giovedì 29 dicembre 2022

Centenario dell'URSS e prospettive per il socialismo. Articolo di Luca Bagatin

Il 30 dicembre di quest'anno ricorre il Centenario della fondazione dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, guidate da Vladimir Lenin (30 dicembre 1922).

Edificata a seguito della Rivoluzione russa del 1917 e sorta dalle ceneri dell'Impero zarista, l'URSS comprendeva 15 repubbliche socialiste, sorelle fra loro.

L'URSS cessò di esistere il 26 dicembre 1991, con il concorso di Gorbaciov e Eltsin, i quali contribuirono a smantellare il socialismo nelle ormai ex Repubbliche e a svenderle alle oligarchie locali e al liberal capitalismo occidentale, nonostante il 17 marzo 1991 la stragrande maggioranza dei cittadini della Repubbliche sovietiche (77,8%) avesse espresso, con un referendum, la volontà di conservare l'URSS.

Da allora le cose andarono sempre peggio.

Nell'ottobre 1993 Eltsin fece bombardare il parlamento russo e le forze di sinistra, socialiste e comuniste, da allora – nelle ex Repubbliche sovietiche - saranno sempre o perseguitate o proibite, o – laddove non perseguitate - comunque rese minoritarie.

Non sarà infatti un caso che, nelle ex Repubbliche sovietiche, a prevalere, saranno forze di destra o estrema destra, che si imporranno anche grazie all'appoggio delle oligarchie di cui sopra e del liberal capitalismo occidentale.

Ad oggi, la ferita insanabile degli anni 1991 – 1993, è ancora aperta e possiamo vederlo nel conflitto russo-ucraino, così come, a suo tempo, lo vedemmo in Jugoslavia, a seguito dello smantellamento del socialismo. Un socialismo, quello del Maresciallo Tito, che aveva peraltro portato a unire “Slavi, cattolici, ortodossi, musulmani”, come ricordò anche il recentemente scomparso calciatore e allenatore jugoslavo Sinisa Mihajlovic.

Il socialismo, ad Est, ha sempre permesso di unire – nella giustizia e nell'emancipazione sociale – popoli spesso differenti. I nazionalismi di destra e i capitalismi, diversamente, hanno sempre soffiato sulle discordie fra i popoli, con tutte le tragedie che i conflitti fra i popoli possono portare.

Vi è da dire che certamente in URSS l'eccesso di statalismo e burocraticismo e la corsa agli armamenti, hanno fortemente indebolito – negli anni - le Repubbliche sovietiche, causando spesso malcontenti.

Lontani erano i tempi dell'originaria idea sovietica di Lenin dei consigli operai e contadini, che pur si sarebbe potuta meglio organizzare e delineare se Lenin avesse ascoltato l'anarco-comunista Nestor Machno, anziché muovergli guerra.

Il socialismo, infatti, la Storia ci insegna che trionfa solo se è unito alla libertà e dunque all'autogestione dei lavoratori e dei cittadini.

Del resto ce lo spiegarono tanto Marx e Engels quanto Proudhon, Bakunin, Mazzini e Garibaldi che, grazie ai loro insegnamenti, elaborati nell'Associazione Internazionale dei Lavoratori del 1864, contribuiranno – nel 1871 – ad ispirare la Comune di Parigi, primo governo social-comunista della Storia.

E sarà quello spirito socialista originario a ispirare tanto Lenin nel 1917 quanto la Repubblica Bavarese dei Consigli del 1918 e la Reggenza del Carnaro di Gabriele d'Anninzio e Alceste de Ambris del 1920.

Esperienze spesso brevi, ma che permettono di ricordare come il socialismo rettamente inteso punta tanto all'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione (non certo della piccola proprietà privata, come taluni vorrebbero credere), quanto all'estinzione dello Stato, ovvero punta all'associazione fra tutti i lavoratori, i produttori, i cittadini.

Idee peraltro sviluppate successivamente - nel corso degli Anni '90 e con buon successo - nell'America Latina del Socialismo del XXI Secolo, delineata da Hugo Chavez, Fidel Castro, Lula, Evo Morales, Rafael Correa, José Mujica e i peronisti coniugi Cristina e Nestor Kirchner.

Prospettive, se vogliamo, diverse rispetto alla Cina socialista che, per sviluppare la propria economia ha, alla fine degli Anni '70, aperto al mercato, ma mantenendo saldo il controllo della comunità sull'economia, attraverso il Partito Comunista.

Ogni Paese, ad ogni modo, la Storia ci insegna, sviluppa la sua propria via al socialismo, a seconda delle condizioni storiche, sociali e culturali dei rispettivi popoli.

In conclusione, ciò che è certo, è che il socialismo – nella Storia – non è fallito, ma è fallita la sua revisione, ovvero l'abbandono della via socialista per svendere i propri popoli al liberal capitalismo assoluto (ovvero alla distruzione del controllo dell'economia da parte dei cittadini/produttori/lavoratori/fruitori), al punto che – in UE – non esistono più socialisti se non a parole. Con tutto ciò che ne consegue, ovvero con la perdita da parte dei lavoratori di molti dei loro diritti e la sottomissione dei cittadini alle regole dei mercati e del commercio.

E sono fallite quelle prospettive che a parole si sono dette socialiste, ma nei fatti hanno imposto burocraticismo e statalismo.

A fallire, più che il socialismo, è sicuramente stato il liberalismo. Come disse il grande giornalista e scrittore statunitense Hunter S. Thompson, in tal senso: “Il liberalismo ha fallito e per una buona ragione. Troppo spesso è stato compromesso dalle persone che lo rappresentavano”.

E, lo stesso Thompson, che si candidò – con il partito “Freak Power” - alle elezioni per diventare sceriffo della città di Aspen nel 1970 (perdendo per pochissimi voti contro il candidato del Partito Democratico USA) lanciò un monito: “Se il capitalismo significa che pochi ricchi si nutrono di molti poveri, allora penso che debba essere riformato o peggio”.

Forse è dunque il caso di abbandonare un po' le frivolezze e di farsi un bel ripasso dei Classici del Socialismo.

Luca Bagatin

www.amoreeliberta.blogspot.it

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