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venerdì 31 gennaio 2020

L'ex Presidente socialista dell'Ecuador Rafael Correa, intervista il regista Oliver Stone (tratto da "L'Antidiplomatico")

In questa puntata di "Conversando con Correa", l'ex presidente dell'Ecuador ha intervistato il noto scrittore e regista nordamericano Oliver Stone, con il quale approfondisce le sue esperienze personali e cinematografiche, le guerre, la politica di Washington e le sue interferenze in America Latina.
La conversazione tra Rafael Correa e Oliver Stone inizia con un breve viaggio attraverso la vita del regista. La sua giovinezza con suo padre economista, repubblicano e conservatore, a Wall Street. Stone ricorda come è cresciuto in quei valori e in un ambiente in cui pensava "New York era il centro del mondo". Non gli piaceva il sistema in cui viveva, quindi si unì alla Marina mercantile e andò in Vietnam, un paese in cui tornò con le forze armate. Un'esperienza che avrebbe segnato "un approccio diverso alla vita" e segnato alcuni dei suoi film.

Dopo il Vietnam, Stone, che si considera un antisistema, è tornato negli Stati Uniti. Entrò nella scuola di cinema, lavorò come tassista e solo sei anni dopo scrisse la sceneggiatura del mitico film "Fuga di Mezzanotte", che ebbe un successo internazionale e vinse il suo primo Oscar nel 1978. Successivamente vinse  altri due premi nel 1986 con "Platoon" e nel 1989 con "Nato il 4 luglio".

"Gli Stati Uniti sono la più grande ipnosi attiva che il mondo abbia mai visto (...) Vende la stessa storia, ancora e ancora, che è il miglior paese del mondo"

Stone afferma che nell'industria cinematografica americana non è più possibile realizzare film come quelli realizzati in precedenza. "Si potrebbe dire che Hollywood è cambiata dal 2001 [anno degli attacchi terroristici commessi da al Qaeda negli Stati Uniti]. C'è più censura", secondo Stone.

Ma, inoltre, dalla caduta dell'Unione Sovietica nel 1991, "le cose hanno preso improvvisamente una direzione in cui gli Stati Uniti si sono sentiti sempre più potenti , hanno ritenuto che fossero l'unica potenza, la forza dominante nell'universo, e cominciato a comportarsi sempre più come tale. Sono stati coinvolti nella guerra in Iraq, Panama e Granada, e di nuovo, naturalmente, per l'Iraq e poi in Afghanistan è stato uno dopo l'altro, una guerra dopo l'altra.  Sono stati molto coinvolti, i media l'hanno accettato".

Correa, d'altra parte, ricorda che "i grandi imperi sono crollati per aver aperto troppi fronti" e anche "per mantenere guerre che non possono essere vinte e che sono sostenute nel tempo contro nemici che non si arrenderanno mai".

"Negli Stati Uniti non c'è più una vera sinistra. Si tratta di partiti di destra che combattono contro altri partiti di destra. "

"Obiettivamente, Trump ha parlato molto, ma ha fatto poco. Le sanzioni contro il Venezuela sono iniziate con Obama", ricorda l'ex presidente ecuadoriano. Il regista è d'accordo e sottolinea persino il fatto che "negli Stati Uniti non c'è più una vera sinistra". "Questi sono partiti di destra che combattono contro altri partiti di destra".

Ad esempio, Stone ritiene che l'ex candidato alla presidenza Hillary Clinton sia un "falco" e, al contrario, Donald Trump, abbia avuto un messaggio "più pacifico". "Ha detto: 'Perché stiamo combattendo i russi?' Ha allarmato lo stato industriale militare, lo stato politico e i media, che hanno iniziato ad attaccarlo prima che diventasse presidente ".

Per quanto riguarda Trump: "La cosa peggiore e più pericolosa è che ha rotto l'accordo nucleare (...) Stiamo mettendo il mondo intero a rischio di guerra nucleare , stiamo sviluppando in modo aggressivo nuove armi nucleari (...) il fatto è destabilizzare il mondo ".

In breve, gli Stati Uniti, afferma Stone, sono "la più grande ipnosi attiva che il mondo abbia mai visto (...) vendono la stessa storia, ancora e ancora, che è il miglior paese del mondo. Le prove mostrano che il contrario: un gran numero di persone sono state uccise in tutti quei paesi: dall'Iraq alla Siria, all'Afghanistan, al Vietnam, alla Corea ... "

America Latina

Nel film documentario 'Al Sur de la Frontera' (2009), il regista ha intervistato gli allora leader di Venezuela, Bolivia, Brasile, Argentina, Paraguay, Cuba ed Ecuador.
"Chavez è stata la base, il nucleo, che ci ha presentato tutti i leader: Sono andato a trovare Lula, Nestor Kirchner e Cristina Kirchner, a Lugo in Paraguay ed Ecuador e Cuba in Bolivia si ... ... E fu un'esperienza che mi ha aperto gli occhi" dice Stone.
Un documentario, osserva il regista, che è stato totalmente ignorato dai media mainstream negli Stati Uniti "Ero un nemico", dice, ricordando che una volta era stato invitato al New York Times e gli editori gli hanno chiesto come era arrivato a rispettare Chavez.

"La stessa cosa che è successa con l'Unione Sovietica accadrà con gli Stati Uniti. Sta per succedere qualcosa perché ci siamo spinti al limite, stiamo corrompendo completamente la storia"

"Era chiaro per me: non c'è modo di vincere il dibattito sul Sud America", afferma. Stone descrive come "farsa" gli eventi accaduti in Brasile con l '"impeachment" dell'ex presidente Dilma Rousseff e la successiva prigionia di Lula.
Un estremo con cui Correa concorda, definendo farsa ciò che è accaduto in Bolivia [il colpo di stato contro Evo Morales] e in Venezuela, con l'autoproclamato presidente Juan Guaidó, riconosciuto da Washington.

"La questione boliviana non è rappresentabile. È un chiaro colpo di stato, ma si vede il doppio standard internazionale: riconoscono immediatamente quel governo di fatto se è funzionale ai loro interessi", spiega Correa. "Non uccidono più le persone, ma uccidono la reputazione dei leader della sinistra", aggiunge.
Infine, Stone riflette: "La stessa cosa che è successa con l'Unione Sovietica, accadrà con gli Stati Uniti (...) qualcosa accadrà perché ci siamo spinti al limite, stiamo corrompendo completamente la storia. Sfortunatamente, perché voglio bene al mio paese, siamo diventati una forza del male. Una forza del male contro le persone . Contro le persone che vogliono le riforme, che vogliono cambiare le cose ".

tratto da: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-oliver_stone_gli_stati_uniti_sono_diventati_una_forza_del_male_contro_le_persone_che_vogliono_cambiare_le_cose/82_32858/

giovedì 30 gennaio 2020

Cina: da "sabbia informe" a potenza globale. Articolo di Luca Bagatin

La Cina, proprio in questi giorni, sta affrontando la sfida più difficile, in 70 anni di Repubblica Popolare, ovvero l'epidemia di coronavirus.
A 70 anni dalla proclamazione della Repubblica Popolare, da parte del Grande Timoniere, Mao-Tse Tung, la Cina ha comunque dimostrato più volte di potersi rialzare.
Da “sabbia informe”, è diventata una potenza globale. Proprio questo è, peraltro, il sottotitolo dell'interessante e documentato saggio “Cina”, edizioni Impromatur, dello studioso Diego Angelo Bertozzi.
Un saggio che affronta tutti i 70 anni di Repubblica Popolare, sino ai nostri giorni.
Ovvero da quando Mao Tse-Tung, proclamò – il 1 ottobre 1949 - la nascita della Repubblica, a seguito della vittoria dell’Esercito di Liberazione Popolare da lui guidato, che sconfisse definitivamente i nazionalisti di Chiang Kai-shek, sostenuti dagli Stati Uniti d’America di Roosevelt.
Un comunismo con caratteristiche particolari, quello cinese che, secondo le direttive di Mao, doveva privilegiare la classe contadina, piuttosto che lo sviluppo industriale del Paese.
Un Mao che, figlio di contadini egli stesso, alla guida del Paese, promosse la riforma agraria, collettivizzando e ridistribuendo le terre, oltre che avviando un processo di alfabetizzazione delle masse.
Solo dopo la morte di Mao, nel 1976, sarà avviata una nuova fase di modernizzazione del Paese, attraverso la corrente riformista guidata da Deng Xiaoping, il quale avvierà quello che ancora oggi viene chiamato “socialismo con caratteristiche cinesi”.
Un socialismo che si rifiuta di aderire al modello capitalista, ma che vuole apprendere quanto di positivo il sistema capitalista può insegnare. Un socialismo che apre al mercato e alla multiproprietà, ma ove l'intervento pubblico rimane preponderante e fulcro stesso della modernizzazione del Paese e dell'elevazione economica del popolo stesso.
E' quindi nel periodo guidato da Deng Xiaoping che, pur non archiviando il maoismo, ma criticandone solo gli aspetti più dogmatici, si sviluppa il settore industriale e teconologico.
Allo stesso tempo, la Cina, si pone quale guida dei Paesi più poveri e che hanno da poco ritrovato l'indipendenza dal colonialismo, ponendosi a baluardo geopolitico nella lotta contro il sottosviluppo.
In questo senso, come fa presente il saggio di Bertozzi, la Cina è oggi molto presente nel continente africano, ove ha contribuito a costruire strade, ponti e infrastruttire, oltre che concesso prestiti a tassi agevolati e spalmati nel tempo. Attualmente la Cina possiede percentuali di debito di diversi paesi africani, contribuendo concretamente a far uscire tali Paesi dal sottosviluppo, provocato dal colonialismo e dal neocolonialismo, che è aspetto ancora presente in quei Paesi ove il Fondo Monetario Internazionale e le potenze occidentali neocoloniali (Francia, Gran Bretagna e USA in primis), sono ancora molto presenti.
E' stata, in sostanza, secondo la tesi di fondo del saggio di Bertozzi, l'ondata di rinnovamento portata avanti da Deng e dai suoi successori - Jang Zemin, Hu Jintao e l'attuale Presidente Xi Jinping - la marcia che ha permesso alla Cina di non fare la fine dell'URSS.
La Cina comunista, in sostanza, ha mantenuto la sua impronta socialista e la sua visione democratica, alternativa a quella liberale e occidentale.
La democrazia cinese non ammette la competizione elettorale fra partiti, in nome dell'armonia e della collaborazione fra partiti e formazioni politiche non antagoniste, ma in dialogo costante con il Partito Comunista Cinese (PCC), che rappresenta l'unità di tutto il popolo.
Partito – quello comunista cinese - che, peraltro, è al mondo la forza politica con il maggior numero di iscritti (la maggioranza ancora oggi agricoltori, ma da tempo ha aperto anche alle classi borghesi e ai liberi professionisti) avendo superato, nel 2019, i 90 milioni di tesserati. L'iscrizione allo stesso, peraltro, è piuttosto selettiva e il PCC è una vera e propria scuola di formazione politica socialista, atta a formare la futura classe dirigente del Paese.
Secondo i cinesi, peraltro, non esiste un solo modello di democrazia universale, esportabile e che vada bene per tutti, bensì questo è necessariamente frutto dello sviluppo interno e della civiltà politica del Paese nel quale tale processo è sorto e non frutto di imposizioni esterne. In tal senso, la Repubblica Popolare Cinese, come spiegato nel saggio di Bertozzi, non intende dare alcuna lezione al mondo, ma parimenti non accetta alcuna lezione dal mondo occidentale, così come a suo tempo non la accettò nemmeno dall'URSS, con la quale spesso entrò in conflitto ideologico.
Il saggio di Bertozzi, spiega dunque che, in Cina, il PCC governa la Repubblica, ma esistono anche altre forze democratiche. Forze che partecipano all'esercizio del potere statale, hanno un ruolo consultivo e partecipano alla scelta dei capi di Stato e all'amministrazione del Paese. Ma tutte le forze politiche, unitamente al PCC, non sono minimamente in competizione.
In Cina sono peraltro presenti anche dei comitati di villaggio - i quali hanno una certa autonomia in ambito educativo e finanziario - che prevedono il diritto di voto attivo e passivo di tutti i residenti adulti.
Quanto all'economia cinese, come spiegato nel saggio “Cina”, è mista, ovvero, accanto ad aziende pubbliche, in particolare nei settori chiave dell'economia quali quello bancario, delle risorse energetiche e delle telecomunicazioni, vi sono imprese private e cooperative. Imprese private comunque piuttosto sindacalizzate e ove una parte dei profitti viene non solo utilizzata per interventi a carattere sociale (come per la costruzione di scuole professionali o per soccorso di vittime di una catastrofe nazionale), ma anche reinvestita nello sviluppo di nuove tecnologie dell'impresa e ciò sembra essere una delle ragioni del boom teconologico cinese, in particolare negli ultimi anni.
La Cina, in sostanza, da Paese feudale e successivamente coloniale, in 70 anni, ha fatto passi da gigante. Non solo è oggi pressoché un colosso economico, ma ha anche aumentato del 7,4% il reddito pro capite; creato oltre 13 milioni di nuovi posti di lavoro negli ultimi anni; sottratto dalla povertà oltre 100 milioni di persone nelle aree rurali e investito moltissimo nell'ambiente, ponendo un tetto all'emissione di gas serra e nello sviluppo di fonti rinnovabili.
Per quanto molti ancora rimangano i problemi da risolvere in Cina, l'obiettivo dichiarato anche dall'attuale Presidente Xi Jinping, rimane quello di rendere il Paese una “società moderatamente prospera” entro il 2020, con una nuova lotta alla povertà e per la redistribuzione delle ricchezze.
Il saggio di Diego Angelo Bertozzi offre dunque al lettore uno spettro complessivo dello sviluppo di una nazione che sta da tempo modificando gli equilibri geopolitici globali, in favore di un mondo multipolare, più prospero.

Luca Bagatin

mercoledì 29 gennaio 2020

Marco Rizzo (Partito Comunista) alternativo a centrodestra e centrosinistra. Articolo di Luca Bagatin

Nelle analisi post- voto in Emilia Romagna, il Segretario nazionale del Partito Comunista Marco Rizzo ha riteniuto che, al di là delle battute sulle “citofonate di Salvini”, non vi sia stata alcuna discussione seria – da parte di centrodestra e centrosinistra - sulle tematiche della Regione, a partire dalle privatizzazioni e dalla sanità.
Rizzo ritiene da tempo, infatti, che non vi sia alcuna differenza sostanziale fra i due grandi schieramenti – uniti pressoché su tutto - e che il Movimento Cinque Stelle abbia, altresì, tradito tutte le tematiche che sino a qualche anno fa sembrava portare avanti (prima alleandosi con la Lega e poi con il PD): dalla TAV al no euro, dall'Ilva alla riduzione delle spese militari.
Rizzo, primo fra l'altro a criticare il cosiddetto “movimento delle Sardine” - che definì “arma di distrazione di massa” - utile a distrarre l'attenzione dal fatto che l'Unione Europea sta stritolando i diritti dei lavoratori e dei popoli, si candiderà peraltro alle elezioni supplettive di Roma, che si terranno il primo marzo prossimo, e che eleggeranno un nuovo deputato (al posto di Paolo Gentiloni) al Parlamento.
Rizzo, in una recente intervista al Corriere della Sera, ha dichiarato che intende candidarsi in particolare per sfidare la candidatura di Roberto Gualtieri, attuale ministro dell'economia del PD.
Gualtieri, per Marco Rizzo, rappresenta “l'uomo della globalizzazione, dell’UE”, che ha ricevuto persino l'endorsment di Christine Lagarde, appena nominata a capo della Banca Centrale Europea.
Nel rilanciare la sua candidatura - a nome del Partito Comunista - Rizzo non solo rilancia la sua battaglia contro i poteri forti economico-finanziari, contro il capitalismo e per l'uscita dell'Italia dalla NATO e dall'Unione Europea, ma anche quella per il rilancio dell'attività dei piccoli commercianti e degli artigiani della città di Roma, stritolati dalla grande distribuzione.
Oggi Rizzo intende presentarsi come unico vero argine a un centrosinistra e a un centrodestra che rappresentano unicamente i ceti più ricchi; i poteri economico-finanziari; una politica estera filo statunitense e imperialista.
Potenzialmente, l'attuale Partito Comunista, potrebbe rappresentare – un po' come nella Russia post-sovietica fece il leader comunista Gennady Zjuganov, il quale si pose a capo di un fronte patriottico alternativo all'avvento del capitalismo assoluto, rappresentato da Eltsin e dagli oligarchi - il fulcro di una alternativa per tutti coloro i quali, al di là delle ideologie e dei colori politici, hanno compreso che tanto il PD ed i suoi alleati, quanto la Lega ed i suoi alleati, non rappresentano altro che due facce della medesima medaglia liberal-capitalista.
Due facce destinate a discutere sul nulla, nel disinteresse della gran parte degli elettori. I quali, in massa, ancora oggi, sembrano astenersi dal voto.

Luca Bagatin

lunedì 27 gennaio 2020

"Amore e Libertà", saggio sul Socialismo del XXI Secolo, il populismo, la democrazia, i sentimenti

Negli ultimi anni abbiamo sentito soffiare, ovunque nel mondo, l'onda del cosiddetto “populismo”. Pensiamo ad esempio al fenomeno dei Gilet Gialli francesi o dello spagnolo Podemos, oppure delle recenti rivolte in Ecuador e Cile.
Ma che cos'è, davvero, il populismo? Originariamente, il populismo, fu un movimento di origine contadina e socialista, nato in Russia alla fine dell'800, in opposizione allo zarismo e all'industrialismo occidentale. Successivamente si sviluppò negli USA con il People's Party e in America Latina con i vari movimenti socialisti di origine popolare, proletaria e contadina, i quali traevano peraltro ispirazione anche dai moti risorgimentali e socialisti dei nostri Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini, ma finanche dall'anarchismo di Bakunin e di Proudhon.
Di questo e molto altro, ovvero di tematiche di scottante attualità politica (dall'economia globale ai temi etici) – pur attingendo al passato storico ed al presente dell'Eurasia, dell'America Latina e dell'Africa – parla l'ultimo saggio di Luca Bagatin, scrittore e collaboratore di numerose testate nazionali online, dal titolo “Amore e Libertà – Manifesto per la Civiltà dell'Amore”, edito da IlMioLibro (https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/490308/amore-e-liberta) e con prefazione del principe A. Tiberio di Dobrynia.
L'unico anti-totalitarismo, l'unico anti-capitalismo e anti-liberalismo possibile è il populismo” - spiega Bagatin, rifacendosi al pensiero populista e socialista originario - “Ovvero la politica di popolo e per il popolo; l'autogestione della comunità; la ripartizione equa delle risorse e il superamento dell'ideologia del danaro, del progresso, del lavoro, del piacere effimero, dell'elettoralismo e della rappresentanza. Il punto di arrivo, che è anche quello di partenza, è l'unione tra l'Amore e la Libertà. Ovvero una società di persone emancipate, che si autogestiscono e si autogovernano, senza necessità di sovrastrutture fondate sull'egoismo. Persone che recuperino l'amore per la Natura e per la semplicità del vivere con poco, che è l'essenza di ogni autentica libertà”.
“Amore e Libertà”, prima di essere un saggio, è un pensatoio che Bagatin ha fondato nel 2013 e che è anche il suo blog www.amoreeliberta.blogspot.it. Ha come simbolo (presente anche nella copertina del saggio) la figura centrale di Anita Garibaldi, “una rivoluzionaria moglie del primo Socialista e Repubblicano senza tessera di partito della Storia”, come scrive l'Autore nel saggio.
“Amore e Libertà” è dunque una critica al liberal capitalismo, ovvero all'ideologia oggi dominante in Europa, contrapposta alla visione comunitaria, sociale, emancipatoria e socialista tipica di pensatori, filosofi e politici che Bagatin cita nel suo saggio, approfondendone il pensiero: da Giuseppe Garibaldi ad Alain de Benoist; da Pier Paolo Pasolini a Thomas Sankara; da Eduard Limonov a Aleksandr Dugin; da Jean-Claide Michéa a Mu Ammar Gheddafi, Evo Morales, Hugo Chavez, Evita e Juan Peron, José “Pepe” Mujica e molte altre figure storiche che hanno incarnato valori di eguaglianza, sovranità, indipendenza ed amore per i rispettivi popoli.

E' POSSIBILE acquistare il saggio (leggendone anche alcune parti in anteprima) direttamente al sito nel quale viene editato https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/490308/amore-e-liberta/ 

OFFERTA LIMITATA: per acquistare il saggio, senza spese di spedizione e con dedica dell'Autore, è possibile farlo contattando direttamente l'Autore alla mail burroughs279@yahoo.it
Ciò sino ad esaurimento delle poche copie messe a disposizione dall'Autore stesso.

mercoledì 22 gennaio 2020

"Lenin - Sì! Sì!", canzone di Natalia Medvedeva (1958 - 2003) dedicata a Vladimir Lenin

La cantante rock, modella, scrittrice e poetessa russa Natalia Medvedeva, già ex moglie dello scrittore nazionalbolscevico Eduard Limonov, dedicò il brano che segue - inedito in Italia - all'eroe della Rivoluzione bolscevica Vladimir Lenin, nel 1994, ripercorrendone le gesta.

lunedì 20 gennaio 2020

Luis Arce e David Choquehuanca candidati del Movimento per il Socialismo alle presidenziali in Bolivia. Nel segno di Evo Morales. Articolo di Luca Bagatin

Sarà l'economista Luis Arce il candidato del Movimento per il Socialismo (MAS) alle elezioni presidenziali della Bolivia, che si terranno il 3 maggio prossimo, in accoppiata con il suo vice David Choquehuanca, ex Ministro degli Esteri di Evo Morales.
Arce e Choquehuanca sono stati eletti, dai rappresentanti del MAS, nell'ambito di un incontro di alto livello organizzato in Argentina, a Buenos Aires, ove si trova in esilio l'ex Presidente boliviano Evo Morales, destituito da un recente colpo di Stato di matrice liberale, fondamentalista religioso cristiano e anti indigeno, nel novembre 2019.
Luis Arce, 57 anni, è stato Ministro dell'Economia dei governi Morales dal 2005 sino all'avvento del golpe bianco. Professore universitario in numerose università pubbliche boliviane, ha garantito stabilità economica, al punto che la Bolivia – prima del golpe - è diventata una potenza economica, aumentando di nove volte i proventi delle esportazioni nazionali e dichiarando un suprlus fiscale; garantendo un PIL circa il 5% annuo, con una bassa inflazione stimata attorno al 3,5%, su base annuale.
David Choquehuanca, il candidato alla Vicepresidenza, 58 anni, è invece un leader sindacale della Confederazione dei contadini della Bolivia. Indigeno di etnia Aymara – come Evo Morales - è stato Ministro degli Esteri dei governi Morales dal 2006 al 2017 e fra il 2017 al 2019 è stato Segretario Generale dell'Alleanza ALBA, ovvero l'Alleanza economica Boliviariana fra i Paesi socialisti di Bolivia (prima del golpe del novembre 2019), Venezuela, Cuba, Granada, Nicaragua, Haiti, Dominica, Saint Kittis e Nevis e Saint Vincent e Grenadine.
Arce e Choquehuanca, assieme a Evo Morales, unitamente ad altri due candidati del Movimento per il Socialismo, ovvero Andronico Rodriguez e Diego Pary, hanno sottoscritto un documento unitario nel quale promettono di “mantenere una forte unità (…) al fine di promuovere una proposta elettorale che risponda agli interessi delle persone”.
L'obiettivo è dunque porre fine a quella che viene definita una “dittatura”, oggi guidata dalla liberale Jeanine Anez, che – sostenuta dalle forze armate - si è autoproclamata Presidente della Bolivia ad interim nel novembre 2019, dopo le dimissioni forzate di Evo Morales, il quale ha trovato asilo politico nell'Argentina oggi a guida peronista.
Gli ultimi sondaggi indicanvano il MAS in testa con il 20,7% dei consensi, la Anez al 15,6% e Carlos Mesa al 13,8%.

Luca Bagatin

sabato 18 gennaio 2020

Riflessioni brevi su Bettino Craxi, socialista originario, a 20 anni dalla scomparsa

Su Craxi sbagliano coloro i quali negano il suo socialismo, affermando che sarebbe stato un liberal capitalista. Sbagliano perché o non sanno o fingono di non sapere che Craxi, più dei sedicenti comunisti dell'epoca, si oppose alle privatizzazioni e ai poteri forti nazionali e internazionali. Sbagliano anche coloro i quali affermano che Craxi sarebbe stato un riformista. Dimenticano il suo essere ancorato al socialismo delle origini, alternativo sì al marxismo, ma anche al liberalismo.
Craxi fece sì degli errori, come quello di voler aprire il PSI a persone che non c'entravano nulla con il socialismo, ma bramavano solo di scalare il potere (oggi in politica, ciò, è ad ogni modo la regola). Lo fece per far crescere il partito, ma questo aspetto lo travolse. Così come lo travolsero molti "compagni" che lo abbandonarono.
Anche l'aver voluto aprire al finanziamento privato in stile USA fu un errore di Craxi.
Ma, sulla bilancia della Storia, direi che Craxi ha avuto molti più meriti che demeriti. 

Luca Bagatin


giovedì 16 gennaio 2020

"Conservatorismo socialista, ovvero l'anti-bigottismo". Riflessioni brevi di Luca Bagatin

Essere liberali, nel mondo moderno, equivale ad essere sadomasochisti (ma senza far godere, come eventualmente fanno i sadomasochisti veri).
Occorre porre un freno alla modernità, al progresso, al liberalismo più becero, alla follia della crescita illimitata che distrugge: ambiente, ideali, legami sociali, identità, culture e popoli.

 
Nel corso degli anni mi sono reso conto di essere sempre stato un conservatore.
Sin da piccolo, infatti, detestavo i cambiamenti. Ho sempre trovato il cambiamento una forma di violenza e una imposizione dall'alto.
Ho sempre pensato che occorresse conservare quanto di buono ci potesse essere nel mondo.
Anche quando mi illudevo di essere progressista, in realtà, plaudevo alla conservazione (dei sentimenti, della natura, della cultura, delle identità).
Il mio "progressismo", come per d'Annunzio, andava piuttosto inteso come libertarismo, ovvero come insofferenza ad ogni imposizione e regola (le regole servono solo a chi non sa regolarsi !).
Per cui, alla fine, mi sono sempre sentito un pesce fuor d'acqua in una società che cambia (senza però essere una Civiltà, ma rimando priva di identità e radici).
In una società dove devi fare attenzione a ciò che dici, perché potrebbe essere "rétro" o addirittura di cattivo gusto.
Ciò mi sconforta e infastidisce profondamente.
Perché penso ciò sia la negazione della libertà che, per un libertario conservatore e socialista quale sono, dovrebbe essere sconfinata, senza rotture di coglioni.

C'è chi dissente dal sesso prematrimoniale.
Personalmente dissento dal matrimonio, che è una invenzione tutta umana (come la religione e il danaro), che uccide l'amore e il sesso.
Mi sono sempre chiesto (e ero molto piccolo quando me lo chiedevo) come due persone, per vivere assieme e amarsi, debbano stipulare un contratto economico-sociale !
Ho sempre pensato che questo fosse un concetto assurdo e tutto fondato sull'economia, oltre che sul bigottismo umano.
Crescendo mi sono anche chiesto come sia possibile andare d'accordo, per tutta la vita, con una persona, ma questa è un'altra storia...

Luca Bagatin

lunedì 13 gennaio 2020

"La perestrojka e la fine della DDR", saggio di Hans Modrow, ultimo premier della DDR. Articolo di Luca Bagatin

La DDR o Repubblica Democratica Tedesca, aveva raggiunto, nel corso dei suoi 40 anni di vita, ottimi livelli di istruzione, cure mediche, acquisizione di nuove competenze. “La vecchiaia non era un peso, i bambini avevano delle prospettive”, così racconta Hans Modrow – ultimo Premier della DDR nel 1989 - nel suo saggio di memorie, “La perestrojka e la fine della DDR” edito in Germania nel 1998 e ripubblicato di recente da Mimesis, per la prima volta in edizione italiana, a quarant'anni dalla caduta del Muro di Berlino.
Modrow racconta di come la DDR, ad ogni modo, non si accontentasse dei risultati ottenuti, ma – dimenticando la lezione socialista e cedendo ad ambizioni piccolo-borghesi - volesse superare i suoi vicini occidentali, puntando a copiarli, pur non avendone le risorse.
La DDR, ad ogni modo, sotto la guida del Partito di Unità Socialista di Germania (SED), era riuscita a liberare dalla fame il suo popolo, garantire prezzi stabili, che ciascuno avesse un lavoro e una abitazione dignitosa. Certo, la DDR non era un Paese capitalista e il lusso non solo era stigmatizzato, ma non sarebbe stato possibile garantire un tenore di vita pari a quello dei Paesi capitalisti.
L'economia della DDR, del resto, risentiva dello sviluppo dell'URSS, per la quale era una sorta di figlio adottivo.
Modrow fece parte di quella corrente della SED più vicina alle idee riformatrici e, allorquando Michail Gorbaciov fu eletto Segretario Generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS), Modrow nutriva verso di lui e verso la corrente riformista sovietica, grandi speranze.
La promozione di un socialismo democratico, attraverso riforme economico-sociali (perestrojka); l'apertura e la trasparenza dei processi politici (glasnost) e una politica estera aperta all'Occidente, erano le linee cardine di Gorbaciov e, inizialmente, anche di Modrow.
Quest'ultimo, come scrive nel saggio, non si sarebbe mai immaginato che, tale percorso, avrebbe condotto ben presto alla totale abolizione del socialismo e alla messa al bando del Partito Comunista dell'Unione Sovietica in URSS, oltre che alla totale distruzione della DDR e del suo partito, la SED, con l'avvento, ad Est, del capitalismo più selvaggio e assoluto.
Modrow, da iniziale sostenitore di Gorbaciov, a differenza del Presidente del Consiglio di Stato della DDR di allora, Erich Honecker - di orientamento socialista conservatore e fortemente critico della perestrojka - credeva sinceramente nella necessità di riforme in URSS e nella DDR, tali da poter migliorare l'economia, rendendola meno burocraticizzata e permettendo ai cittadini di essere maggiormente inclusi nella vita politica dei Paesi socialisti. La gestione centralizzata dell'economia, in URSS, aveva portato a un abbassamento della produzione e del tenore di vita e ciò andava di pari passo con gli eccessivi investimenti sovietici nel settore militare, dimenticando spesso gli altri settori.
Ciò, a parere di Modrow, significava allo stesso tempo un allontanamento dagli ideali e dalle prospettive originarie di Lenin, il quale promuoveva un socialismo democratico, pluralista e tutt'altro che incentrato nella militarizzazione del Paese, che pur all'epoca della Guerra Fredda era giustificato dalla corsa agli armamenti operata anche dal blocco Occidentale.
Ad ogni modo, a parte i grandi proclami di Gorbaciov sulla “libertà, la democrazia e l'autodeterminazione” e le sue eccessive aperture all'Occidente, non vi sarà alcun cambiamento sostanziale in URSS e ciò deluderà ben presto Modrow e i socialisti democratici di Germania, che avranno modo di osservare come, con Gorbaciov, le condizioni della popolazione fossero destinate a peggiorare, mentra l'apparato burocratico continuava – invece - ad ingrossarsi e a comandare.
Se da una parte Honecker non si rendeva conto delle richieste dei cittadini della DDR di maggiori aperture verso un socialismo più democratico, dall'altra i riformisti come Modrow, per sua stessa ammissione, non si rendevano conto di come Gorbaciov stesse – di fatto – creando le condizioni per l'abolizione del socialismo e per la disgregazione dell'URSS, che raggiungerà il suo apice con il golpe bianco di Eltsin e la decisione di quest'ultimo di vietare il PCUS.
A criticare Gorbaciov per primi, in URSS, unicamente gli esponenti dell'ala moderata e conservatrice del PCUS Egor Ligaciov (che peraltro in quegli anni ebbe colloqui con i pensatori nazionalbolscevichi Jean Thiriart e Aleksandr Dugin), Grigorij Romanov (già espulso dall'ufficio politico del PCUS nel 1985 da Gorbaciov) e Nina Andreeva, quest'ultima attraverso una lettera aperta – pubblicata anche nella DDR, oltre che sull'organo ufficiale del PCUS “Pravda” – nella quale proponeva un Manifesto delle forze anti-perestrojka.
Intanto, nella DDR, nell'ottobre 1989, Erich Honecker, già eroe della Resistenza contro il nazismo, su pressione del Politburo della SED, veniva obbligato alle dimissioni, sostituito dal ben più giovane Egon Krenz, che rimase in carica nemmeno due mesi, mentre il Muro di Berlino fu abbattuto.
A Krenz successe proprio Hans Modrow, nel dicembre 1989, il quale rimase in carica sino al marzo 1990. Fu peraltro durante la sua presidenza che la SED cambiò il nome in PDS, ovvero Partito del Socialismo Democratico.
Modrow, come scrive nel suo saggio di memorie, fa presente il suo tentativo di salvare sia il socialismo tedesco che la DDR dall'annessione della Repubblica Federale Tedesca guidata da Kohl. Il progetto prevedeva l'esistenza di due stati sovrani, con pari dignità, sistemi economici diversi, ma coesistenti e federati fra loro. Progetto, ad ogni modo, tradito da Gorbaciov e avversato da Kohl, al punto che la DDR cesserà di esistere definitivamente alla fine del 1990, annessa alla Germania Ovest, con conseguenze economico-sociali nefaste per i tedeschi dell'Est.
Modrow, in definitiva, sostiene che “la DDR e gli altri Paesi socialisti non sono stati semplicemente traditi o venduti da Mosca. La grande potenza sovietica ha trascurato di rappresentarne gli interessi con coerenza e perseveranza. Interessi che in definitiva erano anche i suoi”. E aggiunge: “Tuttavia, almeno nel suo fallimento, Mosca fu coerente: nemmeno gli interessi dei popoli dell'Unione Sovietica furono seriamente rappresentati. La fine dell'URSS fu una logica conseguenza”.
Modrow, nel suo saggio, alla fine, non dimentica di apprezzare il lavoro del Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF) guidato da Gennady Zjuganov (con l'iniziale collaborazione ideologica del filosofo nazionalbolscevico Aleksandr Dugin) che, fondato nel 1993 dalle ceneri del PCUS, nel 1996, alle elezioni presidenziali contro Eltsin, stava quasi per superarlo al primo turno.
Il KPRF, secondo Modrow, ha saputo ridare dignità al marxismo-leninismo in Russia e portare avanti istanze socialiste democratiche, al punto che oggi il KPRF è ancora il maggior partito opposizione alla Duma, contro il partito liberal-capitalista al governo. Non a caso, nelle file del KPRF, finiranno anche Ligaciov e Romanov, i maggiori oppositori dell'epoca a Gorbaciov, mentre Nina Andreeva fonderà il Partito Comunista di tutti i Bolscevichi, attivo ancora oggi, dalla linea più radicale, ma decisamente meno consistente sotto il profilo numerico.
Hans Modrow, che oggi ha 92 anni e ha di recente presentato in Italia il suo saggio anche ad un convegno organizzato dal Partito Comunista di Marco Rizzo, è stato eletto, nel 1999, Parlamentare europeo nelle file del Partito del Socialismo Democratico (PDS) e, dal 2007, è Presidente del consiglio degli anziani del partito Die Linke (La Sinistra), evoluzione del PDS.
Ancora oggi si definisce un sostenitore del socialismo democratico e rimane un oppositore del sistema capitalista, che considera economicamente e socialmente profondamente ingiusto.

Luca Bagatin

mercoledì 8 gennaio 2020

Ripensare Craxi, socialista originario, a 20 anni dalla scomparsa. Articolo di Luca Bagatin

Bettino Craxi fu l'ultimo dei grandi statisti socialisti che l'Europa abbia avuto, prima che il cosiddetto “socialismo europeo” si tramutasse in capitalismo assoluto, ovvero in esecuzione sistematica dei diktat dei potentati sovranazionali, fossero essi di natura politica (Unione Europea, Stati Uniti d'America...) o economico-finanziaria (Fondo Monetario Internazionale, Banche Centrali...).
Bettino Craxi ravvisò, ben prima di altri, il destino che avrebbe atteso l'Europa, stretta nella morsa di una probabile immigrazione incontrollata – generata da guerre imperialiste, povertà, sfruttamento dell'Africa – e nella morsa dei potentati economici, che egli tentò in ogni modo di arginare.
Fu profetico e in questo senso scomodo, con il suo opporsi da una parte alle privatizzazioni selvagge e dall'altra attuando una politica estera di amicizia con il mondo arabo laico socialista; sostenendo in Medioriente la lotta palestinese di Arafat, paragonandola alle lotte risorgimentali italiane e in America Latina il Frente Sandinista del Presidente del Nicaragua Daniel Ortega, contro l'embargo statunitense, così come nel recente passato rese omaggio alla memoria del socialista Salvador Allende in Cile, sfidando Pinochet, alleato degli USA.
Craxi fu sì opposto ai comunisti italiani ed europei, ma parimenti fu opposto all'avanzante liberal capitalismo che, dopo gli Anni '90, travolgerà ogni cosa, ogni valore, ogni idea politica, mettendo in vendita tutto ciò che era possibile mettere in vendita.
Craxi, in questo senso, fu un socialista puro e originario, che da neo-Segretario del Partito Socialista Italiano, recuperò la figura storica e intellettuale dell'anarchico conservatore Pierre-Joseph Proudhon, simbolo del mutualismo ottocentesco, dell'anti-autoritarismo, del federalismo spinto. Quel Proudhon che considerava la proprierà dei capitalisti “un furto” ed il socialismo il superamento del liberalismo, definendo al contempo il comunismo marxista una “assurdità antidiluviana”. Quel Proudhon critico nei confronti dell'elettoralismo, definito una sorta di “tirannia dei mediocri” e che, diversamente, proponeva un sistema federalista integrale e autogestionario, laddove il suo concetto di anarchia era definito “governo dell'ordine”. Quel Proudhon che, assieme a Sorel, fu finanche punto di riferimento, nel 1911, dei nazionalsinidacalisti francesi, i quali fondarono il “Cercle Proudhon” e proposero un'aristocrazia operaia, contrapponendosi alla borghesia decadente.
Parimenti, Bettino Craxi, recuperò il garofano rosso – simbolo della Comune di Parigi del 1871 – inserendolo nel simbolo del suo rinnovato PSI, e le figure intellettuali e morali di Giuseppe Garibaldi e di Carlo Rosselli, unendo in questo modo lo spirito battagliero del socialismo originario a quello liberalsocialista, rilanciando l'alleanza dei “Meriti e dei Bisogni”, che sarà lo slogan cardine del socialismo di Craxi nel corso degli Anni '80.
Bettino Craxi, nel rinnovare il PSI ereditato da Pietro Nenni, in realtà, guardò al passato, ovvero alle migliori radici del Socialismo. Quelle della Prima Internazionale dei Lavoratori; quelle del cooperativismo mazziniano e garibaldino; quelle del conservatorismo dei valori e dell'autonomismo spinto alla Proudhon.
Ciò non poteva che infastidire una certa sinistra che, sempre più votata al compromesso storico con la DC, in questo modo, si vedeva scavalcata sul suo stesso terreno sociale.
Il PSI di Craxi, nel solco del primo (e autentico) centrosinistra italiano, rimase alleato alla DC, ed agli altri alleati di governo minori (PSDI, PRI, PLI), ma con essa ebbe sempre un rapporto conflittuale e mai subalterno. Così come mai subalterno fu il rapporto con il PCI di Berlinguer, assai austero. Quel PCI per molti versi preludio di ciò che sarebbe diventato quel partito, nella sua metamorfosi, sempre più spostata verso “destra”, in PDS, DS, PD, ovvero nel partito del capitalismo assoluto. Si pensi che proprio quel partito, che pur Craxi aveva cercato, crollato il Muro di Berlino, di portare a sé, in una rinnovata alleanza di “Unità Socialista”, sarà il partito che più contribuirà alla sua fine politica e, successivamente, sarà il partito che porterà Ciampi al governo e successivamente Prodi, ovvero quelle personalità che più di altre favoriranno le privatizzazioni selvagge, alle quali Craxi si era sempre opposto.
Craxi, del resto, era inviso non solo ai comunisti (ben presto post-comunisti) ed ai potentati economici che bramavano le svendite di Stato, ma anche a quegli USA che non gli avevano perdonato lo scatto d'orgoglio a Sigonella. E nemmeno a coloro i quali temevano una svolta autoritaria solo perché Craxi aveva rilanciato la storica battaglia presidenzialista del repubblicano mazziniano Randolfo Pacciardi. Una battaglia opposta rispetto ai successivi pasticci maggioritari di Segni e successori, che in realtà avrebbe ridato da una parte centralità al Parlamento, ma dall'altra maggiori poteri al Presidente della Repubblica, che sarebbe stato eletto dai cittadini.
Con il senno di poi, Bettino Craxi, lo rimpiangono in molti.
Persino il leader del Partito Comunista Marco Rizzo che, forse, è l'unico socialista autentico ancora rimasto in Italia. Rizzo, infatti, ha anche di recente dichiarato che la falsa rivoluzione di Tangentopoli ha preso il via dopo i fatti di Sigonella e – rifacendosi agli eredi del vecchio PCI, oggi PD - ha ricordato che “la sinistra ha tradito diventando la parte più conseguente per le banche, raccontandoci che il mondo sarebbe cambiato in meglio con un futuro dove si poteva saltare da un lavoro all’altro, invece ecco cosa è successo”.
Se la Storia fosse andata diversamente, forse, Bettino Craxi avrebbe fatto davvero grandi cose. Il precariato sociale e lavorativo sarebbe stato arginato, l'Italia sarebbe ancora un Paese sovrano e il socialismo, in Europa, esisterebbe ancora.

Luca Bagatin

sabato 4 gennaio 2020

Il Presidente socialista del Messico Obrador chiede la liberazione di Assange. Articolo di Luca Bagatin

Julian Assange, fondatore di Wikileaks, è da mesi detenuto a Londra, nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, con accuse che vanno dal presunto terrorismo alla presunta violazione della legge sullo spionaggio. Assange, per aver rivelato al mondo i piani segreti dei potenti del Pianeta, rischia di morire in carcere, in attesa, peraltro, di essere estradato negli USA, dove deve affrontare ben 18 capi d'accusa. Il Relatore speciale sulla tortura alle Nazioni Unite, Nils Melzer, aveva di recente espresso preoccupazione relativamente alla salute di Assange, esposto a “tortura psicologica continua o altro, trattamenti inumani o crudeli e degradanti”, ravvisando ciò dopo averlo visitato in carcere.
Di fronte a questa palese violazione dei diritti umani, si è levata ieri – in conferenza stampa - la voce del Presidente socialista del Messico, Andrés Manuel López Obrador, il quale ha dichiarato: “Speriamo che venga preso in considerazione e rilasciato e non torturato”, dichiarando che la sua liberazione sarebbe “una causa molto giusta per i diritti umani del mondo”. Obrador ha espresso solidarietà anche sull'attività di Wikileaks nel rivelare quello che egli ha definito “sistema mondiale nella sua natura autoritaria”.
Ancora una volta è dall'America Latina socialista che proviene una richiesta di rispetto dei diritti civili e umani, verso un mondo più libero e giusto. Aspetti che, nel mondo liberal-capitalista e cosiddetto “opulento”, sembrano ormai da tempo dimenticati, se non addirittura calpestati.

Luca Bagatin

mercoledì 1 gennaio 2020

Il discorso di fine anno del Presidente socialista Nicolas Maduro. Un messaggio di amore, dialogo e libertà democratica, civile, patriottica

«Il mondo ha visto con più ammirazione che stupore, la temperanza del carattere nazionale di un popolo in piedi, ribelle e orgoglioso della sua storia. Ed è pienamente dimostrato che se ci sono differenze tra venezuelane e venezuelani a causa del potere politico del paese, sarà tra i venezuelani stessi, perché non c'è nulla che non possa essere risolto tra fratelli, cioè tra uomini e donne liberi. Questa è una lezione che abbiamo dato al mondo in momenti davvero delicati, ma soprattutto è un apprendistato per noi stessi» (...)
«Il 2019 ci ha messo tutti alla prova, al punto di produrre spazi comuni tra coloro che si riconoscono come avversari nelle idee. Dopo 600 appelli che ho fatto al dialogo, questa attitudine sta pagando. Sai, compatriota, che davanti a ogni azione estremista siamo stati magnanimi - come corrisponde a un governo degno la cui priorità e significato è il benessere del suo popolo. Invece di cercare vendetta, abbiamo invitato alla convivenza, abbiamo spianato la strada per un ritorno alla politica. E finalmente abbiamo ricevuto ascolto sull’altra sponda» (...)

(dal discorso tenuto dal Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela Nicolas Maduro il 30 dicembre 2019)