mercoledì 31 maggio 2017

Jack Kerouac: il libertario senza etichette. Articolo di Luca Bagatin (a proposito dell'ottimo articolo-ricordo scritto da Luciano Lanna su "Il Dubbio")

Luciano Lanna, su "Il Dubbio" del 31 maggio, pubblica un bellissimo ricordo della Beat Generation ed in particolare di Jack Kerouac (1922 - 1969), a sessant'anni dalla pubblicazione del suo romanzo più famoso, ovvero "On the road" (http://ildubbio.news/ildubbio/2017/05/31/kerouac-andava-andava-mica-sapeva-nacque-la-beat-generation).
Romanzo più famoso ma, a mio parere, non il migliore che fu senza dubbio "I vagabondi del Dharma" e la sua ricerca di una spiritualità libera dai condizionamenti e persino "Big Sur", romanzo critico nei confronti dei capelloni e degli yippie, scritto nel periodo della sua massima decadenza fisica e che rappresenta un rifiuto dell'immagine di Kerouac nei confronti dell'etichetta/immagine che gli è stata affibbiata addosso dal mainstream, ovvero di ragazzo sempre giovane, girovago, sregolato.
Kerouac era un libertario senza etichette, che non gliene fregava nulla della politica e, se proprio doveva scegliere, era anticomunista e conservatore.
Kerouac non ebbe mai la pretesa di dimostrare nulla. Era sregolato, certo, ma non gliene fregava nulla di esserlo, anzi, spesso ci soffriva persino. Amava la spiritualità in tutte le sue forme. Era cattolico, buddhista, erotico, eretico.
Amava i gatti e le donne. Ed era mammone.
Amava bere e fumare. Era triste e malinconico.
Era un "qualunquista" non qualunque e ciò, come ha scritto Lanna, una volta approdato in Italia Kerouac non sarà compreso a causa del conformismo culturale italiano in tutte le sue "egemonie" da quella catto-conservatrice a quella togliattian-marxista e liberal-crociana.
Oggi lo spontaneismo di Kerouac e dei Beat, anche di quelli più "impegnati", manca davvero. Kerouac andava, andava, andava, senza sapere dove. Non aveva un programma imposto o auto-impostosi da una società capital-collettivistico-liberal-globalista fatta del preciso schema: nasci- produci-consuma-crepa. Ovvero svegliati, vai al lavoro, vai in palestra, dall'estetista, usa lo smartphone, mangia sushi, posta foto su instagram ecc...
Oggi un Kerouac sarebbe forse preso per uno zotico ubriacone e la sua interiorità sarebbe fatta a pezzi dalla pubblicità commerciale, eletta a nuovo culturame assieme all'ultimo libro di grido di Roberto Saviano, all'ultimo programma di Maria De Filippi o all'ultimo romanzo di E. L. James.
Oggi Kerouac semplicemente non esisterebbe. O forse esiste ancora. Oltre lo schermo di questo computer. Oltre il web, le mode, le puttanate smartphonizzate cinesizzate yankezzate giapponesate sushizzate inglobalizzate.
Forse Kerouac è proprio lì sotto. Nascosto in qualche punto recondito del cervello di ciascuno di noi. E' il ribelle che non si è fatto sottomettere dal totalitarismo consumista, dal benessere effimero, dalla società giovanilista senza alcun futuro perché non ha alcun passato.
Per Kerouac l'unica gente possibile erano i pazzi, i pazzi di vita, i pazzi entusiasti, i pazzi appassionati che mai si annoiano o dicono luoghi comuni. I pazzi che bruciano come favolosi fuochi artificiali.
Kerouac, questo mondo, questa società, ovvero l'evoluzione/involuzione di quella nella quale lui stesso visse - l'America Way of Life Anni '50 - e che già ai suoi tempi rifiutò, non l'avrebbe compresa. Perché era è già intimamente morta.

Luca Bagatin

 

Kerouac andava, andava, mica sapeva dove…e nacque la Beat generation

Sessant’anni fa usciva “On the road”, di Jack Kerouac
di Luciano Lanna per "Il Dubbio"


Era la Beat generation uno dei fenomeni esistenziali e creativi più interessanti che il dopoguerra americano. E Jack Kerouac era il suo profeta. Sebbene non avesse la patente di guida… On the Road è il suo romanzo più famoso. Uscì nel 1957. In questi giorni compie 60 anni. In Italia fu accolto male. Alla nostra intellettualità non piaceva tanto individualismo. Anche Montale lo detestò.
«Il tipo umano che ha costruito l’America era nomade», disse una volta Ezra Pound. E con lo sguardo sull’America degli anni ’ 50, Jack Kerouac descriveva così quel tipo umano: «Nomadi con il sacco sulle spalle, vagabondi del Dharma, che si rifiutano di aderire alle generali richieste ch’essi consumino prodotti e perciò siano costretti a lavorare per ottenere il privilegio di consumare tutte quelle schifezze che tanto nemmeno volevano veramente come frigoriferi, apparecchi televisivi, macchine, almeno macchine nuove ultimo modello, certe brillantine per capelli e deodoranti e generale robaccia che una settimana dopo si finisce col vedere nell’immondezza, tutti prigionieri di un sistema di “lavora, produci, consuma, lavora, produci, consuma”: ho negli occhi la visione di un’immensa rivoluzione di zaini, migliaia, o addirittura milioni di giovani americani che vanno in giro con uno zaino».
Era la beat generation, uno dei fenomeni esistenziali e creativi più interessanti che il dopoguerra americano trasmetteva alla vecchia, disincantata e conformista Europa. E Jack Kerouac era il suo profeta: nato il 12 marzo ’ 22 a Lowell, nel Massachusetts, lo “sciamano del beat” ha espresso in pieno lo spirito dei giovani della sua epoca, anche attraverso le sue personali contraddizioni. Sebbene non avesse la patente di guida, adorasse sia la mamma che l’America, si proclamasse cattolico e anticomunista, e sebbene fosse un appassionato di baseball e non amasse i militanti delle battaglie politiche, rappresenterà per sempre l’icona libertaria di una vita autenticamente inquieta, libera e sfrontata.
On the Road (“Sulla strada”), il suo romanzo più famoso, racconta in slang e in forma autobiografica le peripezie di uno scrittore, Sal Paradise, che gira mezza America con passaggi in auto, e in questo modo interpreta e celebra al meglio lo spirito di una rivolta generazionale che stava covando nelle giovani generazioni dalla seconda metà degli anni ’ 50. «Ai tempi che Kerouac mise in moto tutta questa baracca – ha raccontato la principale ambasciatrice e traduttrice della cultura beat in Italia, Fernanda Pivano, di cui il prossimo 18 luglio ricorre il centenario della nascita – era soprattutto una go generation.
Dove andassero non lo sapevano di certo, quei dolci insopportabili patetici insolenti hipster dal volto d’angelo che zigzagavano gli Stati Uniti come noi più tardi le nostre piazze del Duomo in cerca di altri amici con cui andare, dove, chi lo sa, ma andare».
L’intuizione era proprio quella. «La strada è la vita», afferma Dean Moriarty ( Neal Cassady nella vita reale) in un passo di On the Road. Un’idea prossima alla “festa mobile” evocata da Hemingway in riferimento a un’altra generazione inquieta, quella degli anni ’ 20. Ma negli anni ’ 50 molte cose sono cambiate. A proposito di Cassady, Kerouac scrive che «la sua anima è racchiusa in una veloce automobile», una metafora in cui c’è tutto il bisogno di una generazione di andare oltre, di spostarsi, di cercare nuovi orizzonti, di proporsi come moderni cavalieri erranti. Paradossalmente, il co- protagonista di On the Road cerca inutilmente di insegnare a guidare l’auto a Kerouac e a fargli prendere la patente. «Keroauc – annota Emanuele Bevilacqua in Guida alla beat generation ( Edizioni Theoria) – è a disagio al volante e non approfitta del suo alter- ego Sal Paradise per trasformarsi in un mago delle quattro ruote. Quando prende il volante finisce subito in un fosso e gli altri sono peggio di lui. E di autostop nemmeno a parlarne. Son più le volte che sono costretti a prendere un autobus, il Greyhound, che le occasioni di acciuffare un bel passaggio».
D’altronde, la vocazione iniziale di Jack era infatti genuinamente letteraria. Racconta il suo biografo Steve Turner: «Dopo aver letto Thomas Wolfe, la sua ambizione non fu quella di arrivare all’apice della carriera e di guadagnarsi ricchezza e rispetto, ma di esplorare quel grande continente. C’era un’altra America là fuori, che nessuno cantava; un’America cruda, primitiva, dove lo spirito era rimasto indomito e non era stato plasmato dalla infaticabile macchina del materialismo moderno». E così scoprì il vagabondare come scelta di vita. On the Road: sulla strada, appunto. «Andare sempre, non importa dove», era per Kerouac l’unica filosofia possibile «in questa società di merda», come era solito affermare.
E così, sessant’anni fa, il 1957 – anno di pubblicazione negli Stati Uniti di Sulla strada – diventa l’“anno uno” dell’era beat: più che un successo letterario, un fenomeno esistenziale e di costume, una rivoluzione nell’immaginario occidentale. «La prima tappa – scrive Vito Amoruso in La letteratura beat americana
( Laterza) – sarà, dunque, On the Road, il romanzo che, nel 1957, segnò la nascita ufficiale, quella letteraria, della leggenda della beat generation: i fatti, le avventure, le scorribande, le immense orge d’automobili e di sesso e di alcool di cui questo romanzo parlava, erano, in verità, accaduti già prima, in una sorta di America sotterranea e anti- ufficiale, a ridosso immediato del dopoguerra».
Per mettere su carta questa rappresentazione, a Kerouac bastarono ventuno giorni. Certo, già dal ’ 48 aveva lavorato a una sua prima stesura. Ma è nel ’ 51 che ci riprova in uno stile molto céliniano: senza segnare, senza punteggiatura, senza paragrafi e senza spaziature nel testo. Lo scrive su un unico rotolo di carta continua da teletrasmissione. «Per conto suo – ha spiegato uno dei principali sodali della beat generation, il poeta Allen Ginsberg – Kerouac, alla fine degli anni 40 e all’inizio dei 50, dal suo orecchio e dalla sua preoccupazione per i cambiamenti di ritmo che avevano luogo nella musica be- bop, aveva cominciato a scrivere lunghe frasi in prosa, simili al respiro dei negri e al ritmo negro nella musica bop esemplificata dalle cadenze della tromba “volo d’uccello” di Charlie Parker. Kerouac ha incominciato a imitare il jazzista molto consapevolmente».
Insomma, dopo aver rivestito anche di basi teoriche questa intuizione, comincia a sperimentare una scrittura tutta jazzata e sincopata. Meglio: quello che Cèline aveva fatto per lo swing e il jazz classico, Keroauc lo fa per il bebop. Tanto che, esplorando i lavori dei pittori astratti oltre che dei jazzisti, arriva a definire la tecnica dello sketching: per il giovane scrittore è l’atto stesso dello scrivere che scatena le emozioni e lascia scorrere in libertà i pensieri.
Non passa neanche un anno, siamo nel 1958, che Nanda Pivano – traduttrice, critica e intellettuale che era stata amica e compagna di classe di Cesare Pavese – farà tradurre e pubblicare il romanzo da Mondadori. E Kerouac arriverà nelle librerie italiane proprio mentre anche da noi si modificavano abbigliamento, linguaggi, gusti musicali, comportamenti nel mondo giovanile. Irrompeva il rock’n roll, iniziavano a incidere i loro primi dischi i cantautori, cominciavano ovunque a cambiare i punti di riferimento culturali, sociali e anche politici. Non a caso, Sulla strada sarà subito un successo e un cult. «Nei primi anni ’ 60 – ha raccontato di recente l’attore e regista teatrale Franco Branciaroli, intervistato da Antonio Gnoli per Repubblica – si parlava tantissimo di Kerouac. Decisi di leggere anch’io Sulla strada. Non a casa, ma in macchina. Con lo stereo che mandava musica. E io mi dicevo: leggi, leggi ’ sto Kerouac».
On the Road sarà la punta di un iceberg che, via via, insieme alle opere degli altri esponenti della beat generation – Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, William Burroughs, Gary Snyder, Ed Sanders, Peter Orlovsky – trasporterà idee e musica inedite: le ballate di Bob Dylan e Joan Baez, la musica di Leonard Cohen, le teorie sulla liberazione sessuale di Wilhelm Reich, la letteratura di Henry Miller, le filosofie orientali divulgate da Alan W. Watts, l’esoterismo di Gurdjeff, il Living Theatre, la passione per i Ching… Da noi, il conformismo italiano – in tutte le sue varianti egemoni, cattolico- conservatrice, togliattian- marxista e liberal- crociana – non potrà non fare muro contro questa sensibilità. È un clima dominante rievocato dalla stessa Nanda Pivano: «In quegli anni era molto chiara l’ostilità anche della sinistra italiana verso autori come Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti. Io sono stata licenziata dalla Mondadori, dove lavoravo come consulente, perché facevo pubblicare solo le opere dei miei amici, quegli autori beat sgraditi all’élite intellettuale di sinistra. Eugenio Montale era un esempio illustre degli italiani che detestavano quegli scrittori anticonformisti».
In Italia, insomma, il libertario Kerouac sarà sempre nel mirino di un certi ambienti intellettuali, giornalistici e accademici. Lo stesso critico Vito Amoruso lo taccerà di «egoismo individualistico e antisociale», di «borghesismo», di «fedeltà all’establishment». E ancora nel 1977, a dieci anni dalla contestazione, nell’Agenda rossa pubblicata da Savelli, la definizione di Kerouac è da manuale: «Pessimo scrittore, mediocre filosofo e politico qualunquista. I suoi personaggi sono i simboli del rifiuto del lavoro, dei valori costituiti, della rispettabilità.
Vagabondi eternamente sovraeccitati, rifiutano però, oltre il lavoro e la famiglia, anche l’impegno, l’intelligenza, la lotta».
Ai marxisti- leninisti di stretta osservanza, ai depositari del senso della rivoluzione e ai custodi dell’ideologia, quei libertari irrazionali e individualisti, sempre in cerca di una via personale alla spiritualità, non potevano che apparire urticanti. E forse non potevano proprio piacere quei ragazzi che – come li descriveva la Pivano nel 1958 nella prefazione a Sulla strada – erano «costretti a vivere in una società anonima nella quale non riescono a credere, e pertanto ritengono incapace di rispondere alle loro domande, spesso la sfuggono creandosi una società autonoma, e vivono in piccole bande più o meno segrete secondo un codice primordiale, basato sull’inviolabilità dell’amicizia».
Non piacevano quei ragazzi e quegli scrittori, come non piacevano i maestri che si erano scelti: un maledetto come Céline, un irregolare come John Fante, per non dire del principale ispiratore poetico e linuistico: Ezra Pound. Le conferme non mancano. Durante la campagna presidenziale statunitense del 1952 che vide la vittoria di Eisenhower, i beatnik arrivarono a scrivere «Ez for Pres» – ossia “Ezra Pound come presidente” – sulla cinta esterna del St. Elizabeth’s Hospital, il manicomio dove il grande poeta americano era recluso da sette anni per collusione col fascismo e dove rimarrà sino al suo ritorno in Italia nel ’ 58. Era sicuramente un debito di riconoscenza verso un maestro – talent scout, tra i tanti, di Eliot, Joyce e Hemingway – sempre caro alla beat generation, tanto che lo stesso Kerouac farà dire a Japhy, uno dei protagonisti dei Vagabondi del Dharma: «Pound era un buon diavolo, anzi il mio poeta preferito».
Nel 1967, cinquant’anni fa esatti, Allen Ginsberg – autore della celebre poesiascandalo Urlo che da noi ispirò anche
Dio è morto di Guccini – venne in Italia proprio per incontrare Pound, il quale, uscito, dal manicomio, viveva da qualche anno tra Rapallo e Venezia. È famosa la foto che ritrae il vecchio poeta assieme a Ginsberg e alla Pivano a Portofino il 23 settembre di quell’anno. Comunque, quando Ginsberg, poeta ebreo buddista, come amava definirsi, incontrò l’autore dei Cantos – il “miglior fabbro” del Novecento, per dirla con Eliot – in segno di omaggio non volle recitargli nessuna sua poesia. Piuttosto, dopo una amabile cena, arrotolò della marijuana in una cartina per sigarette, e senza una parola, iniziò a fumare. «Poi – riferisce il giornalista Mark Kurlansky – mise su per Pound dei dischi: Yellow Submarine e Eleanor Rigby dei Beatles, Sad- Eyed Lady of the Lowland, Absolutely Sweet Mary e Gates of Eden di Bob Dylan, e Sunshine Superman di Donovan. Ascoltandoli – rileva Kurlansky – Pound sorrideva, sembrava apprezzare in particolare certi versi». E con soddisfazione, conclude, batteva il tempo con il suo bastone dal manico d’avorio.
C’è anche questo nel profondo della cultura beat, insomma. Tanto è vero che quando il 5 aprile di vent’anni fa – ancora un anniversario in cui incorre in questo 2017 la beat generation – si spegneva a quasi settantun anni anche Ginsberg, nel gruppetto di amici che circondavano il suo capezzale c’era anche la cantautrice Patti Smith. La quale gli lesse, non a caso, alcuni versi scelti dai Cantos di Ezra Pound.

Luciano Lanna

Viva el Venezuela Bolivariano y Soberano de Amor, Libertad y Paz !


Viva la Repubblica. Quella dell'Amore !

Alla Repubblica monarchica dei partiti preferisco la Repubblica anarchico-autogestionaria dei cittadini.

(Luca Bagatin)

 
 

venerdì 26 maggio 2017

Juan Domingo Peron: un Presidente dalla parte degli oppressi. Articolo di Luca Bagatin del settembre 2014 (pubblicato anche dal quotidiano nazionale L'Opinione delle Libertà)

Juan Domingo Peron (1895 – 1974) - Presidente della Repubblica Argentina dal 1946 al 1955 - fu personaggio senza dubbio emblematico nel panorama geopolitico della Guerra Fredda ed il suo pensiero giustizialista, ovvero socialista nazionale, fu ed è tutt'ora un pensiero di scottante attualità, specie dopo l'avvento della globalizzazione e della conseguente crisi economico-sociale che attanaglia il mondo ormai da parecchi anni.
Iniziamo con il dire subito che Juan Peron non fu un populista nel senso spregiativo del termine. Egli fu uno dei pochi politici nella Storia ad essere dalla parte del popolo ed a servirlo, offrendo allo stesso una prospettiva umanitaria.
Eletto democraticamente, alla guida dei descamisados, ovvero dei più poveri dei poveri argentini, e sostenuto dalla moglie Eva Duarte (1919 - 1952), soprannominata affettuosamente dal popolo Evita - la quale si occuperà per tutta la sua pur breve vita di diritti delle donne e degli anziani - l'allora Colonnello Peron divenne Presidente della Repubblica Argentina e fondò, poco tempo dopo, il Partito Giustizialista, ovvero un partito socialista, nazionale e cristiano, ma di matrice anticlericale, come egli stesso amava definirlo.
La dottrina sulla quale Peron fondava la sua politica era una chiara ed inequivocabile terza posizione: alternativa al capitalismo borghese ed al marxismo comunista. Ovvero alternativa ai due imperialismi: quello statunitense e quello sovietico.
Il suo governo – che mai accettò aiuti, prestiti o investimenti stranieri - fu caratterizzato sin da subito da politiche in favore del popolo, dell'alfabetizzazione dello stesso e dello sviluppo del lavoro e riuscì, attraverso la nazionalizzazione delle imprese pubbliche, in pochi anni, a ripianare la totalità del debito pubblico che i governi dittatoriali precedenti avevano accumulato, ottenendo una bilancia dei pagamenti in attivo e riuscendo ad accumulare un'ampia riserva aurea. Sotto il profilo della laicità, inoltre, il governo Peron fu avanzatissimo per l'epoca, al punto che introdusse la legge sul divorzio, soppresse l'educazione religiosa nelle scuole e legalizzò la prostituzione e ciò gli costò peraltro la scomunica da parte del Papa dei cattolici Pio XII.
Nel settembre 1955, un'alleanza fra clero, militari e servizi segreti statunitensi, ad ogni modo, bloccò ogni nuova riforma peronista: un Colpo di Stato guidato dal generale Pedro Eugenio Aramburu, infatti, destituì il Presidente Juan Peron da ogni carica e lo costrinse all'esilio. Un esulio che durò sino al 1973. In Argentina, peraltro, il Partito Giustizialista fu dichiarato illegale e per quasi vent'anni l'Argentina ed il suo popolo subirono un lungo susseguirsi di dittature militari e di violenze, oltre che di pesantissime crisi economiche e di ruberie di Stato, che non permisero più al Paese di risollevarsi come aveva fatto, invece, durante il decennio peronista.
Juan Domingo Peron, ad ogni modo, nel suo esilio di Madrid, scriverà, nel 1967, una sorta di testamento politico, di documento storico e di esortazione al popolo ed ai popoli e lo intitolerà, emblematicamente, “L'ora dei popoli”. In tale testo, che anticiperà il suo ritorno trionfale in patria nel 1973, oltre a denunciare i suoi nemici in patria, denuncerà il pericolo dell'imperialismo yankee, ovvero statunitense, e l'avanzare dell'imperialismo sovietico e comunista. Inoltre, fu forse il primo a denunciare le manovre speculative dei governi USA relative al dollaro, fra cui il fenomeno dei signoraggio, e del Fondo Monetario Internazionale che, peraltro, sono tutt'oggi all'origine della crisi economica che stiamo subendo e fu il primo che, durante il suo mandato di governo, propose l'unificazione dell'America Latina, ovvero la fondazione degli Stati Uniti Latino-Americani.
Peron nel suo “L'ora dei popoli”, a proposito del giustizialismo e delle sue prospettive scrive infatti: Il giustizialismo si fonda su tre grandi premesse: 1) La necessità di promuovere una riforma che il mondo dei nostri giorni, con la sua inarrestabile evoluzione, stava segnalando come un imperativo ineludibile. 2) La necessità di una integrazione latino-americana per creare, grazie ad un mercato ampliato, senza frontiere interne, le condizioni più favorevoli al nostro sviluppo; per migliorare il tenore di vita dei nostri 200 milioni di abitanti; per creare le basi dei futuri Stati Uniti Latino-Americani, posto che spetta all'America Latina nelle questioni mondiali. 3) L'opportunità di realizzare un'integrazione storica che permetta di consolidare quella liberazione per la quale lottano oggi quasi tutti i popoli sottomessi.
La lotta in favore dei popoli sottomessi, infatti, fu la costante del pensiero e dell'azione di Juan Peron. La sua terza posizione, infatti, coincideva con quel Terzo Mondo sfruttato e depredato da Stati Uniti ed Unione Sovietica ed in tal proposito scriveva, anche riferendosi alla dittatura antiperonista che stava in quegli anni martoriando l'Argentina: I governi usurpatori di quelle dittature che pretendono di affermare la propria esistenza con la protezione straniera non possono durare. I governi militari e imposti dal Pentagono e dal Fondo Monetario Internazionale, incorreranno nella stessa sorte in Vietnam come in America Latina, in quanto nulla di stabile può essere fondato sull'infamia.
Socialismo nazionale, integrazione storica del Terzo Mondo e dell'America Latina, sovranità popolare, tutti aspetti che gli imperialismi non potevano e non possono tollerare.
Juan Domingo Peron, nonostante il ritorno trionfale in patria nel 1973 e la sua successiva rielazione, lasciando presto il governo nelle mani della seconda moglia Isabelita - che certo non aveva il piglio e l'anima sociale di Evita - non riuscì, causa anche la sua morte avvenuta nel 1974, ad impedire l'avvento di nuovi golpe militari che soffocarono ogni possibile riforma in Argentina.
Oggi, nel 2014, forse, avremmo necessità di un nuovo Juan Domingo Peron. L'avrebbe l'America Latina, ancora non unificata ed ancora attraversata da una grave crisi socio-economica. E l'avrebbe l'Europa, unita solo dall'economia e dal continuo sfruttamento monetario e tartassatorio che noi cittadini subiamo ogni giorno, peraltro soggetti alle scelte di politica internazionale dei soliti USA e del solito Fondo Monetario Internazionale.
Una terza posizione di carattere umanitario, socialista libertario e nazionale sarebbe utile all'uscita della crisi.
Ma, per ora, possiamo solo guardare agli esempi del passato. Agli esempi di personalità che, da Simon Bolivar a Giuseppe Mazzini, dai coniugi Garibaldi (Anita e Giuseppe), passando per i coniugi Peron (Evita e Juan) e per il socialismo libertario di Hugo Chavez, hanno offerto al mondo prospettive diverse e alternative. Prospettive oltre le divisioni e le ideologie di destra e/o di sinistra, bensì sempre dalla parte dei popoli e degli oppressi.

Luca Bagatin 

DALL'ARCHIVIO: Intervista di Marzia Pomponio a Luca Bagatin dell'8 luglio 2014 per www.notiziebucate.blogspot.it

Blogger da dieci anni – con circa cinque milioni di visualizzazioni – firma del quotidiano nazionale “L’Opinione”  diretto da Arturo Diaconale, ha collaborato e collabora con diverse importanti testate e riviste, tra cui “La Voce Repubblicana”, “Politicamagazine.info”, “Terza Repubblica” diretta dall'editorialista Enrico Cisnetto, “Camicia Rossa”, “Il Pensiero Mazziniano”, “YR Magazine” organo ufficiale del Rito di York del Grande Oriente d'Italia e “Officinae”, la rivista ufficiale della Gran Loggia d'Italia degli ALAM, diretta da Luigi Pruneti.
"Universo massonico" edito dalla Bastogi
Gli studi risorgimentali sui banchi di scuola e l’ammirazione per il Generale Giuseppe Garibaldi lo avvicinano agli ideali e ai propositi della cultura repubblicana, laica e liberalsocialista. Simpatizzante della politica libertaria di Riccardo Schicchi, Moana Pozzi e Ilona “Cicciolina” Staller – sua grande amica nella vita con la quale ha di recente collaborato in progetti politici e culturali – entra in politica a soli 17 anni, prima nei Verdi  e successivamente come sostenitore di alcune battaglie dei Radicali (ad appena  20 anni, nel 1999, ha condotto la campagna Emma for President per Emma Bonino al Quirinale, partecipando anche, nella primavera dello stesso anno, alla campagna elettorale della Lista Bonino). Approdato al Partito Repubblicano Italiano per poi abbandonarlo, ha fondato alcuni anni dopo “Amore e Libertà”, un movimento che definisce “(anti)politico e (contro)culturale”, che al di fuori dei partiti e delle ideologie si propone di gettare le basi per una possibile “Civiltà dell'Amore”.
Luca Bagatin presenta "Ritratti di Donna" con Debdeashakti che ne ha curato la prefazione
Lui è Luca Bagatin, autore del recente “Ritratti di Donna”, Ipertesto Edizioni, e di “Universo Massonico”, il suo primo saggio, edito dalla Bastogi nel 2012 con prefazione del prof. Luigi Pruneti, ex Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia – anche lui suo grande amico. Bagatin è, infatti, un grande appassionato e studioso di massoneria ed esoterismo, tanto che diversi suoi articoli sono stati pubblicati nelle maggiori riviste e pubblicazioni massoniche italiane e citati sulle pagine di Wikipedia, dell’Enciclopedia on line più consultata al mondo.
Un cultore della materia che capita di conoscere proprio nel periodo in cui si è tornati a parlare di massoneria e massoni, identificazione sufficiente a far nascere diffidenza se non addirittura timore nell’opinione pubblica. Sfatiamo dunque alcuni falsi miti che ci aiutano a capire cosa c’è dietro quella che sembra essere una nuova “caccia alle streghe”.
D. Chi sono i massoni oggi? E cos’è la Massoneria?
R. La Massoneria è un'Istituzione di elevazione morale e spirituale che si fonda su tre principi: Fratellanza, Libertà e Uguaglianza, così come ci ricorda il conte Alessandro Cagliostro, Grande Iniziato. La Massoneria, oltre a praticare e predicare gli ideali di fratellanza e di emancipazione sociale, è un'istituzione essenzialmente spirituale in quanto studia e approfondisce il simbolismo arcaico e archetipico presente in noi da sempre. Lo psicanalista Carl Gustav Jung parla, infatti, di archetipi, che non sono altro che il bagaglio di simboli e allegorie insite nel nostro inconscio. È dunque un’Istituzione spirituale e culturale che ha fra i suoi scopi lo studio e l'interiorizzazione dei simboli arcaici, oltre che la fratellanza universale.
D. Universo Massonico” è il tuo primo saggio. Mi ha stupito la corposa bibliografia. 
R.  È essenzialmente una raccolta di articoli che ho scritto dal 2004 ad oggi. La bibliografia che ho raccolto è relativa ai saggi consultati in questi anni.
 D. Leggevo in questi giorni che la Massoneria sta per compiere tre secoli di vita…
R. Ufficialmente è nata a Londra nel 1717. Parliamo almeno della Massoneria cosiddetta speculativa, quella filosofica. Le prime logge massoniche operative, invece, sono precedenti e risalgono al Medioevo. Le logge operative erano formate da muratori, quindi da operai, maestri d'arte, ai quali dobbiamo la costruzione delle cattedrali gotiche. Attraverso le loro conoscenze gnostiche – che si rifacevano alla Geometria Sacra dell’Antica Grecia e dell’Antico Egitto – i massoni operativi hanno costruito le cattedrali gotiche con uno specifico simbolismo che ha precisi significati spirituali ed esoterici. Nel 1717, grazie all'interesse delle classi nobiliari per la Geometria Sacra e l'esoterismo, è stata costituita quella che adesso si chiama la Gran Loggia Unita d’Inghilterra.
D.   Cosa rende così longeva, immortale, questa istituzione? Qual è il motivo per cui dopo tre secoli di vita è ancora ben salda, tanto che proprio di recente si è tornato molto a parlare di Massoneria e massoni?
R. Perché l'uomo, fondamentalmente, ricerca la spiritualità. Le persone che non trovano la pace interiore nelle religioni, non riescono cioè a colmare le lacune spirituali,o a trovare risposte nella politica, trovano nella Massoneria il posto ideale, in quanto si tratta di un’istituzione che non impone nulla, è priva di dogmi. Questo è il motivo per cui moltissimi giovani si stanno avvicinando alla Massoneria. Diciamo che la Massoneria crede nel Grande Architetto dell’Universo che sarebbe il Dio universale. Però, di fatto, chi è questo Dio universale? Non è altro che l’anima umana, la ricerca del Divino che è in noi, come spiego diffusamente anche nel mio libro.
D. Ciò che non cambia nel corso dei secoli è l’attribuzione alla Massoneria di connotati negativi...
R. Diciamo che nel corso dei secoli c’è stata una sistematica operazione denigratoria nei confronti della Massoneria, in particolare da parte della Chiesa cattolica, la quale ha visto nella Massoneria – proprio per la sua incessante ricerca spirituale e gnostica – una potenziale concorrente. Il simbolismo che sottende tutte le religioni, in realtà, è un simbolismo che esiste da millenni. In Massoneria tale simbolismo è pane quotidiano, mentre la Chiesa cattolica se ne è appropriata, spesso per ragioni “politiche” e “mediatiche”. La Santa Inquisizione, nel XVIII secolo, ha quindi deciso di perseguitare i massoni, costringendoli a riunirsi segretamente. Si trattava solo di un pregiudizio della Chiesa cattolica nei confronti di chi ricercava una spiritualità gnostica, neopagana si direbbe oggi. Il primo martire della Massoneria è stato Tommaso Crudeli, poeta fiorentino. Altro martire da ricordare è il conte Alessandro Cagliostro, che tanti erroneamente o volutamente associano a Giuseppe Balsamo. In realtà Balsamo era un impostore che la Chiesa cattolica aveva assoldato apposta per denigrare il conte di Cagliostro, che invece era un vero Grande Iniziato. A lui si deve la fondazione della Massoneria di Rito Egizio, con lo scopo di riunificare tutte le Obbedienze massoniche del mondo. Non esiste, infatti, una sola Massoneria: purtroppo c'è ancora una certa acredine fra la Massoneria di matrice “tradizionale” e anglosassone e la Massoneria di matrice liberale o francese.
Un’altra ragione per la quale la Massoneria è stata guardata con un certo sospetto è data dall'entrata in gioco del potere politico di re e regine, in particolare cattolici, che si sono accaniti contro i massoni temendo volessero sovvertire l’ordine costituito, perché i massoni parlavano di uguaglianza e in ambiente aristocratico era impensabile poter frequentare un borghese o un operaio.
In tempi recenti, con il falso scandalo P2, i partiti politici italiani, già compromessi –  e parlo in particolare delle forze del cosiddetto “compromesso storico” –  hanno fatto di tutto per dare la colpa ai massoni della crisi politica che attanagliava il nostro Paese. In realtà il malaffare era unicamente politico. Tuttavia, attraverso un’operazione mediatica, si è preferito incolpare Licio Gelli e tanti altri cosiddetti “piduisti”, che poi sono stati tutti assolti perché non complottavano contro nessuno. La medesima cosa è successivamente accaduta nell'ambito dell'inchiesta condotta dal giudice Agostino Cordova,  nella quale si è voluto ingiustamente equiparare la Massoneria alla mafia. Altra inchiesta finita con assoluzioni. In realtà, personalmente, non conosco neanche un massone che occupi un posto di potere. Conosco invece molti disoccupati che sono massoni. In tempi di crisi, in effetti...
D. Cosa ti fa essere così certo che lo scandalo P2 sia stato un po’ tutto gonfiato e che Gelli non abbia fatto alcun complotto o nulla di quanto fu accusato? Hai avuto accesso ai documenti giudiziari dell’inchiesta?
R. L'inchiesta relativa alla P2 si è conclusa con le sentenze di assoluzione di tutti i componenti della Loggia Propaganda numero 2. Le sentenze emesse dalla Corte d'Assise di Roma risalgono al 1994 e al 1996 e sono pubbliche. L' “affaire” P2 fu un falso scandalo e a dirlo sono le sentenze stesse.
Se poi vogliamo parlare del cosiddetto “programma” di Gelli, ovvero il famoso Piano di Rinascita Democratica – che altro non era che una lista di buoni propositi, purtroppo mai attuati – possiamo dire che fu un programma di riforme liberali, fatto passare dai media e dai soliti politicanti come un piano golpista. Gelli servì come perfetto capro espiatorio di tutto il malaffare politico dell'epoca, in particolare della Democrazia Cristiana e anche in qualche modo del Partito Comunista, che non poteva sopportare i programmi e i propositi di matrice liberaldemocratica, proposti, peraltro, da un massone. In quegli anni – parliamo della fine anni ’70 inizi anni ’80 –  stava evidentemente per scoppiare Tangentopoli e, per evitare tale scandalo, la DC e  il PCI in particolare, decisero di fare ricadere la responsabilità sui soliti massoni, approfittando del fatto che tanto sono sempre stati odiati da tutti: dai fascisti, dai comunisti e dalla Chiesa cattolica. Ecco come è nato il falso scandalo P2.
Che poi Gelli avesse in piedi eventuali affari dal punto di vista profano è un altro discorso, ma che esula completamente da ciò che è stata la Loggia Propaganda numero 2 e la Massoneria in particolare. La cosa curiosa di tutto ciò è che di queste cose ne ha parlato solo il giornalista Pier Carpi, ed è stato oscurato da tutti i media.
Pier Carpi –  giornalista, scrittore, regista e fumettista, molto amico di Licio Gelli –   faccio notare è morto povero, per cui non ha ricevuto alcun aiuto da Gelli. Non si poteva dire fosse pertanto un “raccomandato”. In “Universo Massonico” parlo diffusamente di Pier Carpi e dei suoi saggi in cui racconta la vita di Gelli, del falso scandalo P2 e quindi cosa è realmente accaduto. Sono stato l'unico ad aver recensito tali libri, assieme al saggio del prof. Aldo A. Mola, che, con tanto di documenti, dimostra che anche la cosiddetta Commissione Anselmi fu una grande bolla di sapone.
Personalmente poi, sono un caro amico del Generale in pensione Umberto Granati, che peraltro era iscritto alla Loggia Propaganda 2. Sono l'unico, anche qui, ad aver recensito il suo libro, “Diario di un piduista”, ove racconta tutta la vicenda.
D. Mi citi testimonianze di persone che o facevano parte della P2 o erano legate da amicizia a Gelli. Non credi che questi legami sottraggano credibilità alla loro tesi?
R. Il prof. Aldo A. Mola è uno studioso accreditato in tutto il mondo, che certo non fece parte della Loggia Propaganda 2.Ne fecero parte invece il cantante Claudio Villa, il comico Alighiero Noschese, addirittura l'eroe dell'antiterrorismo e della lotta alla mafia Carlo Alberto Dalla Chiesa (mandato a morire in Sicilia, senza scorta, dal Governo Spadolini). Tutti criminali, costoro? Ma siamo seri, per favore.
D. Come hai accennato, la Massoneria è fatta spesso passare come un gruppo dove conviene entrare per essere tutelati e agevolati con reciproci scambi. Nel definire la Massoneria invece parli di un’adesione legata “solo” ad una condivisione di ideali. Di questo rimarranno delusi in molti che si chiederanno dov’è allora l’utile di entrare in Massoneria. In fondo per sentirsi appartenere a degli ideali non serve la Massoneria…
R. Chi entra in Massoneria per ricavarne vantaggi personali farebbe meglio a rivolgersi altrove. È al massimo fra i politici che ci si spartisce il potere, spesso, non certo fra massoni. L’ideale di base della Massoneria è costituito, è vero, dal reciproco aiuto, ma nel senso che tutti i massoni si considerano fratelli e mirano alla fratellanza universale. I massoni aiutano, attraverso il loro percorso spirituale e attività di beneficenza anche il prossimo, ovvero anche persone al di fuori della Massoneria. Come dicevo prima, la Massoneria è un’istituzione spirituale e filosofica. Chiaramente non è indispensabile entrare in Massoneria per portare avanti un certo tipo di principi e di valori. Voltaire, grande filosofo, entrò in Massoneria solo un anno prima di morire, infatti, rimanendo Apprendista per tutta la vita. Penso che il suo esempio dovrebbe essere d'insegnamento per molti. Profani e massoni.
Con questo non voglio dire che non ci sono state persone corrotte in Massoneria, purtroppo ci sono e ci sono state, come in qualsiasi altra associazione culturale, partito politico o sindacato. Ad ogni modo, se si entra in Massoneria per interessi privati, perché attraverso la conoscenza di persone importanti ci si aspetta una certa “convenienza”, allora credo che si sia sbagliato posto. In Massoneria si trovano persone di tutti i ceti sociali, per cui essendo un posto sociale,  un po’ come facebook, puoi stringere amicizia con persone importanti ed entrare in un certo giro importante. Può accadere in Massoneria, così come in qualsiasi altra associazione. Relativamente alla corruzione posso solo dire che è un aspetto purtroppo connaturato all'essere umano. In Massoneria, almeno, ti insegnano a trascendere l'umano per raggiungere il divino. Sta a te scegliere se elevarti e quindi “levigare la tua pietra grezza” –  come si dice in gergo massonico – oppure rimanere, nei fatti, un semplice profano corrotto.
D. Mi hai parlato di più Obbedienze massoniche. Quante esistono oggi in Italia?
R. Moltissime perché è sufficiente recarsi da un notaio per costituire, con regolare atto, un'Obbedienza massonica. Tuttavia ritengo che la regolarità massonica vada analizzata sotto il profilo storico-esoterico, oltre che spirituale e iniziatico. Da questo punto di vista le uniche Obbedienze massoniche storiche e accreditate sono il Grande Oriente d’Italia, fondato nel 1805, e la Gran Loggia d’Italia degli ALAM, fondata da Saverio Fera nel 1908 e originata da una scissione del GOI. Attualmente è peraltro l’unica Obbedienza massonica che permette anche alle donne di entrare.
D. Mi anticipi una domanda: tra le varie interviste riportate verso la fine del tuo “Universo massonico” citi un unico libro che ha trattato l’argomento donne e Massoneria (l’autrice è Francesca Vigni). Che ruolo hanno le donne? Possono entrare in Massoneria però non fare un certo percorso di carriera o vi è parità con gli uomini?
R. Nella Gran Loggia d’Italia possono entrare tranquillamente e intraprendere il normale percorso iniziatico. Per quanto riguarda il Grande Oriente d’Italia invece, purtroppo ancora oggi non è possibile. Il GOI ritiene, infatti, che il  simbolismo massonico sia solamente solare – e quindi maschile – e non lunare. Tuttavia se si osservano gli antichi culti solari, quello di Iside ad esempio, erano officiati da sacerdotesse, quindi da donne. Mi auguro che il GOI, pertanto, sani presto tale contraddizione massonica.
Nel mio secondo libro, “Ritratti di Donna”, all’ultimo capitolo parlo del mito della Donna Selvaggia, di cui racconta la dott.ssa Clarissa Pinkola Estés, psicanalista junghiana. Lei parla proprio degli archetipi simbolici che si rifanno per molti versi anche al simbolismo massonico, di matrice femminile. Per cui è veramente antistorico e assurdo che vi siano Obbedienze massoniche ove permangono ancora tali pregiudizi. In Francia, nel Grande Oriente di Francia, gemellato peraltro con la Gran Loggia d’Italia, è solo dal 2010 che fanno entrare anche le donne.
Nella Gran Loggia d’Italia le donne hanno iniziato ad entrare durante la gran maestranza di Giovanni Ghinazzi. Ad ogni modo ci sono dei precedenti storici che risalgono al Gran Maestro Giuseppe Garibaldi, allora Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, il quale iniziava le donne. Ha iniziato per esempio Madame Blavatsky, un’occultista russa di cui parlo molto anche in “Universo Massonico”, che ha combattuto con lui nella battaglia di Mentana. E poi c’è stato Ernesto Nathan, grande sindaco di Roma, mazziniano  e garibaldino, anche lui assolutamente favorevole all’entrata delle donne.
Sia nel primo sia nel secondo mio libro ho inserito l’intervista realizzata all’ex Gran Maestra della Gran Loggia Femminile d’Italia, Gabriella Bagnolesi – Obbedienza fondata, fra l’altro, da Franca Bettoja, moglie di Ugo Tognazzi.
D. Soffermiamoci su queste due Obbedienze massoniche storiche. C’è una prassi da seguire per entrarci, immagino.
R. La domanda di adesione può essere presentata anche via internet, oppure attraverso la conoscenza di un amico che fa già parte di un'Obbedienza massonica. Successivamente l'aspirante iniziato è chiamato ad un colloquio, ove si indagano le motivazioni che spingono il candidato ad entrare in Massoneria. Se al termine del colloquio permane l’intenzione dell'aspirante iniziato ad entrare nell'Istituzione, sono fissati successivi colloqui sino ad arrivare all’iniziazione. Tutto ciò è una sorta di pre-selezione legata semplicemente all’intenzione di capire chi si ha davanti, se le sue motivazioni sono mosse da effettivo interesse per il percorso massonico, se si hanno eventuali pendenze penali, ecc. A tal proposito si chiede, infatti, il certificato penale, che deve essere assolutamente pulito pena il rigetto della domanda.
D. Superati questi scalini selettivi si arriva all’iniziazione. Come avviene la cerimonia dell’iniziazione? Quali i particolari rituali?
R. Il rito d'iniziazione è molto particolare e ovviamente non può essere pubblico, così come anche le varie tornate di loggia, al fine di garantire il giusto raccoglimento meditativo da parte dei partecipanti. Non possono essere presenti persone estranee anche per evitare derisioni da parte di esterni nel vedere magari qualche massone anziano camminare facendo particolari rituali che rientrano nel cerimoniale. Per chi, infatti, non ha conoscenza della Massoneria, presenziare ad un rito di  iniziazione potrebbe far sorridere. In realtà, studiando e approfondendo il significato dei simboli, si comprendono le ragioni per cui vengono fatti in un determinato modo. I rituali d'iniziazione si trovano in numerose pubblicazioni massoniche reperibili in qualsiasi libreria. È chiaro che è sconsigliato all'aspirante iniziando di leggerlo prima, ma ciò solo in quanto, conoscendolo già, si perderebbe, per così dire, tutta la “magia” dell'iniziazione rituale”.
D. Si parla di carriera nella Massoneria. Come avviene la scalata?
R. Più che di carriera e di “scalata”, parlerei di percorso iniziatico, spirituale. La carriera ha senso se hai posizioni di potere, ma in Massoneria tutti sono liberi ed eguali. Vi sono solo gradi diversi, perché diversa è la profondità della meditazione che in ambito massonico si pratica. Ci sono quindi, in questo senso, diversi gradi che potremmo definire di “apprendimento”. Il primo grado è quello di Apprendista, che consente di assistere alle cerimonie senza però poter intervenire. Poi c’è il grado di Compagno e infine quello di Maestro. Questa è la cosiddetta Massoneria Azzurra. Poi ci sono, eventualmente, gli Alti Gradi, contenuti in vari Riti. La Gran Loggia d’Italia riconosce, dopo il grado di Maestro Massone, solo il Rito Scozzese Antico ed Accettato, che si rifà anche ad un certo simbolismo dei Templari nel periodo in cui si rifugiarono in Scozia per sfuggire alle persecuzioni di Filippo il Bello e dell'Inquisizione. Nel Grande Oriente d’Italia, invece, vi sono vari Riti oltre quello Scozzese: c’è il Rito di York, il Rito Simbolico Italiano, il Rito Noachita e il Rito Egizio di Memphis e Misraim.
Il funzionamento è un po’ come l’università: una scuola dove approfondisci sempre di più gli studi.  L’unico divieto in Massoneria è parlare di religione o di politica, perché sono due argomenti che creano divisione e, dovendo essere preservata l’unità tra fratelli e sorelle, si evitano. Non parlare di religione tuttavia non vuol dire essere ateo, perché per entrare in Massoneria è necessario avere una visione spirituale della vita.
D. Se non si può parlare di politica perché ritenuto un argomento fonte di conflitti e divisioni tra fratelli e sorelle, non è un controsenso poi accettare l’ingresso di politici?
R. I politici sono pur sempre persone  e come tali hanno la possibilità di entrare in qualsiasi tipo di associazione, purché ne rispettino le regole. Regole che in Massoneria sono chiare: in loggia non si parla né di politica né di religione. Puoi parlare di spiritualità e di questioni sociali, ma è un altro tipo di discorso.
D. La parlamentare del M5S Tiziana Ciprini agli inizi di giugno ha scatenato un nuovo chiacchiericcio sui massoni, perché durante un intervento in aula a Montecitorio, ha fatto il gesto di infilare la mano nella giacca, e lo stesso ha fatto il suo collega di partito seduto accanto. I media hanno parlato di gesto massonico, facendo notare che anche Grillo lo fece durante la trasmissione di Bruno Vespa nella quale fu ospitato, e sono state comparate foto di personaggi storici, dichiarati massoni, nell’atto dello stesso gesto, da Napoleone a Karl Marx, George Washington, Mozart, Cavour, Giuseppe Mazzini, fino ad arrivare a Berlusconi. Casualità o un reale linguaggio in codice della massoneria?
R. Veramente, fra i personaggi storici che citi, vi sono anche non massoni, a onor del vero. Penso a Mazzini, ad esempio, ma non solo. A parte questo, non mi risulta che il gesto della signora Ciprini sia, ad ogni modo, un gesto – per così dire –  “massonico”. Anche se lo fosse sarebbe assurdo, visto che i cosiddetti gesti rituali si fanno solo in loggia, se non altro perché è li che hanno un significato.
D. Se i simboli massonici hanno significato solo in loggia, perché allora, come dichiari anche nel tuo libro “Universo Massonico”, esistono numerosi simboli massonici disseminati nella letteratura e in alcune opere musicali contemporanee? E perché questa esigenza di lasciare simboli nelle opere, di utilizzare cioè un linguaggio in fin dei conti decodificabile solo da una nicchia di persone?
R. La letteratura e la musica sono forme di espressione artistiche e la Massoneria è chiamata anche Arte Reale, ovvero l'arte di coloro i quali costruiscono il proprio Tempio interiore. Quali arti migliori della letteratura e della musica per trasmettere, dunque, ideali e principi così alti e profondi, anche e proprio attraverso l'emozione di un romanzo o di una composizione musicale? È pratica antichissima che gli artisti nascondano nelle loro opere messaggi di tipo esoterico, anche non strettamente massonici. Fra i musicisti contemporanei che, attraverso le loro opere, trasmettono messaggi esoterici posso citarti un caro amico: Fabio Mengozzi, giovane astigiano la cui musica è riconosciuta e suonata a livello internazionale. E, oltre ad averlo intervistato di recente, gli ho dedicato un'intera sezione del mio “Universo Massonico”. Lui, fra l'altro, a sua volta, mi dedicò la composizione “Segreta Luce”, come si può osservare anche nel frontespizio dello spartito musicale – presente anche in un video su Youtube – che reca il mio nome.

Marzia Pomponio
http://notiziebucate.blogspot.it

DALL'ARCHIVIO: Intervista esclusiva di Luca Bagatin all'attore e militante per i diritti civili Peter Boom (del 2 novembre 2009) (Un ricordo nel sesto anninversario della sua morte fisica)

Luca Bagatin e Peter Boom
In occasione del sesto anniversario della morte fisica dell'amico Peter Boom (Blooemendal, 31 marzo 1936 - Bagnaia, 26 maggio 2011), cantante, attore, militante per i diritti civili degli omosessuali e dei disabili, oltre che teorico della Pansessualità e figura ispiratrice del nostro pensatoio "Amore e Libertà" (che proprio oggi compie quattro anni di vita), desidero riproporre una intervista che gli feci nel novembre del 2009, pubblicata anche dal quotidiano "La Voce Repubblicana".

Luca Bagatin

Peter Boom è un caro amico al quale più di un anno fa ho proposto di tenere sul mio blog www.lucabagatin.ilcannocchiale.it la rubrica sulla sua Teoria della Pansessualità nella quale parlare - senza peli sulla lingua e pruderie di sorta - di sessualità, omosessualità e diritti civili.
Peter è nato nel 1936 a Bloemendaal, in Olanda, e vive in Italia dal 1956 ove studiò lirica ed iniziò la carriera di attore, recitando peraltro in numerosi film a cavallo fra gli anni '60 e gli anni '90, accanto a personalità quali Nino Manfredi - di cui fu molto amico - Ugo Tognazzi, Roberto Benigni, Massimo Troisi ed altri.
Nella sua vita si occupò, peraltro, di ricerche di mercato e lavorò anche come investigatore privato.
Gay dichiarato e militante dei diritti civili degli omosessuali, Peter fu fra gli attivisti del Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano ! (F.U.O.R.I. !) federato al Partito Radicale e fondato da Angelo Pezzana sul finire degli anni '60 ed anche oggi si occupa di tematiche inerenti alla Liberazione sessuale, omosessuale e transgender, curando – fra l'altro – il sito web www.pansexuality.it
Ha scritto sino ad oggi due romanzi: il giallo "Vendetta al curaro" e "2020 Il Nuovo Messia", romanzo ricco di simbologia freudiana.
Lo ringrazio dunque di avermi concesso questa amichevole intervista.



Luca Bagatin: Che cosa ti ha portato a trasferirti, dalla libera Olanda, alla casta Italia degli anni '50 ?

Peter Boom: Milano, La Scala, la Lirica, studiavo canto e l'Italia era il non plus ultra alla fine del 1956 in pieno “boom” economico, ma … non tanto casto e prima che li chiudessero sono stato ancora tre o quattro volte nei casini. Circa tre anni dopo ho scoperto di preferire la compagnia di giovani uomini. Ecco là, oltre all'autoerotismo le mie prime esperienze pansessuali.


Luca Bagatin: Ricercatore di mercato, detective, cantante.....ma quante ne hai fatte prima di approdare al cinema ?


Peter Boom: Ehi! Ma il cinema non è mica il bengodi ! Ci sono frequenti periodi di crisi ed anche tutte le volte che non pagavano. Allora vendevo bigiotteria orientale che compravo a Roma dagli ebrei persiani scappati dall'Iran; vendevo enciclopedie; facevo piccoli trasporti; segretariato d'albergo e così via. Poi cantavo, doppiavo nei film, facevo l'interprete e anche qualche traduzione. Non stavo mai fermo.


Luca Bagatin: Qual è il film nel cui ruolo ti sei riconosciuto maggiormente ?

Peter Boom: Nessuno


Luca Bagatin: Mi raccontasti di essere stato molto amico di Nino Manfredi, che peraltro negli ultimi anni della sua vita interpretò il ruolo di un anziano omosessuale ("Un difetto di famiglia", film per la Rai del 2002 con - fra gli altri - Lino Banfi). Puoi raccontarci qualche cosa di lui ?


Peter Boom: Nino era un Ariete come me e forse per questo ci capivamo meglio. Era molto amico degli omosessuali e nonostante facesse benissimo l'effeminato, amava solo le donne e possibilmente quelle giovani. Mi raccontava che era stato la prima volta con una sua zia. A quindici anni soffriva di una grave forma di tisi e da dietro la porta, origliando, aveva sentito dire il dottore a sua madre che non avrebbe resistito più molto e che sarebbe morto da lì a poco. Invece no ! Il suo spirito ha reagito e dopo ne ha fatta di strada.


Luca Bagatin: Veniamo dunque al Peter Boom militante per i diritti civili......che ci racconti in merito ?

Peter Boom: Che ? Devo scrivere un libro ? Sono un ribelle di natura e non ho mai avuto pregiudizi. Oramai sono schiavo della lotta per i gay, per la pansessualità, per le donne, per la gente di colore, etcetera, etcetera e si può evincere benissimo dal breve pensiero poetico “La Dottrina del Disprezzo” (pubblicato spesso anche su www.lucabagatin.ilcannocchiale.it). Nel 1971 incontrai Angelo Pezzana a Torino ed aderii al F.U.O.R.I.. L'anno dopo partecipai alla prima manifestazione gay in Italia a San Remo ed ebbi la pazza idea di produrre e cantare il primo disco di lotta gay in Italia, che poi mi costò la bene avviata carriera di cantante di musiche da film.


Luca Bagatin: Militasti anche nel Partito Repubblicano Italiano, che era ritenuto - dai più - un partito un po' troppo "moralista".
Come mai approdasti al PRI ?

Peter Boom: Approdai al Partito Repubblicano dopo Ugo La Malfa. A Viterbo ho conosciuto Giorgio La Malfa e la combattiva Luciana Sbarbati. Non mi pare che il partito fosse ingiustamente moralista. Mi piaceva perché regnava un'atmosfera di LIBERO PENSIERO. Oggi, almeno mi pare, non esista più nessuna morale in politica. In Italia mancano figure come Obama, come Zapatero e pochi altri. Ora esiste solo una Grande Madre Chiesa che comanda insieme con le diverse mafie. E' pietoso vedere un Paese con sistemi fiscali e giudiziari così confusi, voluti politicamente, ed una famosa banca dentro Roma che tranquillamente ed impunemente ricicla le grosse tangenti ed i capitali della delinquenza. Una situazione dalla quale non sarà facile uscire e che costituisce un pericolo per tutta l'Europa e probabilmente per tutto il mondo.

Luca Bagatin: Con gli anni iniziasti ad elaborare la Teoria della Pansessualità. Com'è possibile che un attore, per quanto poliedrico, inizi - dal nulla - ad occuparsi di argomenti scientifici e psicologici ?

Peter Boom: Embé, no, già da bambino mi interessavo di psicologìa, leggevo molti buoni libri: Freud, Jung, Cronin, Nevil Shute e molti altri. Frequentavo scuole Montessori, grandi esempi di libertà di pensiero e di espressione. Nel periodo del liceo classico vedevamo gli spettacoli di tutti i migliori teatri di prosa venuti da Parigi, Vienna e Londra, inoltre sono cresciuto con la musica classica e con la lirica, che era una passione di tutta la mia famiglia. Ho goduto di una buona formazione culturale, cosa che apprezzo sempre più.

 
Luca Bagatin: Puoi spiegarci, in poche parole, la tua Teoria della Pansessualità ?

Peter Boom: Più precisa è la mia Filosofia della Pansessualità. In una mezza paginetta ho voluto spiegare il mio pensiero sulle possibilità sessuali che portiamo dentro di noi. Finché c'è vita, nel campo sessuale possiamo fare scoperte ed esperienze strabilianti ed innumerevoli, che magari prima non avremmo nemmeno accettato. Prendo sempre come esempio un nonno 86enne, cattolicissimo, che si innamora perdutamente dell'amico ventenne del nipote. e.... naturalmente non c'è niente di male e … può succedere anche l'opposto, cioè il ragazzo che si innamora del vegliardo.

 
Luca Bagatin: Anche oggi il tuo impegno sul fronte politico-militante è attivo.....raccontaci.

Peter Boom: Sì, il mio attivismo non viene mai meno, anzi, ora che sopravvivo con una pensione troppo piccola (meno male che possiedo una casa e un computer), solo e libero ho molto più tempo di prima per pensare e scrivere. Sono in contatto con importanti sessuologi e sto comunicando la Teoria e la Filosofia della Pansessualità a tutto il mondo, prima con la mia partecipazione a due conferenze internazionali organizzate dalla European Federation of Sexology, e poi naturalmente attraverso internet. Sto penetrando con le mie idee anche in alcuni paesi a maggioranza musulmana, dove esiste una forte repressione della donna ed una innaturale resistenza ad ogni sessualità diversa. 

Ringrazio davvero l'amico Peter per l'intervista che mi ha concesso, impegntissimo com'è nel suo lavoro militante. Come lo ringrazio per ogni volta che interviene dottamente ed umanamente sul mio blog – non solo nell'ambito della sua rubrica – con interessantissimi commenti e per tutte le volte che, spesso telefonicamente, mi propone nuovi spunti di riflessione. Spunti che è sempre mia cura rilanciare in articoli e/o interventi ad hoc nel solco, appunto, della laicità e del Libero Pensiero.

Luca Bagatin



Per arrestare l'immigrazione occorre restituire la ricchezza saccheggiata al Terzo Mondo

"Prendete la decisione di restituire la ricchezza saccheggiata al fine mi porre fine all'immigrazione. 
Rendeteci queste ricchiezze saccheggiate dall'Africa, dalle Filippine all'America Latina, dalle Isole Mauritius all'India" 

(Mu'Ammar Gheddafi)

 Per leggere gli articoli qui sotto, clikka sul titolo

Il Socialismo Arabo di Mu'Ammar Gheddafi. Articolo di Luca Bagatin 

Thomas Sankara e la Rivoluzione burkinabé. Articolo di Luca Bagatin


L'unico argine al fondamentalismo islamico è sempre stato il socialismo arabo, da Nasser a Gheddafi sino ad Bahatismo siriano. Le cui origini sono autogestionarie, mazziniane, nietzchiane, laiche ma non materialiste.
(Luca Bagatin)

martedì 23 maggio 2017

Un vaccino contro l'odio !

Il vaccino di cui il mondo avrebbe bisogno è quello contro l'odio.
(Luca Bagatin)





Ogni lavoro che prevede un compenso è, metaforicamente, una forma di prostituzione.
Per liberarsi dalla prostituzione, nel senso più ampio del termine, occorre una economia fondata sul dono, libera dall'interesse e dalla schiavitù del salario.

Una economia fondata sull'amore fra le genti.
(Luca Bagatin)