
Era il 1 ottobre 1949.
Una data storica per i comunisti cinesi, che, dopo decenni di lotta,
riuscirono a scacciare l'oppressore. Una data storica per tutti i
cinesi che chiudevano così il cosiddetto “secolo
dell'umiliazione”. La Cina, da Paese prima feudale e poi coloniale,
iniziava ad approdare al socialismo maoista, ovvero un adattamento
del pensiero marxista-leninista alla mentalità cinese.
Il maoismo è infatti un
socialismo di matrice nazionale e patriottica, fondato sul popolo
cinese, la sua storia, la sua cultura, la sua tradizione e
spiritualità.
Fu così che Mao, a
differenza dei comunisti sovietici che privilegiarono lo sviluppo
industriale, promosse la classe contadina e la pose alla base
dell'avanguardia economica del Paese.
Riforma agraria,
collettivizzazione, redistribuzione delle terre, controllo dei prezzi
ed alfabetizzazione le sue prime riforme. Oltre che fondamento del
militarismo popolare quale dottrina base per difendere la Rivoluzione
e la Repubblica Popolare.
Mao, figlio egli stesso
di contadini, fu Presidente della Repubblica Popolare dal 1954 al
1959 e rimase Presidente del Partito Comunista Cinese sino alla
morte, nel 1976. Nel 1966, Mao, lanciò e promosse la cosiddetta
Rivoluzione Culturale, ovvero il potere venne affidato non più ai
notabili del Partito, ma alle Guardie Rosse, ovvero a gruppi di
giovani studenti delle scuole superiori e delle università,
autorizzati a formare propri tribunali, avviando una stagione
caotica, ma in qualche modo di democrazia diretta (da ricordare che
attorno al 1910 Mao si formò anche su scritti di pensatori
anarchici). Un periodo nel quale Mao invitò a “bombardare il
quartier generale”, ovvero a non avere paura di criticare la
leadership. Quello fu un periodo di grandi scioperi, sia nelle
industrie che nelle scuole e di distruzione dei simboli storici del
passato. Ad ogni modo tale stagione – nel bene o nel male unica nel
suo genere - terminò – per volere dello stesso Mao - nel 1969 e il
Partito Comunista riprese a tutti gli effetti il controllo del Paese.
Dopo la morte di Mao, nel
1976 e la breve transizione moderata di Hua Guofeng, le cose
cambieranno radicalmente. Con l'arresto della cosiddetta “Banda dei
Quattro” (fra i quali la vedova di Mao, Jang Quing) – ovvero i
quattro esponenti dell'ala di sinistra del PCC - accusati di colpo di
Stato e di attività antipartito ed il successivo prevalere della
corrente riformista guidata da Deng Xiaoping all'interno del PCC, la
Repubblica Popolare Cinese inizierà una nuova fase di
modernizzazione.
Deng Xiaoping conierà
dunque l'espressione “Socialismo con caratteristiche cinesi” per
illustrare il nuovo corso della Cina che egli intenderà portare
avanti, diventandone il nuovo leader “de facto”.
Deng avvierà dunque una
serie di riforme che porteranno la Cina ad aprirsi al mercato ed alla
multiproprietà, ma ove l’intervento pubblico rimarrà comunque
predominante.
Riforme che saranno poi
rafforzate dal suo successore, Jang Zemin, nel corso degli Anni '90 e
primi Anni 2000, e rafforzando la cooperazione con Russia e USA.
Parimenti, il socialismo con caratteristiche cinesi sarà
ulteriormente rafforzato da Hu Jintao nel corso degli Anni 2000, sino
alla riaffermazione che: “La democrazia liberale occidentale non
è fatta per la Cina. I fatti hanno provato che il socialismo con
caratteristiche cinesi è la strada corretta per condurre il paese
verso la prosperità e assicurare il benessere ai cittadini”.
Nel
solco di tale tradizione si conferma l'attuale Segretario Generale
del PCC, Xi Jinping, erede della nuova generazione di comunisti
cinesi e fra i leader mondiali di un nuovo mondo multipolare e leader
di quella che è oggi forse la prima potenza economica al mondo.
La
strategia di Xi è infatti quella di migliorare i rapporti con tutti
i Paesi del mondo, rilanciando in particolare investimenti e
contratti di collaborazione paritari con i Paesi del Terzo Mondo. Fra
le altre cose è anche grazie alla Cina di Xi se oggi il Venezuela
non ha subito alcuna invasione militare da parte dell'imperialismo
USA e se i rapporti fra USA e Corea del Nord si sono via via
appianati.
Xi
Jinping ha più volte affermato come “il percorso, la
teoria, il sistema e la cultura scelte dal Partito Comunista
Cinese siano “assolutamente corretti”.

Oggi la Cina è il più
grande Paese manifatturiero al mondo. Il PIL è cresciuto del 6,2%,
in calo di alcuni decimali a causa della guerra commerciale lanciata
alla Cina dagli USA. La produzione industriale è comunque cresciuta
del 4,4% annuo.
Preoccupa ad ogni modo il
Ministro degli Esteri cinese Wang Yi la guerra dei dazi. Egli ha
infatti dichiarato, all'Assemblea delle Nazioni Unite: “Dazi e
provocazioni commerciali possono portare il mondo in recessione”.
Gli USA hanno infatti applicato
un'imposta del 15%, che entrerà in vigore da dicembre, su beni
cinesi per un valore complessivo di 282 miliardi di dollari. Ad ogni
modo, il 10 ottobre prossimo, riprenderanno i negoziati fra le due
potenze.
Negoziati
sicuramente non facili, anche perché le autorità della Repubblica
Popolare Cinese ritengono che le manifestazioni che da settimane
stanno mettendo a ferro e fuoco Hong Kong, fomentando disordini e
violenze, siano supportate dagli USA proprio allo scopo di indebolire
la Cina e di metterla in cattiva luce agli occhi del mondo.
Ad
ogni modo, oggi, in Cina, è un giorno di festa. Si celebrano 70 anni
di liberazione dal feudalesimo, dal colonialismo e dall'imperialismo.
Si celebra il ricordo di Mao e il nuovo corso socialista nel Paese.
Si sventolano bandiere rosse con falce e martello e i simboli del
socialismo cinese. Si canta la nazionalpatriottica Marcia dei
Volontari, inno della Repubblica composto nel 1935 e in vigore da 70
anni nel Paese.
Mentre
il Parlamento Europeo equipara nazismo e comunismo, falsificando la
Storia, in Cina il comunismo - nella sua declinazione nazionale -
prospera e ha dato da tempo i suoi risultati in termini sociali ed
economici.
Luca
Bagatin
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