martedì 21 febbraio 2023

Gli 80 anni dello scrittore dissidente Eduard Limonov, fra film e saggi a lui dedicati. Articolo di Luca Bagatin

  

Lo scrittore dissidente russo di fama internazionale, Eduard Limonov, il 22 febbraio di quest'anno, avrebbe compiuto 80 anni.

L'ultimo e definitivo numero della rivista statunitense “Esquire”, in Russia, che uscì nell'aprile 2022 (prima di chiudere la versione russa, a causa delle sanzioni), gli dedicò la copertina con il titolo: “La vita e il posto nella Storia del grande scrittore russo” e, da tempo, è in lavorazione un film ispirato alla sua vita - “Limonov: The Ballad of Eddie”, scritto dal regista polacco Paweł Pawlikowski, diretto dal regista russo Kirill Serebrennikov e interpretato dall'attore britannico Ben Whishaw (celebre per aver recitato nei film “The Danish Girl”, “Il ritorno di Mary Poppins” e “La vita straordinaria di David Copperfield).

Il film, peraltro, è ispirato al romanzo-biografia “Limonov”, del francese Emmanuel Carrère, del 2011, edito in Italia da Adelphi. Romanzo che, in verità, Limonov non considerava per nulla, in quanto lo riteneva scritto dal punto di vista di un “ricco borghese” e dichiarò di non averlo mai voluto leggere.

Da dire che, già nel 2018, il regista italiano Mimmo Calopresti gli dedicò un docu-film, ove accostò Limonov alla figura di Pier Paolo Pasolini.

Limonov, alla sua morte, avvenuta il 17 marzo 2020, aveva all’attivo oltre 60 libri. Prevalentemente romanzi a sfondo autobiografico.

Dissidente integrale, negli Anni ’70, si fece volutamente espellere dall’URSS per approdare negli USA, ove vivrà di scrittura e di umilissimi lavori, assieme al compagna dell’epoca, Elena Schapova, la quale diverrà presto una modella e oggi è moglie di un nobile italiano.

Fu autodidatta, sarto, attivista trotzkista, redattore di giornali, maggiordomo di un miliardario e, per un periodo, visse persino da senzatetto.

Visse a Parigi negli Anni ’80, con la seconda moglie (la prima fu Anna Rubinstein, che sposò negli Anni '60), la cantante e scrittrice Natalya Medvedeva, e successivamente, negli Anni ’90, partecipò alla guerra civile nell’ex Jugoslavia a sostegno della Repubblica Federale di Jugoslavia e alla guerra di Transnistria, a sostegno della Repubblica Socialista Sovietica Moldava di Pridnestrovie. Successivamente, tornato in Russia, prese parte alla resistenza popolare in difesa del Parlamento russo, fatto bombardare da Eltsin.

Nel 1992 collaborò con Vladimir Zirinovskij, leader del Partito LiberalDemocratico russo, ricevendo la nomina a “Ministro della Sicurezza” del governo ombra creato dallo stesso Zirinovskij. Presto ne prese le distanze, spiegandone le ragioni nel saggio “Limonov contro Zirinovskij”.

L’anno successivo, invece, organizzò un gruppo di poveri, sbandati, emarginati, punk ed ex punk delusi dal crollo dell’Unione Sovietica e vittime dell’avvento dei liberalismo oligarchico.

Quel nucleo di “desperados”, nel 1993, prenderà il nome di Fronte Nazionale Boscevico e, nel 1994, di Partito NazionalBolscevico (PNB), unendo i principi del nazionalbolscevismo di Ernst Niekisch (ex deputato socialidemocratico e primo oppositore, in Germania, del totalitarismo hitleriano), a quelli della controcultura punk e beatnik.

Limonov, il filosofo Aleksandr Dugin (prima di andarsene dal partito e prendere le distanze da Limonov), il cantante e chitarrista punk rock Egor Letov e il musicista e attore Sergey Kuryokhin (oltre che numerosi altri artisti, scrittori e musicisti), saranno dunque i maggiori animatori del PNB e del suo giornale controculturale “Limonka” (“Granata”) e riusciranno, via via, ad aggiudicarsi le simpatie di quei giovani delusi dall’avvento di Eltsin al potere e della conseguente distruzione economico-sociale della Russia, che si avviava a divenire un Paese liberal-capitalista.

Il Partito NazionalBoslcevico sarà bandito in Russia, nel 2007, con l’infondata accusa di “estremismo”. Ma, nel settembre 2021, la Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU), con sede a Strasburgo, ha dichiarato che lo scioglimento del Partito NazionalBolscevico (PNB) è da considerarsi una violazione dei diritti umani e ha condannato le autorità russe a pagare un risarcimento ai giovani figli adolescenti di Limonov e ai dirigenti del partito di allora.

La CEDU ha infatti stabilito che vietare il PNB fu un atto “sproporzionato e non necessario in una società democratica” e ha fatto cadere ogni accusa attribuita al partito dalla giustizia russa, ovvero le accuse infondate di “estremismo”, “incitamento all’odio” e “appelli a disordini di massa”.

Dopo una breve alleanza con i liberali di Kasparov e Kasyanov - oltre che con i comunisti di Viktor Anpilov – nella coalizione democratica “Altra Russia” (il nome è tratto da un saggio politico dello stesso Limonov, del 2003), Limonov e i suoi giovani militanti organizzeranno, nel 2010, il partito “L’Altra Russia” che, dopo la sua morte, ha assunto la denominazione “L’Altra Russia di Eduard Limonov”. Collocato a sinistra e spesso alleato, in varie manifestazioni, a diversi partiti comunisti russi, non rappresentati in parlamento.

Ancora oggi partito di opposizione fra i più perseguitati in Russia (ed ai quali è impedito presentare liste elettorali), il partito di Limonov propone – fra le altre cose – una forma di socialismo popolare e democratico, fondato sull'anticapitalismo e sulla nazionalizzazione dei settori chiave dell'economia; il rispetto dell’articolo 31 della Costituzione che sancisce la libertà di riunione e manifestazione; la fine dell’autoritarismo imposto dal governo Putin.

La compianta giornalista Anna Politkovskaja sui nazionalbolscevichi di Limonov ebbe a scrivere:

Mi sono ritrovata a pensare di essere completamente d'accordo con ciò che dicono i Nazbol. L'unica differenza è che a causa della mia età, della mia istruzione e della mia salute, non posso invadere i ministeri e lanciare sedie.

(...) I Nazbol sono soprattutto giovani idealisti che vedono che gli oppositori storici non stanno facendo nulla di serio contro l'attuale regime. Questo è il motivo per cui si stanno radicalizzando.

(...) I Nazbol sono probabilmente il gruppo di sinistra più attivo, ma il loro nucleo si è ridotto da quando molti sono stati arrestati e imprigionati.

(...) I Nazbol sono giovani coraggiosi, puliti, gli unici o quasi che permettono di guardare con fiducia all'avvenire morale del Paese”.

Eduard Limonov di Anna Politkovskaja scrisse:

"(...) Cosa ha fatto Anna Politkovskaja per noi ? Ci ha fatti conoscere nella società. Ci ha spiegati alla gente, perché ci ha riconosciuti prigionieri politici. Ha ricreato nei suoi articoli l'atmosfera di un terribile processo contro i giovani della Russia. Questo processo di massa non avveniva sulla nostra terra dalla fine del XIX secolo. E così rinasceva nel XXI secolo".

(...) Il 7 ottobre 2006 Anna Politkovskaya fu uccisa all'ingresso della casa dove abitava. Sono andato al cimitero. C'erano già tutti i nazionalbolscevichi di Mosca. E quelli che sono riusciti a venire dalle zone limitrofe. I ragazzi mi hanno consegnato fiori di garofano bianco. Poi si è svolta la processione funebre. Il ritratto di Anna Politkovskaja è stato portato da una nostra compagna nazbol, che indossava occhiali in una cornice in metallo. Molto simili a quelli della Politkovskaja".

In Italia, in questi ultimi anni, opere di Limonov sono state editate da Sandro Teti, che continuerà, negli anni a venire, a pubblicare sue opere.

Fra queste ricordiamo il romanzo dai contorni noir e erotici “Il Boia” e “Zona Industriale”, nel quale l'autore racconta il periodo trascorso dopo l'uscita dal carcere di Lefortovo e il ritorno nel suo malmesso e fatiscente appartamento, sito nella periferica zona industriale moscovita di Syri.

Limonov, infatti, non si è mai arricchito e non gli è mai interessato vivere negli agi, nonostante la sua ultima moglie sia stata l'affascinante attrice, cantautrice e modella Ekaterina Volkova, amante del jet set, e dalla quale ha avuto due figli, Aleksandra e Bogdan.

Sandro Teti ha curato anche la prefazione al mio saggio “L'Altra Russia di Eduard Limonov”, edito da IlMioLibro e uscito lo scorso anno, che cerca di cogliere l'anima artistica e controculturale del Nostro.

L'ultima compagna di Limonov, alla quale è sempre stato sempre fedele, fu Fifì, alla quale dedicò una raccolta di poesie erotiche - “A Fifì” - appunto, con l'affascinante fanciulla in copertina, nuda, di spalle.

Limonov e Fifì saranno anche protagonisti del numero 100 della rivista “Rolling Stones”, l'uno accanto all'altra, con lei, completamente nuda, di spalle.

Nel suo soggiorno statunitense, negli Anni '70, Limonov conobbe il poeta e editore della Beat Generation Lawrence Ferlinghetti (il quale gli consigliò un finale diverso per il suo romanzo “Sono io, Edika”, tipo l’omicidio di una persona famosa, anziché la frase “Affanculo tutti!”) e Andy Wharol.

Relativamente a Wharol, Limonov ebbe a dire: Andy Warhol era impossibile da non notare. I suoi capelli albini illuminati dalla luna e il suo viso caratteristico lo rendevano unico. Ha subìto un attentato da parte di una donna, Valerie Solanas, ma ha continuato a girare per New York da solo, senza guardie del corpo...
Qualche anno prima di incontrare Warhol su Madison Avenue, ho comprato il suo libro "The Philosophy of Andy Warhol". L'ho letto in inglese. Sdraiato sull'erba a Central Park. Questo è un libro utile e intelligente. Recentemente l'ho acquistato di nuovo in inglese. Quando l'ho letto a New York, ero sconosciuto a tutti e avevo appena iniziato nel luglio del 1976 a scrivere il mio primo romanzo. Un quarto di secolo dopo, ormai, non esco senza una guardia del corpo e alcuni passaggi del libro hanno acquisito per me un significato diverso...
Dopo un attentato contro di me nel 1996 e il bombardamento della sede di "Limonka" nel 1997, ho compreso più profondamente la saggezza della filosofia di Andy Warhol".

Nel suo "Diario di un fallito" ebbe a scrivere che "Ci sarà giustizia quando il sesso non dipenderà più dal denaro" e di sé stesso e del suo carattere difficile, ma costantemente alla dispetata ricerca d'amore ebbe a scrivere: "Sono arrabbiato, sono nervoso, non sono buono, non sono interessante ... Eppure sono orgoglioso di essere nervoso e sono orgoglioso di essere cattivo. E sono sicuro di essere bravo, molto meglio di tutti loro - sia professori domestici ristretti che poeti pseudo-ribelli domestici manuali. L'instabilità è buona, è un motore, è uno stato naturale di una persona, non c'è nulla di permanente nella vita.
L'armonia è lotta. Non ho mai vissuto una vita normale. Non ho sempre avuto un riparo, vagavo da un appartamento all'altro. La vita stessa è un processo privo di significato. Pertanto, ho sempre cercato un'occupazione elevata nella mia vita. Volevo amare disinteressatamente, ero sempre annoiato di me stesso. Ho amato, come osservo ora, in modo insolitamente forte e spaventoso, ma ho scoperto che volevo amore reciproco"
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Luca Bagatin

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venerdì 17 febbraio 2023

Giordano Bruno, martire del libero pensiero. Articolo di Luca Bagatin

  

Giordano Bruno fu un frate domenicano di Nola noto per la sua visione gnostica dell’Universo e condannato al rogo dalla Chiesa cattolica ed arso vivo a Campo de’ Fiori in Roma il 17 febbraio 1600, per il solo fatto di aver affermato che: “Cristo non era Dio ma un mago incredibilmente abile” e che “L’universo è infinito e contiene un numero similmente infinito di mondi, e che tutti sarebbero abitati da esseri intelligenti” oltre che per la sua visione di Dio come immanente ovvero che “il Divino che è il Tutto, e del Tutto che è il Divino”.

Giordano Bruno fu un libero pensatore gnostico che attinse le sue Conoscenze per mezzo dell’esperienza diretta (unione con il Divino) e dei suoi studi ermetici (da Ermete Trismegisto, il Dio Thot degli Egizi) e i quali meriterebbero un articolo di approfondimento a parte.

Mi limito, qui, a riportare solo alcune nozioni, che auspico possano essere utili a coloro i quali vogliano approfondire l’argomento e al fine di ricordare questo martire del Libero Pensiero e della libera ricerca spirituale.
A ricordarlo, oggi, in Campo de’ Fiori, il celebre monumento voluto e realizzato nel 1889 dallo scultore e Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia di fede repubblicana-mazziniana Ettore Ferrari. Il quale, significativamente, volle orientare lo sguardo di Giordano Bruno verso la Basilica di San Pietro in Vaticano: la culla dei suoi accusatori e assassini.

Mai come in quest'epoca neo-oscurantista (perché dogmaticamente “liberale”, ma molto poco democratica) abbiamo bisogno di celebrare Giordano Bruno e necessità del pensiero libero, da ogni forma di Potere e da ogni forma di mercato.

Luca Bagatin

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giovedì 16 febbraio 2023

Egor Ligaciov, il riformista leninista che voleva salvare l'URSS e il socialismo. Articolo di Luca Bagatin

  

Nel 1993 venne pubblicato, in Italia, dall'editore Roberto Napoleone, un interessante saggio utile a capire – oggi - molti avvenimenti del presente, a trent'anni esatti di distanza.

“L'enigma Gorbaciov”, che può ancora oggi essere reperito in qualche mercatino dell'usato o online, scritto da Egor Ligaciov, è un saggio chiaro e illuminante.

Ligaciov, nato nel 1920 e deceduto nel 2021 all'età di 101 anni, fu figura chiave del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS) nel periodo gorbacioviano, oltre ad essere stato eletto per ben tre volte deputato alla Duma, nelle fila del Partito Comunista della Federazione Russa, sia in opposizione a Boris Eltsin che al suo delfino e successore Vladimir Putin, avendone sempre criticato le politiche.

Ligaciov fu un leninista riformista della prima ora, membro del Politburo e numero due del PCUS dal 1985 al 1990.

Come racconta nel saggio stesso, Ligaciov fu fra i primi, all'inizio del 1990, a sostenere l'esigenza di garantire pluralismo e Stato di diritto in URSS e a lanciare la cosiddetta perestrojka.

Lo fu a tal punto che fu fra i primi a sostenere la candidatura di Michail Gorbaciov alla guida dell'URSS, tanto che il Corriere della Sera, in quegli anni scrisse: “Ligaciov è diventato il sostegno di Gorbaciov nella sua politica di rinnovamento”.

Del resto, risale al 1983, sotto la leadership di Andropov, la stima reciproca fra Ligaciov e Gorbaciov e la loro politica di rinnovamento e di riforma, in continuità con gli insegnamenti del socialismo e del marxismo-leninismo e in opposizione tanto alla visione stalinista che a quella liberal-capitalista.

La stima di Ligaciov per Gorbaciov era tale che, non solo sostenne la sua candidatura nel 1985 alla guida del PCUS, ma invitò persino politici conservatori del calibro di Andrej Gromyko a proporne la candidatura e a sostenerlo.

Purtuttavia, lo stesso Ligaciov, come racconta nel suo saggio di memorie, ben presto si rese conto che, quel processo di riforma che avrebbe dovuto cambiare in meglio le sorti dell'URSS, si stava trasformando nel trampolino di lancio di quelle forze che Ligaciov definisce “radicali” ed “estremiste”, ovvero forza di matrice anticomunista, nazionalista, pseudodemocratiche, che cercavano di spingere le Repubbliche Socialiste Sovietiche verso il capitalismo.

E se ne accorse in particolare in quanto, sia la riforma del sistema elettorale che del sistema economico, seguivano un'accelerazione, senza minimamente consultare l'opinione pubblica sovietica.

Un'accelerazione che portò ad ammettere, ben presto, alle elezioni, fazioni anticomuniste e antisocialiste e smantellando totalmente il sistema socialista e privatizzando pressoché in toto l'apparato pubblico, abolendo non tanto il dannoso sistema burocratico del passato, quanto piuttosto abolendo ogni forma di pianificazione pubblica e favorendo l'oligarchia privata.

Ligaciov, oltre che l'insegnante Nina Andreeva, che per prima – con una dura lettera pubblicata sul quotidiano “Sovetskaja Rossija” - si permise di criticare il corso gorbacioviano, subirono un forte ostracismo da parte dei media e degli alti vertici del PCUS di allora.

Ligaciov, in particolare, attribuisce tale nuovo corso, a quella che definisce “eminenza grigia”, ovvero a Aleksandr Jakovlev, che si porrà alla testa di tali forze “radicali” e “antisocialiste”.

Jakovlev, politico di lungo corso sovietico, come ricorda Ligaciov, lavorò a lungo in Canada all'Accademia delle scienze sociali e fece uno stage di un anno presso la Columbia University di New York.

Nel 1972 diede scandalo un suo articolo, pubblicato dalla “Literaturnaja Gazeta” dal titolo “Contro l'anti-storicismo”, nel quale sviluppò le sue idee in senso liberale e entrava nello scontro interno al PCUS fra “occidentalisti” e “slavofili”, attacando questi ultimi.

Ligaciov, nel suo saggio, in sostanza, fa presente come la politica di Gorbaciov fosse diventata eterodiretta da Jakovlev, il quale, peraltro, nel 1992, una volta bandito il PCUS, venne sempre tenuto in alta considerazione da Eltsin.

Jakovlev, fra l'altro, fu il primo a scagliarsi contro Nina Andreeva e ad aizzare i media contro tutti i critici del nuovo corso liberale intrapreso dall'URSS.

Fra questi lo stesso Ligaciov che, senza uno straccio di prova, fu coinvolto nella “tangentopoli sovietica”, lanciata dai giudici Gdlian e Ivanov.

Proprio Ligaciov che, per primo, aveva puntato il dito contro la corruzione politica in Uzbakistan e che, nel Politburo, aveva iniziato a lanciare una campagna anti-corruzione.

Gorbaciov non difese l'ex amico Ligaciov, ma tacque, per quanto, ben presto, ogni accusa contro di lui venne a cadere.

Di tutto ciò che Ligaciov si rammarica in particolare, di quegli anni, che hanno determinato peraltro la Storia delle ex Repubbliche sovietiche sino ai giorni nostri, è racchiuso in queste frasi, che riporta nel libro: “Il vero dramma della perestrojka consiste nel fatto che i suoi leader, invece di usare la normale arma della critica contro i cosiddetti conservatori, fecero loro la guerra e, impegnati in questo, non videro invece – o non vollero vedere – il vero, grande, principale pericolo che gradualmente aumentava: il nazionalismo e il separatismo”.

Di lì a poco, infatti, scoppieranno – come nell'ex Jugoslavia – i primi conflitti fra Repubbliche ex sovietiche. Aspetto, che, peraltro, non è mai cessato e continuiamo a vedere ancora oggi. Esattamente come l'avvento al potere, in tutte le Repubbliche ex sovietiche, come prospettato da Ligaciov, di leader antisocialisti e autoritari.

Nel suo saggio, Ligaciov, riporta alcuni stralci della lettera che inviò – nel maggio 1990 – al Politburo del PCUS: “Il Paese è a un bivio. Il problema è questo: o tutto ciò che è stato raggiunto, con sforzi enormi di tante generazioni, sarà conservato e sviluppato sulla base del vero socialismo, o l'Unione Sovietica cesserà di esistere e al suo posto si formeranno decine di Stati con regimi diversi.

In Lituania i nazionalisti borghesi hanno preso il sopravvento, la repubblica sta andando alla deriva e si avvicina all'occidente. Nella stessa direzione vogliono andare Estonia e Lettonia. In alcune regioni occidentali dell'Ucraina il potere è passato nelle mani dei nazionalisti. Nel Caucaso è in corso una guerra fratricida. L'alleanza socialista in Europa si è spezzata, il paese perde i suoi amici mentre si rafforzano le posizioni dell'imperialismo.

I conflitti etnici, gli scioperi, le forze disgregatrici non tengono conto delle leggi, del Soviet supremo e dei decreti del presidente, rendendo impossibile la realizzazione della riforma economica.

Bisogna convocare il Plenum del Partito e elaborare misure urgenti e concrete per battere le forze antisocialiste e separatiste, riordinare le fila dei comunisti e rafforzare l'integrità territoriale dell'URSS”.

Sappiamo bene come, invece, gli eventi abbiano preso una piega opposta, nonostante il 17 marzo 1991, la stragrande maggioranza dei cittadini di tutte le Repubbliche sovietiche (ben il 77,85%) abbia votato per la sua conservazione.

Ligaciov, in ogni caso, non incolpa la perestrojka del precipitare degli eventi. In realtà rivendica il fatto che le aperture fossero necessarie – come peraltro avvenuto nella Cina socialista dalla fine degli Anni '70 – e come l'economia sovietica fosse sana e tutt'altro che prossima al collasso.

Egli ritiene che fosse giusto far convivere pianificazione economica e libero mercato, ma non di certo aprire alla deregolamentazione e alla privatizzazione selvaggia, come invece è avvenuto, portando non solo alla deregolamentazione dell'economia, ma anche ad un impoverimento generale della popolazione.

In questo senso egli sottolinea, nel suo saggio, come anche nei Paesi capitalisti la totale deregolamentazione dell'economia - senza pianificazione - porti al totale collasso e sia economicamente insostenibile.

Ma sottolinea come, mentre i Paesi capitalisti – per far reggere la loro economia - abbiano largamente sfruttato i Paesi sottosviluppati e le loro risorse e gli operai stranieri immigrati, i Paesi socialisti non lo abbiano mai fatto e siano e siano stati unicamente fondati sul lavoro di milioni di cittadini.

Delle frasi, nei capitoli conclusivi del testo, riassumono, in particolare, il pensiero riformista di Egor Ligaciov: “Sono convinto che il socialismo sia una delle vie che conducono al progresso universale. Come intendo io il socialismo? Una società in cui si dà priorità all'uomo e alla democrazia. La base economica del socialismo è la proprietà sociale dei mezzi di produzione, ma in forme differenziate: l'uomo vi diventa comproprietario, e vi convivono pianificazione e libero mercato.

La base politica di questo regime sono i Soviet a tutti i livelli e uno Stato di diritto. Sul piano morale è una società in cui nei valori socialisti trovano posto sublimandosi i valori individuali; sul piano sociale è un regime di giustizia sociale, privo di oppressioni e ingiustizie, una società in cui non esiste la disoccupazione e in cui a ciascuno viene garantito il diritto al lavoro”.

Luca Bagatin

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martedì 14 febbraio 2023

Se i cittadini, giustamente, disertano le urne... Articolo di Luca Bagatin

Immaginate se in due delle maggiori Regioni italiane – tipo la Lombardia e il Lazio - andasse a votare alle elezioni amministrative, che so, appena il 40% degli aventi diritto.

No, dico, ve lo immaginate?

E' un'ipotesi, intendiamoci, rilassatevi!

Però, se MAI dovesse accadere, qualche domanda sarebbe il caso di porsela.

Ooooooooooooooops! E' esattamente quanto avvenuto ieri! (OCCAZZO!)

A votare, in Lombardia c'è andato il 41,67% e in Lazio il 37,2% dei cittadini elettori!

Caspita! Nessuno l'avrebbe mai detto...vero?

Seee, okay, all right, está bien,va bene!

Se i politici locali e nazionali sono sempre più lontani dalla volontà dei cittadini, se le decisioni vengono prese a Bruxelles piuttosto che a Washington, oppure dagli algoritmi dei socialnetwork, non è che puoi pensare che i cittadini ti diano ancora retta!

Stanno a casa o vanno altrove. Non certo alle urne!

Non perdono tempo, ti pare?

Soprattutto se la Meloni e i suoi Fratelli fanno e dicono, oggi, l'opposto di quello che dicevano ieri e finiscono per (in)seguire l'Agenda Draghi che, sino a mesi fa, fingevano di contrastare!

E se il PD and Co. (Cinque Stelle compresi) si camuffano da sinistra, ma portano avanti politiche borghesi, liberal-capitaliste (con annessa propaganda of war), che nemmeno la destra avrebbe – probabilmente - il coraggio di promuovere!

I cittadini elettori ti dicono: “Okay, va bene, hai vinto tu. Sei più forte, potente, hai tutti i media dalla tua parte, il Festival di Sanremo, i palloni che volano nei cieli, le flatulenze d'oltreoceano, la propaganda di guerra al grido “Più Army for all!”, l'Agenda Draghi che ha sostituito la Smemoranda che usavamo negli Anni '90. Ma, remember – ricordati – siamo cittadini, siamo (potenziali) elettori, ma non siamo dei fessi”.

Persino Berlusconi lo ha capito e, pur alla sua veneranda età e non contando quasi più nulla, sembra essere tornato a fare dichiarazioni da statista.

In tutto questo, ha ragione l'ottimo Francis Dupuis-Déri, insegnante nel Dipartimento di Scienze politiche dell’Università del Québec a Montréal e già ricercatore presso il Massachussets Institute of Technology di Boston.

Francis Dupuis-Déri ha scritto un ottimo saggio che ho recensito al link qui fra parentesi (https://www.olnews.it/2022/08/26/addio-alle-urne-un-saggio-di-francis-dupuis-deri/). Leggilo e capirai cos'è la democrazia e perché la democrazia, quella vera, ovvero diretta, merita di essere SEMPRE difesa.

Ed ora un paio di note: il 19 febbraio, presso il Lincoln Memorial di Washington, il Partito Libertario e il People's Party, rispettivamente di centrodestra il primo e di centrosinistra il secondo, hanno organizzato – assieme ad altre associazioni e radio indipendenti e libertarie - un grande raduno contro le guerra dal titolo “Rage Against War Machine”.

A tale raduno, che chiede, fra le altre cose, oltre alla negoziazione della pace nel conflitto russo-ucraino, lo stop ad ogni invio di armi; la riduzione delle spese militari; la liberazione del dissidente libertario Julian Assange; l'abolizione della NATO e della CIA, saranno presenti, oltre a numerosi artisti e musicisti statunitensi, anche personalità politiche quali il libertario repubblicano Ron Paul; il democratico progressista Dennis Kucinich; l'ex democratica Tulsi Gabbard; la verde ed ex democratica Cynthia McKinney e – come già detto - numerosi attivisti, giornalisti e artisti di ogni colore politico che si oppongono alle folli politiche di Biden, ovvero del nuovo Richard Nixon in salsa Fog of War.

Altra piccola nota. Il mio amico Paolo Di Mizio, giornalista di lungo corso, oltre che ottimo poeta e saggista, fa presente che – non solo le elezioni regionali di due importanti Regioni italiane sono state – giustamente - ignorate – ma anche il Festival di Sanremo Ventiventitre (2023).

L'ottimo Paolo, infatti, sulla sua pagina Facebook scrive: “Prego notare che gli alti ascolti di Sanremo (11 milioni di telespettatori in media tra le varie serate) rappresentano oltre il 60% dello share (cioè dei televisori accesi), ma rappresentano solo il 19% degli italiani. Quindi la vera notizia è che l'81%, cioè 49 milioni di italiani, NON ha guardato il festival di Sanremo. Giusto perché la matematica non è un'opinione, ma il modo di presentare i numeri può essere ingannevole”.

Dal giorno di San Valentino 2023 è tutto.

Fate sempre l'Amore e mai la guerra!

Fidatevi, è meglio, come disse e continua a dire – dall'Alto dei Cieli (liberi da palle e palloni) - il semper mitico Andrea G. Pinketts!

Luca Bagatin, Isola che Non C'è, 14 febbraio 2023

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giovedì 9 febbraio 2023

9 febbraio 1849: proclamazione della prima vera Repubblica d'Italia. Articolo di Luca Bagatin

 
Il 9 febbraio merita di essere ricordato e celebrato in quanto, in quella data, nel 1849, fu proclamata l'unica vera Repubblica che l'Italia abbia mai davvero conosciuto.

Proclamata dal Triumvirato costituito da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini, conquistata con il sangue di patrioti garibaldini che fecero fuggire il Papa Re a Gaeta, fu fondata sulla sovranità del Popolo, sull'eguaglianza, la libertà e la fraternità, senza alcun privilegio, nonché sulla piena libertà religiosa e di culto.

Durò, purtroppo, solamente cinque mesi, soffocata brutalmente dai francesi di Napoleone III, alleati del Papa dei cattolici.

Una Repubblica indipendente, quella Romana del 1849, non solo dal potere religioso-statuale, ma anche da quello monarchico dei Savoia.

Una Repubblica che consacrò ad eroina quella Anita Garibaldi che morirà poco dopo, moglie del primo Socialista e Repubblicano senza tessera di partito, ovvero Giuseppe Garibaldi. Eroina dei Due Mondi, tanto lei – nata in Brasile - quanto il marito, in quanto lottò con lui, sia in America Latina che in Italia, contro ogni forma di oppressione, sopruso, tirannide.

Una Repubblica – quella Romana del 1849 - dimenticata e la cui memoria fu offuscata persino dall'attuale “Repubblica dei partiti”, fondata nel 1948, la cui Costituzione è nata dal compromesso di interessi di potere contrapposti, la quale oggi è totalmente serva di logiche internazionali, dal Fondo Monetario, alla Banca Centrale Europea, passando per la NATO e l'UE.

Entità lontane dalle genti e che tanto ricordano l'Impero Asburgico e i difensori dell'Ancien Régime, opposti ad ogni forma di sovranità popolare diretta e, dunque, lontano da ogni forma di democrazia autentica, così come la intendevano Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi.

Solo la Libera Repubblica di Fiume di Gabriele d'Annunzio e del mazziniano Alceste De Ambris del 1919, riuscirà ad eguagliare lo spirito della Repubblica Romana di mazziniana e garibaldina memoria, persino connotando questa nuova impresa di aspetti libertari, anarco-comunisti, erotici e spiritualisti.

Si pensi – peraltro - che la Costituzione della Repubblica di Fiume, ovvero la Carta del Carnaro prevedeva aspetti avanzatissimi per l'epoca, al punto che nemmeno oggi, alcuni aspetti, sono garantiti dalla Costituzione italiana, ovvero: libertà di associazione, libertà di divorziare, libertà religiosa e di coscienza al punto che furono proibiti i discriminatori crocifissi nei luoghi pubblici, assistenza ai disoccupati e ai non abbienti, promozione di referendum, promozione della scuola pubblica, risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario, inviolabilità del domicilio.

Anche questa nuova impresa di ispirazione libertaria, garibaldina e mazziniana sarà soffocata dall'imperialismo internazionale e dal governo italiano retto da Giovanni Giolitti che, nel 1920, inviò le truppe italiane a sgomberare a cannonate i legionari di d'Annunzio.

Uno spaccato di Storia italiana ed europea, insomma. Antica e più moderna. Che vide contrapporsi eroi e martiri da una parte e politicanti imperialisti dall'altra.

La Storia è sempre destinata, tristemente, a ripetersi. Ma non va mai dimenticata e sempre approfondita.

Luca Bagatin

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venerdì 3 febbraio 2023

Celebriamo la memoria di "Cavallo Pazzo" Mario Appignani, non il Festival di Sanremo. Articolo di Luca Bagatin

Più che un evento artistico e musicale, sembra essere sempre stato un evento mediatico di massa, di propaganda politica, peggio ancora se quest'anno fosse di guerra, in un'epoca in cui abbiamo bisogno di pace, ragionevolezza, lotta alla povertà, come ha recentemente sottolineato anche il Presidente socialista del Brasile Lula da Silva.

Il Festival di Sanremo merita di essere ricordato per un solo e unico evento, ovvero quando è stato messo a nudo, nel senso artistico e politico del termine, nel 1992, da Cavallo Pazzo, al secolo Mario Appignani.

La sua incursione fuori programma, volta a interrompere la kermesse mediatica baudiana, fu memorabile e, forse, compresa da pochi.

Con il suo “Sono Cavallo Pazzo, questo Festival è truccato”, Mario Appignani fu emblematico e mise a nudo il sistema televisivo-mediatico che è truccato in quanto lontano dalla realtà delle persone; volto a illudere il pubblico della bontà o meno di certe cose, in modo da far dimenticare i veri problemi che affliggono questo povero Paese, sempre più povero.

Cavallo Pazzo, personaggio pasoliniano sia per la sua amicizia con Pasolini che per il suo stile provocatorio, aveva già “smascherato”, goliardicamente, nel 1977, Gandalf il Viola, personaggio mascherato che si era autoproclamato leader degli Indiani Metropolitani, mentre faceva propaganda per il PCI (partito più conformista che comunista) - in una fantomatica conferenza stampa - accanto a un giovane Massimo d'Alema (ne possiamo ritrovare ancora traccia su YouTube a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=0B7Y9iUsJ9Y)

Cavallo Pazzo, lui sì vero leader anticonformista degli Indiani Metropolitani, aveva saputo – per tutta la sua pur breve vita – mettere alla berlina – in modo goliardico e scanzonato - il potere politico e mediatico, esattamente come fecero gli scrittori e attivisti Hunter S. Thompson e Eduard Limonov.

Per questo vorrei ricordarlo con un articolo che scrissi nel 2015, che fu pubblicato da diverse testate e finanche, recentemente, nel saggio “Sbatti il matto in prima pagina” (Donzelli Editore) del prof. Pier Maria Furlan, ordinario di psichiatria all'Università di Torino.

E vorrei farlo perché Cavallo Pazzo, dalla sua infanzia nei brefotrofi lager, nei quali ebbe a soffrire ciò che nessun bambino dovrebbe mai soffrire, sino alla sua maturità (nella quale divenne amico di Bettino Craxi, che peraltro lo sostenne – anche dal suo esilio di Hammamet - negli anni in cui fu colpito da AIDS), dimostrò sempre di essere un dissidente integrale, un artista poliedrico, un attivista politico come pochissimi ce ne sono stati ce ne saranno, nella Storia.

MARIO APPIGNANI: UN RAGAZZO ALL'INFERNO

articolo di Luca Bagatin dell'11 maggio 2015

Molti si ricorderanno di Mario Appignani detto “Cavallo Pazzo” per le sue incursioni televisive al Festival di Sanremo o a quello di Venezia, tentando di arraffare il microfono ed interrompere un compassato Pippo Baudo. Oppure le sue incursioni allo stadio le domeniche pomeriggio degli Anni '90.

Mario è morto di AIDS nel 1996 ed allora Pippo Baudo, che non conosceva la storia di Appignani, disse che era affetto da “una complessa forma di esibizionismo” che “non aveva niente da dire”.

In realtà Mario Appignani, romano, classe 1954, sin dal 1975, ebbe molto da dire, forse anche più di quanto l'emblema della mediaticità nazional-popolare baudiana, intrisa, questa sì, di esibizionismo catodico, abbia mai avuto da dire dal dopoguerra sino ad oggi.

Quando aveva appena 19 anni, Mario Appignani, scrisse infatti un bellissimo libro autobiografico che non è più distribuito da tempo: “Un ragazzo all'inferno”. Il saggio è edito da Roberto Napoleone, con l'introduzione di Lamberto Antonelli e con prefazione di Marco Pannella, l'unico politico che diede voce a questo ragazzo emarginato, senza famiglia, che visse sin dall'età di 6 anni fra brefotrofi, orfanotrofi, manicomi, case di cura e di “rieducazione”.

Il piccolo Mario, infatti, è figlio di Tina, una prostituta - avviata a sua volta alla prostituzione dalla madre - che non lo può mantenere e così lo lascia sui gradini di una chiesa. E' così che passerà sotto la “tutela” dello Stato, con i suoi istituti che fanno parte dell'Opera Nazionale Maternità ed Infanzia (OMNI), istituita dal fascismo e gestite materialmente dalla Chiesa cattolica, ricevendo sovvenzioni statali.

Istituti che, in realtà, sono dei veri e propri lager che, proprio grazie alle denunce di Mario Appignani ed all'intervento di Pannella e dei radicali, sono state chiuse definitivamente nel 1975.

“Un ragazzo all'inferno” è un libro toccante e brutale, a tratti tenero come tenero è il cuore di Mario, ragazzo che è diventato uno “scapestrato” (bisognerebbe poi capire se lo è stato per davvero però!) dopo anni di abusi e sevizie da parte delle suore, dei suoi compagni, dei direttori, delle forze di polizia e della politica dell'epoca - dalla clerico-fascista DC sino all'indifferente e connivente sinistra - sorda di fronte all'esistenza di bambini e ragazzi poveri e senza famiglia.

E' agghiacciante pensare che, quanto accaduto a Mario ed ai suoi compagni, accadeva nell'Italia “repubblicana” di solo quarant'anni fa ! E' agghiacciante pensare che anche l'Italia “repubblicana” e “antifascista” abbia avuto i suoi lager e che in essi ci finissero i “reietti” della società, ancorché bambini (sarebbe da chiedersi se questo i vari Pippo Baudo ed i vari Bruno Vespa, sostenitori strenui della DC lo sapessero!).

Mario ci racconta di quando entrò per la prima volta in un brefotrofio, all'età di soli sei anni. E' gestito da suore tutt'altro che buone cristiane, che fra le altre cose somministrano ai bambini dei pasti scarsissimi – al limite della denutrizione – e spesso pieni di insetti. Le punizioni, poi, sono da lager nazista: i bambini sono spesso costretti a rimanere sul balcone, all'esterno, in pieno inverno, con le sole mutandine addosso.

E' in una situazione come questa che Mario conosce Francesco, un bambino di 8 anni. Francesco e Mario si incontrano sul balcone dell'istituto e si riscaldano abbracciandosi vicendevolmente. La punizione di Mario termina prima di quella di Francesco e così quest'ultimo è costretto a rimanere da solo al freddo. Da allora di Francesco non se ne saprà più nulla sino a che, un anno dopo, il giardiniere ne troverà il cadavere nell'orto, putrefatto ed irriconoscibile. Un caso che sarà insabbiato per sempre anche dai carabinieri, per non far ricadere lo scandalo sull'intero istituto, sovvenzionato dall'OMNI (sic !).

Mario, sarà successivamente trasferito in un altro istituto, diretto da quella suor Diletta Pagliuca che finirà in carcere proprio grazie alle denunce di Mario, anni dopo. Qui i bambini sono spesso legati ai loro letti con dei lucchetti, costretti a defecarsi ed urinarsi addosso, privi di lenzuola e coperte.

Con il passare degli anni Mario, da un'istituto all'altro, da una punizione all'altra come le docce fredde ed i sassolini sotto alle ginocchia, impara a non fare la spia e spesso è costretto anche a soccombere agli appetiti sessuali dei suoi compagni, a mentire, a rubare gli indumenti degli altri come gli altri rubano i suoi: a prevalere è la legge del più forte, la legge della giungla.

E' così che tenterà il suicidio all'età di dodici anni e sarà trasferito alla Neuro, ovvero l'anticamera del manicomio.

Isolandosi sempre di più, Mario, ad ogni modo, scoprirà l'interesse per la lettura: dai fumetti passa a letture impegnate come Balzac, Kafka, Proust, Flaubert, Boudelaire, Dumas, Stevenson, Jack London, Palazzeschi, Moravia e Marinetti. E poi alla passione per l'ascolto della musica classica, in particolare di Beethoven.

Il suo è un modo per emanciparsi, per elevarsi da quella vita di dolore e vessazioni. Ma ci sarà spazio anche per l'amore. Amore omosessuale per un suo compagno, Cesare, che Mario descrive teneramente nel suo libro e che deve essere “nascosto” perché i costumi ipocriti dell'epoca – impregnati di bigotto cattolicesimo - impongono che sia così, sia per gli omosessuali, ma anche per gli eterosessuali.

Mario trova tutto ciò assurdo, così come è assurdo il comportamento delle suore e dei preti degli orfanotrofi. E' un comportamento che stride con il messaggio di Cristo, che Mario ama moltissimo ed infatti egli scrive: “L'idea del Cristo che è morto per noi, nella sua infinita bontà, mi esalta, mi affascina, mi turba. Ma tutto viene spazzato via (…) da questa cerimonia stucchevole, da questa finzione”. Ed ancora Mario ricorda che il Cristo diceva “Amatevi come fratelli”. Cosa che di rado accade negli orfanotrofi...

Mario ritiene poi – come sostenevano anche gli intellettuali omosessuali Dario Bellezza e Massimo Consoli - che l'omosessualità negli orfanotrofi sia spesso una conseguenza della natura sessuofoba della nostra società, che rende estremamente difficili i rapporti fra un ragazzo ed una ragazza. Aspetto appunto tipico delle comunità ristrette come gli orfanotrofi, che sono delle comunità omosessuali per eccellenza in quanto composte da persone dello stesso sesso.

Nel momento in cui avrà modo di prestare servizio volontario presso la Croce Rossa, Mario avrà quindi anche la possibilità di uscire dall'istituto nel quale è recluso. E si innamorerà di Katia, che purtuttavia scoprirà essere una prostituta e ciò lo deluderà moltissimo.

Nel frattempo finirà anche in galera, accusato di un furto che non aveva mai commesso in realtà e, una volta uscito, per mantenersi, assieme ad un suo ex compagno di collegio, inizierà a prostituirsi, ma finirà in galera ancora allorquando deciderà di tenersi una tessera appartenente ad un componente della Guardia di Finanza che aveva trovato a terra, solo per non pagare il cinema e che la polizia gli troverà addosso.

Curioso a dirsi, ma Mario scoprirà persino di avere un fratellastro, Giulio, il quale tenterà di metterlo in contatto con il patrigno, che purtuttavia lo rifiuterà e con la madre, Tina, che per la prima volta Mario incontrerà al Policlinico, al capezzale della sorellastra quattordicenne, la quale aveva appena tentato il suicidio. Ma, fondamentalmente, rimarrà deluso nell'apprendere che lei l'aveva abbandonato e che lo Stato italiano, anziché fornire un assegno mensile alla madre per il suo mantenimento, ha preferito affidarlo agli istituti dell'OMNI.

Solo l'incontro con Don Mario Picchi, che dirige il Centro Italiano di Solidarietà, gli permetterà di avere una sistemazione degna di questo nome e sarà proprio questo buon prete che lo esorterà a scrivere, appunto, la sua storia.

Mario, come scrive all'inizio ed alla fine di “Un ragazzo all'inferno”, è disilluso. Non pensa che il racconto della sua storia serva a qualcuno ed invece... Ed invece, grazie a Marco Pannella ed al Partito Radicale nel quale il giovane Mario militerà per alcuni anni, le cose inizieranno presto a cambiare, per quanto concerne gli istituti, gli orfanotrofi, i brefotrofi e parecchie persone saranno portate alla sbarra, fra cui la terribile suor Diletta Pagliuca.

Mario Appignani, nel corso degli Anni '70, grazie alla sua “cultura stramba”, come amava definirla, fu anche rappresentante degli Indiani Metropolitani, un gruppo libertario che, in Italia, si ispirò alla Beat Generation di Kerouac e Ginsberg e la sua vicenda politica e controculturale è raccontata da un suo compagno di militanza – Marco Erler – nel saggio “Assalto alla diligenza. Quando Appignani rinacque Cavallo Pazzo” edito da Memori alcuni anni fa (e riedito da Curcio nel 2018 n.d.A.).

Come Marco Erler, penso anch'io che la vicenda di Mario Appignani non vada dimenticata.

E penso che anche le sue scorribande televisive, negli Anni '90, pochi anni prima di morire, siano emblematiche. Era il suo modo goliardico ed irriverente per denunciare la società dello spettacolo e dei media, retti dall'uomo simbolo di una DC che pur stava tramontando per lasciare spazio alla sua continuità inculturale, ovvero al berlusconismo: Pippo Baudo.

Oggi i tempi sono per molti versi cambiati, ma penso che “Un ragazzo all'inferno”, di cui saranno anche scaduti i diritti editoriale da tempo, dovrebbe essere ripubblicato, a beneficio dei più e dei meno giovani. Affinché sappiano che cosa accadeva agli emarginati, appena quarant'anni fa in Italia. Affinché ciò non accada mai più, perché non c'è peggior olocausto, non c'è peggior genocidio di quello compiuto da uno Stato che si autoproclama “democratico” o “repubblicano” e nei fatti non lo è.

Uno Stato, quello italiano che, ad ogni modo, i poveri e gli emarginati – tanto cari a Pasolini ma non alle destre ed alle sinistre - non li ha mai potuti sopportare.

E che, grazie ad Appignani, intellettuale e politico autodidatta che sulla sua pelle e sulla sua anima ha pagato un prezzo altissimo, hanno avuto, per una volta, una pur timida voce.

Luca Bagatin

www.amoreeliberta.blogspot.it

mercoledì 1 febbraio 2023

"Riflessioni sparse sulla vita, ma, soprattutto, sulla morte della coscienza" by Luca Bagatin

La differenza sostanziale fra una persona "libera" e una persona "liberal" è che la prima dice ciò che vuole, mentre la seconda dice sciocchezze politicamente corrette.

Non ci si può lamentare se si delega ad altri e, quindi, si è perduta la capacità/possibilità di decidere con la propria testa.

Deleghiamo ai politici, votandoli. 
Questi delegano ad altri organismi, che siano l'UE, la NATO, le società di telecomunicazione.  Per dire.
Noi stessi cediamo volontariamente i nostri dati alle società di telecomunicazione, ai social e così via. 
Se deleghi non puoi lamentarti se sei meno libero. 
Dovresti invece capire che nella vita puoi contare solo su te stesso e che delegare è profondamente sciocco. 
Pensare con la propria testa, giusto o sbagliato che possa essere, è naturale.
Ma che solo lo studio e l'approfondimento possono nutrire la mente.
Nessuno può risolvere i propri problemi. Per questo non si dovrebbe mai delegare a nessuno.
E bisognerebbe nutrire spesso la mente. 
Non lasciarla marcire, come si fa troppo spesso, nella Storia.

Il cospirazionismo, come la religione, si basa su false credenze generate dalla mente umana.

False credenze che potremmo definire "auto suggestioni". 
Non penso che esista peggiore porcheria per la mente delle auto suggestioni. 
Queste ti fanno vedere cose che non esistono solo perché la tua mente VUOLE a tutti i costi vederle. 
La miglior cura è il dubbio. 
Dubita di tutto. Persino di te stesso.
Studia e approfondisci sempre.  

Le imprese dovrebbero essere di proprietà di chi ci lavora, non di chi le possiede e sfrutta la forza lavoro. L'impresa privata dovrebbe essere data in gestione a chi vi lavora. Punto.

La giustizia non ha nulla a che vedere con le armi.

A meno che tu non viva nel Far West. 
E, anche se, come me, sei un appassionato di roba Western, sei un vero coglione se pensi che siano le armi che devono parlare. 
Le armi, sino a prova contraria, non parlano. 
A parlare sono spesso politici messi lì solo perché qualcuno, pensando di far bene (e invece fa male), va a votare. 
Quasi sempre, anzi, senza il quasi, i politici sparano cazzate. 
E ho detto sparano, perché, spesso, fanno parlare le armi.
Che, invece, dovrebbero sempre tacere. 

Il limite del liberalismo, che è poi l'ideologia del mondo occidentale, in particolare di ispirazione anglosassone, è il pretendere che esistano "valori universali".

In realtà ogni popolo, addirittura da regione nazionale a regione, ha valori completamente diversi rispetto agli altri popoli. 
La pretesa di "universalismo" si rifà semplicemente alla visione anglosassone, bianca e, a suo dire, "civilizzata". 
Un po' come non esiste il bene e il male, ma entrambi sono profondamente relativi, anche l'universalismo non esiste. Ma esistono tanti diversi particolarismi.
 
Studio, approfondimento, nessun giudizio (e, quindi, nessun pregiudizio), accettazione della diversità, valorizzazione delle proprie diversità. 
Questo dovrebbe bastare a una persona per poter vivere, se non meglio, almeno un po' più consapevolmente. 
 
Se non sei un grande stronzo, per scrivere usa, se puoi, lo stile Gonzo.

Luca Bagatin