scavalcare persino l'ONU stessa. Il
quadro di oggi è molto diverso, è sempre più caratterizzato dalla
costruzione di un ordine multipolare, dove non solo le potenze del
BRICS, ma anche altri attori stanno emergendo. Già si parla da anni
di MINT (Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia). Decisiva è in
particolare la capacità delle potenze emergenti di coinvolgere altri
Paesi, di diventare un magnete economico, finanziario, sociale e
culturale: anche qui la Cina è in pole position.
Altro discorso è invece
quello relativo all'integrazione regionale, alla cooperazione
politica ed economica o alla reciproca comprensione e conoscenza,
anche a scopo di promozione turistica dei territori. Questo, in Asia,
vale non solo per i Paesi ex sovietici, ma anche per il Medio
Oriente, la regione Asia-Pacifico e per il Subcontinente indiano. In
questo senso, Europa ed Asia dovranno indubbiamente rafforzare le
piattaforme di dialogo già in essere da anni, come l'ASEM, e crearne
di nuove su temi specifici. L'iniziativa cinese Belt and Road, cui
l'Italia ha aderito il mese scorso, è un passo in avanti enorme in
questa direzione.
Luca Bagatin
sabato 13 aprile 2019
La vita di Mu'Ammar Gheddafi raccontata nel romanzo di Andrea Sammartano. Articolo e intervista di Luca Bagatin
Questa è la storia
dell'umile beduino della tribù dei Quadhadhfa, figlio di umili
beduini del deserto libico. Suo padre combatté contro l'invasore
fascista - durante la Seconda Guerra Mondiale - e lui stesso, all'età
di sei anni, a causa dell'esplosione di una mina risalente al periodo
bellico, rimase ferito a un braccio e due suoi cugini persero la
vita.
E' la storia di come
questo umile beduino del deserto, animato di ideali rivoluzionari,
laici, socialisti autentici che ebbe modo di scoprire attraverso i
suoi studi, divenne l'emancipatore e il leader – dal 1969 sino alla
sua barbara uccisione, nel 2011 – della Libia.
E' la storia di Mu'Ammar
Gheddafi, il Rais che – con un colpo di stato antimonarchico, senza
alcuno spargimento di sangue, guidato da lui e altri 12 militari di
umili origini – il 1 settembre 1969, proclamerà la Gran Jamahirya
Araba Libica Popolare Socialista, spazzando via il Re corrotto e la
sua corte, servile nei confronti di Gran Bretagna e USA;
nazionalizzando le risorse del Paese a beneficio della comunità e
dando il via a una repubblica delle masse, ovvero a una forma di
democrazia diretta, sulla base degli insegnamenti di Rousseau e di
Proudhon.
Gheddafi era ispirato
dalla rivoluzione sociale e socialista dell'egiziano Nasser e, come
Nasser, il suo ideale era quello di unificare i popoli arabi in una
grande repubblica laica, socialista, sovrana, antifondamentalista e
antimperialista. Non allineata né all'imperialismo USA né
all'Unione Sovietica e con un sistema socio-politico alternativo sia
al capitalismo che al comunismo, come peraltro già avvenuto decenni
prima nell'Argentina di Juan Domingo Peron.
Quella di Gheddafi è la
storia di un umile beduino diventato leader e simbolo di lotta
socialista, laica e panafricana. Un umile beduino che – come ebbe
egli stesso a scrivere nella sua raccolta di racconti “Fuga
dall'inferno e altre storie” - amava le campagne e detestava le
città; amava l'ambiente e la ricchezza della terra e rifuggiva
l'urbanizzazione; amava le masse, ma detestava la tirannia della
maggioranza; amava la sua religione, ma rifuggiva dalle superstizioni
e dal fondamentalismo che generava guerre e divisioni.
Sulla base di tali suoi
ideali utipici, ma allo stesso tempo concreti, nel 1975, redasse
persino un “Libro Verde”, nel quale li mise nero su bianco,
sviluppando quella che chiamerà Terza Teoria Universale (vedi
http://amoreeliberta.blogspot.com/2015/09/il-libro-verde-di-muammar-gheddafi.html).
La storia di questo umile
beduino è raccontata dallo scrittore Andrea Amedeo Sammartano, egli
stesso nato a Tripoli, in Libia, nel 1950. Andrea Sammartano lo fa
nella forma del “racconto autobiografico”, laddove a ripercorrere
la sua autobiografia è lo stesso Gheddafi, attraverso le parole di
Sammartano, il quale immagina il Rais libico – costretto a
rifugiarsi nel condotto idrico per sfuggire ai bombardamenti della
NATO, nel 2011 – mentre riesamina la sua vita.
“Chiudo gli occhi due
secondi, miei poveri detrattori. Ecco a voi il mio cammino
inviolato”, edito da Italic (www.italicpequod.it),
è il racconto della vita di Gheddafi. Dall'infanzia sino alla
maturità e all'atroce morte, nelle mani dei suoi nemici, con il
concorso di USA (guidati dal tanto ingiustamente osannato Obama),
Francia, Gran Bretagna e NATO intera, che non hanno avuto pietà per
l'unico simbolo dell'argine contro il fondamentalismo islamico e
unico simbolo moderno dell'unità dei popoli africani liberi e
sovrani, uniti nella bandiera della laicità e del socialismo.
Il romanzo/racconto di
Sammartano, scritto con uno stile letterario piuttosto aulico e
forbito, è uno scritto che ricostruisce – con dati storici alla
mano – la vita di un uomo considerato, spesso a torto, controverso
e, forse non a caso, rivalutato da molti post-mortem. Un po' come
accaduto, peraltro, ad uno dei suoi contemporanei e con il quale ebbe
rapporti di amicizia, ovvero al già Presidente del Consiglio
italiano, il socialista Bettino Craxi. Altro amico dei popoli e dei
Paesi liberi e sovrani, la cui triste fine politica non coincise
affatto con la fine del suo pensiero e del suo ricordo, nella mente
di coloro i quali lo hanno sostenuto e hanno compreso la lungimiranza
della sua azione. Lungimiranza e visione oggi del tutto assente nella
prospettiva dei politici odierni, sia italiani che europei.
Questo di Andrea Amedeo
Sammartano è il suo secondo romanzo. Nel 2012, pubblicò infatti
“Festa grande alla Dahara”, che ha suscitato l'interesse della
Stony Brook University e della Hofstra University di New York.
Romanzo ove l'autore si
racconta in terza persona, figlio di colonialisti italiani in Libia,
il quale cerca in tutti i modi di integrarsi fra i libici. Anche
quando sarà costretto a lasciare la Libia, con l'avvento al governo
di Gheddafi, nessuna amarezza o risentimento lo toccherà. Rimane
infatti in lui l'amore per quella terra e la comprensione che ogni
popolo nasce libero e non può mai essere colonizzato e soggiogato da
nessun altro popolo.
Andrea Sammartano |
Ho avuto la possibilità
di intervistare Andrea Sammartano, relativamente alle sue opere.
Luca Bagatin: I
due romanzi che hai scritto sono ambientati in Libia, tua terra
natia. Cosa ricordi della tua infanzia in quella terra ?
Andrea Sammartano:
Alla luce della mia esperienza di vita in Italia, Paese nel quale
risiedo dal 1970, potrei affermare di non avere ricordi della vita
trascorsa in Libia e tento di spiegare perché.. La mia nascita e poi
la mia residenza in Libia durata diciannove anni, hanno determinato
all'interno del mio sentire un cambio di identità totale. Da
italiano in quanto figlio di italiani e di conseguenza della loro
cultura, mi sono trasformato nel corso degli anni in un libico. Cosa
ha causato questo totale cambio di identità ? In primo luogo aver
saputo molto precocemente la verità nascosta per molto tempo sulla
crudeltà della colonizzazione italiana in Libia. Questa ha provocato
la forte necessità di una richiesta di perdono, prima nei confronti
di tutti i libici con i quali avevo a che fare ogni giorno, e poi nei
confronti di tutto il popolo libico. L'unico modo che ho ritenuto
fosse valido per raggiungere lo scopo, è stata la mia completa
integrazione negli usi, nei costumi e, aspetto più importante, nel
loro modo di sentire. In definitiva sposare la loro cultura. Scusa
questa lunga premessa alla domanda, ma forse attraverso questa,
riuscirò a farti comprendere come mi sono cimentato a vivere qui in
Italia come se fossi stato sempre in Libia, quindi evitando, non
sempre riuscendoci, i ricordi che oltre a provocare nostalgia non
rappresentano la realtà.
Luca Bagatin:
Gheddafi, una volta diventato leader della Libia e avendola
liberata da ogni colonialismo, esproprierà gli italiani – giunti
in Libia per volere del Duce - dei propri beni e delle proprie
attività economiche. Tu stesso, come racconti anche nel primo
romanzo, sei figlio di colonialisti italiani. Come hai vissuto
l'abbandono di quella terra ? Cosa ne pensi di quella decisione presa
da Gheddafi, oltre che colonialismo italiano in Libia ?
Andrea Sammartano:
La decisione di Gheddafi di espellere i cittadini italiani
in Libia nel 1970 è derivata da numerose circostanze. Ne citerò per
brevità solo tre. La prima riguarda la crudeltà dimostrata durante
la colonizzazione dall'esercito italiano. La seconda il comportamento
di indisponibilità del governo italiano nel momento in cui Gheddafi
ha chiesto il riconoscimento del nuovo Stato libico e l'indennizzo
dei danni provocati dall'invasione coloniale. La terza concerne la
supponenza culturale della maggior parte dei residenti italiani in
Libia nei confronti dei libici. Credo di rispondere a tutte le tue
domande aggiungendo che ho ritenuto legittime le considerazioni che
hanno portato Gheddafi a espellere la comunità italiana.
Luca Bagatin: Hai
deciso di scrivere un romanzo su Gheddafi, attraverso un ipotetico
racconto autobiografico scritto da Gheddafi stesso. Come mai questa
scelta ?
Andrea Sammartano:
Sono partito dalla condizione
più oggettiva possibile. Ho scritto sulla vita e sul pensiero di
Muammar al Gheddafi sulla scorta di un lungo studio del suo operato
e, grazie a fortunate e numerosissime interviste effettuate presso
l'Università di Perugia dove risiede la più consistente comunità
libica in Italia. Con un pizzico di presunzione ritengo il contenuto
del libro non così ipotetico.
Luca Bagatin: Chi
era, secondo te, Mu'Ammar Gheddafi ? Quale la sua eredità politica ?
Andrea Sammartano:
Uno dei rivoluzionari più
coerenti dei nostri giorni. Riguardo alla sua eredità politica, la
Libia ha rappresentato uno Stato unito, sovrano e rispettato in tutto
il mondo solamente sotto il suo regime. Aggiungo il tentativo di
proporre una democrazia diretta. La realizzazione di una
emancipazione scolastica dopo un esagerato analfabetismo.
L'emancipazione femminile. Il basso costo della vita ma, sopra tutto,
il contrasto spietato al consumismo dilagante nei paesi arabi e la
difesa dei valori culturali e religiosi della Libia. Il suo evidente
panafricanismo. Aspetti che lo ha portato alla sua condanna a morte.
Luca Bagatin: La
Libia, dal 2011, è nel caos. Oggi ancor più di prima. Cosa ne pensi
dell'attuale situazione ?
Andrea Sammartano:
La Libia è dilaniata nel suo tessuto interno dal sopravvento delle
realtà libiche legate a interessi stranieri come ai tempi della
Monarchia defenestrata da Gheddafi.
Luca Bagatin: Stai
lavorando a un nuovo romanzo o pensi comunque di scriverne un terzo ?
Andrea Sammartano:
Sto lavorando con uno storico
libico alla stesura di un saggio storico sulla Libia.
Luca Bagatin
Elezioni Europee. Il Partito Comunista pronto a contrapporsi a europeismo e liberal-capitalismo. Articolo di Luca Bagatin
Chiedersi se questa
Unione Europea abbia migliorato la vita dei cittadini, il loro tenore
di vita, il loro senso di partecipazione attiva e democratica è
finanche superfluo. La risposta è no.
Ai bisogni delle persone
si è sostituita l'economia. L'ideologia di una “crescita” che
non è e non può essere illimitata, in quanto le risorse sono
limitate e non ci si rende ancora conto che più si consuma e più si
distrugge l'ambiente e si costringono le persone a lavorare di più,
a fronte di salari sempre più ridotti, in quanto c'è sempre chi
vuole profitti maggiori e, pur di ottenerli, è disposto a
delocalizzare la propria azienda.
Un'Europa nella quale i
cittadini si sentono sempre più, dunque, succubi di scelte prese
altrove e in balìa di fantomatici “mercati”, che nulla hanno a
che vedere con il mercato sotto casa e con la piccola distribuzione.
In balìa di Commissioni e Parlamenti “europei” lontani dalla
propria realtà locale, dal proprio comune sentire, dalle proprie
tradizioni. Decisioni alle quali ogni cittadino non può opporsi, non
può appellarsi. E' la legge del “mercato”, della “crescita”,
è “l'Europa” e la “competitività” che ce lo impongono, ci
si sente rispondere.
La democrazia,
purtuttavia, è un'altra cosa. E' partecipazione e compartecipazione
popolare. Altrimenti si rischia di finire come in Francia, ove un
Presidente liberal-europeista è inviso alla maggioranza del suo
popolo che – da ben ventidue settimane – manifesta
incessantemente chiedendo le sue dimissioni.
Le elezioni europee del
26 maggio, che già di per sé vanno ad eleggere dei parlamentari e
non prevedono forme di democrazia diretta, prevedono – almeno in
Italia - ancora una volta uno sbarramento al 4%. Non così
permettendo a tutti i cittadini di eleggere un proprio
rappresentante, ma escludendone moltissimi. Come se non bastasse, se
un partito non ha già un suo rappresentante nel Parlamento europeo,
tale partito sarà costretto a dover raccogliere le firme...impresa
davvero ardua se non impossibile !
In tutto ciò un piccolo
partito, quello che ancora si presenta con la storica falce e
martello, il Partito Comunista di Marco Rizzo, sembra che avrà la
possibilità di presentarsi senza dovere raccogliere le firme. In
quanto sarà collegato alle liste del Partito Comunista Greco, il
KKE, che ha già un suo rappresentante nel Parlamento di Bruxelles.
Quel KKE che, a
differenza della sinistra liberal-capitalista greca di Tsipras e
Varoufakis, che ha ridotto il popolo greco in bolletta, si è sempre
opposto all'austerità europeista della “crescita” (buona per i
ricchi, ma non per i poveri) ed alle politiche del Fondo Monetario
Internazionale (il quale ha ammesso di aver sacrificato la Grecia per
salvare l'Euro...sic !).
Il PC di Rizzo sembra
essere il solo e unico partito socialista che si candiderà alle
elezioni europee in Italia e forse uno dei pochissimi partiti
socialisti a candidarsi in Europa. E questo in quanto è l'unico a
volersi porre in discontinuità con il sistema liberal-capitalista e
europeista. Proponendo non solo l'uscita dall'Unione Europea, che
impone assurdi vincoli di bilancio, e dalla guerrafondaia Alleanza
Atlantica, ma anche proponendo un sistema economico diverso.
Socialista, appunto. Alternativo sia alle destre che alle sinistre
liberal-capitaliste.
Così scrive – fra le
altre cose - una nota del Partito Cominista dei giorni scorsi:
“L’Europa dei lavoratori e dei popoli che noi
vogliamo realizzare, potrà essere costruita solo al di fuori
dell’Unione Europea che è un’alleanza imperialista al cui timone
ci sono le grandi società della finanza. L’Unione Europea è il
principale promotore delle politiche di attacco ai diritti dei
lavoratori e delle classi popolari, protagonista di guerre e
responsabile della crisi. Non esiste spazio per la creazione di una
società che metta in primo piano i diritti sociali nella gabbia
dell’Unione Europea e dell’euro. Non esiste alcun futuro di
progresso, di giustizia e di pace per le nuove generazioni in un
sistema antidemocratico che mira a schiacciare i diritti e la
condizione dei popoli in favore del profitto di pochi. Crediamo sia
necessario rafforzare il processo di ricostruzione comunista per dare
ai lavoratori e alle classi popolari una reale alternativa alla falsa
scelta tra le forze di governo e di opposizione, tra europeisti e
nazionalisti, divisi nella propaganda ma sempre uniti nella difesa
degli interessi della finanza e nell’approvazione di politiche
antipopolari. Un’alternativa che non può essere rappresentata da
liste elettorali di sinistra, prigioniere di contraddizioni politiche
e prive di qualsiasi prospettiva, funzionali solo alla conservazione
di vecchi gruppi dirigenti, che puntualmente si presentano a ogni
elezione con nomi e simboli diversi, contribuendo solo a disorientare
il proprio popolo”.
Il Partito Comunista,
nonostante l'alto sbarramento elettorale, può forse rappresentare
una alternativa, anche per chi comunista non è. Per chi non si
rassegna a mettere in vendita il presente e il futuro di un'Europa
che, come ha detto lo scrittore Eduard Limonov “...persegue il
bene con tutti i mezzi del male. L'Europa è in profonda crisi, in
crisi di coscienza”.
Luca Bagatin
venerdì 12 aprile 2019
Per preservare l'ambiente occorre cambiare completamente stile di vita e sistema economico. Articolo di Luca Bagatin
Pensare di occuparsi di
clima e ambiente attraverso bei discorsi o manifestazioni, come
proposto dalla giovanissima Greta Thunberg, può essere lodevole, ma
è assai limitante e, soprattutto, risolve ben poco.
Ben poco, in realtà,
avrebbe risolto anche il cosiddetto “Green New Deal” proposto
dalla deputata newyorkese Alexandria Ocasio-Cortez, se anche fosse
passato al Senato, cosa che ad ogni modo non è accaduta. Tale piano
avrebbe previsto l'utilizzo di fonti rinnovabili di energia al 100%,
attraverso investimenti nei settori ferroviari “ad alta velocità”
(e già l'esistenza di una rete ferroviaria ad alta velocità non è
proprio qualcosa di molto “green”) e in nuovi veicoli elettrici.
Tale piano – stimato in
circa mille miliardi di dollari - oltre all'ambiente, avrebbe
riguardato anche l'assistenza sanitaria universale, un salario minimo
di sopravvivenza e una lotta ai monopoli.
Lodevoli iniziative –
come il suo puntare il dito contro banche e compagnie petrolifere –
ma, permanendo all'interno di un sistema capitalista e consumista –
peraltro fortemente condizionato da corporation e multinazionali -
che non viene minimamente rimesso in discussione dalla Ocasio-Cortez,
rischiano di rimanere più sulla carta che nella pratica.
Le politiche del
cosiddetto “sviluppo sostenibile”, tanto amate dalla sinistra
liberal-capitalista, in sostanza, non hanno nulla di sostenibile, in
quanto tale “sviluppo”, come ricordato dall'economista e filosofo
francese Serge Latouche, non è altro che “un'impostura”.
Latouche, filosofo della
decrescita, ha più volte ricordato infatti come lo “sviluppo”
che noi conosciamo è quello delle tre rivoluzioni industriali, che
ha portato ad una contrapposizione fra gli esseri umani e fra gli
esseri umani e la natura.
Latouche, a differenza
dei promotori dell'ideologia della “crescita economica” e dello
“sviluppo”, propone una “decolonizzazione dell'immaginario”,
decnomicizzandolo, ovvero proponendo un nuovo stile di vita: vivere
del necessario, non del superfluo. E vivere in armonia con la natura.
E' da visioni come
questa, arcaiche se vogliamo, che sono sorti – anche online –
vari siti di “baratto etico”, ove gli oggetti – anziché essere
venduti – vengono scambiati. Generando così un “non-mercato”,
evitando così sprechi di oggetti che finirebbero nella spazzatura,
rompendo quella spirale consumista che genera unicamente il profitto
di pochi, lo sfruttamento di molti e un conseguente inquinamento
dell'ecosistema in quanto, per produrre nuovi oggetti, occorrono
fabbriche e macchinari non certo “green”.
Aspetti che però le
Ocasio-Cortez e le Greta Thunberg non ci raccontano né ci insegnano
(a parte qualche lodevole proclama e qualche simpatica
manifestazione), in quanto – volenti o nolenti - ancorate ad un
modello produttivista, liberal-capitalista, economicista. Un sistema
che promette “posti di lavoro” privati (ormai peraltro sempre più
rari), che producono reddito e consumo, ma non un lavoro in comune,
per il bene delle comunità e quindi dell'umanità nel suo complesso.
Ove il prodotto di tale lavoro, anziché generare profitto, possa
generare semplicemente lo stretto necessario affinché ciascuno abbia
di che vivere. Senza sprechi, senza bisogni indotti, senza il
superfluo. Ove ciascuno possa così lavorare meno e godere
semplicemente il proprio tempo per stare assieme agli altri, immerso
nella natura.
Latouche, in tal senso,
recupera il concetto di “economia del dono” (il baratto ne è uno
degli aspetti), tipica delle società matriarcali (ancora oggi
esistenti, ad esempio in alcune zone della Cina), e di cui parla
diffusamente il “Saggio sul dono” dell'antropologo socialista
Marcel Mauss.
Tale economia del dono,
ricorda Latouche, rafforza peraltro i legami sociali, che il
commercio rende invece impersonali e sterili.
Una strada tutta in
salita negli USA, che pur hanno rifiutato anche il moderato piano
“green” della Ocasio-Cortez.
Modificare il proprio
stile di vita e la propria mentalità è una delle cose più
difficili che si possano fare e certo sono scelte e percorsi
tutt'altro che indolori. La via per un ecosistema preservato, ad ogni
modo, dovrà per forza passare attraverso questi aspetti. Non certo
per le ricette di una sinistra liberal-capitalista, solo
apparentemente differenti rispetto a quelle della destra, ma, nei
fatti, ancorate ad un sistema economicista e produttivista che
promuove una crescita economica che non è affatto illimitata, così
come non sono affatto illimitate le risorse dell'ecosistema nel quale
viviamo.
Se abbiano a cuore il
nostro ambiente, la natura e i cambiamenti climatici ci spaventano,
iniziamo dunque a modificare noi stessi e le nostre abitudini.
I grandi cambiamenti,
spesso, non sono operati dai politici, ma dalla gran parte degli
esseri umani. Se solamente hanno il coraggio di cambiare, di
ragionare e di ricominciare a lavorare in comune per un progetto
comune.
Luca Bagatin
martedì 2 aprile 2019
Senza il socialismo è il mercato che governa i popoli. Articolo di Luca Bagatin
Fu Bettino Craxi, il
primo, in Europa, a denunciare il fenomeno della globalizzazione. E
lo fece con queste parole: “Dietro la longa manus della
cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi
imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente
finanziaria e militare”.
Bettino Craxi, non a
caso, usò il termine “imperialismo”. Quell'imperialismo che,
qualche anno dopo, bombarderà la Jugoslavia e, successivamente,
l'Iraq (con tanto di denunce – da Hammamet – dello stesso Craxi),
la Libia e la Siria. Ovvero tutti Stati sovrani, non allineati e
laico-socialisti.
Fu lo stesso Craxi a
denunciare, da buon socialista, peraltro, il fenomeno padronale
dell'emigrazione di massa, che di lì a poco sarebbe esploso –
causa del globalismo capitalista - proponendo ad esso un argine.
Craxi affermò infatti: “Nel Sud del Mediterraneo le popolazioni
sono soggette a un tasso di incremento demografico che è ancora
troppo alto. Sono iniziate correnti emigratorie e immigratorie che in
assenza di un accelerato processo di sviluppo che abbracci tutta la
riva Sud del Mediterraneo sono destinate a gonfiarsi in modo
impressionante, e saranno delle tendenze inarrestabili e
incontrollabili. Paesi con popolazioni giovanissime, le quali
naturalmente vanno verso le luci, le luci della città, se
noi non accenderemo un maggior numero di luci in quei Paesi.
In realtà le grandi nazioni ricche del mondo non compiono lo sforzo
che viene considerato necessario per ridurre queste distanze, le
distanze sono assai grandi, sono abissali ed è questa ripeto la
grande questione sociale del nostro secolo”.
Craxi fu amico di tutti i
socialisti del Terzo Mondo e li sostenne sempre e in ogni modo:
dall'America Latina sandinista sino al socialismo arabo.
Craxi, da buon
socialista, si immaginava sicuramente un'Europa diversa. Sovrana,
anti-globalista, indipendente da ogni imperialismo, un po' come se la
immaginarono Charles De Gaulle e Jean Thiriart.
Craxi fu defenestrato da
quei poteri forti che non potevano accettare tale visione delle cose
e da quella sinistra post-comunista che, rinnegando gli insegnamenti
di Togliatti, sarebbe diventata la paladina del liberal capitalismo
assoluto. Craxi, invece, fu bollato come un criminale e solo oggi –
di fronte a una destra e a una sinistra capitaliste e padronali - la
sua figura è da molti rivalutata. Craxi fu, in realtà, l'ultimo dei
socialisti europei.
Un po' come Palmiro
Togliatti fu, forse, l'ultimo dei comunisti italiani. E vale la pena
ricordare ciò che egli disse, a proposito dell'importanza della
sovranità nazionale, in un'epoca di messa in vendita di ogni cosa e
di ogni identità: “E’ ridicolo pensare che la classe operaia
possa staccarsi, scindersi dalla nazione. (…) I comunisti non
possono staccarsi dalla loro nazione se non vogliono stroncare le
loro radici vitali. Il cosmopolitismo è una ideologia del tutto
estranea alla classe operaia. Esso è invece l’ideologia
caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli
e dei trust internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei
fabbricanti di armi. Costoro sono i patrioti del loro portafoglio”.
Ecco che Craxi e
Togliatti, pur nella loro diversità ideologica, rappresentarono ad
ogni modo una sintesi degli ideali della Prima Internazionale dei
Lavoratori del 1864, non ancora inquinata dalle dispute fra le sue
correnti interne fra marxisti, socialisti, anarchici, mazziniani.
La Prima Internazionale
fu, con l'esperienza della Comune di Parigi del 1871 (il cui simbolo
fu il garofano rosso) e la Rivoluzione bolscevica del 1917,
l'antitesi rispetto alla borghese e liberal-progressista Rivoluzione
Francese del 1789, che tagliò la testa ai nobili, senza modificare
alcun rapporto di classe, escludendo del tutto il Quarto Stato e
instaurando un regime borghese, ove le diseguaglianze non saranno
affatto sanate.
E' merito del filosofo
francese contemporaneo Jean-Claude Michéa, con il suo “I misteri
della sinistra” ed altri successivi saggi, l'aver individuato la
differenza abissale fra socialismo originario e sinistra. Il primo è
il rappresentante del Quarto Stato, la seconda della borghesia. Il
primo è comunitario e preferisce conservare i valori, fra cui quello
della propria patria di origine, delle proprie tradizioni popolari,
del posto di lavoro fisso e della monogamia; la seconda preferisce
disgregarli, in nome del danaro e della “libertà” di produrre
all'infinito, di consumare, di godere illimitatamente.
Il socialismo si rifà
insegnamenti di Marx, Engels, Bakunin, Proudhon, Mazzini, Garibaldi,
Pierre Leroux, i quali – come rileva Michéa - mai si definirono di
sinistra, ma sempre si batterono contro l'oligarchia
monarchico-aristocratica (la destra) e contro la borghesia
capitalista (la sinistra).
Oggi, in Europa, è molto
facile notare come il socialismo sia del tutto pressoché scomparso.
Pressoché nessun partito maggioritario si rifà a quel tipo di
ideali (in parte solo Jean-Luc Mélenchon in Francia e Jeremy Corbyn
in Gran Bretagna).
In molti, anche quelli
che a parole si dicono “socialisti” e fanno riferimento al
cosiddetto Partito “Socialista” Europeo, sono stati i primi,
dagli Anni '90 in poi, ad aver abbracciato il capitalismo assoluto:
promuovendo leggi di deregolamentazione del lavoro (Loi Travail, Jobs
Act); promuovendo le liberalizzazioni; attuando privatizzazioni
selvagge; appoggiando guerre di sedicente esportazione della
sedicente “democrazia” (Jugoslavia e via discorrendo) e imponendo
sanzioni a Paesi sovrani socialisti (vedi oggi il Venezuela).
Costoro, infatti, lungi
dall'essere socialisti, appartengono alla sinistra. Borghese,
liberal, progressista, ovvero al campo di quello che potrebbe essere
definito il “liberal-capitalismo”.
In questo senso non si
differenziano affatto da coloro ai quali vorrebbero contrapporsi,
ovvero i “liberal-capitalisti” di destra: i vari Bolsonaro,
Salvini, Putin o Macron (quest'ultimo una fusione fra
liberal-capitalismo di sinistra e di destra). I programmi, in termini
economico-sociali, sono infatti i medesimi e a tutto sostegno delle
classi medio alte.
Questo, almeno, quanto
accade in Europa e negli USA, ove nemmeno Bernie Sanders, che pur
presenta un programma in discontinuità rispetto ai “liberal” del
Partito Democratico USA, non può essere definito pienamente un
socialista, ovvero un oppositore del sistema del capitale, del danaro
e del profitto.
Solo in alcune realtà
non allineate, come ad esempio la Cuba di Guevara e Castro, la Libia
di Gheddafi, l'Egitto di Nasser, la Jugoslavia di Tito, l'Argentina
di Peron, il Burina Faso di Sankara, il Sudafrica di Mandela e il
Nicaragua sandinista di Ortega, abbiamo assistito all'avvento al
potere del socialismo originario, con caratteristiche che univano
aspetti autogestionari e di democrazia diretta anche in campo
economico. Così come peraltro fu nella libertaria Reggenza del
Carnaro di D'Annunzio e De Ambriis negli Anni '20 e nell'Unione
Sovietica di Lenin.
Negli ultimo decenni,
solo in America Latina, da Hugo Chavez in poi, abbiamo assistito ad
una rinascita di tali ideali. Chavez ha saputo recuperare gli ideali
emancipatori di Bolivar e quelli di Garibaldi, fondendoli con il
socialismo marxista, cristiano, libertario. E tale vento di
emancipazione soffiò finanche in Brasile, con Lula, in Argentina,
con i Kirchner, il Uruguay con Mujica e in Bolivia con Morales.
Dottrine e realtà diverse, ma simili. Che hanno posto al centro
l'essere umano e – pur nella diversità dettata dalle diverse
realtà economiche, sociali, di cultura e tradizione – hanno saputo
riprendere in mano ideali antichi, attualizzandoli, facendo rivivere
il meglio del socialismo della Prima Internazionale.
Non diverso è il
percorso compiuto dai movimenti panafricani in Africa. Grazie al
socialismo arabo di Nasser e Gheddafi, che hanno tenuto a freno il
fondamentalismo religioso e nazionalizzato le risorse, a beneficio
della collettività; grazie alle lotte di emancipazione di Thomas
Sankara; di Nelson Mandela e di molti altri politici e intellettuali
di ispirazione socialista o marxista.
Non a caso tutti invisi
dai Paesi colonialisti e neocolonialisti d'Europa e Nordamerica e,
come tali, combattuti e spesso drammaticamente uccisi. Ma difesi
dall'allora Unione Sovietica, sino a che ha resistito all'avvento del
globalismo e che ha portato successivamente al potere gli oligarchi.
Da tempo, con Putin, gli
oligarchi sono tenuti a freno, ma di certo la Russia moderna è pur
sempre nelle mani del liberal-capitalismo, “grazie”, si fa per
dire, alle privatizzazioni selvagge e all'innalzamento dell'età
pensionabile volute da Putin, ma combattute da quello che – in
Eurasia – rimane il più grande Partito Comunista, ovvero il KPFR
di Zjuganov. Quello Zjuganov che, tentando di resistere all'avvento
dell'oligarchia, ha costituito – negli Anni '90 - un fronte
nazionalpatriottico contro Eltsin, recuperando gli ideali
nazionalbolscevichi di Niekisch, Mario Bergamo e Thiriart, così come
hanno fatto il filosofo Aleksandr Dugin e lo scrittore Eduard
Limonov, con il loro Partito NazionalBolscevico, aggregando i giovani
sbandanti e post-punk delle periferie post-sovietiche.
Profeti del socialismo
originario, in Occidente, furono Pier Paolo Pasolini, Michel
Clouscard e Christopher Lasch. I primi due furono militanti
comunisti, Lasch fu un intellettuale statunitense, di orientamento
socialista conservatore.
Tutti costoro, ad ogni
modo, denunciarono nel corso degli Anni '70 – in particolare –
l'avvento della società dei consumi. Quella società dei consumi che
si sarebbe imposta dagli Anni '90 in poi, che avrebbe imposto la
globalizzazione denunciata dallo stesso Craxi. Quella società che ha
ormai preso il posto di qualsiasi altro valore della nostra epoca.
Che distrugge l'ambiente, che diffonde precarietà (lavorativa,
sociale, sentimentale), che distrugge le culture e le identità
(imponendo alle persone di emigrare, per trovare spesso un lavoro
sottopagato o non pagato).
Quella società sdoganata
dalla sinistra, che non è altro che l'altra faccia della destra.
Dove continueremo ad
andare a finire, senza più il socialismo ?
Luca Bagatin
lunedì 1 aprile 2019
Intervista dello storico argentino Claudio Chaves al filosofo Alain De Benoist, autore de "Contro il liberalismo". Tratta da "La Prensa"
Alain De Benoist è un filosofo e un pensatore francese del più
raffinato livello intellettuale. È nato a Tours nel 1943 ed è
autore di centocinque libri e più di tremila articoli. Praticamente
nulla che ha a che fare con il pensiero occidentale è stato escluso
dalla sua analisi, sempre incisiva e controcorrente. Ha visitato il
nostro paese (l’Argentina) quattro volte e durante la sua ultima
visita ho condiviso un pranzo con un piccolo gruppo di intellettuali
politicamente scorretti. Come per tutti i creativi, è molto
difficile incasellarne il loro orientamento ideologico.
Ritenuto erroneamente come il creatore della nuova destra francese, De Benoist sfugge a qualsiasi dogmatismo. Si può dire di lui, come caratteristica centrale del suo pensiero, che è un difensore schietto della diversità culturale oggi travolta da una globalizzazione che profuma di Wall Street e Hollywood.
Ritenuto erroneamente come il creatore della nuova destra francese, De Benoist sfugge a qualsiasi dogmatismo. Si può dire di lui, come caratteristica centrale del suo pensiero, che è un difensore schietto della diversità culturale oggi travolta da una globalizzazione che profuma di Wall Street e Hollywood.
Può spiegare al lettore argentino qual è la
“Metapolítica”?
“La metapolitica non è una disciplina scientifica, ma un
metodo. Consiste nel dare priorità al lavoro sulle idee e nel
situarsi come osservatore e non come attore nella vita politica”.
L’attuale società francese sta attraversando una crisi
politica come evidenziato dalle mobilitazioni dei “gilet gialli”.
Oltre ogni luogo comune, quali sono le cause principali del malessere
francese? Queste mobilitazioni sono collegate con le rivolte delle
banlieue di Parigi nel 2005?
“La causa principale di questa rivolta popolare è l’enorme
divario che si è aperto tra la maggioranza dei cittadini francesi e
le élite politiche, finanziarie o dei media che operano secondo i
propri interessi. Da un lato c’è quella che viene definita
“Francia periferica”, e dall’altro ci sono le grandi città
globalizzate e incorporate nell’ideologia dominante, che è anche,
come sempre, l’ideologia della classe dominante. Questa rivolta non
è legata ai malesseri dei quartieri periferici o ad altre
dimostrazioni tipiche. Il movimento dei gilet gialli è apparso al di
fuori della linea di demarcazione destra-sinistra, al di fuori dei
sindacati e dei partiti. Per trovare precedenti, sarebbe opportuno
tornare alla rivoluzione del 1848 o a quella della Comune di Parigi
del 1871″.
Si parla molto dell’identità nazionale. Esiste, è
identificabile? In tal caso, quali sarebbero i valori fondamentali di
tale identità in un momento in cui il pensiero unico culturale viene
imposto con grande forza e i media hanno uniformato il messaggio ?.
“L’identità nazionale è una realtà indiscutibile, ma
complessa. È associata a elementi storici, culturali e religiosi che
hanno prodotto una specifica mentalità e socialità, un modo
particolare di abitare il mondo. Per definirla, è necessario tenere
conto delle persone, allo stesso tempo di “ethnos” e di “demos”.
In democrazia, implica anche un confine territoriale, che consente di
distinguere tra cittadini e non cittadini”.
Anni fa, nel campo delle scienze politiche e sociali, il
concetto di “popolo” o collettività sociale è stato svalutato.
L’idea di salvezza per tutti sembra essere sprofondata nella palude
di un passato oscuro.
“Margaret Thatcher ha affermato che “la società non esiste”.
Dal punto di vista liberale, i popoli, le culture, le comunità non
esistono come tali: sono semplici aggregati di individui desiderosi
di massimizzare il loro migliore interesse. L’idea dello scopo
dell’esistenza (telos) è estranea al liberalismo, così come
l’idea del bene comune. Tale concezione è completamente contraria
alla realtà: nessuna società può essere ridotta a un confronto di
interessi regolati dal contratto legale e dallo scambio commerciale”.
La politica sui diritti umani è oggi una dottrina che
abbraccia tutto l’Occidente. E’ da ritenere un pensiero positivo
o negativo? Per quali motivi è diventata una idoelogia globale?
“L’ideologia dei diritti dell’uomo è diventata la nuova
religione civile del nostro tempo. Si basa sull’idea dei diritti
soggettivi: il diritto sarebbe un attributo della persona nella
misura in cui è una persona. Nell’antichità, al contrario, il
diritto era esterno alle persone: era definito come l’uguaglianza
nella relazione. Attualmente, invocando contraddittoriamente “diritti
umani” rispetto ad alcuni altri, in continua evoluzione, ha
l’effetto di rompere il legame sociale e sminuire la politica in
materia di diritto e morale”.
In questo quadro dei diritti umani, l’emergere e la
valorizzazione delle minoranze altera l’ordine democratico o lo
consolida? E d’altra parte, come si rende coese una società dove i
diritti sono più importanti degli obblighi?
“Da un punto di vista liberale, è logico che i diritti
precedano i doveri, dal momento che non hanno bisogno della presenza
di altri per esistere. Le affermazioni delle minoranze possono essere
legittime, ma la dittatura delle minoranze è persino peggiore della
dittatura della maggioranza”.
Per alcuni dei suoi scritti si comprende che l’Occidente
è in una crisi di transizione: da un lato ci sono i governanti e le
élite, dall’altro il popolo che non si fida più di loro. Come si
supera questa condizione?
“In effetti, viviamo in un momento di transizione. L’ondata di
sfiducia diffusa, frutto di una crisi di rappresentanza, mostra che
il tempo delle democrazie liberali parlamentari e rappresentative sta
per finire. Queste democrazie liberali sono diventate semplici
oligarchie finanziarie. In tutto il mondo, le vecchie feste
tradizionali stanno scomparendo. C’è una demarcazione verticale
che vede il popolo opporsi alle élite, e sta sostituendo la
separazione orizzontale sinistra-destra, che era il vettore del
vecchio sistema. La democrazia “illiberale” organica e
partecipativa comincia ad affermarsi. Saremo completamente fuori dal
vecchio mondo quando questo processo sarà compiuto.
Pensa che il modello politico cinese o altri autoritarismi
orientali siano più vicini ai bisogni della gente?
“Non esiste un modello politico universale. Il modello politico
cinese è eccellente se si addice ai cinesi, ma ciò non significa
che sia adatto agli altri popoli. Al massimo, dovremmo sottolineare
che questo sistema indica il percorso di una modernizzazione senza
occidentalizzazione”.
Lei è un critico del liberalismo perché attribuisce a
questa ideologia, tra le altre cose, la sopravvalutazione
dell’individuo sulla comunità sociale o nazionale. Che cosa è
successo al liberalismo delle origini che, in particolare in Francia,
è stato l’asse su cui è stata fondata la nazione? Luigi XVI fu
accusato di alto tradimento, accusa che non è stata avanzata per la
rivoluzione che ha introdotto il concetto di Fratellanza?
“Il titolo del mio ultimo libro è “Contro il liberalismo” e
risponde alla sua domanda. In esso analizzo estesamente le critiche
che possono essere fatti a questa ideologia derivata dalla filosofia
dei Lumi. La Rivoluzione francese ha attribuito alla nazione
prerogative che precedentemente erano del re, ma è ben lungi
dall’essere ispirata solo dagli scrittori liberali come Diderot o
di Condorcet. È stata anche influenzata dalla filosofia di Rousseau,
che non era liberale, così come dall’esempio dell’antichità
romana. Per quanto riguarda la fratellanza, è possibile solo sulla
base di un patrimonio comune: ci deve essere un “padre” affinché
i fratelli possano esistere. Ma è anche un’idea sbagliata: la
storia della fraternità inizia con l’omicidio di Abele da parte
del fratello Caino!”.
Nel suo libro “Comunismo e nazismo” si afferma che
queste due correnti ideologiche sono un’eredità dell’Illuminismo,
come è il liberalismo. Come si colloca questa osservazione nello
spazio del pensiero filosofico?
“Su questo tema, il mio punto di vista può essere situato
all’interno di una scuola di pensiero rappresentato da autori
diversi come Pierre-Joseph Proudhon, Hannah Arendt, Ernst Jünger,
George Orwell, Louis Dumont, Ivan Illich, Jean Baudrillard,
Christofer Lasch, Jean- Claude Michéa”.
Come è l’Europa oggi e cosa ne pensi della crescita di
“Vox” in Andalusia?
“L’Unione europea è attualmente impotente e paralizzata,
perché ha scelto di essere un grande mercato anziché un grande
potere. L’Europa è, per questo motivo, teatro di un grande
cambiamento, dovuto alla spinta dei partiti “populisti”. Non ho
informazioni precise sul movimento “Vox”. I suoi recenti
risultati sono un sintomo, tra gli altri, del drastico cambiamento
che ho appena menzionato”.
Potrebbe spiegare perché, quando la Catalogna ha deciso di separarsi dalla Spagna, per esercitare la libertà della sua autonomia, lei ha sostenuto il separatismo che ha messo la Spagna sull’orlo del baratro come Stato nazionale? Non c’è contraddizione in questa posizione nella sua solita difesa degli Stati nazionali?
Potrebbe spiegare perché, quando la Catalogna ha deciso di separarsi dalla Spagna, per esercitare la libertà della sua autonomia, lei ha sostenuto il separatismo che ha messo la Spagna sull’orlo del baratro come Stato nazionale? Non c’è contraddizione in questa posizione nella sua solita difesa degli Stati nazionali?
“In nessun modo ho sostenuto la decisione della Catalogna di
separarsi dalla Spagna! Al contrario, penso che non sia conveniente
per quella regione farlo. Ma penso che siano i catalani a dover
decidere da soli. Ho sempre difeso la causa dei popoli, il che
implica che essi possono, in quanto popoli, essere liberi di
autodeterminarsi. Questo vale per catalani, algerini, bretoni, corsi,
andalusi… D’altra parte, non sono un difensore incondizionato del
modello dello stato nazionale, per non parlare del giacobinismo.
L’apparizione di nazioni che ponevano fine all’ordine feudale,
coincide con l’emergere della modernità. A questo modello di
stato-nazione, preferisco il modello imperiale o federale”.
Conosce il peronismo?
“Che domanda! Naturalmente conosco il peronismo e la
dottrina giustizialista. Ho una grande ammirazione per l’ex
presidente Perón e un affetto molto particolare per la straordinaria
Evita”.
Ha referenze del cancelliere brasiliano nominato da
Jair Bolsonaro, Ernesto Araújo? Qual è la sua opinione sulla nomina
e l’impensabile trionfo di un candidato impossibile?
“L’elezione e il trionfo di “candidati impossibili”
sono un altro sintomo dell’attuale vita politica. A proposito del
nuovo ministro degli esteri brasiliano, Ernesto Araújo, per quello
che si sa, è un ultra-liberale legato agli interessi
dell’agro-business (il fronte che difende i latifondisti), come la
sua collega del ministero dell’Agricoltura, Tereza Cristina. L’uomo
forte del governo di Bolsonaro, Paulo Guedes, è un ultra-liberale
formato nella scuola di Chicago.
Papa Francesco ha un discorso che sembra scontrarsi
con la tradizionale visione liberale della storia. È un critico di
quello che chiama capitalismo selvaggio che lascia le persone fuori
dal sistema e allo stesso tempo dice che il denaro è letame del
diavolo. Qual è la sua opinione su questo cambiamento ai vertici
della Chiesa?
“Apprezzo il discorso di Papa Francesco quando critica in
modo virulento il capitalismo liberale e le ingiustizie sociali.
Mi piace meno quando difende il massiccia immigrazione nei paesi
europei”.