giovedì 20 giugno 2019

Due belle recensioni ad "Amore e Libertà - Manifesto per la Civiltà dell'Amore" di Luca Bagatin, scritte da due lettrici

Desidero ringraziare Patrizia Tasselli e Daniela Toschi, due lettrici del mio ultimo saggio "Amore e Libertà - Manifesto per la Civiltà dell'Amore", per aver scritto queste loro personali recensioni al mio saggio.
Penso siano andate al Cuore del saggio e mi fa piacere che a scriverle siano state due donne.
Sono due recensioni diverse, scritte come una sorta - direi - di flusso di coscienza.
Daniela ammette di non averlo ancora letto tutto, ma di essere rimasta colpita da alcuni aspetti, che descrive nel suo scritto.
Chiunque volesse acquistare il mio nuovo saggio, chiunque si sia incuriosito, può ordinarlo direttamente a questo link: 
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/490308/amore-e-liberta/ 

Luca Bagatin
 
Lettura piacevolmente "irritante", ci sono scritte quelle cose che non vorresti vedere, non vorresti sentire, quelle che ti fanno pensare, ti costringono a scegliere, che se le condividi sei costretto a dimezzare le amicizie, quelle che dici non posso e invece puoi, che vuoi e invece non puoi ...
(Patrizia Tasselli)

Lettura piacevolmente "irritante", ci sono scritte quelle cose che non vorresti vedere, non vorresti sentire, quelle che ti fanno pensare, ti costringono a scegliere, che se le condividi sei costretto a dimezzare le amicizie, quelle che dici non posso e invece puoi, che vuoi e invece non puoi ...
Lettura piacevolmente "irritante", ci sono scritte quelle cose che non vorresti vedere, non vorresti sentire, quelle che ti fanno pensare, ti costringono a scegliere, che se le condividi sei costretto a dimezzare le amicizie, quelle che dici non posso e invece puoi, che vuoi e invece non puoi ...
Lettura piacevolmente "irritante", ci sono scritte quelle cose che non vorresti vedere, non vorresti sentire, quelle che ti fanno pensare, ti costringono a scegliere, che se le condividi sei costretto a dimezzare le amicizie, quelle che dici non posso e invece puoi, che vuoi e invece non puoi ...
Alcuni libri si divorano, altri si vivono o si viaggiano. Ecco perché non ho ancora finito di leggere “Amore e Libertà” di Luca Bagatin: sto facendo un viaggio impegnativo in questo libro e ora ho bisogno di sostare. Ho provato un paio di volte a riprendere il cammino ma mi distraggo, perché il pensiero mi ritorna a una storia che vi ho letto, una delle tante qui riportate: la storia di Mario Appignani (“Cavallo Pazzo”). Non la conoscevo. Una terribile dimenticanza se penso che questo personaggio ha sfiorato la vita di tanti e anche la mia. Non lo avevamo visto, ed è gravissimo. E’ un sassolino tagliente nelle scarpe che per ora mi impedisce di proseguire.
Il viaggio in questo libro è iniziato come tanti altri. Lo ordino, mi arriva a casa, lo apro partendo dalla fine, mi soffermo su ciò che cattura la mia attenzione. In questo caso è stato il capitolo “Prendimi l’anima”: un film sulla storia d’amore tra Sabina Spielrein e Carl Gustav Jung. Straordinario che qualcuno si soffermi su questo film di Faenza del 2002, straordinario come la vita dei due protagonisti. Perché il film più recente che li riguarda, “A Dangerous Method” di David Cronenberg, mi è sembrato al confronto deludente. Per Luca Bagatin questo film e la vicenda narrata hanno un significato particolare, che condivido. Dovrei parlare con l’autore del mio entusiasmo per la “Tumbalalaika”, canzone tradizionale yiddish che accompagna due delle scene più belle del film di Faenza: dal 2002 questa canzone accompagna eventi importanti della mia vita. E’ una canzone che descrive l’Amore, la difficoltà e la potenza dell’Amore. Un ragazzo chiede a una ragazza:
Meydl, meydl, ch'vel bay dir fregen,
Vos kan vaksn, vaksn on regn?
Vos kon brenen un nit oyfhern?
Vos kon benken, veynen on treren?
Cosa può crescere senza pioggia, ardere per molti anni, cosa è che desidera e piange senza lacrime? E la ragazza risponde che è l’amore che può crescere senza pioggia, che può ardere per molti anni, che desidera e piange senza lacrime.
Mi si impone subito una sosta: cerco il video di quella volta che ho ballato la tumbalalaika a una festa con mia madre che ancora usciva da casa e con una ragazzina rumena cui volevo molto bene, amica di mio nipote, che ora, dopo la crisi, ha dovuto di nuovo migrare per cercare lavoro e fortuna in un altro paese europeo, che non le piace perché c’è sempre buio e freddo, e deve lavorare dodici ore al giorno, dice, ma deve farlo… Amore, libertà e giustizia sociale sono strettamente legati, forse ha ragione l’autore. E poi cerco il video della rappresentazione teatrale che ho scritto con la Bianca: il regista, Enzo, aveva inserito la Tumbalaika alla fine, quando gli attori salutano il pubblico e il pubblico applaude.
Procedo nel viaggio. Altri film. Questi non li ho visti. Parlano di Cristo. Poco conosciuti ma significativi. Distrazione. Mi metto a guardare le scene dell’interrogatorio di Cristo nel film russo sottotitolato in italiano tratto dal “Maestro e Margherita” di Bulgakov. Sublime.
Vado avanti con la lettura. Immigrazione. Condivido il pensiero dell’autore. Thomas Sankara. Mi fa piacere trovarlo qui. Credevo di sapere tutto di lui. E invece no. Non sapevo che era diventato amico di Marco Pannella, che era venuto in Italia nei pochi anni in cui era presidente del Burkina Faso, dal 1984 al 1987 (solo quattro anni, prima di essere tradito e assassinato) e aveva incontrato i radicali. Ero distratta in quegli anni: cosa facevo? La mente divaga. Ho perso molto. Quante cose lasciamo indietro e le scopriamo solo quando è troppo tardi!
Ed ecco Gheddafi, il suo libro verde. Per me Gheddafi era il dittatore della Libia, un sanguinario, come ce lo dipingevano i media. Ma il mio amico africano professore di letteratura nella capitale di uno sperduto paese africano mi spiegò con pazienza che no, non era così, e un mio amico fiorentino aveva scritto un libro profetico, uno di quei libri che nessuno pubblica volentieri e ben pochi leggono, “La Libia sull’orlo del vulcano”, e anche lui cercò di convincermi che no, non era così come dicevano i media: lui la Libia la conosceva bene. E così riuscii a capire, e volevo far qualcosa ma non potevo far niente. Ogni tanto sento ancora un assurdo senso di colpa, una morsa allo stomaco, come se tutto quello che accadde allora e che è accaduto dopo fosse stato causato dalla mia dabbenaggine. Assurdo.
Pier Paolo Pasolini. Alexander Dugin. Descrizioni vive, l’autore va al punto.
Mi trovo in compagnia di una folla di personaggi che, negli anni, hanno catturato il mio interesse; che sono rimasti, come i ciottoli sulla spiaggia quando la marea si ritira (immagine non mia, ma tratta da una poesia d’amore di Bulgakov: diamo a Cesare quel che è di Cesare, anche se, come dice giustamente Luca Bagatin, il diritto d’autore andrebbe abolito “al fine di eliminare il monopolio intellettuale e liberare la creatività diffusa che esso oggi opprime”).
Basta, un sacco di gente, guarda caso tutte pietre miliari del mio viaggio spirituale, se la mia vita può definirsi tale, ma credo di sì, come ogni vita.
Continuo a sfogliare, dalla fine all’inizio e dall’inizio alla fine (io faccio così, leggo in libertà quando un libro me lo permette), aumentando la folla e l’affollamento mentale.
Ed ecco un personaggio che non conosco. O meglio che non ricordo. L’ho solo intravisto senza sapere chi fosse, che storia avesse. Mario Appignani detto “Cavallo pazzo”. Uno scorcio sulla realtà che non vorremmo mai vedere. Quanto è facile maltrattare i bambini. Fino a che punto si possono maltrattare i bambini, senza motivo. Fino a farli morire dal freddo nudi su un terrazzo come punizione di qualche innocente malefatta, per poi nascondere il cadavere e con questo sentirsi la coscienza a posto. Lo fanno proprio coloro che dovrebbero proteggerli e che predicano l’Amore. Mai storia mi aveva tanto impressionata, quale rivelatrice di crudeltà e indifferenza quotidiane, da quella volta che avevo letto “Le ceneri di Angela” di Frank McCourt. Però la storia qui rivelata non si svolge nell’Irlanda povera del primo dopoguerra, ma in un orfanotrofio della fiorente Italia della mia generazione. Il suo libro, “Un ragazzo all’inferno”. Quanti lo avranno letto? Io no…
Provo ad andare avanti nel viaggio, ma non ci riesco per ora. Ho questo sassolino tagliente nella scarpa, che mi ferisce e mi distrae ogni volta che apro il libro. Ho bisogno di una sosta.
Mi succede a volte così, con questi libri (quando ne capitano) che diventano un viaggio, che vengono assorbiti nella vita.
Torno col pensiero a Sabina Spielrein. La marea doveva averle lasciato, come ciottoli sulla sabbia, l’amore per i bambini: andò a studiare a Ginevra nell’Istituto di Claparede, conobbe Piaget…
Di lei ho letto begli articoli, importanti. Quello che preferisco, il più noto, è “La distruzione come causa della nascita”. Lo cita anche Freud perché credo che sia stata proprio lei la prima ad ipotizzare la pulsione di morte. In questo articolo, Sabine sostiene che la nascita implica distruzione. Insomma l’amore è anche distruzione, ma quest’ultima pare conditio sine qua non della nascita. Probabile che queste sue riflessioni siano state sollecitate dalla storia disastrosa con Jung, che tuttavia risultò feconda per entrambi. Ha ragione Luca Bagatin. L’amore è creazione, e la creazione è libertà, e la libertà è amore etc…
Tutte le pagine che ho letto sin qui, i personaggi incontrati sin qui, rivendicano amore, libertà e giustizia sociale. Oppure ci dicono cosa accade quando amore, libertà e giustizia sociale mancano o sono rinnegati, traditi.
E’ un libro importante, definitivo. Un viaggio necessario.
(Daniela Toschi)

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