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mercoledì 30 ottobre 2019

Le origini di Samhain/Halloween, un'antica festività europea. Articolo di Luca Bagatin

Le origini dell'Europa sono ben più antiche di quelle – presunte da molti, in modo errato – cristiane.
Esse affondano le radici nell'Antica Religione, quella che i cristiani definirono, successivamente, “pagana”.
Si tratta degli antichi culti e rituali misterici, spesso di origine contadina, aventi come fondamento la Natura, i suoi spiriti invisibili, le sue regole millenarie.
Culti peraltro esistenti in ogni cultura del mondo, dall'Europa all'Asia sino all'Africa ed alle Americhe, solo declinati in modo diverso.
Culti politeistici, che in Europa saranno di origine celtica, oppure greca e/o romana.
Fra questi, ancora oggi, nella notte fra il 31 ottobre e il 1 novembre, molti celebrano il cosiddetto Capodanno celtico, ovvero Samhain (il cui significato potrebbe intendersi, secondo l'antico idioma irlandese, “fine dell'estate” o, dal gaelico, “Novembre”), conosciuto anche come Halloween (“Notte di tutti gli Spiriti Sacri”), festività diffusa negli Stati Uniti d'America dai migranti provenienti dalle isole britanniche, in particolare irlandesi, gallesi e scozzesi, anticamente popolate dai Celti.
Tale festività segna il passaggio dalla stagione luminosa a quella più oscura e buia, inaugurando così un nuovo anno. Diversamente, secondo il Calendario celtico, il passaggio dalla stagione oscura a quella luminosa si celebra nelle notti fra il 30 aprile ed il 1 maggio ed è detta festa di Beltane (nella tradizione irlandese e scozzese), o “Notte di Valpurga” o Ostara nella tradizione germanica.
Samahin celebra dunque la morte simbolica della natura, ma nella tradizione pagana la morte è semplicemente una nuova rinascita, un passaggio a un nuovo stato della Natura. Per questo si dice che in quella notte il mondo dei morti interferisce con quello dei vivi, ma, a differenza delle religioni monoteiste – cristianesimo in primis – il mondo dei morti non è affatto contrapposto a quello dei vivi e non è affatto, per così dire, “malvagio”. Bensì è il momento nel quale i morti entrano in comunicazione con i vivi.
Ad ogni modo, il cristianesimo, ha fatto sua questa tradizione – cercando di camuffarla - ideando la festività di Ognissanti, che, pur celebrandosi – secondo il calendario cristiano – il 2 novembre, nei fatti viene festeggiata il 1 novembre, proprio perché rimane radicata, nel patrimonio ancestrale europeo, la tradizione originaria della festività di Samhain.
Spiritualmente, la festa di Samhain, è una festa di contemplazione. Per i Celti era il momento più magico dell'anno, nel quale il tempo era sospeso, ovvero cessava di esistere.
Sotto il profilo materiale era il momento nel quale le tribù celtiche raccoglievano e immagazzinavano il cibo per i lunghi e freddi mesi invernali.
Il simbolo più popolare di Samhain/Halloween è una zucca intagliata con all'interno una candela e questa sembra derivare sempre da una antica leggenda irlandese, probabilmente medievale, avente per protagonista Jack 'O Lantern.
Jack era un astuto fabbro che incontrò – in un pub – il Diavolo, il quale voleva a tutti i costi la sua anima. Purtuttavia, il furbo Jack, in cambio della sua anima, invitò il Diavolo a tramutarsi in una moneta. Una volta che il Diavolo divenne una moneta, Jack la fece lestamente finire nel suo borsellino, accanto ad una croce d'argento, in modo che potesse essere “esorcizzata” e dunque non nuocere più. Il Diavolo convinse Jack a farsi liberare e gli assicurò che, per i successivi dieci anni, non gli avrebbe dato più noie, né chiesto in cambio la sua anima. Dieci anni dopo, ad ogni modo, il Diavolo si ripresentò, reclamando l'anima del fabbro. Questa volta Jack gli chiese prima di raccogliere una mela dall'albero e il Diavolo acconsentì. Ma, quando il Diavolo salì sull'albero per raccoglierla, Jack incise una croce sul tronco e, in questo modo, lo esorcizzò e imprigionò di nuovo. Il Diavolo allora, in cambio della sua liberazione, promise che non gli avrebbe mai dato più noie né fastidi per l'eternità.
Jack, negli anni seguenti, commise così tanti peccati che non fu accettato in Paradiso, ma, a causa del patto con il Diavolo, questi non lo volle accettare nemmeno all'Inferno e gli tirò un tizzone ardente, che Jack utilizzò per posizionarlo all'interno della zucca che portava con sé, al fine di scaldarsi e farsi luce nel lungo cammino che lo avrebbe atteso, costretto a vagare per l'eternità, in un eterno limbo.
Questa la ragione per la quale il simbolo popolare di Halloween è proprio “Jack O'Lantern” (Jack Il Lanternino), intagliato in una zucca con all'interno una candela accesa.
Festività peraltro diffusa, anticamente, persino nel mondo agreste in alcune zone della Sardegna, ove la notte del 30 novembre (non ottobre !), durante la notte di Sant'Andrea, i ragazzini girano per le strade con zucche vuote intagliate a forma di teschio e illuminate, all'interno, con una candela.
Tradizioni simili erano e in parte rimangono peraltro presenti in Calabria, a Serra San Bruno; in Puglia, a Ostara di Puglia, a San Nicandro Garganico e a Massafra; in Veneto e in Friuli; Abruzzo ed Emilia Romagna.
Purtroppo tutto ciò, con l'avvento del dogma cristiano che ha dichiarato “eretico” e assurdamente “satanico” tutto ciò che non era una invenzione cristiana (la quale ha attinto a piene mani dall'Antica Religione, stravolgendola o facendo propri i suoi simboli) o è scomparso o è praticato, comunque, molto meno, oppure ci si rifà alla festività commerciale e holliwoodyana dell'Halloween statunitense, quando, invece, tale festività è parte integrante delle radici spirituali e culturali dell'Europa antica e della Penisola italiana, dal Nord al Sud sino alle Isole.
Fa sorridere che, ancora oggi, vi siano dei preti cattolici che affibbiano etichette negative alla festività di Samhain/Halloween. Evidentemente non conoscono per nulla la Storia.
Una Storia che le nuove generazioni dovrebbero invece imparare, conoscere e amare.
Perché senza passato, senza radici spirituali, senza antiche tradizioni autentiche, non vi è alcun presente e, men che meno, alcun futuro.

Luca Bagatin


lunedì 28 ottobre 2019

In Argentina e Uruguay il socialismo batte il liberalismo. Torna l'America Latina del Socialismo del XXI Secolo. Articolo di Luca Bagatin

Cristina Kirchner e Alberto Fernandez
Mentre i presidenti liberali di Ecuador e Cile sono stati costretti dalla piazza, in sommossa, a ritirare i provvedimenti di austerità, in Argentina è il grande ritorno del peronismo.
Il candidato del Frente de Todos – l'ampia coalizione comprendente peronisti, comunisti e socialisti – Alberto Fernandez, ha trionfato con il 48% dei consensi, battendo l'oligarca liberale Mauricio Macri, fermo al 40%.
A garantire la vittoria di Fernandez e della sua Vice - l'ex Presidentessa Cristina Kirchner - sia l'unità di tutti i peronisti, che alle scorse elezioni si erano presentati divisi, permettendo così a Macri di vincere al secondo turno per solo una manciata di voti, sia il fallimento delle politiche liberali imposte da Macri, il quale ha nuovamente indebitato il Paese con il Fondo Monetario Internazionale; ha favorito politiche di deregolamentazione; di riduzione dei diritti sociali, portando il Paese a un'inflazione al 60% su base annua.
Alberto Fernandez, classe 1959, è avvocato e fu capo di Gabinetto dei Ministri ai tempi della presidenza di Nestor Kirchner e, successivamente, per un periodo, di quello di Cristina Kirchner. Sino almeno alla rottura con quest'ultima, che lo porterà – alle scorse elezioni – a sostenere Sergio Massa, candidato del Fronte Rinnovatore, un partito peronista più conservatore e ciò sarà all'origine della spaccatura del movimento peronista e della drammatica vittoria del liberale Macri alle elezioni presidenziali del 2015.
Nel corso del 2018, ad ogni modo, Fernandez, troverà nuovamente un'intesa con Cristina Kirchner e la sua Unidad Ciudadana (peronismo di sinistra) e insieme daranno vita alla coalizione Frente de Todos, allargata a tutte le correnti del peronismo (sia di destra che di sinistra) ed ai partiti di ispirazione comunista e socialista.
Fernandez ha dichiarato che i primi anni della sua gestione alla guida del Paese saranno difficili, a causa della pesante eredità del governo precedente. Un governo che ha decimato l'economia e ridotto della metà il PIL.
Egli intende, innanzitutto, pagare il debito contratto con l'estero da Macri e concentrarsi sul problema della fame e della povertà in Argentina, piaghe che sono tornate alla luce proprio in questi anni di malgoverno e che i governi kirchneristi erano riusciti a debellare.
Fra le proposte dichiarate ed elencate già in campagna elettorale da Alberto Fernandez le seguenti: “Faremo un accordo per i primi 100 giorni di governo tra imprenditori, sindacati e Stato nazionale, per stabilire nuove regole. Saranno implementate politiche attive che favoriscano il credito per le piccole e medie imprese”; “Ricomposizione immediata delle pensioni con un aumento del 20%"; "De-dollarizzazione delle bollette. Le tariffe seguiranno il ritmo degli aumenti salariali e le entrate degli argentini”; “Rimedieremo ai crediti con un piano di uscita per le persone che si sono fidate e sono state truffate”; “Ci sarà di nuovo un Ministero della Salute con pieno accesso ai farmaci per i pensionati e rispetto del piano di vaccinazione per i nostri figli”; “Creeremo il Ministero delle donne per garantire condizioni di uguaglianza e articolare le politiche pubbliche necessarie in materia”; “Creeremo un ministero per la Casa e dell'edilizia abitativa per affrontare la situazione delle persone costrette a vivere in strada e della classe media”; “Negozieremo in maniera ferma con il Fondo Monetario Internazionale. Per poter pagare, devi prima crescere”; “Abbiamo intenzione di recuperare il Ministero della Scienza, della Tecnologia e dell’Innovazione Produttiva e rimettere in piedi il Conicet”; “Avremo un dollaro competitivo per produrre ed esportare. Non ci saranno né scorte né possibilità di speculazione. E attueremo un regolamento che pone limiti alla fuga dei capitali”; “Elimineremo le trattenute all'industria, alle economie regionali e ai servizi informatici e basati sulla conoscenza”; “Lanceremo un sistema fiscale che farà funzionare l'economia. Più incentivi per investimenti, produzione e occupazione”.
Alberto Fernandez e Daniel Martinez
Anche in Uruguay, pur dovendosela vedere al secondo turno - che si terrà il 24 novembre prossimo - prevale il candidato socialista del Frente Amplio, Daniel Martinez, che è in testa con il 38,5% contro il 28% del liberal-democristiano Luis Lacalle Pou, candidato del Partito Nazionale.
Daniel Martinez è l'erede politico sia del noto “presidente povero e dei poveri” José “Pepe” Mujica che di Tabaré Vazquez. I governi guidati dal Frente Amplio in questi ultimi dieci anni, hanno ottenuto ottimi risultati, sia sociali che economici. Parliamo di tentativi di autogestione delle imprese da parte dei lavoratori; della legalizzazione della marjiuana; degli investimenti nella scuola e nell'educazione, triplicati in pochi anni. Parliamo della legalizzazione del matrimonio omosessuale e l'adozione di bambini da parte di coppie omosessuali. In Uruguay l'indice di disoccupazione è peraltro sceso al 6%; i salari sono aumentati; il PIL è cresciuto del 6% in dieci anni ed il tasso di povertà è diminuito dal 39% al 6%.
Una conferma di Deniel Martinez potrebbe rafforzare tali conquiste. Una sua sconfitta potrebbe far precipitare il Paese, come accaduto con l'Argentina di Macri, indietro di decenni.
Ad ogni modo, in America Latina, checché ne dicano i grandi media europei (che poco ne parlano e, se lo fanno, lo fanno piuttosto male e in modo parziale), il Socialismo del XXI Secolo sta tornando e trionfando sull'egoismo e sulla violenza degli oligarchi e dei ricchi. Ricchi tanto invidiati e coccolati in Europa, anziché essere combattuti, in quanto – e in America Latina lo hanno ben compreso da tempo – sottraggono risorse alla comunità. Una comunità che, diversamente, merita di autogestirsi e di vivere con dignità, amore e onestà.

Luca Bagatin


domenica 27 ottobre 2019

"Manifesto dei patrioti comunisti del Québec" di Richard Chartrand

Recentemente si sono tenute le elezioni in Canada, che hanno visto un arretramento del liberale Trudeau e un avanzamento dei Blocco del Québec, un partito indipendentista di ispirazione socialdemocratica e nazionalista di sinistra. A proposito del Québec, storica area geografica francofona - terra di trapper e antichi coloni francesi - desideriamo riportare, qui di seguito, un interessante manifesto dei patrioti comunisti dei Quebec, scritto circa un anno fa da Richard Chartrand, i quali rivendicano non solo la necessità di un Quebec libero, sovrano e indipendente sotto il profilo geografico, ma anche completamente emancipato socialimente.

Luca Bagatin


Manifesto dei patrioti comunisti del Quebec

Per una sintesi efficace tra sociale e nazionale adattata al contesto del Quebec.
di Richard Chartrand

Il Quebec è ancora una nazione dominata dall'imperialismo anglo-canadese per quasi 260 anni. Questo dominio continua nonostante il desiderio del popolo del Quebec di liberarsi da questo giogo crudele. Per completare la nostra lotta per la liberazione nazionale e sociale abbiamo bisogno di un'alternativa chiara e precisa. Non sono le Parti Québécois o il Bloc Québécois come ferventi seguaci del liberalismo economico e del libero commercio che possono raggiungere l'indipendenza del Quebec. Anche il partito del Quebec Solidaire, che è infestato dai trotskisti e che si concentra molto sulle questioni sociali piuttosto che sulle lotte dei lavoratori, non è un'alternativa credibile. Il comunismo patriottico è precisamente la dottrina necessaria per dare nuova vita al movimento di indipendenza del Quebec.

Il comunismo patriottico sostiene una fusione tra patriottismo e socialismo in una prospettiva di liberazione nazionale e sociale. Respingiamo fermamente il sistema capitalista di sfruttamento che concentra la ricchezza prodotta dalla classe lavoratrice nelle mani di un'élite plutocratica e apolide che è sempre più desiderosa di profitti esorbitanti. La nazionalizzazione dei settori predominanti dell'economia, come le banche, le risorse naturali, le grandi società, come primo passo, è una necessità vitale per impedire agli interessi privati ​​di guadagnare troppo potere sulla nostra vita politica. Partecipiamo alle lotte della classe lavoratrice e di altri settori oppressi della società contro gli attacchi sempre più brutali del capitale contro i nostri guadagni sociali e i nostri diritti democratici.

Siamo nel lignaggio politico di marxisti e leader rivoluzionari e teorici come Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao, Enver Hoxha, Ho Chi Minh, Fidel Castro, Che Guevara, Leonid Brezhnev e molti altri che hanno teorizzato e diretto la lotta dei lavoratori contro il capitalismo e l'imperialismo. I patrioti comunisti ritengono che il campo socialista che era costituito dall'URSS e dai paesi dell'Europa orientale, rappresentasse un progresso della classe operaia nonostante i suoi difetti e i gravi errori perpetrati dai suoi leader. I sistemi di protezione sociale esistenti nei paesi socialisti hanno offerto molti benefici alla classe lavoratrice, come sanità e istruzione gratuite, alloggi economici, assistenza all'infanzia accessibile e conveniente, sicurezza del lavoro e così via. 

La difesa dei socialisti di Cuba e della Corea del Nord contro il pericolo del ripristino capitalista è ora un compito fondamentale per qualsiasi attivista anticapitalista degno di questo nome. Difendiamo anche la rivoluzione bolivariana avviata dal defunto presidente venezuelano Hugo Chavez e continuata da Nicolas Maduro contro gli attacchi e le continue molestie dell'imperialismo USA e dei suoi alleati, incluso il Canada. I patrioti comunisti del Quebec sono solidali con la lotta geopolitica, ideologica e politica del Partito Comunitario Nazional Europeo, per creare una Grande Europa che si estenda dal Quebec a Vladivostok, come contrappeso alla disumanizzazione dell'imperialismo USA. 

Respingiamo il razzismo e la xenofobia in tutte le loro forme, ma ci opponiamo al masochismo nazionale, che elogia le culture straniere e allo stesso tempo considera il legittimo orgoglio nazionale e patriottico come fascismo. Il Quebec è un paese francofono e deve rimanere tale e dobbiamo essere orgogliosi delle nostre radici e delle nostre origini per non scomparire sotto il rullo compressore anglosassone, fortemente favorito dalla globalizzazione ultra-liberale. Non abbiamo nulla contro altre nazioni e culture ma rivendichiamo rispetto per chi siamo come popolo con una cultura particolare e originale. Siamo gli eredi della Nuova Francia e come tali possiamo rivendicare la cultura europea, che non esclude la solidarietà proletaria internazionale con le lotte dei lavoratori e dei diversi popoli oppressi nel mondo. Ad esempio, sosteniamo le lotte di liberazione nazionale come quelle del popolo palestinese contro lo stato colonialista sionista o degli abkhazi e degli osseti del sud contro il regime georgiano.

In breve, combattiamo le politiche neoliberiste di privatizzazione e smantellamento dei programmi sociali e la dittatura delle multinazionali assetate di profitto, combattiamo per la difesa della lingua e della cultura francese in Quebec. Il capitalismo è un sistema di sfruttamento e apolide che non ha rispetto per le lingue e le culture nazionali ed è un ostacolo fondamentale al loro sviluppo. Contribuisce notevolmente al fenomeno dell'anglicizzazione del mondo rendendo l'inglese la lingua degli affari e del mercato del lavoro, sfidando i lavoratori che in tutto il mondo vogliono difendere il loro diritto al lavoro nella loro lingua nazionale. In Quebec stiamo ancora lottando ogni giorno per evitare di farci assimilare e scomparire nella palude anglosassone, che è in gran parte dominante nel Nord America. Dobbiamo rafforzare il disegno di legge 101, che è stato così annacquato per oltre venti anni dall'azione combinata della Corte suprema del Canada e di alcuni governi del Quebec. Il capitalismo cerca anche di abbassare costantemente le nostre condizioni di lavoro e di degradare il nostro tenore di vita in una prospettiva di uniformità sociale verso il basso.

Se sei d'accordo con questo testo, non esitare a unirti a noi. La nostra lotta per la liberazione nazionale e sociale non può più attendere. Abbiamo bisogno di un'organizzazione strutturata piena di attivisti di buona volontà che si preoccupano dell'indipendenza del nostro paese, della salvaguardia della nostra lingua e cultura e della lotta incessante e implacabile contro il sistema di sfruttamento capitalistico e per l'istituzione di una società socialista.

Avanti, verso un Quebéc libero dal giogo di capitale e socialista!

Richard Chartrand

venerdì 25 ottobre 2019

I due pesi e le due misure dell'Europa. Interviene solo quando c'è un governo (socialista) ad essa non gradito. Articolo di Luca Bagatin

(foto tratta da Spread It)
Cile: 2600 arresti; 20 morti fra cui un bimbo di 4 anni. E' il bilancio delle ultime settimane di repressione del governo liberale di Piñera contro le manifestazioni popolari che mirano a denunciare la crisi economica nel Paese e il carovita.
Manifestazioni represse nel sangue e con la presenza dei carri armati nelle strade. Come non si vedeva dai tempi di Pinochet.
Questo è il liberalismo. Come quello di Lenin Moreno in Ecuador, che è stato costretto – dalle proteste di piazza – a ritirare il pacchetto di misure di austerità imposto dal Fondo Monetario Internazionale e dalle sue folli politiche liberali. Liberalismo, come quello dell'argentino Macri, che ha riportato il Paese indietro di decenni.
E' lo stesso liberalismo che ha portato in Francia i Gilet Gialli in piazza a manifestare da quasi un anni e in Russia i comunisti, i nazionalbolscevichi e il Fronte della Sinistra, contro il liberale Putin.
L'America Latina e l'Eurasia vogliono dire no all'austerità ed al sistema del capitale.
Ma questo malcontento viene represso in vario modo. Violento.
Il Parlamento Europeo si è persino rifiutato di discutere della situazione cilena, rigettando la richiesta dell'eurodeputata spagnola di Podemos Eugenia Rodriguez Palop. Una richiesta rigettata con ben 293 voti (la maggioranza dei quali di eurodeputati che si dicono – pur non essendolo nei fatti - “socialisti”, molti dei quali del PD).
Quel Parlamento Europeo che, quando si trattava di criticare le misure socialiste (e quindi non autoritarie né liberali) del governo Maduro, era in prima linea per approvare ingiuste sanzioni che hanno unicamente affamato la popolazione, come denunciato anche di recente, sulle pagine del quotidiano “El Pais”, dal Ministro degli Affari Esteri del Venezuela Jorge Arreaza, il quale fra l'altro ha affermato: “In Europa sembrano non preoccuparsi delle conseguenze disumane delle misure coercitive unilaterali imposte dall'amministrazione Trump contro la società venezuelana. Spesso definite erroneamente come "sanzioni", tali misure illegali hanno portato alla violazione più grottesca dei diritti umani, con un impatto diretto su 30 milioni di persone. L'obiettivo è impedire o ostacolare che lo Stato, la principale forza economica che ridistribuisce il reddito nel paese, possa avvalersi del sistema finanziario internazionale per fornire ai venezuelani alimenti, medicine, prodotti di base, garantire il corretto mantenimento delle infrastrutture dei servizi pubblici e privati. L'altra faccia di tale aggressione senza precedenti etichettata come terrorismo economico internazionale, incide gravemente sulle capacità produttive del paese, in particolare attacca l'industria petrolifera, la principale fonte di reddito nazionale e intende far crollare l'economia nel suo insieme”.
E' lo stesso Parlamento Europeo che, di recente, ha osato persino equiparare il nazismo al comunismo – negando il determinante apporto del secondo alla sconfitta del primo – e quindi falsificando la Storia. Equiparando un totalitarismo criminale e un ideale di emancipazione sociale.
E' la stessa Europa che oggi pretende di non riconoscere la vittoria del socialista Evo Morales in Bolivia, il quale ha vinto con il 47% dei voti, distaccando di oltre 10 punti il suo avversario e, quindi, per la legge boliviana non occorre il ballottaggio. Ma l'Europa e gli USA no, non possono accettare che un socialista abbia vinto, ancora una volta, in un Paese ricco di risorse che egli vorrà sicuramente distribuire al suo popolo e non cedere alle multinazionali statunitensi e europee, e quindi richiedono che vi sia un secondo turno di ballottaggio, pretendendo dunque di non riconoscere la stessa legge elettorale boliviana. Una vergognosa ingerenza in un Paese sovrano. L'ennesima.
Tutto ciò è molto triste. E' molto triste per noi cittadini europei, in particolare, perché di fronte a ciò ci sentiamo impotenti o, spesso, queste cose i grandi media nemmeno ce le raccontano e quindi non ne siamo nemmeno informati.
Perché appare sempre più evidente che, quando al governo c'è un presidente amico degli USA o comunque di ideologia liberale – e quindi aperto alle multinazionali USA ed europee – questo vada sempre bene e vada sostenuto. Anche quando commette indicibili repressioni di piazza, come il caso di Piñera. Diversamente, se al governo viene eletto un socialista, sia questi Maduro, Morales (che ha ottenuto risultati splendidi e riconosciuti da tutti, in Bolivia, nei suoi sedici anni di governo), Gheddafi, Assad, questo debba per forza essere rimosso; sanzionato il suo popolo (magari perché lo ha democraticamente votato o lo sostiene); bollato come sanguinario criminale o corrotto. Anche quando la verità è un'altra ed è spesso opposta.
Una verità che i grandi media preferiscono mascherare. Perché non fa comodo ai signori del capitale.
Questa Europa, che è l'Europa dell'austerità; del liberal-capitalismo; della negazione della possibilità per i catalani di avere una propria indipendenza; del non riconoscimento delle Repubbliche Popolari di Novorossija (perché magari socialiste e antifasciste), è l'esatto opposto dell'Europa dei popoli fratelli ed emancipati immaginata dai nostri Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, che per questo lottarono a rischio della vita e della vita dei loro compagni. Ed è dunque anche l'esatto opposto dell'Europa di Ernesto Rossi, di Randolfo Pacciardi, di Mario Bergamo e dei repubblicani mazziniani e antifascisti del Secondo Risorgimento.
Lo scrittore Eduard Limonov ha dato una ottima definizione dell'Europa di oggi, nell'ambito di una intervista che il giornale francese “Le Point” gli fece nel 2011: “L'Europa sta mentendo quando afferma di difendere il bene, la democrazia, i diritti degli uomini. L'Europa, infatti, sta uccidendo i paesi dissenzienti, i diversi paesi, l'uomo diverso. L'Europa persegue il bene con tutti i mezzi del male. L'Europa è in profonda crisi, in crisi di coscienza. L'Europa è persa".
E' importante che i sinceri democratici sappiano. Che i sinceri socialisti sappiano.
E che non smettano di sostenere i propri compagni, ovunque nel mondo. Perché solo così il fiore dell'amore, della fratellanza e della giustizia potranno trionfare sull'odio, sull'egoismo e sulla violenza.

Luca Bagatin

lunedì 21 ottobre 2019

“Raccogli una tazza d’acqua dall’oceano: Lì mi troverai” (Jack Kerouac)

"Preferirei viaggiare su treni merci per tutto il paese e cucinare il mio cibo in lattina sui fuochi di legno, piuttosto che essere ricco e avere una casa o un lavoro. Perché alla fine, non ti ricorderai del tempo trascorso a lavorare in ufficio o a falciare il prato"

"Le uniche persone per me sono i pazzi: quelli che sono pazzi di vita, pazzi di voglia di parlare, pazzi da desiderare di essere salvati, desiderosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che bruciano, bruciano bruciano come le favolose candele gialle delle chiese romane"

"Sul lago apparvero riflessi rosei di vapore celeste e io dissi: Dio, ti amo e guardai il cielo e lo intendevo sul serio. Mi sono innamorato di te, Dio. Abbi cura di noi tutti, in un modo o nell’altro. Per i bambini e gli innocenti è tutto uguale"

(Jack Kerouac)


Evo Morales vince il primo turno presidenziale in Bolivia, mentre il Cile del liberale Piñera è travolto dalle proteste di piazza. Articolo di Luca Bagatin

Con il 45,28% dei voti (ottenendo 64 deputati e 19 senatori), il Presidente socialista della Bolivia Evo Morales si assicura la vittoria al primo turno delle elezioni presidenziali, che si sono tenute domenica 20 ottobre.
Al secondo posto Carlos Mesa, il candidato del Fronte Rivoluzionario di Sinistra, che ha ottenuto il 38,16% dei voti (54 deputati e 16 senatori) e andrà, assieme ad Evo Morales, al ballottaggio che si terrà il 15 dicembre prossimo. Al terzo posto, invece, il candidato democristiano di origine sudcoreana Chi Hyun Chiung, con il 8,77% (9 deputati, nessun senatore) ed al quarto il candidato liberale del partito “Democratas” Oscar Ortiz, con il 4,41% (3 deputati 1 senatore).
Nonostante il discreto risultato di Mesa, candidato di centrosinistra e Presidente della Bolivia per un breve periodo – dal 2003 al 2005 - il Presidente Morales, sostenuto dal Movimento al Socialismo, di ispirazione Socialista del XXI Secolo, mantiene saldo il primo posto.
Leader fiero delle sue origini indigene di etnia aymara, è Presidente della Bolivia dal 2006 ed è riuscito a portare il Paese ad essere uno fra i più avanzati al mondo
E ciò è stato possibile attraverso l'uscita del Paese dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale e attraverso un modello produttivo economico comunitario, fondato sulla nazionalizzazione delle risorse naturali, oltre che delle industrie energetiche e strategiche.
E' così che la Bolivia - oltre ad aver investito in programmi sociali ed educativi all'avanguardia - ha aumentato di nove volte i proventi delle esportazioni nazionali e dichiarato un suprlus fiscale, accumulando 15,5 milioni di dollari nelle riserve internazionali. Il PIL del Paese si attesta sempre a circa il 5% annuo, con una bassa inflazione stimata attorno al 3,5%, su base annuale.
Politiche diametralmente opposte rispetto a quelle del liberale argentino Macri, che sta portando il Paese al collasso (ma che probabilmente, stando ai sondaggi, sarà scalzato alle elezioni presidenziali del 27 ottobre dal candidato peronista Fernandez). Politiche diametralmente opposte rispetto a quelle del liberal-autoritario dell'Ecuador Lenin Moreno, che, dopo le proteste di piazza e la sua conseguente fuga dalla Capitale, ha ritirato il decreto di austerità; e diametralmente opposte rispetto a quelle del Premier liberale cileno Sebastan Piñera, che, a causa dell'aumento del costo della vita e del biglietto dei trasporti, deve fronteggiare proteste di piazza non dissimili rispetto a quelle di pochi giorni fa in Ecuador.
Le ricette liberali, dunque, non pagano. E lo vedremo molto presto anche nel Brasile del liberale Bolsonaro. Sono ricette in favore delle classi più abbienti; che indebitano il Paese; sottraggono risorse alla comunità; favoriscono gli interessi delle multinazionali statunitensi ed europee, a tutto svantaggio dell'economia nazionale.
L'America Latina Socialista del XXI Secolo – quella autenticamente popolare e populista - sta infatti tornando e vincendo. Nelle urne e nelle piazze.

Luca Bagatin

venerdì 18 ottobre 2019

Marcia della Libertà contro le sentenze di condanna ai leader indipendentisti e per l'indipendenza della Catalogna. Articolo di Luca Bagatin

Sciopero generale in Catalogna, indetto dagli indipendentisti a seguito delle sentenze di condanna del leader indipendentista socialista repubblicano Oriol Junqueras, a 13 anni di carcere, oltre che a pene di poco inferiori ad altri esponenti politici che – il 1 ottobre 2017 – organizzarono un referendum per chiedere l'indipendenza della Catalogna dalla Spagna. Referendum votato da oltre 2 milioni di persone e considerato, dal governo di Madrid, illegale.
Numerosi gli scontri, negli scorsi giorni, fra manifestanti catalani e polizia.
Condanna delle sentenze era giunta anche dal club calcistico del Barcellona, il quale aveva affermato: “La pena preventiva non ha aiutato a risolvere il conflitto, non lo farà la pena detentiva inflitta ora, perché la prigione non è la soluzione. La risoluzione del conflitto in Catalogna deve provenire esclusivamente dal dialogo politico.. Il club chiede ai leader politici di condurre un processo di negoziazione che dovrebbe consentire la liberazione di leader civili e politici condannati”.
Una Marcia per la Libertà – così è stata definita – sta raccogliendo oggi numerosi manifestanti a Barcellona, in marcia in ben cinque colonne, giunti da tutta la Catalogna e comprendenti sia studenti che organizzazioni sindacali.
Numerosi, peraltro, i manifestanti in Gilet Giallo, a significare il fil rouge che lega la loro marcia di libertà a quella dei Gilet Gialli francesi contro il governo liberal-autoritario di Macron e le sue misure di austerità che, da quasi un anno, marciano ogni sabato in Francia.

Luca Bagatin

Venezuela rieletto nel Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU. Maduro: "Trionfa l'autodeterminazione dei popoli". Articolo di Luca Bagatin

Il Venezuela viene rieletto nel Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU (D.D.H.H.) con 105 voti favorevoli su 193 dell'Assemblea Generale ONU.
Il Consiglio è composto di 47 membri, di cui 14 eletti giovedì e all'America Latina spettavano due seggi, uno dei quali è stato ottenuto proprio dal Venezuela e l'altro dal Brasile.
Il Ministro degli Esteri venezuelano, Jorge Arreaza ha dichiarato, in proposito: “Oggi abbiamo il coraggio di descrivere queste elezioni come storiche, perché stiamo affrontando una feroce campagna degli Stati Uniti e dei suoi governi satellite”.
Sino a poco tempo fa, infatti, il Venezuela socialista guidato dal Presidente Nicolas Maduro, era considerato “isolato diplomaticamente”, cosa che, nei fatti, non è ed è stata confermata anche dal fatto che la gran parte della Comunità Internazionale ha sostenuto il Presidente Maduro contro il colpo di Stato guidato dall'ex deputato dell'opposizione Guaidò.
Il Venezuela ottiene dunque il seggio nel D.D.H.H., nonostante finanche l'opposizione di alcune ONG, che si sono attivate in modo contrario. Così come ha fatto il Costa Rica, presentando una sua candidatura, purtuttavia sconfitta (ha ottenuto solo 96 voti).
Il Ministro Arreaza ha poi ringraziato il Movimento dei Paesi Non Allineati, che ha fornito un forte contributo all'elezione del Venezuela nel Consiglio e l'Ambasciatore venezuelano presso l'ONU, Samuel Moncada, ha twittato: “Mai prima d'ora siamo andati alle elezioni contro forze così grandi e potenti, tuttavia il rischio di perdere ha solo rafforzato il nostro spirito combattivo perché la nostra causa è giusta. Difendiamo il nostro diritto all'autodeterminazione e alla pace”.
Da parte sua il Presidente Maduro ha affermato, entusiasta, su Twitter: “Con 105 voti a favore, il Venezuela entra nel Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite come paese libero e sovrano. Al di sopra delle minacce, la nostra diplomazia di pace bolivariana ha trionfato e la libera autodeterminazione dei popoli. Viva la Patria !”.
Il Presidente dell'Assemblea Nazionale Costituente del Venezuela, Diosdado Cabello, relativamente alle elezioni anticipate dell'anno prossimo, ha invitato le opposizioni a parteciparvi e a non disertarle, come hanno fatto in passato: “Il prossimo anno ci saranno le elezioni in Venezuela (…) speriamo che il settore dell’opposizione possa partecipare o voglia partecipare (…) esiste una parte dell’opposizione che è disposto a partecipare, tuttavia il settore che ha il sostegno degli Stati Uniti non ha ancora deciso”.
Cabello ha altresì fatto presente che il governo Maduro è da sempre disponibile al dialogo con tutta l'opposizione.

Luca Bagatin

giovedì 17 ottobre 2019

"L'Infinito nei tuoi occhi". Poesia di Luca Bagatin

Poche cose sono così erotiche
come gli occhi di una donna.
Occhi verdi.
Enigmatici e sognanti.
Sognanti come il sogno di cui parlo
in una delle mie poesie.
Occhi che aprono l'ultimo libro che ho scritto.
Occhi che non dimenticherò mai.
E' più facile esprimersi in versi.
E' più difficile esprimersi a voce.
Lo so, è il mio limite.
Il tuo profilo
che si riflette in uno specchio.
I tuoi occhi persi nell'infinito.
Il tempo si ferma,
lo spazio non esiste.

Luca Bagatin
 

In ricordo del Comandante Motorola, eroe del Donbass. Articolo di Luca Bagatin

Sono passati tre anni dall'uccisione del Comandante Arsen Pavlov, detto Comandante Motorola, colonnello dell'esercito della Repubblica Popolare di Donetsk e alla guida del battaglione “Sparta”, in guerra contro il governo autoritario ucraino, allora guidato da Petro Porosenko.
Il Comandante Motorola, classe 1983, era un cittadino russo della città di Uchta, nato nell'ex Unione Sovietica e convinto che l'esperienza dell'URSS fosse stata positiva per il popolo russo, come molti suoi connazionali che, nel referendum per la conservazione dell'URSS, indetto nel 1991 e il cui esito fu poi disatteso, votarono a maggioranza per il suo mantenimento (77,85% dei SI). Contro ogni smembramento, disgregazione e contro ogni cambiamento di regime politico-economico.
Motorola perse entrambi i genitori all'età di 15 anni e venne affidato alla nonna. A 19 anni si arruolò nell'esercito russo, prestando tre anni nella brigata di marina con il ruolo di radioperatore, dal quale gli derivò il soprannome “Motorola”. Combatté, successivamente, in operazioni anti-terrorismo in Cecenia, come diversi suoi connazionali, fra cui lo scrittore nazionalbolscevico Zakhar Prilepin, altro successivo combattente a sostegno della Repubblica Popolare di Donetsk (molti sono e sono stati i nazionalbolscevichi del partito di Eduard Limonov “Altra Russia” a sostenere la Repubblica di Donetsk).
Successivamente, Motorola, si specializzò in operazioni di soccorso quale Vigile del Fuoco e lavorò poi come operaio e marmista.
A seguito del colpo di Stato in Ucraina, nel 2014, dell'avvento di un governo autoritario anti-russo, sostenuto anche da elementi nazifascisti, i quali compirono veri e propri massacri contro le minoranze russe, Motorola prese la decisione di lasciare il lavoro e di recarsi nella città ucraina di Jasynuvata.
Qui creò un battaglione di volontari di 200 combattenti, di ispirazione antifascista e socialista e guidandolo nelle più importanti battaglie nel Donbass, invitando la popolazione a ribellarsi e riuscì a liberare numerose città dall'autoritarismo governativo e dando vita, assieme ai suoi compagni, alla Repubblica Popolare di Donetsk che, con la Repubblica Popolare di Lugansk, formarono le Repubbliche Popolari di Norovossjia, di ispirazione sovietica, antifascista e socialista.
Nel luglio 2014 sposò Elena Kolenkina, la quale gli diede una bambina, Miroslava, nel 2015 e, il 2 ottobre 2016 un bimbo, Makar, due settimane prima dell'attentato che gli toglierà per sempre la vita (attraverso un ordigno posto nell'ascensore della palazzina ove abitava con la famiglia che, fortunatamente, rimase illesa).
Il governo ucraino, infatti, lo aveva inserito nella lista nera quale terrorista e bandito e persino l'Unione Europea, sostenitrice dell'Ucraina autoritaria, dal 2015 gli aveva vietato l'ingresso nei Paesi aderenti all'Unione.
Stessa sorte toccò al Presidente della Repubblica Popolare di Donetsk, Aleksandr Zacharcenko nell'estate del 2018, colpito anch'egli da un'attentato con un'autobomba.
Il Comandante Motorola, sulla sua divisa, indossava sempre due spille: una verde della Jamahiriya Libica Popolare Socialista di Gheddafi e una della Repubblica socialista siriana di Assad. Ovvero le bandiere di due Paesi laico-socialisti che hanno contribuito a combattere il terrorismo fondamentalista islamico.
Nel febbraio 2015 fu insignito dell'onoreficenza di Eroe della Repubblica Popolare di Donetsk e, il 9 maggio 2015, in occasione del Giorno della Vittoria contro il nazifascismo durante la Seconda Guerra Mondiale, fu stampato un francobollo commemorativo con la sua immagine, assieme a quella del Comandante Givi, altro eroe della Repubblica.
L'esempio di Motorola ricorda quello dei nostri eroi del Risorgimento. Di Garibaldi, di Pisacane e dei molti repubblicani, socialisti, democratici in lotta per l'indipendenza, la sovranità, contro ogni forma di autoritarismo. E spiace che ciò, l'Unione Europea, non lo abbia affatto capito, dimostrandosi, ancora una volta, lontana da quegli ideali storici di emancipazione.
Con la recente elezione a Presidente dell'Ucraina di Volodymyr Zelensky, di ispirazione piuttosto diversa rispetto al suo predecessore Poroshenko, le speranze per un rinnovato dialogo fra Ucraina e Repubbliche Popolari di Novorossjia si sono riaccese e, ci si augura, si giunga alla fine del conflitto che permetta il riconoscimento delle Repubbliche, anche da parte della Comunità Internazionale.
Ad oggi, in Ucraina, non è ad ogni modo ancora permesso al Partito Comunista (unico partito di ispirazione socialista) di presentarsi alle elezioni e ciò sin dal 2015, anno nel quale fu messo al bando.

Luca Bagatin

martedì 15 ottobre 2019

José "Pepe" Mujica, il Presidente povero al quale Kusturica ha dedicato un film. Articolo di Luca Bagatin

José “Pepe” Mujica, un simbolo, un raro esempio di buongoverno socialista, democratico, inclusivo.
Ex Presidente dell'Uruguay dal 2010 al 2015, alla guida del Frente Amplio, seppe portare avanti progetti e ideali ritenuti ancora oggi per molti, specie nelle decadente, liberale e austera Europa, utopistici. Parliamo di autogestione delle imprese da parte dei lavoratori; della legalizzazione della marjiuana; degli investimenti nella scuola e nell'educazione, triplicati in pochi anni. Parliamo della legalizzazione del matrimonio omosessuale e l'adozione di bambini da parte di coppie omosessuali. Tutte riforme che nell'Uruguay di Mujica sono state attuate e non sono affatto state imposte ai cittadini, bensì sono nate - come ama ricordare lo stesso Mujica - anche e proprio su ispirazione dei suoi stessi concittadini.
I risultati, del resto, si sono visti e sono anche stati ottimi. In Uruguay l'indice di disoccupazione è sceso al 6%; i salari sono aumentati; il PIL è cresciuto del 6% in dieci anni ed il tasso di povertà è diminuito dal 39% al 6%.
Mujica ha impressionato il mondo soprattutto per il suo stile di vita povero, frugale, semplice.
Nato a Montevideo nel 1935 da padre di origine basca e madre di origine genovese, fu influenzato dalle idee peroniste dello zio materno.
Oltre a Peron, Mujica rimarrà affascinato dal pensiero anarchico e socialista di Proudhon, Bakunin, Kropotkine e Marx, oltre che dall'interesse per la biologia e per l'agricoltura.
Nell'Uruguay militarista autoritario degli Anni '60 sostenuto dagli USA, Mujica aderirà al Movimento di Liberazione Nazionale (MLN) Tupamaros, fondato da Raul Sendic, già militante del Partito Socialista, il quale ispirò il suo movimento a Tupac Amaru, ovvero all'ultimo sovrano dell'Impero inca, eroe dei popoli andini in lotta contro gli spagnoli.
Il MLN Tupamaros, in sostanza, attraverso l'attività di guerriglia e di assalto ad istituti bancari, mirava a combattere la deriva autoritaria e dittatoriale dei regimi neo-militaristi dell'Uruguay e a ridistribuire la terra ai contadini ed ai meno abbienti.
La violenze commesse dai guerriglieri Tupamaros, va detto, non furono mai gratuite, ma sempre dettate dalla necessità politica di liberare il Paese dall'autoritarismo al pari di quanto fecero, in quegli anni, i Montoneros peronisti, per liberare l'Argentina dalla dittatura militare.
Fra i Tupamaros, dunque, anche il nostro Mujica e Lucia Topolansky, che successivamente diverrà sua moglie, i quali purtuttavia ribadiranno sempre la loro contrarietà ad una deriva militarista del Movimento.
Nel 1972, Pepe Mujica, fu catturato dai militari e spedito in carcere, ove rimarrà sino al 1985, subendo umiliazioni e torture, sino allo stremo delle forze fisiche e psicologiche, assieme ad altri compagni del suo Movimento.
Nel 1985, con la fine della dittatura, Mujica ed i suoi compagni furono amnistiati e, pur ritornato alla sua attività di agricoltore e di fioraio, non smise mai di fare politica.
Assieme ad altri suoi compagni Tupamaros, infatti, creò il Movimento di Partecipazione Popolare che, alle elezioni del 1994, si presentò all'interno del Fronte Ampio, ovvero una coalizione eterogenea di forze di sinistra e di centro, di ispirazione socialista, cristiana e libertaria e fu eletto quale primo tupamaros in Parlamento ed il suo stile semplice e sobrio - con jeans e senza cravatta - lo caratterizzeranno subito quale politico “diverso” rispetto agli altri.
Saranno proprio la sobrietà e la ricerca della felicità per tutti, fatta anche della ricerca del tempo libero, in luogo di una vita di lavoro e di sfruttamento del lavoro attraverso la ricerca di una ricchezza effimera, i punti cardine degli ideali di Pepe Mujica. Ideali agli antipodi rispetto alla realpolitik ed alla politica tradizionale – che inizierà ad attuare già come Ministro dell'Agricoltura nel 2005, facendo abbassare il costo della carne per i meno abbienti - e saranno proprio tali ideali, assieme al suo linguaggio diretto, a renderlo popolarissimo, anche all'estero. Oltre che, come abbiamo già scritto, la sua scelta di vivere semplicemente, continuando a coltivare la terra - anche oggi che ricopre la carica di Presidente dell'Uruguay - assieme a sua moglie ed a Manuela, la sua cagnetta zoppa, permettendo ai senzatetto di utilizzare i palazzi presidenziali.
Interessante anche la sua concezione libertaria della rappresentanza popolare alle elezioni, molto vicina all'idea dell'Agorà greca. In un'intervista, infatti, egli affermò: “La gente prende molto sul serio il tema della rappresentanza e finisce per credere di rappresentare qualcuno. Per me è un'idea assurda, anche se la Costituzione dice varie cose, e in questo credo di continuare ad essere un libertario. Nessuno rappresenta gli altri”.
Nell'ottobre 2009, José Mujica è dunque candidato del Fronte Ampio alle elezioni nazionali e ne esce vincitore con il 52% dei consensi. Dei risultati soddisfacenti del suo governo abbiamo già parlato. Rimane solo da aggiungere la sua critica al consumismo ed al capitalismo, oltre che all'austerità. Lo fa in più occasioni, anche di fronte a Capi di Stato e di Governo distratti, in video che, purtuttavia, faranno il giro del mondo attraverso il web.
A proposito dell'austerità praticata anche dalla nostra Europa, Pepe Mujica afferma:
La sobrietà è concetto ben diverso da austerità, termine che avete prostituito in Europa, tagliando tutto e lasciando la gente senza lavoro. Io consumo il necessario ma non accetto lo spreco. Perché quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli. E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi. L'alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui che però ti tolgono il tempo per vivere... Lo spreco è invece funzionale all'accumulazione capitalista che implica che si compri di continuo, magari indebitandosi sino alla morte”.
Concetti semplici, ma gli unici davvero, che hanno affascinato persino il regista jugoslavo Emir Kusturica, il quale gli ha dedicato un film documentario dal titolo “Pepe Mujica - Una vita suprema”, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2018 e nelle sale dal 13 al 16 ottobre.
Un film nel quale Mujica si racconta a Kusturica e lo fa con la profonda umiltà e semplicità che lo contraddistinguono. Mostrando la sua umile vita di agricoltore, quale è sempre stato, pur avendo ricoperto la carica di Presidente e peraltro di unico leader mondiale ad essersi ridotto drasticamente lo stipendio.
Mujica racconta che l'esperienza del carcere, in isolamento, durante la dittatura militare, lo ha segnato molto. Ma lo ha segnato in bene, ovvero gli ha permesso di essere meno superficiale e più vicino al prossimo e al popolo. Egli afferma, altresì che in politica occorre “scegliere persone dal cuore grande e dal portafogli piccolo”, ricordando che essa è servizio ai cittadini, non bramosia di potere né arricchimento personale.
In Europa si può stentare spesso a credere che Mujica possa essere un essere umano in carne ed ossa, probabilmente. Purtuttavia, nel solco del Socialismo latino e latinoamericano, rimane, assieme a Juan Peron, Che Guevara, Fidel Castro, Hugo Chavez, Evo Morales, Danuel Ortega, Nicolas Maduro e i coniugi Kirchner, un raro esempio di governante popolare e populista, ovvero al servizio della comunità.
Un esempio in grado di farci riflettere relativamente alla crisi mondiale che ci sta attanagliando e dalla quale possiamo uscire solo attraverso l'esempio di queste figure storiche e contemporanee, per quanto rare possano essere o essere state.

Luca Bagatin

lunedì 14 ottobre 2019

I comunisti russi piantano nuovi alberi in ricordo dei caduti sovietici della Seconda Guerra Mondiale. Articolo di Luca Bagatin

In memoria dei 27 milioni di cittadini sovietici deceduti durante la Seconda Guerra Mondiale, definita dai russi Grande Guerra Patriottica, combattuta contro il nazifascismo, si è tenuta il 14 ottobre un'azione simbolica organizzata dal KPRF, ovvero il Partito Comunista della Federazione Russa, denominata “Giardino della Vittoria – Giardino della vita”.
Nella regione di Mosca, presso la fattoria statale “Lenin”, ovvero il sovkhoz diretto da Pavel Grudinin, già candidato comunista alle scorse elezioni presidenziali, sono infatti stati piantati – simbolicamente – numerosi nuovi alberelli. L'obiettivo che il KPRF si è posto è quello di piantarne, negli anni a venire, in tutta la Russia, 27 milioni. E ciò sia per celebrare i caduti sovietici, sia per dare una forte risposta agli incendi che hanno colpito di recente la Siberia, causati, secondo il Presidente del Comitato Centrale del KPRF Gennady Zjuganov – presente all'evento - dalla privatizzazione del sistema forestale, orientato al business e quindi non alla protezione del patrimonio ambientale.
Zjuganov, già recentemente, si era detto sorpreso della messa in discussione da parte del Parlamento Europeo del ruolo dell'URSS durante la Seconda Guerra Mondiale, in un tentativo di riscrivere la Storia, in particolare sostenuto dal governo della Polonia. Polonia che, a detta di Zjuganov, aveva a suo tempo agito come aggressore, spartendosi la Cecoslovacchia assieme ad Hitler e preparandosi all'aggressione dell'URSS.
Zjuganov recentemente ha altresì dichiarato che l'UE non dovrebbe sostenere i seguaci di Bandera in Ucraina e negli Stati Baltici, ma allo stesso tempo ripone una certa fiducia relativamente al nuovo governo di Kiev, affinché questi ponga fine all'eredità dei suoi predecessori autoritari e avvii un dialogo pacifico con le repubbliche popolari della Novorossija.
Zjuganov, il cui partito ha recentemente incrementato ulteriormente i suoi voti alle elezioni amministrative, contro il partito governativo di Putin (dopo averne denunciato la politica economica orientata agli interessi delle classi più agiate), auspica inoltre un maggiore e proficuo sviluppo dei legami economici della Russia, sia con i Paesi asiatici che con l'Europa.

Luca Bagatin


In Ecuador ritirato il decreto con le misure di austerità. Vittoria del popolo contro il governo liberal-autoritario !

A seguito dei numerosi giorni di protesta popolare in Ecuador e l'occupazione del Parlamento, il Presidente Lenin Moreno ha ritirato il decreto 883 contenente le misure di austerità imposte dal Fondo Monetario Internazionale (che comprendevano: l'aumento del prezzo del carburante di oltre il 100%, l'aumento del prezzo di beni e servizi; la riduzione delle ferie pagate da 30 a 15 giorni; una riduzione del 20% dello stipendio per i dipendenti pubblici; un piano di privatizzazioni e una diminuzione dei contributi pensionistici a fronte di una conseguente riduzione delle pensioni).
Nei prossimi giorni sarà creata una commissione composta di rappresentanti dei gruppi sociali e del governo, al fine di concordare nuove misure in materia di politica economica. 
Una vittoria popolare e democratica, che segna un primo passo per la cacciata del governo liberal-autoritario di Moreno, non dissimile da quello francese di Macron.

Luca Bagatin


domenica 13 ottobre 2019

SurRealità letterarie (parte seconda) by Luca Bagatin

Non sempre ho voglia di scrivere cose serie, come dicevo l'altro giorno.
A volte ho voglia di tornare ai tempi in cui scrivevo anche - e volentieri - cose facete. Pur dicendo cose serie e vere. Perché, come diceva il mio amico Bazar, "Le cose più serie si dicono scherzando".
Come ho scritto l'altro giorno. Paro paro (andate a vedere il post precedente, se non ci credete !).
Per cui ho deciso di proporre, qui di seguito, un racconto lungo e alcuni monologhi. 
Tutti dallo spirito surReale, surRenale: "Sciroppami di baci"; "My name is Parallelo Pipedo" e "Occhio, Perocchio !".

Luca Bagatin

SCIROPPAMI DI BACI
Mi chiamo Scirocco Di Glucosio e sono un tipo piuttosto sciroccato.
Lo sono, quantomeno, da quando ho conosciuto Pesca.
Pesca mi ha rapito il cuore. Pesca ha pescato – novella pesca di beneficenza - nei miei più reconditi sentimenti.
Pesca Sciroppata era la donna di cui ero segretamente innamorato.
Lei non sapeva nulla. Era ignara, pur senza essere un'ignorante.
Pesca aveva studiato alla Sorbona. Si era sciroppata ore e ore di lezione nella prestigiosa università di Parigi.
La ragazza, ad ogni modo e comunque, a dispetto (smettila di farmi i dispetti, cazzo !) del suo nome, aveva una pelle butterata dall'acne. Pesca non aveva la pelle come una pesca, ma la pelle a buchetti come quella di un'arancia e questo era il suo principale cruccio.
La mia segretamente amata non amava uscire di casa e, se lo faceva, indossava sempre un burqua, pur essendo di fede pastafariana.
“Urka burqua !” esclamai io la prima volta che la vidi senza burqua, nell'unico momento in cui Pesca si era concessa, con un'amica intima, un gelato al pistacchio e cassata.
Pesca era siciliana come le arance rosse di Sicilia. Per quanto, lei, fosse bionda. Biondo platino, biondo platinum, come la carta di credito MasterClass di Povera Di Sodio, nota ricca ereditiera amica di Pesca.
Quando mi avvicinai al loro tavolo, avendo tutta l'intenzione di sfoderare la mia verve da corteggiatore incallito pur senza i calli ai piedi, Povera Di Sodio ebbe un capogiro e svenne.
“Oh povera !”, esclamai io. “Di Sodio”, precisò Pesca.
Fu in quel momento che nacque l'idillio, che scoccò la scintilla fra lei e me.
Senza curarcene, calpestammo Povera (povera !) Di Sodio e ci baciammo lungamente.
“Ma...che sto facendo ! Che stiamo facendo !”, si scandalizzò la mia profumata Pesca.
“Ci stiamo baciando !”, esclamai io.
“Appunto, non dovremmo ! Ci conosciamo appena e poi io ho la pelle butterata dall'acne” e mi stampò uno schiaffone da rivoltarmi come un calzino bucato. Non mio, comunque, precisiamo !
Io rimasi a bocca aperta, come l'emoticon di Facebook che preferisco di più. Stupirmi è l'espressione che più mi si addice. L'espressione di stupore ricorda un po' i bambini, quando sono ancora innocenti o fingono di esserlo, magari dopo una marachella per la quale, poi, danno la colpa al gatto...oppure a Putin, un po' come fanno quegli adulti mentre leggono il tiggì.
Cercai di calmare Pesca, ma non ci fu nulla da fare.
Nel frattempo Povera rinvenne. “Oh povera me !”
“Povera te Di Sodio”, puntualizzammo in coro sia io che Pesca.
“Cosa state lì a guardare, imbecilli ! Aiutate a tirarmi su e chiamate mio fratello Glutammato, che mi venga a prendere subito !”
Glutammato Di Sodio era nel commercio dei dadi da gioco truccati. Il che lo aveva reso, praticamente, il Padrino della città. Ruolo molto ambito anche da me, più che altro perché, sin da bambino, il mio eroe preferito era Don Vito Corleone interpretato da Marlon Brando.
Fu così che chiamai Glutammato, dopo essermi fatto dare il numero di cellulare dalla sconvolta Povera: “Ehy, Glut, sono Scirocco. No, non ci conosciamo. Ho una proposta da farti, che non puoi rifiutare. Scherzavo. C'è qui tua sorella Povera, anzi, la tua povera ricca sorella, che vorrebbe che tu la venissi a prendere. Okay, ciao !”.
Risolta la questione, tornai a dedicarmi alla mia bella Pesca butterata che piangeva lacrime amare (come le arance) a causa della condizione condizionante della sua pelle.
“Oh my baby, dont'worry ! No te preocupe ! Sei in presenza di Scirocco Di Glucosio, mica di uno zuccheroso palladilardo qualsiasi !” e continuai, con una certa sicumera (che vorrebbe dire sicurezza. Non è il nome di una nuova tizia che ho rimorchiato, che andate a pensare !): “L'acne (punti neri, papule, pustole) è una malattia cutanea che può avere varie forme e intensità. Alla base c'è la seborrea, legata a un'iperfunzione delle ghiandole sebacee. Si combatte in vario modo. Innanzitutto con una dieta sana e equilibrata, senza cibi ricchi di grassi e molto probabilmente povera di sodio !”
“Come la mia amica !”, esclamò lei.
“Esattamente”, la rassicurai io, che non sapevo nemmeno ciò che stavo dicendo. Stavo semplicemente improvvisando, che è la tecnica migliore quando una ragazza ti piace e vuoi fare colpo.
“Comunque, visto che non siamo né dei salutisti né dei rimpicoglioni moralisti e, trovandoci in un racconto e non nella realtà (per quanto le due cose spesso si fondano e confondano), risolveremo la questione a tarallucci e vino, prima che questi vengano tassati dal governo giallomarrone di turno”.
Le accarezzai la pelle, partendo dal viso e via via tutto il resto, con delicatezza, garbo e estrema dolcezza (sono un Di Glucosio mica per niente !).
Fu così che la pelle butterata della ragazza tornò – magicamente - del tutto normale e Pesca ricominciò ad essere una vera pesca, smettendo di essere un'arancia.
“Oh, mio salvatore”, disse lei buttandomi le braccia al collo e sbaciucchiandomi come un ghiacciolo al pistacchio.
“Salvatore ? Veramente mi chiamo Gianluigi, ma tu chiamami pure Scirocco. Scirocco come il vento, pur essendo meno veloce del vento a letto, perché, altrimenti, ci farei una figura del menga. Ti pare ?”
IL NARRATORE: Scirocco Di Glucosio e Pesca Sciroppata finirono per sposarsi. Fra i testimoni Povera e Glutammato Di Sodio che, per l'occasione, indossarono dei costosissimi abiti firmati Enrico Povery. Il celebre stilista low cost.
Però, cazzo, che storia sdolcinata !

MY NAME IS PARALLELO PIPEDO
Non sarò mai un grande nome. Men che meno un gran cognome (anche perché il mio è quello di una casalinga. Grade cuoca, ma non una famosa chef come, che so, Lidia Bastianich).
Non sarò mai un grande nome e cognome tipo del giornalismo o della scrittura.
Perché ?
Ovvio, porcocazzo. Dico sempre ciò che penso e lo dico a modo mio.
Spiattellando ciò che ho da spiattellare.
Con educazione, ma anche senza tanti giri di parole e andando al sodo.
Ovviamente nel "mondo reale" non funziona così.
Per cui, se sei così, devi vivere in un "mondo parallelo".
In un mondo sotterraneo stile Agarthi o stile Warhammer dove tu sei il mostro sacro, ma a saperlo sono in pochi.
Perché se non sei un grande nome & cognome ti leggono in pochi.
Meno siamo e meglio stiamo, cantava Renzo Arbore. E aveva ragione.
Personalmente potremmo essere anche in due.
Io e la donna che amo.
Che però, cazzo, anche lei vive in un mondo parallelo.
Si chiama Parallela.
Lei Parallela e io Parallelo.
Siamo due linee parallele destinate a incontrarsi solo all'infinito.
All'infinito del verbo amare.


OCCHIO, PEROCCHIO !
Per lungo tempo dei bellissimi occhi di donna hanno praticamente condizionato gran parte della mia vita.
Per una donna ero disposto a tutto.
Anche a perdere la stima di me stesso, contravvenendo al testo di una bellissima canzone di Celentano. Oggi me ne fotto alquanto.
Spiace dirlo, ma non penso esista nessuna donna per la quale si debba perdere: tempo, stima, chili, capelli and affini.
Sono cinico ?
Ma va !
Sono sincero.
Solo che se molti cominciassero a credere a quanto dico, ovvero se si diffondesse la notizia, si comprenderebbe che è molto meglio stare soli che male accompagnati.
O, meglio, è molto meglio essere accompagnati da: paste, pasticcini, merendine, sigari, sigarette, SUPER alcolici e, potendo, orgiastiche scopate.
Visto che un noto governo giallo marrone vuole tassare tutto questo ben di Bagatin, ovvero di Dio, vedete bene di trasferirvi altrove.
Parola di Gustavo Perocchio, che sarei io.

Luca Bagatin