giovedì 20 marzo 2025

I dazi di Trump e gli eventuali sviluppi futuri. Articolo del prof. Giancarlo Elia Valori


Trump aveva da tempo dichiarato che nel suo primo giorno in carica avrebbe imposto tariffe elevate a vari Paesi per incoraggiare la produzione manifatturiera globale a trasferirsi negli Stati Uniti d’America e rendere il Paese di nuovo grande. Tuttavia, dopo il suo insediamento, nonostante avesse imposto tariffe a Messico, Canada e Repubblica Popolare della Cina il 1° febbraio, prima che le tariffe globali fossero implementate, Trump aveva chiesto alle agenzie federali di completare la revisione delle pratiche commerciali sleali di vari Paesi nei confronti degli Stati Uniti d’America prima del 1° aprile e di cercare modi per migliorarle. Contemporaneamente, Trump ha istituito anche l’External Revenue Service, che si sarebbe occupato della tassazione esterna, e ha pianificato di utilizzare queste entrate tariffarie per attuare la politica commerciale America First.
La CNN ha sottolineato che i dazi imposti da Trump a Messico e Canada a partire dal 1° febbraio innescheranno una guerra commerciale trilaterale e causeranno importanti cambiamenti nella struttura commerciale nordamericana. Dopotutto, nel 2024 Canada e Messico rappresentavano insieme il 30% del valore totale delle importazioni degli Stati Uniti d’America e un terzo del valore totale delle esportazioni globali. Sebbene il consigliere commerciale della Casa Bianca, Peter Navarro, abbia ribadito che Trump ha imposto dazi sui questi Paesi per fare pressione sui due governi e impedire l’ingresso di immigrazione illegale e di droghe negli Stati Uniti d’America, la Casa Bianca ha deciso di brandire la spada dei dazi e ha anche confermato che Messico e Canada hanno imposto dazi di ritorsione sulle merci esportate dagli Stati governati da membri del Partito Repubblicano. È prevedibile che l’indice dei prezzi interni negli Stati Uniti d’America salirà inevitabilmente nel 2025, con inevitabili ripercussioni sia sui consumatori nazionali che sulle imprese.
Secondo quanto riportato dalla Reuters, la presidente messicana Claudia Sheinbaum Pardo avrebbe affermato che l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti d’America, Messico e Canada non verrà rinegoziato prima del 2026. Il Messico farà inoltre tutto il possibile per impedire a Trump di modificare i termini dell’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Messico e Canada (USMCA: United States-Mexico-Canada Agreement – Tratado entre México, Estados Unidos y Canadá – Accord Canada–États-Unis–Mexique). In un’intervista alla CNN ha anche sottolineato il rispetto per le relazioni tra Stati Uniti d’America e Messico e ha cercato di calmare la situazione.
Inoltre, il 1° febbraio Trump ha annunciato che avrebbe imposto una tariffa del 10% sui prodotti cinesi. Tuttavia, la Reuters ha sottolineato che Trump avrebbe temporaneamente rinviato l’imposizione di dazi alla Repubblica Popolare della Cina per aumentare le sue possibilità di contrattazione nei futuri negoziati con Pechino. Ma in realtà, nonostante Trump abbia pianificato di visitare Pechino entro 100 giorni dalla sua elezione, sta anche valutando la possibilità di una cooperazione con quel Paese; ma non ha rallentato il ritmo della tassazione alla RP della Cina.
Vale la pena notare che Trump prevede anche di imporre tariffe fino al 20% su altri partner commerciali e ha promesso di utilizzare i dazi come strumento di negoziazione con altri Paesi per aumentare il vantaggio negoziale degli Stati Uniti d’America. Ad esempio, ha fatto pressione sulla Danimarca affinché ceda il controllo della Groenlandia agli Stati Uniti d’America, altrimenti sarebbero state imposte tariffe elevate; allo stesso modo, ha utilizzato le tariffe per cercare di indurre i cinesi a vendere TikTok alle aziende statunitensi.
Ricordiamo che nel suo discorso inaugurale, Trump ha affermato che avrebbe utilizzato i dazi per proteggere i lavoratori e le famiglie statunitensi e che sperava di aumentare le entrate del Tesoro e di proteggere le industrie nazionali attraverso tale mossa. Però la maggior parte degli economisti tradizionali teme che le misure tariffarie di Trump possano riaccendere la crisi inflazionistica degli Stati Uniti d’America e innescare una guerra commerciale su vasta scala. E questo nonostante Trump abbia assicurato che a pagare i dazi sono i Paesi stranieri e non i consumatori del suo Paese. Tuttavia, il Peterson Institute for International Economics ritiene che, poiché le catene di fornitura di varie materie prime statunitensi viaggiano avanti e indietro attraverso il confine nordamericano e vengono convertite più volte da materie prime a prodotti finiti, la politica tariffaria radicale di Trump consente solo agli importatori statunitensi di pagare tariffe elevate e poi di trasferire questi costi sui consumatori, provocando un’impennata dei prezzi negli Stati Uniti d’America.
L’ordine esecutivo di Trump di imporre tariffe a Canada e Messico potrebbe far crollare l’economia statunitense di centinaia di miliardi di dollari e invalidare l’accordo commerciale tra i tre Paesi, violando i termini dell’anzidetto trattato di libero scambio tra Stati Uniti d’America, Messico e Canada.
Inoltre, i dazi elevati potrebbero esercitare una pressione enorme sulle case automobilistiche statunitensi. Perché le loro reti di produzione sono profondamente radicate in Canada e Messico. In breve, poiché le catene di approvvigionamento di Stati Uniti d’America, Messico e Canada sono mature, i dazi unilaterali imposti da Washington avranno sicuramente un impatto sulle economie delle tre parti, per non parlare del fatto che Messico e Canada potrebbero reagire agli Stati Uniti d’America a loro volta con dazi in futuro. Un effetto ciclico così negativo è ancora più dannoso per lo sviluppo economico degli Stati Uniti d’America e persino del mondo.
Tuttavia, non sono tutti commenti negativi. Secondo quanto riportato dalla CNBC: Stock Markets, Business News, Financials, Earnings (canale statunitense di notizie economiche di proprietà di NBCUniversal News Group, un’unità di NBCUniversal di Comcast), l’amministratore delegato di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, ha dichiarato dopo l’insediamento del nuovo presidente che i dazi di Trump sui partner commerciali degli Stati Uniti d’America potrebbero essere valutati positivamente. Ritiene che «la sicurezza nazionale superi un’inflazione leggermente più alta»; ha anche affermato che si può «accettarla e superarla». Inoltre, Dimon non è l’unico CEO di Wall Street ad avere un atteggiamento positivo nei confronti delle tariffe. Il direttore generale di Goldman Sachs, David Solomon ha dichiarato, in un’intervista, di credere che col tempo ciò porterà a un riequilibrio di alcuni accordi commerciali. Se gestito correttamente, un simile riequilibrio può svolgere un ruolo costruttivo nella crescita economica degli Stati Uniti d’America, quindi si deve prestare molta attenzione alle nuove politiche che Trump adotterà gradualmente nel corso del 2025. Sebbene molti siano ancora preoccupati che i dazi proposti da Trump dopo il suo insediamento possano innescare una guerra commerciale globale e un’inflazione interna negli Stati Uniti d’America, il presidente della più grande banca del Paese per patrimonio ha anche asserito che i dazi possono anche essere un’arma economica, a seconda di come vengano utilizzati. Se utilizzati correttamente, queste tariffe possono proteggere gli interessi statunitensi e riportare i partner commerciali al tavolo delle trattative per ottenere un accordo migliore per il Paese.
Però al di là del versante dell’ottimismo di alcuni e del pessimismo di molti, vanno chiarite alcune cose in più.
La strategia di Trump, che utilizza problemi interni come pretesto per avviare guerre commerciali manca di una certa conformità alle leggi di mercato e potrebbe causare gravi ripercussioni sull’economia statunitense e sull’ordine economico globale, come accennato in precedenza.
In primo luogo va ancora detto che le guerre commerciali innanzitutto provocano un aumento dei costi per i consumatori: I dazi aumentano i prezzi dei prodotti importati, conducendo ad un incremento del costo della vita per i consumatori statunitensi. Secondo stime, queste tariffe potrebbero comportare una perdita di circa 1.200 dollari all’anno nel potere d’acquisto delle famiglie statunitensi.
Inoltre bisogna portate l’attenzione a come si ridurranno i profitti aziendali. L’aumento dei costi dovuto ai dazi riduce la redditività delle imprese. Un’analisi della Federal Reserve Bank di New York ha rilevato che le tariffe imposte già durante il primo mandato di Trump (2017-2021) hanno portato a una diminuzione dei valori azionari e sono state associate a una riduzione dei profitti futuri, delle vendite e dell’occupazione per le aziende colpite.
Ci sarà pure un impatto sul settore manifatturiero e sul mercato del lavoro. Le politiche tariffarie hanno perturbato le catene di approvvigionamento, riducendo l’efficienza e la competitività del settore manifatturiero. Già nel febbraio 2025, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è salito al 4,1%, con un incremento di 151.000 nuovi posti di lavoro, al di sotto delle aspettative, indicando una debolezza nel mercato del lavoro.
Le ripercussioni sul sistema commerciale globale e sulla crescita economica saranno notevoli. Si prevede un danneggiamento del sistema commerciale multilaterale. Le misure tariffarie unilaterali degli Stati Uniti d’America indeboliscono il predetto sistema centrato sull’Organizzazione Mondiale del Commercio, alimentando tendenze protezionistiche globali e deteriorando l’ambiente commerciale internazionale.
Per non parlare del rallentamento della crescita economica globale. Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita economica globale per il 2025 dal 2,8% all’l,9%, principalmente a causa dell’escalation delle tensioni commerciali che influenzano la ripresa economica globale.
Ci saranno anche effetti su altri Paesi e regioni, quali le misure di ritorsione dell’Unione Europea. L’UE ha annunciato l’intenzione di imporre dazi su beni statunitensi per un valore di 26 miliardi di euro in risposta alle tariffe sull’acciaio e sull’alluminio imposte dagli Stati Uniti d’America. Questo potrebbe portare a un aumento dei costi nei settori coinvolti e a un incremento dei prezzi per i consumatori, aggravando ulteriormente le tensioni commerciali globali.
Effetti anche dell’impatto sui mercati emergenti. La guerra commerciale ha causato turbolenze nei mercati globali, riducendo la fiducia degli investitori. I Paesi emergenti potrebbero affrontare pressioni dovute a deflussi di capitali e svalutazioni monetarie, mettendo a rischio le prospettive di crescita economica.
In definitiva le politiche protezionistiche in passato hanno spesso avuto effetti controproducenti. Ad esempio, lo Smoot-Hawley Tariff Act del 1930 aumentò significativamente le tariffe, portando a una drastica riduzione del commercio globale e aggravando la Grande Depressione, detta anche Grande crisi o Crollo di Wall Street del 1929 ed anni a seguire. Tutto ciò suggerisce che le guerre commerciali non solo non risolvono i problemi economici, ma possono anche innescare crisi economiche più gravi.
In conclusione, la guerra commerciale avviata dagli Stati Uniti d’America, avrà gravi ripercussioni pure sull’economia nazionale di quel Paese e sul sistema commerciale globale. Le esperienze storiche e i dati attuali mostrano che le politiche protezionistiche sono inefficaci e possono portare a crisi economiche più profonde. Gli Stati Uniti d’America dovrebbero rivedere le loro politiche commerciali, cercando soluzioni attraverso il dialogo e la cooperazione, al fine di preservare la stabilità e la prosperità dell’economia globale.

Giancarlo Elia Valori

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