sabato 29 agosto 2020

Bielorussia. Non si arresta la protesta di piazza. Parlano i comunisti contro Lukashenko. Articolo di Luca Bagatin

In Bielorussia non si placano le proteste a seguito della rielezione del Presidente Lukashenko, avvenuta il 9 agosto scorso.
Lukashenko si è barcamenato a lungo fra il sostegno da parte della Russia e quello più recente degli USA (si veda l'incontro amichevole fra Lukashenko e il Segretario di Stato USA, Mike Pompeo, nel febbraio scorso), ma, nonostante la rielezione, sembra non avere più il sostegno della piazza e di numerosi lavoratori.
Piazza che si muove spontaneamente, come quella dei Gilet Gialli in Francia, senza un leader, senza voler sostenere nessuno dei candidati che a Lukashenko si contrappongono.
Una piazza sostenuta anche dal Partito della Sinistra Bielorusso Mondo Giusto, ovvero il partito di ispirazione comunista, marxista-leninista, che a Lukashenko si oppone, a differenza del Partito Comunista di Bielorussia, che lo sostiene.
Il partito britannico Left Unity, ispirato dal regista socialista Ken Loach, ha, nei giorni scorsi, intervistato uno degli esponenti comunisti bielorussi che a Lukashenko si contrappone.
Pavel Katarzheuski, classe 1995, membro del Comitato Centrale del Partito della Sinistra Bielorusso Mondo Giusto. Pavel è peraltro stato arrestato e poi rilasciato dalle autorità bielorusse, dopo essere rimasto sdraiato per 14 ore con le mani legate nel cortile del commissariato e picchiato.
Nell'intervista (leggibile in inglese al seguente link: https://leftunity.org/belarusian-left-speaks-out), Pavel ha dichiarato che in Bielorussia le cause principali della crisi politica sono state “un progressivo deterioramento del tenore di vita, un calo dei redditi reali della popolazione, l'eliminazione dei benefici e delle garanzie sociali e l'incapacità dei cittadini di influenzare le decisioni prese dalle autorità”. Egli, peraltro, definisce quello di Lukashenko un “regime autoritario-capitalista” e le sue riforme “antisociali e neoliberiste”.
Pavel Katarzheuski fa poi presente che il suo partito è attivamente presente nelle proteste di piazza, accanto ai lavoratori, e ha visto ben cinque arrestati fra i suoi compagni: “Stiamo conducendo una campagna per il ritorno dei diritti sociali che il regime dittatoriale ha distrutto; per orari di lavoro più brevi senza tagliare i salari, e contro un sistema basato su contratti di lavoro schiavisti e ingiusti”. Pavel fa anche presente che il suo partito non sostiene affatto l'opposizione filo europeista e pro-USA: “Critichiamo i programmi dei cosiddetti candidati “democratici”, ma concordiamo sul fatto che le autorità debbano fermare immediatamente la repressione e rilasciare i prigionieri politici. La nostra principale richiesta resta lo svolgimento di nuove elezioni democratiche e libere”.
Egli, inoltre, ricorda le origini del suo partito, che è l'erede del Partito Comunista dell'Unione Sovietica in Bielorussia e le sue attuali posizioni: “Il nostro partito è stato fondato nel 1991 come successore del PCUS in Bielorussia. A quei tempi, il partito si chiamava "Partito dei comunisti di Bielorussia". Nell'ultimo parlamento democraticamente eletto - il Consiglio Supremo, la nostra fazione "comunisti e agrari" era la più grande fazione di opposizione contro Lukashenko. Nel 1996, a seguito di un colpo di stato sotto le spoglie di un referendum, Lukashenko distrusse il Soviet Supremo e non ci furono più elezioni senza falsificazioni. Nello stesso anno, gli strateghi politici dell'amministrazione organizzarono una scissione artificiale nel nostro partito. Un gruppo ha lasciato il nostro partito che ha sostenuto Lukashenko e ha preso il nome di "Partito Comunista di Bielorussia". Nel 2009 abbiamo cambiato nome e siamo diventati il Partito Bielorusso della Sinistra Mondo Giusto, perché era difficile per le persone capire quale fosse la differenza tra due partiti con quasi gli stessi nomi. Poi siamo diventati membri del Partito della Sinistra Europea. Tuttavia, non abbiamo abbandonato la nostra ideologia comunista”.
Pavel Katarzheuski, che definisce quella di Lukashanko “una dittatura con politiche anti-lavoro, anti-sindacali, neoliberiste e tradizionaliste”, ritiene infine che l'unico modo per vincerla sia una classe operaia pronta a lottare non solamente per i diritti umani, ma anche per il socialismo.

Luca Bagatin

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