Trump aveva da tempo dichiarato che nel suo primo giorno in carica
avrebbe imposto tariffe elevate a vari Paesi per incoraggiare la
produzione manifatturiera globale a trasferirsi negli Stati Uniti
d’America e rendere il Paese di nuovo grande. Tuttavia, dopo il suo
insediamento, nonostante avesse imposto tariffe a Messico, Canada e
Repubblica Popolare della Cina il 1° febbraio, prima che le tariffe
globali fossero implementate, Trump aveva chiesto alle agenzie federali
di completare la revisione delle pratiche commerciali sleali di vari
Paesi nei confronti degli Stati Uniti d’America prima del 1° aprile e di
cercare modi per migliorarle. Contemporaneamente, Trump ha istituito
anche l’External Revenue Service, che si sarebbe occupato della
tassazione esterna, e ha pianificato di utilizzare queste entrate
tariffarie per attuare la politica commerciale America First.
La CNN ha sottolineato che i dazi imposti da Trump a Messico e Canada a
partire dal 1° febbraio innescheranno una guerra commerciale trilaterale
e causeranno importanti cambiamenti nella struttura commerciale
nordamericana. Dopotutto, nel 2024 Canada e Messico rappresentavano
insieme il 30% del valore totale delle importazioni degli Stati Uniti
d’America e un terzo del valore totale delle esportazioni globali.
Sebbene il consigliere commerciale della Casa Bianca, Peter Navarro,
abbia ribadito che Trump ha imposto dazi sui questi Paesi per fare
pressione sui due governi e impedire l’ingresso di immigrazione illegale
e di droghe negli Stati Uniti d’America, la Casa Bianca ha deciso di
brandire la spada dei dazi e ha anche confermato che Messico e Canada
hanno imposto dazi di ritorsione sulle merci esportate dagli Stati
governati da membri del Partito Repubblicano. È prevedibile che l’indice
dei prezzi interni negli Stati Uniti d’America salirà inevitabilmente
nel 2025, con inevitabili ripercussioni sia sui consumatori nazionali
che sulle imprese.
Secondo quanto riportato dalla Reuters, la presidente messicana Claudia
Sheinbaum Pardo avrebbe affermato che l’accordo di libero scambio tra
Stati Uniti d’America, Messico e Canada non verrà rinegoziato prima del
2026. Il Messico farà inoltre tutto il possibile per impedire a Trump di
modificare i termini dell’accordo di libero scambio tra Stati Uniti,
Messico e Canada (USMCA: United States-Mexico-Canada Agreement – Tratado
entre México, Estados Unidos y Canadá – Accord
Canada–États-Unis–Mexique). In un’intervista alla CNN ha anche
sottolineato il rispetto per le relazioni tra Stati Uniti d’America e
Messico e ha cercato di calmare la situazione.
Inoltre, il 1° febbraio Trump ha annunciato che avrebbe imposto una
tariffa del 10% sui prodotti cinesi. Tuttavia, la Reuters ha
sottolineato che Trump avrebbe temporaneamente rinviato l’imposizione di
dazi alla Repubblica Popolare della Cina per aumentare le sue
possibilità di contrattazione nei futuri negoziati con Pechino. Ma in
realtà, nonostante Trump abbia pianificato di visitare Pechino entro 100
giorni dalla sua elezione, sta anche valutando la possibilità di una
cooperazione con quel Paese; ma non ha rallentato il ritmo della
tassazione alla RP della Cina.
Vale la pena notare che Trump prevede anche di imporre tariffe fino al
20% su altri partner commerciali e ha promesso di utilizzare i dazi come
strumento di negoziazione con altri Paesi per aumentare il vantaggio
negoziale degli Stati Uniti d’America. Ad esempio, ha fatto pressione
sulla Danimarca affinché ceda il controllo della Groenlandia agli Stati
Uniti d’America, altrimenti sarebbero state imposte tariffe elevate;
allo stesso modo, ha utilizzato le tariffe per cercare di indurre i
cinesi a vendere TikTok alle aziende statunitensi.
Ricordiamo che nel suo discorso inaugurale, Trump ha affermato che
avrebbe utilizzato i dazi per proteggere i lavoratori e le famiglie
statunitensi e che sperava di aumentare le entrate del Tesoro e di
proteggere le industrie nazionali attraverso tale mossa. Però la maggior
parte degli economisti tradizionali teme che le misure tariffarie di
Trump possano riaccendere la crisi inflazionistica degli Stati Uniti
d’America e innescare una guerra commerciale su vasta scala. E questo
nonostante Trump abbia assicurato che a pagare i dazi sono i Paesi
stranieri e non i consumatori del suo Paese. Tuttavia, il Peterson
Institute for International Economics ritiene che, poiché le catene di
fornitura di varie materie prime statunitensi viaggiano avanti e
indietro attraverso il confine nordamericano e vengono convertite più
volte da materie prime a prodotti finiti, la politica tariffaria
radicale di Trump consente solo agli importatori statunitensi di pagare
tariffe elevate e poi di trasferire questi costi sui consumatori,
provocando un’impennata dei prezzi negli Stati Uniti d’America.
L’ordine esecutivo di Trump di imporre tariffe a Canada e Messico
potrebbe far crollare l’economia statunitense di centinaia di miliardi
di dollari e invalidare l’accordo commerciale tra i tre Paesi, violando i
termini dell’anzidetto trattato di libero scambio tra Stati Uniti
d’America, Messico e Canada.
Inoltre, i dazi elevati potrebbero esercitare una pressione enorme sulle
case automobilistiche statunitensi. Perché le loro reti di produzione
sono profondamente radicate in Canada e Messico. In breve, poiché le
catene di approvvigionamento di Stati Uniti d’America, Messico e Canada
sono mature, i dazi unilaterali imposti da Washington avranno
sicuramente un impatto sulle economie delle tre parti, per non parlare
del fatto che Messico e Canada potrebbero reagire agli Stati Uniti
d’America a loro volta con dazi in futuro. Un effetto ciclico così
negativo è ancora più dannoso per lo sviluppo economico degli Stati
Uniti d’America e persino del mondo.
Tuttavia, non sono tutti commenti negativi. Secondo quanto riportato
dalla CNBC: Stock Markets, Business News, Financials, Earnings (canale
statunitense di notizie economiche di proprietà di NBCUniversal News
Group, un’unità di NBCUniversal di Comcast), l’amministratore delegato
di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, ha dichiarato dopo l’insediamento del
nuovo presidente che i dazi di Trump sui partner commerciali degli Stati
Uniti d’America potrebbero essere valutati positivamente. Ritiene che
«la sicurezza nazionale superi un’inflazione leggermente più alta»; ha
anche affermato che si può «accettarla e superarla». Inoltre, Dimon non è
l’unico CEO di Wall Street ad avere un atteggiamento positivo nei
confronti delle tariffe. Il direttore generale di Goldman Sachs, David
Solomon ha dichiarato, in un’intervista, di credere che col tempo ciò
porterà a un riequilibrio di alcuni accordi commerciali. Se gestito
correttamente, un simile riequilibrio può svolgere un ruolo costruttivo
nella crescita economica degli Stati Uniti d’America, quindi si deve
prestare molta attenzione alle nuove politiche che Trump adotterà
gradualmente nel corso del 2025. Sebbene molti siano ancora preoccupati
che i dazi proposti da Trump dopo il suo insediamento possano innescare
una guerra commerciale globale e un’inflazione interna negli Stati Uniti
d’America, il presidente della più grande banca del Paese per
patrimonio ha anche asserito che i dazi possono anche essere un’arma
economica, a seconda di come vengano utilizzati. Se utilizzati
correttamente, queste tariffe possono proteggere gli interessi
statunitensi e riportare i partner commerciali al tavolo delle
trattative per ottenere un accordo migliore per il Paese.
Però al di là del versante dell’ottimismo di alcuni e del pessimismo di molti, vanno chiarite alcune cose in più.
La strategia di Trump, che utilizza problemi interni come pretesto per
avviare guerre commerciali manca di una certa conformità alle leggi di
mercato e potrebbe causare gravi ripercussioni sull’economia
statunitense e sull’ordine economico globale, come accennato in
precedenza.
In primo luogo va ancora detto che le guerre commerciali innanzitutto
provocano un aumento dei costi per i consumatori: I dazi aumentano i
prezzi dei prodotti importati, conducendo ad un incremento del costo
della vita per i consumatori statunitensi. Secondo stime, queste tariffe
potrebbero comportare una perdita di circa 1.200 dollari all’anno nel
potere d’acquisto delle famiglie statunitensi.
Inoltre bisogna portate l’attenzione a come si ridurranno i profitti
aziendali. L’aumento dei costi dovuto ai dazi riduce la redditività
delle imprese. Un’analisi della Federal Reserve Bank di New York ha
rilevato che le tariffe imposte già durante il primo mandato di Trump
(2017-2021) hanno portato a una diminuzione dei valori azionari e sono
state associate a una riduzione dei profitti futuri, delle vendite e
dell’occupazione per le aziende colpite.
Ci sarà pure un impatto sul settore manifatturiero e sul mercato del
lavoro. Le politiche tariffarie hanno perturbato le catene di
approvvigionamento, riducendo l’efficienza e la competitività del
settore manifatturiero. Già nel febbraio 2025, il tasso di
disoccupazione negli Stati Uniti è salito al 4,1%, con un incremento di
151.000 nuovi posti di lavoro, al di sotto delle aspettative, indicando
una debolezza nel mercato del lavoro.
Le ripercussioni sul sistema commerciale globale e sulla crescita
economica saranno notevoli. Si prevede un danneggiamento del sistema
commerciale multilaterale. Le misure tariffarie unilaterali degli Stati
Uniti d’America indeboliscono il predetto sistema centrato
sull’Organizzazione Mondiale del Commercio, alimentando tendenze
protezionistiche globali e deteriorando l’ambiente commerciale
internazionale.
Per non parlare del rallentamento della crescita economica globale. Il
Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al ribasso le previsioni di
crescita economica globale per il 2025 dal 2,8% all’l,9%, principalmente
a causa dell’escalation delle tensioni commerciali che influenzano la
ripresa economica globale.
Ci saranno anche effetti su altri Paesi e regioni, quali le misure di
ritorsione dell’Unione Europea. L’UE ha annunciato l’intenzione di
imporre dazi su beni statunitensi per un valore di 26 miliardi di euro
in risposta alle tariffe sull’acciaio e sull’alluminio imposte dagli
Stati Uniti d’America. Questo potrebbe portare a un aumento dei costi
nei settori coinvolti e a un incremento dei prezzi per i consumatori,
aggravando ulteriormente le tensioni commerciali globali.
Effetti anche dell’impatto sui mercati emergenti. La guerra commerciale
ha causato turbolenze nei mercati globali, riducendo la fiducia degli
investitori. I Paesi emergenti potrebbero affrontare pressioni dovute a
deflussi di capitali e svalutazioni monetarie, mettendo a rischio le
prospettive di crescita economica.
In definitiva le politiche protezionistiche in passato hanno spesso
avuto effetti controproducenti. Ad esempio, lo Smoot-Hawley Tariff Act
del 1930 aumentò significativamente le tariffe, portando a una drastica
riduzione del commercio globale e aggravando la Grande Depressione,
detta anche Grande crisi o Crollo di Wall Street del 1929 ed anni a
seguire. Tutto ciò suggerisce che le guerre commerciali non solo non
risolvono i problemi economici, ma possono anche innescare crisi
economiche più gravi.
In conclusione, la guerra commerciale avviata dagli Stati Uniti
d’America, avrà gravi ripercussioni pure sull’economia nazionale di quel
Paese e sul sistema commerciale globale. Le esperienze storiche e i
dati attuali mostrano che le politiche protezionistiche sono inefficaci e
possono portare a crisi economiche più profonde. Gli Stati Uniti
d’America dovrebbero rivedere le loro politiche commerciali, cercando
soluzioni attraverso il dialogo e la cooperazione, al fine di preservare
la stabilità e la prosperità dell’economia globale.
Giancarlo Elia Valori
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