giovedì 24 luglio 2025

Cina-Ue, 50 anni di relazioni diplomatiche. Il ruolo dell’Italia? Scarso, nonostante Marco Polo. L'opinione del prof. Giancarlo Elia Valori

 

“Il ruolo dell’Italia all’interno del dialogo tra Bruxelles e Pechino penso sia inferiore a quello di altri Paesi dell’Unione Europea”. Ad affermarlo è l’illustre economista e manager italiano, grande esperto di geopolitica e relazioni internazionali, Giancarlo Elia Valori, intervistato in occasione del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Cina e Unione Europea. Eppure, secondo Valori,  “i due Paesi avrebbero ancora un grande potenziale di cooperazione nella tecnologia di protezione ecologica e in altri aspetti, e l’Italia continuerebbe a svolgere un ruolo nel promuovere gli scambi culturali e la cooperazione scientifica e tecnologica tra la Repubblica Popolare della Cina e i Paesi europei”.

  1. Quest’anno si celebrano i 50 anni delle relazioni diplomatiche tra Cina e Unione Europea. Professore Valori come giudica l’evoluzione di questo rapporto e quali ne sono, secondo Lei, gli snodi più significativi?
    Sì, ufficialmente sono cinquant’anni, ma in realtà le relazioni fra la Cina e la Penisola italiana sono plurisecolari. A questo proposito voglio innanzitutto ricordare l’episodio di quando il veneziano Marco Polo fu catturato dai genovesi e dettò al pisano Amedeo Rustico, detto Rustichello, il ben noto Milione. Lo stesso Marco Polo che nel suo ultimo viaggio dalla Cina verso Occidente accompagnò la giovane principessa mongola Kukjin, attraverso l’intera Asia fino alla Persia, nel 1293, per portarla al suo promesso sposo l’ilkhan di Persia, il mongolo Arghun; Arghun morì tuttavia prima che il lungo viaggio di Kukjin avesse termine, e la principessa finì con lo sposare il figlio ed erede di Arghun, il giovane Ghazan. Oggi la Repubblica Popolare della Cina e l’Italia hanno di storicamente e culturalmente tanto da apprendere in modo reciproco, ma politicamente cosa?
  2. Qual è oggi, a Suo avviso, il ruolo dell’Italia all’interno di questo dialogo tra Bruxelles e Pechino? Esiste spazio per una diplomazia culturale ed economica autonoma e costruttiva?
    Il ruolo dell’Italia all’interno del dialogo tra Bruxelles e Pechino penso sia inferiore a quello di altri Paesi dell’Unione Europea. Il recesso di Roma dalla Belt and Road Inititiative io non direi abbia a che fare o a che vedere con una sorta d’incertezza o indecisione del Governo Meloni, in quanto l’esecutivo italiano non è altro che una delle manifestazioni europee dell’emanazione d’Oltretlantico rivolta alla sua mera espressione/estensione geografica in odore di protettorato: ed è solo questa una certezza.
    Perciò che vi posso dire quando si vede che l’Italia è l’unico Paese del G7 che si è tolta dalla BRI? Essa, in un primo momento ha voluto essere presente in quanto allora credeva di agire in modo indipendente, ma poi si è ricreduta indotta da spinte più potenti della capacità di resistere a pressioni esterne.
    Considerando le origini di estrema destra dei vertici del governo italiano, esso stranamente è al servizio di chi ha distrutto il fascismo nel mio Paese, mentre l’Unione Sovietica – allora unico Paese socialista – non ebbe alcuna influenza nel rovesciarlo esternamente prima nel 1943 e poi nemmeno internamente nel 1945. Un paradosso che in seguito ha visto uno statunitense, quale Henry Kissinger, amico della Repubblica Popolare della Cina, e l’esecutivo dell’Italia di Marco Polo contrario a Pechino. Tutto questo è davvero tragicamente ridicolo!
    Inoltre, a mio parere, è presente paura fisica per eventuali decisioni contrarie agli ordini della Casa Bianca, come tragicamente è avvenuto in passato. Al contempo chi ci rimetterà sono, al solito, gli imprenditori italiani che stavano beneficiando della BRI, e avrebbero voluto continuare questo rapporto win-win; in pratica a perdere è l’intera Italia.
    Non va comunque dimenticato che i workshop organizzati dalla Camera di Commercio di Roma e dalla Fondazione di Studi Internazionali e Geopolitica, il 9 aprile e il 24 ottobre 2024, hanno visto la cooperazione scientifica e tecnologica sino-italiana, superare alcune interferenze negative nate da coloro che si oppongono allo sviluppo delle relazioni Italia-RP della Cina. Tuttavia, con la promozione del partenariato strategico globale tra le due parti, i due Paesi avrebbero ancora un grande potenziale di cooperazione nella tecnologia di protezione ecologica e in altri aspetti, e l’Italia continuerebbe a svolgere un ruolo nel promuovere gli scambi culturali e la cooperazione scientifica e tecnologica tra la Repubblica Popolare della Cina e i Paesi europei.
  3. La Cina ha investito molto nel soft power e nel dialogo con i Paesi europei, anche sul piano accademico, culturale e mediatico. Quali sono, secondo Lei, le chiavi per superare i pregiudizi reciproci e rafforzare una comprensione autentica tra civiltà?
    In Europa, in Occidente in genere, anche in quello “allargato” (Giappone + Australia + Nuova Zelanda) sicuramente per il complesso di superiorità e presunzione non si vuol affrontare dialogo alcuno che non rientri nello schema: «Io parlo e tu ascolti solamente, siccome io sono il depositario della Verità Liberale». Però l’appello al dialogo che la Repubblica Popolare della Cina rivolge, è ascoltato dai Paesi in via di sviluppo. Per questa ragione i principi generali e gli obiettivi della politica cinese verso i Paesi, che una volta si chiamavano del Terzo Mondo, poggiano soprattutto sulla definizione di un partenariato strategico, sull’uguaglianza politica e sulla cooperazione economica di tipo paritario. Essi si fondano sul rispetto degli interessi di tutti questi Paesi e in cui ogni parte risulta beneficiaria della collaborazione. Nel fornire assistenza e collaborazione paritaria a Stati esteri, la Repubblica Popolare della Cina rispetta sempre la sovranità dei Paesi beneficiari, non pone vincoli di sorta e persegue risultati vantaggiosi per tutti. L’assistenza cinese ha portato benefici reali ai Paesi in via di sviluppo interessati e ha ricevuto il loro plauso e apprezzamento. E la Belt and Road Initiative è uno dei grandi passi cinesi in tal senso. Per cui, le chiavi per superare i pregiudizi reciproci e rafforzare una comprensione autentica tra civiltà sia del Nord che del Sud del mondo, risiedono unicamente in una presa di coscienza da parte dei vari “Occidenti” nel rendersi autonomi o – per meglio dire – indipendenti da certi modelli di asservimenti e sistemi di produzione imposti all’ìndomani della fine della II Guerra Mondiale e oggi ritortisi contro con i ben noti dazi.
  4. Guardando al futuro, quali ambiti ritiene strategici per una nuova fase delle relazioni Cina–UE? E quali sfide comuni richiederanno, a Suo avviso, una collaborazione più stretta tra le due realtà?
    Questa sulle sfide è una domanda molto semplice, ma a cui è necessario dare una risposta di certo non politicamente corretta ma scomoda, per cui pesante da digerire da parte di “padri” e “madri” della democrazia liberale. Ricordo una frase in un libro del 2021. La pace e la stabilità non sono state di certo assicurate dall’Europa: sono stati la Casa Bianca ed il Cremlino a farlo in parte nel nostro Continente, esportando la II Guerra dei Trent’Anni (1914-1945) per procura negli ex imperi coloniali di Belgio, Francia, Gran Bretagna, Italia, Portogallo e Spagna. E poi nel nostro Continente, ricordiamo le guerre-massacri balcanici 1990-1999; guerre in Ossezia (1992 e 2008); guerre in Cecenia (1994-96, 1999), i conflitti armati religiosi in Irlanda del Nord e civili in Spagna; la divisione “coreana” fra Cipro del Nord e Cipro (quest’ultima riconosciuta all’ONU); l’Europa divisa a metà fra un Ovest ai vertici del Primo Mondo ed un Est che si fa fatica a non chiamarlo Terzo; il problema delle centrali nucleari ex sovietiche obsolete ed in continuo allarme giallo (Lecce è più vicina agli ex territori della defunta URSS che a Milano); sono forse questioni afro-asiatiche e non europee?
    Le necessità dell’industria bellica hanno compreso – dopo tre secoli dalla I Guerra dei Trent’Anni (1618-48) – che era da stupidi suicidi dilaniarci in casa, ma opportuno spostare in trasferta le conflittualità e portare in una parte degli “Occidenti” i profitti. La stessa guerra in Ucraina, è stata vantaggiosa per gli “Occidenti” in modo da poter vendere armi e già da oggi – a guerra non finita – parlare d’investimenti per la ricostruzione.
    Me lo dica Lei – stando questi presupposti – quale collaborazione più stretta ci possa essere fra un’Europa imbelle, immobile, impotente e degli affari, e una Repubblica Popolare della Cina speranzosa di un futuro di benessere condiviso dell’umanità su argomenti quali pace, sicurezza sanitaria e nuovo ordine economico mondiale.

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