mercoledì 3 dicembre 2025

Cos'è il socialismo? Articolo di Luca Bagatin

 

Il socialismo è sinonimo di giustizia sociale, sovranità nazionale e indipendenza economica.

E' sinonimo di autogoverno, autogestione e razionalità.

E' qualcosa che, pur nato in Europa, sviluppatosi in particolare grazie alla Prima Internazionale dei Lavoratori del 1864 (e grazie a Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Pierre Joseph-Proudhon, Michail Bakunin, Karl Marx e Friedrich Engels), in Europa abbiamo perduto da tempo, ma che altrove, dall'America Latina socialista, a molte realtà africane e panafricane e dell'estremo oriente, è ben presente e non ha mai smesso di svilupparsi, modernizzarsi ed evolversi, di pari passo con le esigenze della comunità.

Perché socialismo è sviluppo delle forze produttive della comunità a beneficio della comunità.

Non è ideologia stantia, dogmatica, settaria.

E finanche le varie divisioni storiche fra mazziniani, garibaldini, anarchici e marxisti (e aggiungerei anche bonapartisti, rimandando ad altri articoli che in merito ho scritto, anche su riviste storiche francesi, proprio sul socialismo bonapartista), hanno ben poco senso e sono state sanate proprio in gran parte delle realtà extraeuropee di cui sopra.

Sulla base del trinomio, tanto caro all'indimenticato Presidente argentino Juan Domingo Peron: giustizia sociale, sovranità nazionale e indipendenza economica.

E, fra i socialismi più seri e pragmatici, diffusi nel mondo, vi è quello con caratteristiche cinesi, la cui teoria fu elaborata dal comunista riformista Deng Xiaoping, il quale sviluppò il Pensiero di Mao Tse-Tung, adattandolo alla modernità, introducendo riforme e apertura e si è rafforzato grazie alle generazioni di socialisti successivi: Jiang Zemin, Hu Jintao, Xi Jinping.

Sostegno al socialismo con caratteristiche cinesi, quale baluardo di concretezza e lungimiranza, è giunto recentemente dal Presidente nazionale del Partito Comunista d'Australia (CPA), Vinnie Molina, il quale, in una intervista a Global Times, ha affermato cose molto interessanti, che meritano di essere riportate.

Molina afferma, fra le altre cose: “Il socialismo può essere raggiunto solo attraverso azioni concrete e di base per affrontare i problemi della gente e ottenendo il sostegno della popolazione” e che “I leader devono mantenere uno stretto contatto con la base. Chi ricopre posizioni di responsabilità deve impegnarsi a fondo per guadagnarsi la fiducia del popolo e non separarsi mai da esso”.

In particolare egli ha sostenuto che “Il Partito Comunista Cinese utilizza il metodo della critica e dell'autocritica nella costruzione del partito a tutti i livelli, dalla leadership alla base, per rafforzare l'unità dell'organizzazione e il suo posto nella società cinese. (…). Il Partito realizza ciò che è irraggiungibile in sistemi capitalistici disorganizzati, con istituzioni in rovina e partiti distaccati dal popolo. Infrange il mito secondo cui dimensioni maggiori significhino inevitabilmente maggiore disorganizzazione, dimostrando invece che la sua crescita ha alimentato maggiore coesione ed efficacia”.

Vinnie Molina ha altresì sottolineato come “Possiamo imparare dal PCC, un partito comunista al potere, che ha adattato la concezione ortodossa e classica del marxismo in modo flessibile alle complesse circostanze della società cinese. Comprendere la società cinese e il modo in cui la teoria è stata adattata a queste condizioni specifiche offre lezioni preziose. (…). Dobbiamo lavorare con le comunità, non contro di esse, guadagnandoci la fiducia della gente, anche di coloro che non sono politicamente impegnati, e affrontando sempre le questioni di base che contano davvero, come strade più sicure, infrastrutture più accessibili e trasporti migliori. Queste sono le preoccupazioni che contano per i comunisti. Non possiamo pensare in grande senza pensare anche alla base. Questo è stato l'approccio adottato dal PCC in passato e rimarrà il nostro obiettivo centrale negli anni a venire. In definitiva, noi comunisti dobbiamo cambiare in meglio la vita delle persone”.

Personalmente non sono comunista (non ho nemmeno simpatia per la storia del PCI e delle sue involuzioni successive, perché lo considero all'origine degli equivoci a sinistra e all'origine della fine del socialismo in Italia), ma ho una tradizione differente, ma affine. Una tradizione socialista mazziniana, risorgimentale, ma anche bonapartista e peronista. Non marxista, ma non per questo cieca nei confronti delle analisi marxiste e non per questo cieca nei confronti dell'evoluzione in senso lungimirante, pragmatico e riformista del socialismo cinese.

Da sempre e in particolare di questi tempi, vanno di moda le etichette e gli slogan.

Le etichette, gli slogan e le vuote ideologie lasciano il tempo che trovano e sono sempre dannose. Perché ottenebrano la mente, che invece dovrebbe abbeverarsi di conoscenza, virtù e approfondimento.

Ed è proprio attraverso questi aspetti che si possono sanare le vecchie divisioni e ricomporre ciò che è stato drammaticamente sparso.

Perché gli ideali di emancipazione civile e sociale della Prima Internazionale rimangono validi e lo possono essere se adattati, con concretezza, alla situazione odierna e declinati, ciascuno nel proprio contesto nazionale. Come fa il socialismo con caratteristiche cinesi, ad esempio.

Fra i promotori di questi ideali, nel nostro Paese, personalità spesso volutamente dimenticate e accantonate.

Mario Bergamo, antifascista, Segretario del Partito Repubblicano Italiano, promotore dell'unità fra repubblicani e socialisti. Roberto Tremelloni, già mazziniano e successivamente degno ministro dell'Economia e della Difesa, nelle fila del socialismo democratico.

Ma potremmo citare anche Gabriele d'Annunzio, Alceste De Ambris, Alfredo Bottai, Giulio Andrea Belloni e prima di loro i Padri Nobili, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Arcangelo Ghisleri.

Figure da recuperare, da onorare, ma soprattutto da studiare e le cui volontà si intrecciano con la spiritualità laica e teosofica, con gli ideali cagliostriani e massonici di Fratellanza, Uguaglianza e Libertà, che hanno un significato spirituale, prima ancora che politico. E che non sono parole vuote e prive di significato. 

Esse non significano né livellamento verso il basso, né edonismo liberale, che ha fatto degenerare le società liberal capitaliste, in una spirale di consumismo sfrenato, violenza gratuita e indifferenza verso il prossimo.

Il socialismo, dunque, non è dogma, ma spirito. 

E' il sole dell'avvenire che illumina le menti. E' la falce che rappresenta l'Opera e il martello, che rappresenta la Volontà.

Il socialismo non è chiesa, ma tempio interiore.

Un tempio da edificare, incessantemente, nel corso delle ere, nel corso dei secoli, nel corso delle vite, seguendo e costruendo la Storia, che è poi la storia di ciascun componente della comunità umana, alla ricerca dell'emancipazione e della giustizia.

Luca Bagatin

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lunedì 1 dicembre 2025

Sostegno del mondo socialista internazionale al Venezuela, contro le dichiarazioni di Trump. Articolo di Luca Bagatin

 

Se Trump, in Europa, sembra ricercare la pace, altrove, in America Latina, sembra proseguire una politica imperialista e bellicista di ingerenza negli affari di Stati sovrani.

E' il caso della dichiarazione, da parte del Presidente USA, di chiusura dello spazio aereo del Venezuela, usato come pretesto per combattere il traffico di droga, che ha sollevato le proteste di numerosi leader ed esponenti socialisti, latinoamericani e non.

Fra questi il Presidente socialista della Colombia, Gustavo Petro, il quale, fra le altre cose, sui social, ha dichiarato che “La chiusura dello spazio aereo del Venezuela è completamente illegale. L'ICAO (ovvero l'Organizzazione Internazionale per l'Aviazione Civile) deve riunirsi immediatamente. (…). L'ordine internazionale deve essere preservato e l'America Latina e i Caraibi devono dirlo senza timore (…). Chiedo al Presidente Trump di ritornare al rispetto dell'ordine giuridico internazionale che è la summa della saggezza della civiltà umana

Chiedo all'Unione Europea, nell'interesse dell'accordo raggiunto tra l'Unione Europea e l'America Latina e i Caraibi, di ordinare la normalizzazione dei voli per il Venezuela o di multare le imprese che non lo fanno.

Chiedo a tutti i Paesi dell'America Latina e dei Caraibi di riavviare i loro voli normali.

In Colombia devono essere sanzionate le imprese che si rifiutano di assumere i servizi per i quali si sono impegnate; devono seguire le indicazioni dell'ICAO o del governo colombiano.

L'umanità deve essere libera di volare e i cieli devono essere aperti in ogni parte del mondo”.

Dello stesso avviso anche Cuba che, attraverso il Ministro degli Esteri Bruno Rodríguez Parrilla, ha parlato di “atto aggressivo per il quale nessuno Stato ha autorità al di fuori dei propri confini nazionali”, invitando la comunità internazionale a “denunciare il preludio a un attacco illegittimo”.

Egli ha altresì sottolineato che “si tratta di una minaccia molto seria al diritto internazionale e di un aumento dell’escalation dell’aggressione militare e della guerra psicologica contro il popolo e il governo venezuelano, con conseguenze incalcolabili e imprevedibili per la pace, la sicurezza e la stabilità in America Latina e nei Caraibi”.

Numerose le proteste provenienti da varie organizzazioni e esponenti latinoamericani e del resto del mondo di ispirazione socialista, fra le quali quelle del deputato peronista argentino Jorge Taiana, il quale ha appoggiato pienamente il discorso del Presidente colombiano Gustavo Petro.

La Repubblica Popolare Cinese, attraverso la portavoce del Ministero degli Esteri, Mao Ning, alcuni giorni fa, aveva peraltro invitato gli USA a revocare le sanzioni “illegali e unilaterali” imposte al Venezuela e ad adoperarsi per “favorire la pace, la stabilità e lo sviluppo in America Latina e nella regione dei Caraibi”.

Mao Ning aveva altresì affermato che “La Cina si è sempre opposta alle sanzioni unilaterali che non hanno alcun fondamento nel diritto internazionale e non sono autorizzate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e si oppone alle forze esterne che interferiscono negli affari interni del Venezuela con qualsiasi pretesto”.

Luca Bagatin

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sabato 29 novembre 2025

L'11 dicembre, presentazione, presso la Camera dei Deputati, del saggio di Paola Bergamo "Ritrovare i sentieri dell'Europa - Sulla via tracciata da Mario Bergamo"

 

L'11 dicembre prossimo, dalle ore 16.00 alle ore 18.00, alla Camera dei Deputati, presso la Sala del Refettorio del Palazzo di San Macuto, in Via del Seminario 76 a Roma, sarà presentato il saggio, edito da Futura Libri, "Ritrovare i sentieri dell'Europa - Sulla via tracciata da Mario Bergamo", di Paola Bergamo.

Moderato dal blogger e scrittore Luca Bagatin, l'evento avrà i saluti dell'On. Giandiego Gatta e, come relatori, oltre naturalmente all'autrice del saggio, ci saranno il prof. Giancarlo Elia Valori, importante manager pubblico e fine analista geopolitico, oltre che Presidente della Fondazione di Studi Internazionali e Geopolitica; il Gen. di Corpo d'Armata Antonio Bettelli e il Presidente del Nuovo Giornale Nazionale, Augusto Vasselli.

Paola Bergamo è un'imprenditrice, Presidente del Centro Studi MB2 Monte Bianco - Mario Bergamo per dare un tatto all'Europa. E' nipote dell'antifascista repubblicano mazziniano Mario Bergamo. 

L'evento sarà un'occasione per parlare di un'Europa che ci potrebbe essere, ma che non c'è.

Un'Europa mazziniana, libertaria, democratica, affratellata, sociale e sovrana.

Un'Europa che non ha nulla a che spartire con l'attuale UE autoreferenziale, oligarchica, servile e militarista.

Per poter partecipare all'evento occorre segnalare la propria presenza alla mail presidente@centrostudimb2.eu.

venerdì 28 novembre 2025

Gianni De Michelis, il socialismo, la democrazia costituzionale e il mondo multipolare. Articolo di Luca Bagatin

Gianni De Michelis e Luca Bagatin, dicembre 2003
 

Il 26 novembre scorso, Gianni De Michelis, avrebbe compiuto 85 anni.

Lo conobbi nel 2003, quando era Segretario del Nuovo PSI, al quale mi iscrissi anch'io - pur per un breve periodo – essendo socialista (e mazziniano) fin da quando ero ragazzino e leggevo Marx, Proudhon, Garibaldi, Mazzini, Gaetano Salvemini e Ernesto Rossi, oltre ai discorsi di Craxi e dello stesso De Michelis.

Fu per me, quindi, un onore diventarne amico e avere anche l'occasione di essere relatore, accanto a lui, ad un convegno pubblico socialista (vedi foto).

De Michelis aderì al Partito Socialista Italiano negli Anni '60, collocandosi a quei tempi nella corrente di sinistra, guidata da Riccardo Lombardi, denominata “Alternativa Socialista”, nella quale erano presenti anche i socialisti rivoluzionari.

Nel 1976 appoggiò - e a mio avviso giustamente - la Segreteria guidata da Bettino Craxi e divenne componente della Direzione Nazionale del PSI.

Nel corso degli Anni '80 ricoprirà anche il ruolo di Ministro delle Partecipazioni Statali (quando in Italia e Europa ancora lo Stato contava qualcosa e la politica comandava sull'economia e non viceversa!), Ministro del Lavoro, Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Esteri.

Coinvolto nella falsa rivoluzione di Tangentopoli, sarà sottoposto a diversi procedimenti giudiziari, ma spesso fu assolto.

Denuncerà sempre, assieme a Craxi, il clima avvelenato di quegli anni, teso a colpire unicamente i partiti di governo e in particolare quel PSI che, se da una parte voleva modernizzare l'Italia, smarcandosi dalle “chiese” democristiana e comunista (ma già da tempo non più comunista e via via sempre più liberal-capitalista e visceralmente anti-socialista), dall'altra mirava a una politica estera multipolare, smarcata dagli USA e parimenti denunciava l'avanzare della globalizzazione neoliberale e le sue pericolose derive, che avrebbero portato – con il successivo avvento del capitalismo assoluto - a una diffusa povertà, alla sudditanza dell'Italia a poteri stranieri ed economici e all'immigrazione di massa.

Gianni De Michelis sosterrà sempre una politica estera multipolare, a partire dal ruolo centrale del Mediterraneo e dei Balcani in Europa (fece peraltro di tutto per evitare la disgregazione della Jugoslavia); propose l'integrazione della Federazione Russa nel sistema comunitario europeo; promosse un rapporto privilegiato e sinergico con una Repubblica Popolare Cinese, che già negli Anni '80 e '90 si stava modernizzando e aprendo al mondo.

A confronto dei politicanti di oggi, tutti chiacchiere, voltafaccia, rosari e tatuaggi da esibire, Gianni De Michelis, con realismo e pragmatismo, aveva tutto da insegnare. E lo avrebbe ancora.

Fu peraltro degnissimo consigliere di Silvio Berlusconi, negli ultimi decenni della sua vita e si può dire che proprio Berlusconi (non certo i suoi sodali, che presto lo tradiranno), fu l'ultimo politico di razza di questo triste scorcio di Seconda Repubblica.

A Gianni De Michelis, Paolo Franchi ha dedicato un'interessante biografia, “L'irregolare”, edita da Marsilio.

Appena uscita, nel 2024, l'ho volentieri recensita e può essere letta a questo link: https://amoreeliberta.blogspot.com/2024/07/lirregolare-gianni-de-michelis-nella.html.

Ci sono alcuni passaggi molto interessanti.

Fra questi una risposta di Gianni De Michelis all'intervista di Stefano Lorenzetto – che Paolo Franchi riporta - che recita così: “Dalla fine del precedente ordine mondiale sono passati invano vent'anni. O l'ordine nuovo lo costruiamo adesso, trovando i compromessi necessari per quella che io chiamo la governance multilaterale del mondo multipolare, oppure scoppierà un altro conflitto planetario. E' inevitabile (…). Un mondo così è troppo pesante anche per le spalle degli Stati Uniti, non può essere governato da un Paese solo, da un sistema unipolare”.

Ancora lontani erano i tempi delle irresponsabili Von Der Leyen e Kaja Kallas e delle e dei loro emulatori – bipartisan - in Italia.

Ancora lontani erano i tempi in cui persino i comici avrebbero fondato partiti e sarebbero persino stati eletti a capo di Paesi, con tutte le nefaste conseguenze del caso!

Indietro, ad ogni modo, non si torna più.

Ma il realismo e il pragmatismo di certi politici e statisti con la P e la S maiuscola rimangono, così come rimane l'insegnamento pratico di certi partiti politici storici che hanno guidato, nella democrazia costituzionale, l'Italia, dal 1946 al 1993.

Luca Bagatin

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giovedì 27 novembre 2025

Positivi colloqui fra Xi Jinping e Donald Trump. Proteste della Cina contro la Premier giapponese sulla questione Taiwan. Articolo di Luca Bagatin

 

Il 24 novembre scorso, il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, ha avuto un colloquio telefonico con il Presidente degli USA Donald Trump, sottolineando il successo del recente Accordo di Busan, in Corea del Sud, fra Cina e Stati Uniti d'America.

Egli ha sottolineato il riavvicinamento delle relazioni sino-statunitensi, inviando, così, un messaggio positivo al mondo.

Un accordo, ad avviso di Xi, volto ad avvantaggiare le parti e a farle prosperare assieme, sulla base del buon senso e della concretezza.

Egli ha sottolineato la necessità di proseguire su questa strada, fondata su uguaglianza, rispetto e reciproco vantaggio.

Egli ha anche fatto presente a Trump il principio della Cina sulla questione Taiwan, il cui ritorno alla Repubblica Popolare Cinese è “parte integrante dell'ordine internazionale del dopoguerra”.

Egli ha ricordato come Cina e USA siano state entrambe impegnate, fianco a fianco, nella lotta contro il nazifascismo e il militarismo, durante la Seconda Guerra Mondiale, che le ha viste vittoriose.

I due Presidenti hanno anche discusso relativamente alla crisi ucraina e il Presidente Xi ha sottolineato, ancora una volta, il sostegno della Cina a tutti gli sforzi volti a favorire la pace, auspicando che le parti coinvolte nel conflitto possano appianare le divergenze e raggiungere presto “un accordo di pace equo, duraturo e vincolante e risolvere la crisi alla radice”.

Recentemente, la Cina, attraverso il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Guo Jiakun, ha peraltro esortato gli USA ad ascoltare l'appello di gran parte della comunità internazionale e di revocare l'embargo e le sanzioni contro Cuba, le quali, anche secondo le relazioni ONU, hanno avuto ripercussioni gravi sull'economia e la situazione umanitaria dell'Isola Caraibica.

Il portavoce Guo, ha peraltro ricordato come una recente risoluzione adottata dall'Assemblea Generale dell'ONU, votata a larghissima maggioranza, abbia invitato gli USA a porre fine all'ingiustificato e antistorico embargo contro Cuba, richiedendo altresì di rimuovere Cuba dall'elenco dei Paesi ritenuti dagli USA “sponsor del terrorismo”.

Sulla questione Taiwan, lo scorso 21 novembre si era invece espresso l'Ambasciatore cinese Fu Cong, rappresentante della Cina presso le Nazioni Unite, il quale aveva inviato, in merito, una lettera al Segretario Generale dell'Onu Antonio Guterres.

In tale documento, l'Ambasciatore Fu Cong, aveva criticato le posizioni provocatorie della Premier giapponese Sanae Takaichi, la quale aveva dichiarato che “una situazione di emergenza per Taiwan è una situazione di emergenza per il Giappone” ed aveva parlato di diritto all'autodifesa del Giappone, minacciando di usare la forza contro la Cina.

L'Ambasciatore Fu ha espresso forte insoddisfazione, in quanto la Premier Takaichi si è rifiutata di scusarsi e ritrattare le sue dichiarazioni dal sapore militarista e l'ha accusata di violare il diritto internazionale. Oltre a far presente che le sue dichiarazioni rappresentano una chiara provocazione nei confronti del popolo cinese e dei popoli asiatici, i quali hanno storicamente subito l'aggressione militarista e imperialista giapponese.

Egli ha altresì ricordato che la questione Taiwan riguarda unicamente e storicamente il popolo cinese e su questo la Cina non tollera alcuna interferenza straniera, facendo presente che, qualora il Giappone osasse intervenire militarmente nello Stretto di Taiwan, “La Cina eserciterà con risolutezza il suo diritto all'autodifesa ai sensi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale e difenderà con fermezza la sua sovranità e integrità territoriale”.

Luca Bagatin

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martedì 25 novembre 2025

Ancora una volta (stra)vince l'astensione. E, forse, oggi, non potrebbe essere diversamente. Articolo di Luca Bagatin

 

Ancora una volta, ma forse mai in maniera così massiccia, gli elettori, hanno disertato le urne.

Parliamo di quasi il 60% di elettori che, in Veneto, Campania e Puglia, non sono andati a votare a queste elezioni regionali.

Del resto, come si può votare, quando le regole sono truccate, ovvero le leggi elettorali in vigore, dal 1993 ad oggi, sono incostituzionali e prevedono maggioritari e sbarramenti di vario tipo, come ha spiegato anche al sottoscritto l'ex Sen. Socialista Giorgio Pizzol, in una recente intervista?

Come si può votare, quando i grandi schieramenti, quelli più pubblicizzati e sbandierati dai media, sono pressoché tutti uguali e tutti uniti nel sostenere più armi e meno stato sociale; più UE oligarchica e meno UE sovrana; più interessi personali e meno interessi per la comunità?

Stavo rileggendo un passo dell'ultimo saggio dell'amica Paola Bergamo, “Ritrovare i sentieri dell'Europa. Sulla via tracciata da Mario Bergamo”, che presenteremo l'11 dicembre prossimo, presso la Camera dei Deputati, alla presenza, fra gli altri, dei nostri comuni amici prof. Giancarlo Elia Valori, Augusto Vasselli e del Gen. Antonio Bettelli.

Paola così scrive, in un passaggio: “Il tema del rapporto tra cittadino e politica è centrale. Quest'ultima non viene più percepita come capace di occuparsi dei problemi concreti della polis per cercare di risolverli in tutto o in parte. (…) con l'avvento della Seconda Repubblica si è spazzata via un'intera classe dirigente, si è aperta la via del fenomeno bi-populista accelerato dal sistema elettorale maggioritario. Un sistema che, se tutto vorrebbe semplificare, di fatto tutto polarizza estremizzando il dibattito politico nell'ottica di una massimizzazione del consenso. In epoca proporzionale le spinte verso il consenso venivano contenute in molteplici sfumature che caratterizzavano la dialettica nello spazio politico con istanze provenienti senza mediazioni dalla base stessa. Esse venivano poi indirizzate dal sistema dei partiti, i quali, ben diversamente da oggi, non erano padronali e virtuali ma popolari e territoriali”.

Oggi, diversamente da ieri, assistiamo a personalismi estremistici, sempre più spesso provenienti da soggetti che si dicono – a sproposito - “riformisti” o di “centro” (posto che il centro, come la sinistra, nel nostro Paese e sempre più nel resto dell'UE, non esistono, nei fatti, pressoché più e ciò a partire dall'anno di disgrazia 1993). E che, al libero dibattito, vorrebbero sostituire la censura.

Oggi assistiamo a una pressoché totale mancanza di cultura politica e di conoscenza della Storia. Nazionale e internazionale. Assistiamo a slogan ripetuti ad oltranza, anche da un sistema mediatico sempre meno all'altezza e sempre meno di qualità, che preferisce anteporre la propaganda al confronto e all'approfondimento.

Che è riflessione, che è sfumatura.

E, dunque, come scrive Paola Bergamo, nipote dell'antifascista repubblicano mazziniano Mario Bergamo, era il sistema dei partiti, quelli veri, autentici, democratici, che hanno retto il Paese dal 1946 al 1993, che mediavano le istanze della comunità. Che la comunità ascoltavano. Che avevano dei valori, una Storia, una cultura e, soprattutto, che erano fatti di persone.

Di quelle che venivano chiamati “militanti”, che si riunivano nelle “sezioni di partito” e che spesso frequentavano anche apposite “scuole di partito”. Ove si imparava a vivere, prima ancora che a governare.

Oggi, diversamente, siamo nelle mani degli influencer politici di turno. Di soggetti che ieri dicevano una cosa, oggi ne dicono un'altra (spesso a seconda dei desiderata o del Presidente USA di turno o dei dirigenti UE del momento) e domani....? Chissà.

Soggetti senza radici storiche, culturali, sociali profonde. Che, della comunità, nel suo complesso, sembrano conoscere poco. Preferendo affibbiare etichette facili e fare della semplificazione la loro regola, in modo da evitare di entrare nel merito delle questioni.

Perché, se si entra nel merito, forse si rischia di perdere consenso politico.

Gli elettori, i cittadini, ad ogni modo, hanno compreso che, da tempo, il Re è Nudo. E, la stragrande maggioranza, non vota più e non segue più quelli che oggi ricoprono ruoli politici.

Ma, senza la base, senza la comunità, non si va certamente lontano.

Luca Bagatin

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sabato 22 novembre 2025

E' il momento della pace (che è sempre giusta e può essere duratura se si segue la logica). Articolo di Luca Bagatin

 

Finalmente, Trump, si decide a fare ciò che si era proposto molti mesi fa e a fare il pragmatico, promuovendo un piano di pace per la risoluzione della crisi ucraina.

E lo fa secondo logica conseguenza, al netto degli ideologismi dei fondamentalisti e dei fondamentalismi di ogni colore.

Un peccato che ciò non piaccia ai vertici dell'UE che, per primi, avrebbero invece dovuto lavorare per la pace, evitando di sostenere un'autocrazia né NATO, né UE.

E la pace è sempre giusta e logica, soprattutto se segue la Storia e la logica dei fatti.

E i fatti indicavano quanto scritto da Silvio Berlusconi nel 2015: “con la Russia ci sono delle serie questioni aperte. Per esempio la crisi ucraina. Ma sono problemi che è ridicolo pensare di risolvere senza o contro Mosca. Anche perché in Ucraina coesistono due ragioni altrettanto legittime, quelle del governo di Kiev e quelle della popolazione di lingua, cultura e sentimenti russi. Si tratta di trovare un compromesso sostenibile fra queste ragioni, con Mosca e non contro Mosca”. E, nel 2023, dichiarò: “Io a parlare con Zelensky se fossi stato il Presidente del Consiglio non ci sarei mai andato perché come sapete stiamo assistendo alla devastazione del suo Paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili: bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe avvenuto, quindi giudico, molto, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore”.

Un conflitto, peraltro, già annunciato dallo scrittore dissidente russo Eduard Limonov, che per primo denunciò il nazionalismo ucraino russofobo, ma anche il regime di Putin.

Limonov, infatti, già nel 1992 mise in guardia dal nazionalismo di estrema destra russofobo, che stava montando nelle Repubbliche post-sovietiche, Ucraina in primis, alimentato dal sostegno Occidentale, esattamente come accaduto in ex Jugoslavia, per distruggere ogni forma di socialismo e sovranità ad Est.

Ma, parimenti, denunciò sempre il regime di Putin, al punto che il suo partito, il Partito NazionalBolscevico (raccontato e sostenuto anche dalla scrittrice Anna Politkovskaja), fu messo al bando e il successivo partito, “L'Altra Russia di Eduard Limonov”, non può presentarsi alle elezioni.

Oggi Trump propone il ritorno delle zone russofone alla Russia e la neutralità dell'Ucraina, oltre che elezioni in quest'ultima, visto che erano state sospese da tempo.

Soddisfazione, in UE, per gli unici veri volenterosi, il Premier socialista democratico slovacco Robert Fico e il Premier conservatore ungherese Viktor Orban, che – pur su posizioni ideologiche differenti - hanno sempre sostenuto la necessità di un logico e pragmatico compromesso.

Adesso sarebbe tempo per ricostruire e ricucire i rapporti fra tutti, ma, chissà...

Gli unici Paesi a mantenere razionalità, logica e equilibrio in tale conflitto, sono stati la Repubblica Popolare Cinese e il Brasile di Lula.

Tali Paesi non solo non hanno mai introdotto sciocche e controproducenti sanzioni, ma hanno continuato a dialogare e commerciare tanto con la Russia che con l'Ucraina, tentando, fin dal 2022, una mediazione.

Nel febbraio 2022 il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, dichiarava, infatti: “L’Ucraina deve essere un ponte che unisce Est e Ovest e non una linea di fronte per una competizione tra diverse potenze”; proseguendo, affermò che occorre: “una soluzione pacifica che garantisca sicurezza e stabilità in Europa”, ricordando anche che “nessuno è al di sopra del diritto internazionale” e che “anche le preoccupazioni della Russia devono essere rispettate” e, all’UE aveva fatto presente che, “Se ci sarà un allargamento dell’Alleanza Atlantica ci sarà davvero garanzia della pace?” E’ una domanda che i nostri amici in Europa si devono porre seriamente. Perché le parti non possono sedersi ad un tavolo, condurre colloqui dettagliati ed elaborare un piano per mettere in atto le intese di Minsk?”.

Il mondo di oggi, globalizzato e interconnesso (e sempre di più, con l'Intelligenza Artificiale) dovrebbe anteporre il dialogo e la cooperazione. Sempre.

E fare sempre tacere la non-logica delle armi e quella della competizione.

Occorrerebbe, come sosteneva l'ex Ministro socialista degli Esteri Gianni De Michelis, integrare la Russia nel sistema comunitario europeo e allo stesso tempo cooperare con la Cina.

Rompere ogni forma di steccato e di sciocco pregiudizio ideologico, fuori dal tempo e dallo spazio.

Le sfide del futuro sono ben altre e Trump, Putin e Xi Jinping lo hanno compreso molto bene.

Per quanto, dei tre, solo il Presidente cinese voglia puntare a costruire una comunità dal futuro condiviso per l'umanità, capace di creare valore e benessere per tutti i popoli dei pianeta, attraverso proprio la cooperazione e la costruzione di un mondo più giusto e equo.

Trump e Putin, invece, sono assai discutibili per varie questioni, a iniziare dalla bramosia di potere e dall'essere seguaci del concetto “dividi et impera”, ma anche con costoro occorre dialogare, quali leader di potenze mondiali.

Quanto all'UE, nel febbraio scorso scrivevo questo e lo ribadisco, una volta di più: “Se l'UE volesse avere davvero un ruolo serio, dovrebbe porsi quale cerniera fra Ovest ed Est. Integrare la Russia nel suo sistema; entrare nei BRICS; investire in formazione, ricerca e sanità; promuovere la cooperazione internazionale e una NATO globale, proponendo l'entrata di quanti più Paesi possibili, compresa Russia e Cina, mirando a garantire stabilità, equità, cybersicurezza e lotta al terrorismo internazionale, che, lo abbiamo visto anche con il recente attentato di Monaco, è più vivo che mai (senza contare, aggiungerei, la sempre maggiore penetrazione del radicalismo islamista nella società europea, con tutte le gravi conseguenze del caso, oltre che il drammatico fenomeno delle baby gang, ancora estremamente sottovalutato).

Una UE senza un piano, che rimane serva dei desiderata del Presidente degli USA di turno è dannosa, in particolare per sé stessa. E lo è una UE senza una classe dirigente di alto profilo, che rimane ancorata a vecchie logiche da Guerra Fredda e che segue chi parla di “pace o condizionatori”, come se fossimo al mercato.

L'UE della Von Der Leyen, delle Kallas e dei Draghi, non è l'Europa unita e fraterna dei Giuseppe Saragat, degli Ernesto Rossi, dei Mario Bergamo e dei Bettino Craxi, che sono stati i nostri maestri politici, di ispirazione socialista democratica e repubblicana mazziniana”.

Chi vivrà vedrà. Ad ogni modo, a parlare, sono e saranno sempre i fatti.

Luca Bagatin

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