venerdì 24 giugno 2016

Referendum Brexit: un esempio di democrazia diretta da estendere a politica ed economia globale. Articolo di Luca Bagatin

Non si possono mettere assieme capra e cavoli. La capra, spesso, finisce per mangiarseli.
E' forse questa l'interpretazione da dare al referendum sulla Brexit, vinto da coloro i quali non vogliono più che la Gran Bretagna faccia parte dell'Unione Europea.
Non possiamo mettere mettere assieme Paesi e culture diverse e farlo per meri interessi economicistici di banchieri, grandi imprese ed investitori. E questo è quanto è stato fatto in tutti questi anni, con un'Unione Europea germanocentrica, allargata a Paesi dell'Est e fra un po' anche all'antidemocratica Turchia. I minestroni economicistiti, non funzionano. E non sono accettati dal popolo inglese, la cui maggioranza ha deciso, appunto, di uscirne.
La democrazia vorrebbe e contemplerebbe il fatto che a tutti i Paesi fosse data la possibilità di decidere con appositi referendum sulla permanenza o meno nell'UE. E questo con buona pace del Senatore Mario Monti che, se ci riferiamo alle sue dichiarazioni in merito, non ama per nulla la democrazia e forse sono piuttosto politici come lui – che rinnegano la volontà popolare - il vero pericolo per l'Europa.
La democazia ed il rispetto della stessa passano anche per l'esito del referendum britannico sulla Brexit, dunque. E tale volontà democratica può essere spesso opposta rispetto alla volontà di economisti e politici, i quali sono dei meri mediatori e tali dovrebbero rimanere, ovvero dovrebbero unicamente servire i cittadini ed eseguire ciò che i cittadini decidono.
La democrazia diretta, ovvero la democrazia autentica, ad ogni livello, sarebbe dunque auspicabile perché i problemi vanno condivisi. Solo un popolo consapevole, direttamente, dei suoi problemi, può riuscire a superarli. Un popolo schiavo di politica ed economia è un popolo inconsapevole ed in balìa di decisioni altrui, ovvero dei ricchi e dei potenti di turno, i quali oggi piangono per i risultati drammatici delle Borse, che hanno fatto loro perdere non pochi quattrini.
Solo i cittadini ed i rispettivi popoli, con le loro diversità e specificità dovrebbero avere la possibilità di decidere e di governare, in apposite assemblee e comitati popolari aperti a tutti. E tali popoli dovrebbero cooperare, dialogare, aiutarsi con spirito fraterno, ma ben consapevoli delle loro diversità e specificità, senza assurde fusioni economicistiche a vantaggio dei ricchi investitori.
Occorre proteggere e garantire i meno abbienti, che ormai sono la maggioranza degli europei e fornire loro un reddito di cittadinanza, che li faccia sentire parte di una comunità da costruire su solide basi fraterne, ovvero fatta di garanzie fondate su solidi doveri civici e di cittadinanza. E qui torna utile l'insegnamento, nelle scuole, dei “Doveri dell'uomo” di Giuseppe Mazzini, un testo diretto al cuore degli operai e dei poveri e di scottante attualità. Occorre difendere i piccoli produttori, in Europa ed ovunque, martoriati dalle multinazionali e dalla grande distribuzione, favorita dai processi capitalisti e di globalizzazione.
Occorre peraltro comprendere che i debiti pubblici di ogni Stato sono impagabili e, come tali, vanno condonati e aboliti. Ci rimetteranno i ricchi investitori, certo, ma ne trarranno beneficio i cittadini. Lo spirito del dono e della cooperazione dovrebbe prevalere rispetto a quello del diritto privato di matrice liberale, dell'economia e del rigore.
Questa la lezione che si dovrebbe riuscire a trarre.
Esattamente un anno fa, in un mio articolo apparso anche sul quotidiano nazionale “L'Opinione delle Libertà” (http://www.opinione.it/politica/2015/06/20/bagatin_politica-20-06.aspx) e dal titolo “Una alternativa all'Unione globalista”, proponevo, in alternativa all'UE, un'Unione dei Paesi Euromediterranei e latini, molto più vicini fra loro per Storia, cultura, tradizioni e ciò in un rinnovato dialogo con il mondo ellenico, latino, latino-americano e terzomondista, al fine di sconfiggere la fame, l'immigrazionismo, il terrorismo, la povertà, l'esclusione sociale, ovvero tutte cose che – come scrissi allora – non sono risolvibili attraverso l'accettazione supina delle regole del mercato capitalista, le quali generano sradicamento sociale ed indentitario di interi popoli, obbligano i governi ad accettare le politiche del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e della Federal Reserve e rischiano di instaurare fantomatici mercati transatlantici che di fatto impongono, ancora una volta, le volontà di Washington al mondo intero.
Un'unione alternativa tanto al blocco nordamericano che a quello putiniano e che anzi, possa dare qualche lezione di emancipazione anche a quei due blocchi che, come ai tempi della Guerra Fredda, fronteggiandosi, hanno da sempre affamato i popoli del mondo e finanche i rispettivi popoli.
Questo può essere definito populismo, certo. E lo è, ma nella sua accezione positiva ed originaria del termine, giacché il populismo fu movimento di ispirazione socialista nato alla fine dell'800 in Russia per rappresentare i contadini ed i servi della gleba.
Oggi siamo tutti dei servi che devono essere in grado di liberarsi, spezzando le loro catene e guardando ad un avvenire fatto di autogestione dell'economia, delle imprese e della politica, ovvero di democrazia diretta e libertà civica proprio perché rispettosa dei doveri civici di ciascuno nei confronti del proprio Paese e dell'Umanità intera.

Luca Bagatin

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