venerdì 17 ottobre 2025

La piazza argentina si mobilita per celebrare il Peronismo, chiedere la liberazione di Cristina Kirchner e denunciare il regime liberal capitalista di Milei. Articolo di Luca Bagatin

 

A pochi giorni dalle elezioni parlamentari, che si terranno il 26 ottobre prossimo, la piazza peronista argentina si mobilita per celebrare l'80esimo anniversario del “Giorno della Lealtà”, festeggiato in Argentina ogni 17 ottobre.

Tale anniversario è particolarmente importante, perché ricorda la grande mobilitazione sindacale e operaia che, il 17 ottobre 1945, ottenne la liberazione dell'allora colonnello Juan Domingo Peron, il quale aveva guidato, due anni prima, un movimento sociale comprendente socialisti e sindacalisti rivoluzionari, promuovendo i diritti dei lavoratori attraverso le sue funzioni di Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale.

Il suo arresto fu ordinato dai suoi oppositori, sostenuto anche dall'immancabile ambasciatore-destabilizzatore USA di turno, ma la mobilitazione popolare portò al suo rilascio.

Il 17 ottobre è considerata, in Argentina, la data di fondazione del Peronismo o Giustizialismo, corrente del socialismo che, ancora oggi, porta avanti giustizia sociale, indipendenza economica, sovranità nazionale e diritti civili e che condusse Peron al governo, attraverso le elezioni presidenziali del febbraio 1946, sostenuto dal Partito Laburista.

Ancora oggi, i sostenitori di Juan Domingo e Evita Peron, la sua indimenticata consorte, scendono in piazza, non solo per celebrare il Peronismo, ma anche per chiedere a gran voce la liberazione dell'ex Presidentessa peronista Cristina Fernandez de Kirchner, agli arresti domiciliari per un'ingiusta condanna per corruzione, che le impedisce di candidarsi alle elezioni parlamentari.

La marcia dei movimenti sociali e sindacali è culminata difronte alla residenza dell'ex Presidentessa, a Buenos Aires, e, come accade da mesi – nel corso delle varie mobilitazioni popolari - ha denunciato le politiche di persecuzione politico-giudiziaria contro l'esponente peronista.

Gli organizzatori, puntando il dito contro l'attuale regime liberal capitalista del trumpiano e filo statunitense Javier Milei, hanno affermato che “ottant’anni dopo, il peronismo riunisce il popolo argentino davanti a una realtà che riproduce vecchi attacchi contro i diritti conquistati: tagli al lavoro e alle pensioni; precarizzazione dell’occupazione; smantellamento dello Stato; consegna delle risorse nazionali e scarsa considerazione per la salute e l’istruzione pubblica”.

Il Peronismo sta tornando in Argentina. E, allo stesso modo, il Socialismo non si piegherà, nel resto dell'America Latina, ai diktat dell'ipocrita e per nulla democratico regime suprematista bianco a Stelle e Strisce che, nonostante i numerosi e storici tentativi di destabilizzazione, golpe e embarghi vari (in Venezuela, a Cuba, in Nicaragua, ma l'elenco è lunghissimo), è sempre stato respinto.

E se non lo sarà oggi, lo sarà domani.

Perché il riscatto dei popoli oppressi è una realtà inarrestabile, che nessun regime, men che meno quello fondato sul danaro e su una finta idea di libertà, potrà fermare.

Luca Bagatin

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mercoledì 15 ottobre 2025

Thomas Sankara, eroe socialista panafricano. Articolo di Luca Bagatin

 

Era il 15 ottobre 1987, quando il Presidente del Burkina Faso – Thomas Sankara – fu ucciso, nell'ambito del colpo di Stato organizzato dal suo ex compagno d'armi Blaise Campaoré, con l'appoggio degli USA, della Francia e dei militari liberiani.

Sankara fu e rimane un simbolo per i popoli del Terzo Mondo africani. Un simbolo panafricano di riscatto e emancipazione.

Burkina Faso, significa, letteralmente, “paese degli uomini integri”. Così come integro fu sempre Sankara, salito al potere a soli 35 anni, attraverso una rivoluzione senza spargimento di sangue, esattamente come avvenne in Libia, con Mu'Ammar Gheddafi.

Sankara nacque il 21 dicembre 1949 da una famiglia povera burkinabé. Il suo sogno, sin da bambino, fu che il suo popolo potesse affrancarsi dal neocolonialismo e che tutti potessero vivere in pace, con due pasti al giorno.

Per potersi mantenere entrò nell'esercito partecipando ad un concorso per accedere alla Scuola militare Pryatanée di Kadiogo, superando il concorso nel 1966.

Nel 1978 conobbe colui il quale, tempo dopo, l'avrebbe assassinato, ovvero Blaise Campaoré e con lui costituì il Raggruppamento degli Ufficiali Comunisti al fine di rovesciare il regime corrotto dell'Alto Volta.

Nel novembre 1980, senza alcun spargimento di sangue, prese il potere il colonnello Sayé Zerbo e Sankara, vista l'alta popolarità di cui godeva nell'esercito, fu nominato Segretario di Stato per l'Informazione. Purtuttavia, in aperto contrasto con il governo che egli scoprì essere corrotto tanto quanto i precedenti, si dimise dall'incarico nell'aprile 1982 e sarà arrestato assieme agli altri componenti del Raggruppamento degli Ufficiali Comunisti.

Un successivo colpo di Stato porterà al potere Jean-Baptiste Ouédraogo che, oltre a liberare Sankara ed i suoi compagni, lo nominerà Primo Ministro.

Da quel momento Sankara inizierà ad applicare sanzioni contro i funzionari pubblici fannulloni, eliminando alcuni vantaggi dei dipendenti pubblici ed iniziando a viaggiare per i Paesi del Terzo Mondo intessendo sempre più fitte relazioni, in particolare con la Libia di Mu'Ammar Gheddafi.

Tornato in patria, Sankara trovò la sua abitazione circondata da carri armati condotti da uomini al soldo del governo francese, il quale temeva l'impulso rivoluzionario del governo da lui presieduto. Egli fu così arrestato e detenuto presso un campo militare.

Grazie ad una sollevazione popolare lui ed i suoi compagni saranno liberati il 30 maggio 1983 ed inizieranno a progettare il colpo di Stato dell'agosto successivo, che lo porterà finalmente alla Presidenza della Repubblica con un programma ambiziosissimo, che riuscirà purtroppo ad attuare solo in parte a causa del suo assassinio, nell'ottobre 1987.

Un programma che consistette in: una massiccia opera di vaccinazione che permise la riduzione di mortalità infantile in Burkina Faso; in una massiccia opera di rimboschimento al fine di far rivivere l'arido Sahel; nella riforma agraria che permise di ridistribuire le terre ai contadini; nella politica di soppressione delle imposte agricole; nelle importantissime politiche di liberazione femminile che proibirono la pratica barbarica dell'infibulazione, nell'abolizione della poligamia, nella partecipazione delle donne alla vita politica del Paese attraverso l'istituzione dell'Unione delle Donne del Burkina, nell'istituzione della giornata dei mariti al mercato; in un programma di riduzione delle spese e del processo di autarchia ribattezzato da Sankara “produciamo quello che consumiamo”, al fine di abolire progressivamente la dipendenza dalle importazioni con l'estero; la costruzione di apposite dighe, pozzi e bacini idrici che garantissero a tutti l'accesso all'acqua e la garanzia di due pasti al giorno per tutti i burkinabé; la costruzione di un campo sportivo per ogni villaggio al fine di garantire a tutti il diritto all'attività fisica e ricreativa; la lotta alla corruzione pubblica e la richiesta di Sankara ai Potenti della Terra di cancellare il debito ai Paesi del Terzo Mondo, in quanto frutto del colonialismo e del neocolonialismo e dunque all'origine del sottosviluppo di tali Paesi; la proposta di disarmo progressivo di tutti i Paesi africani in modo che questi non combattano più fra loro, ma lottino per l'unità e l'emancipazione dei popoli africani; lo sforzo di far partecipare tutti alla vita pubblica del Paese, attraverso appositi comitati rivoluzionari e una radio attraverso la quale chiunque potesse fare proposte o criticare l'operato del governo.

Programma ambizioso e in parte realizzato sino a quell'ottobre 1987 nel quale sarà ucciso - con un colpo di revolver - dal suo amico di lotte, il quale prenderà così il potere e annullerà molte delle riforme portate avanti da Sankara, facendo peraltro tornare il Burkina Faso preda della corruzione e dei potentati economici e politici stranieri.

Un sogno, quello della Rivoluzione burkinabé, dunque tragicamente interrotto. Un sogno che fu sostenuto peraltro anche dal Partito Radicale di Marco Pannella che lanciò in quegli anni una campagna contro lo sterminio per fame nei Paesi del Terzo Mondo e che porterà lo stesso Presidente Thomas Sakara ad iscriversi al loro partito.

La vita e l'esempio di Sankara, portato avanti dall'attuale Presidente del Burkina Faso, Ibrahim Traoré, che combatte tanto contro l'imperialismo neocoloniale francese, che contro il terrorismo islamista, ci spiegano, per moltissimi versi, le vere cause del fenomeno migratorio di oggi, che è frutto del capitalismo, del colonialismo e del neocolonialismo dei governi dei Paesi ricchi europei e statunitensi. I quali continuano a invadere e destabilizzare Paesi sovrani, a sanzionarli, a vendere loro armi. E obbligano i Paesi poveri ad indebitarsi, attraverso le criminali politiche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, già ampiamente denunciate da Sankara stesso.

Sankara rimane un simbolo per i popoli liberi e sue lotte, che sono ancora oggi le lotte dei panafricani, meritano rispetto e concreta attuazione. Affinché il suo sacrificio eroico non sia stato vano.

Luca Bagatin

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lunedì 13 ottobre 2025

Roberto Tremelloni, un socialista democratico, un servitore della Repubblica democratica. Articolo di Luca Bagatin

Oggi, gli italiani, lo dimostrano anche le recenti elezioni amministrative, non vanno più a votare, per la gran parte.

Non si riconoscono, infatti, in contenitori pressoché uguali e sempre più uguali, con il passare degli anni.

Contenutori volti a distruggere i diritti dei lavoratori; lo stato sociale; la sanità pubblica; a non fare nulla per i diritti degli anziani; delle donne e dei bambini; a non far nulla contro le baby gang e mantenere l'ordine pubblico.

Contenitori lontani tanto a livello nazionale, quanto a livello locale, dalle necessità dei cittadini e della comunità.

Contenitori che preferiscono piegarsi ai desiderata, sempre più sconsiderati e guerrafondai, di Bruxelles e Washington. Che fanno di tutto per distruggere un Occidente alla deriva.

La storia che racconterò e che ho già raccontato in altri articoli e video, riassumendola, è quella di un politico onesto, di un servitore della comunità, attraverso lo Stato democratico italiano di una Repubblica che non esiste più.

Quella Prima Repubblica, nella quale, governavano partiti di autentico Centro-Sinistra. E non gli eredi degli opposti estremismi, approdati al liberal capitalismo assoluto e al fondamentalismo senza costrutto, che si dicono “riformisti” senza esserlo mai stati.

E' la storia di un socialista democratico, raccontata in primis da Mattia Granata, nel suo “Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico”, edito da Rubbettino, con il contributo del Centro per la cultura d'impresa.

Di Roberto Tremelloni (1900 – 1987), che ricoprì i Ministeri dell'Industria e del Commercio; del Tesoro, delle Finanze e della Difesa, Enrico Mattei ebbe a scrivere, a proposito del suo modo di fare politica: “Socialista genuino, uomo di cultura moderna, l'On. Tremelloni ha indicato, senza demagogia, quello che un governo socialista deve fare (…), un dirigista, certo, ma un dirigista serio, non un facilone né un demagogo”.

Tremelloni nacque a Milano, in una famiglia povera e questo ha formato profondamente il suo carattere e il suo modo retto di fare politica.

Come riporta Granata, nel suo saggio, Tremelloni scrisse di sé: “Mi sembra molto importante, nel lungo andare della mia vita, il fatto di essere nato povero. Ciò ha giovato alla formazione del mio carattere. Io benedico spesso di essere stato allevato in un ambiente di difficoltà e ristrettezze materiali. Benedico questa scuola perché le difficoltà e le ristrettezze non mi fanno più paura. Perché lo sforzo per superarle diventa abitudine”.

Economista serio, fuori da ogni ideologismo e dogmatismo e sempre dalla parte della collettività, Tremelloni riteneva che fosse “Il proletariato che può e deve alzare la bandiera dello sviluppo economico nell'interesse di tutta la collettività”.

La sua politica fu sempre in contrasto con quella dei conservatori di ogni colore “anche se sono mascherati da etichette progressiste dei più vari movimenti di destra e sinistra”, affermava.

Da adolescente aderì al Partito Repubblicano Italiano di mazziniana e risorgimentale memoria, così come Pietro Nenni. Partito della trasparenza e della rettitudine per eccellenza, oltre che collocato all'estrema sinistra democratica e laica.

Tremelloni si definiva, già da allora, un risorgimentale fabiano, un umanitarista socialista mazziniano e patriottico e tali idee si rafforzarono anche grazie all'amicizia con il liberalsocialista Carlo Rosselli e il padre del Socialismo italiano, Filippo Turati.

Idee che guardavano a un libero mercato regolato a beneficio della collettività e non dell'egoismo privato. Oltre ogni visione classista di matrice marxista-leninista e contro ogni autarchismo di matrice fascista, che Tremelloni avversò con tutto sé stesso, in particolare quando fu chiamato ai suoi primi incarichi di governo, nella ricostruzione dell'Italia, nel dopoguerra.

Un socialismo municipalista e gradualista, il suo, che lo porterà a sostenere, così come il liberalsocialista e amico Ernesto Rossi, la lotta ai monopoli e la promozione della nazionalizzazione dei settori chiave dell'economia, a partire dal settore energetico.

Un socialismo che lo farà approdare, nel 1922, al Partito Socialista Unitario di Turati e Treves e, nel dopoguerra, al Partito Socialista di Unità Proletaria di Nenni e al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani di Giuseppe Saragat, successivamente Partito Socialista Unitario e, infine, Partito Socialista Democratico Italiano.

Si occupò, in gioventù, di giornalismo, sia sportivo che di cronaca e, nel 1919 fondò, con il fratello Attilio, la Casa Editrice Aracne e diresse la rivista della Confederazione Generale Del Lavoro, “Battaglie sindacali”, fino alla soppressione, durante il fascismo.

Nel 1926 fondò, peraltro, con Rosselli e Pietro Nenni, la rivista socialista “Quarto Stato”, anch'essa presto soppressa dal regime.

Ma la sua vera passione sarà sempre l'economia. Laureatosi nel 1924 in Scienze economiche, nel 1930, iniziò ad insegnare Economia politica presso l'Università di Ginevra.

Furono quelli gli anni in cui si dedicò maggiormente agli studi economici e meno all'impegno politico, purtuttavia rimase sempre un antifascista della prima ora, non mancando mai di rivolgere critiche alla politica economica del governo mussoliniano, come fa presente il saggio di Granata.

Egli fu, peraltro, fra i fondatori del giornale economico “Il Sole 24 Ore”.

Nel 1931, a Milano, fondò il GAR, ovvero il Gruppo Amici della Razionalizzazione, ovvero una sorta di centro studi economico, fortemente critico nei confronti dell'economia autarchica del regime.

Riuscì, ad ogni modo, a sfuggire alla condanna al confino, grazie al supporto della rete antifascista.

Nel dopoguerra, Tremelloni tornerà ad essere politicamente attivo, sebbene – come ricorda Mattia Granata - considerasse gran parte dei programmi dei partiti italiani piuttosto vaghi, nebulosi, poco concreti. Alla ricerca più del consenso o di non perdere consensi, piuttosto che fondati sulla ricostruzione del Paese, in favore della comunità.

Già allora egli mostrava il suo carattere pragmatico e non ideologico e, con questo spirito, contribuirà, nel 1947, a dare vita, con Saragat, al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).

Partito di sinistra laica, socialista democratico e oltre i blocchi contrapposti DC – PCI.

All'indomani della Liberazione, fu incaricato di ricoprire il ruolo di Vicepresidente del Consiglio Industriale per l’Alta Italia, ove si occupò di gestire e riattivare le strutture dell'economia produttiva.

E' in questo ruolo che ebbe modo di applicare la sua visione economica, basata sulla razionalizzazione della produzione, contro ogni forma di parassitismo e di spreco di danaro e energie pubbliche, oltre che contro ogni forma di protezionismo economico.

Ampliamento dei mercati e produzione economica di massa di beni utili e non voluttuari, erano le sue linee guida, per garantire una diffusa prosperità.

Il tutto, secondo Tremelloni, era possibile attraverso un “ordinato e funzionante” intervento pubblico nell'economia del Paese.

In questo senso, fu un sostenitore della nazionalizzazione di ferrovie, compagnie telefoniche e elettriche; dell'abolizione di ogni forma di monopolio e della promozione della meritocrazia in ambito occupazionale.

La politica di Tremelloni, in ambito economico, che era il cuore del programma del socialismo democratico dell'epoca, rifuggiva, dunque, da ogni forma di collettivismo classista e da ogni forma di liberalismo economico, come ottimamente sottolineato dall'autore del saggio biografico.

E questa sarà la politica che egli sempre porterà avanti, anche nei successivi incarichi di governo, all'Industria e commercio (1947), al Tesoro (1962), alle Finanze (1963) e alla Difesa (1966).

Una politica improntata alla buona amministrazione, all'evitare sperperi e sprechi, al risanamento dei conti pubblici ed alla razionalizzazione della spesa, ma all'insegna dello spendere meno, ma meglio, in particolare in settori importantissimi quali sanità e istruzione, sui quali Tremelloni intese investire maggiormente.

Inutile dire che si scontrò moltissimo con i politici della sua epoca, in tal senso.

Fu, come moltissimi esponenti del suo partito, un sostenitore dell'adesione dell'Italia al Patto Atlantico, ma allo stesso tempo fu, come tutti i socialisti democratici, un sostenitore della pace, del disarmo e del dialogo e della cooperazione internazionale con tutti i Paesi del mondo, oltre che dell'autonomia decisionale dell'Italia.

Fu, da Ministro delle Finanze, un sostenitore non solo della progressività delle imposte e dell'abolizione dell'esenzione fiscale a deputati e senatori, ma anche della lotta all'evasione fiscale e ciò gli attirò numerose critiche, da destra e sinistra.

La sua linea rigorosa era comprensibilmente giustificata proprio dal fatto che, grazie alle imposte progressive, non solo le classi meno abbienti avrebbero pagato meno, ma i servizi pubblici potevano essere resi più efficienti, se tutti avessero pagato ciò che a ciascuno competeva.

Come fa presente Mattia Granata nel suo saggio, Tremelloni mirava a moralizzare la vita pubblica e politica e spesso si trovò a scontrarsi con una dura realtà, fatta di malcostume diffuso, che spesso gli causò non poche delusioni e persino problemi di salute.

Egli detestava l'inefficienza, il malaffare, il trasformismo, la superficialità, la degenerazione partitocratica.

Tutte cose che riscontrerà anche da Ministro della Difesa, incarico che egli mai avrebbe voluto assumere.

Pacifista della prima ora, anche in quel caso, con grandi difficoltà, cercò di razionalizzare la spesa militare, pur non riuscendovi e trovandosi difronte a una realtà clientelare diffusa.

Tentò di riformare il SIFAR, trasformandolo in SID e tentando di correggere quelle deviazioni dei servizi segreti che stavano portando il Paese a subire un colpo di stato di estrema destra, durante la crisi del governo Moro-Nenni, nel 1964.

All'epoca, Tremelloni, fu lasciato solo persino da molti suoi compagni di partito, essendosi ormai inimicato gran parte dei poteri forti che si stavano sostituendo allo Stato.

Nel saggio “Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico”, Mattia Granata riporta alcune significative annotazioni di Tremelloni, relative a quel periodo: “Mi trovai intorno una cerchia abbastanza ampia di nemici giurati. Non solo i colpiti (evidentemente quelli del Sifar), ma anche i loro sovvenzionati (…) legati da vincoli di complicità e omertà, mi attaccarono e fecero attaccare con insolita durezza e con la diffusione delle più varie calunnie contro di me attraverso la mafia solidale degli informatori Sifar, che i servizi segreti avevano in ogni partito, in ogni agenzia giornalistica, in ogni centro di informazione o centro politico. (…). “Il Sifar si vendicava rabbiosamente (…) tutto lo Stato nello Stato si ribellava contro chi aveva osato mettersi contro di lui”.

Da allora, inizierà il declino politico di Tremelloni, sempre più isolato anche all'interno di un un PSDI che stava perdendo gran parte del suo glorioso passato socialista ed era in inevitabile calo di consensi da parte dell'opinione pubblica.

Così scriveva Tremelloni, all'indomani dell'esperienza al Ministero della Difesa: “Il partito non mi difese dagli attacchi e dalle calunnie, non fece quadrato attorno a me nella difficile e spericolata traversia che mi aveva attirato gli odii di tutti gli amici dei potentissimi servizi segreti (…) anche nei partiti di sinistra”.

In un PSDI guidato da Mario Tanassi, le personalità di alto profilo come Tremelloni erano sempre più tenute ai margini (la stessa pasionaria del socialismo, Angelica Balabanoff, negli anni, rimase sempre più delusa dai vertici del partito dei socialisti democratici e non mancò di sottolinearlo, nelle sue memorie).

Tremelloni non venne più considerato in seno al PSDI e gli veniva preferita, nel 1968, il sostegno – nel suo stesso collegio milanese - alla candidatura di Eugenio Scalfari alle elezioni politiche e, solamente grazie al ripescaggio dei resti, e all'interessamento di Pietro Nenni, sarà rieletto, come fa presente il saggio di Granata.

Tremelloni, ad ogni modo, non smise mai di scrivere, studiare e battersi contro il fenomeno dell'inflazione, sottovalutatissimo dalla gran parte dei politici dell'epoca. E ciò di pari passo con la denuncia tremelloniana di un aumento degli sprechi nel settore pubblico.

Aspetti, entrambi, peraltro, che porteranno alla crisi della Prima Repubblica, alcuni decenni dopo e sui quali soffieranno sia gli opposti estremismi, che i poteri forti internazionali e un'opinione pubblica manipolata dal sistema mediatico. Portando, dunque, al crollo dei partiti democratici di governo e alla fine dell'Italia per come l'avevamo conosciuta.

L'ultimo atto politico di Tremelloni fu la partecipazione al convegno milanese del PSDI “Una politica contro l'inflazione: per lo sviluppo nella stabilità”, del 1973 (degli atti di tale convegno, che conservo nella mia biblioteca, parlerò in un successivo articolo, fra qualche tempo).

Dopo di allora, come ricorda l'ottimo Granata, Tremelloni si allontanò dalla vita pubblica. Continuò a vivere una vita molto frugale (cibandosi, come sempre, di riso in bianco, una mela e acqua naturale) e a vivere un'esistenza molto ritirata, fra i suoi libri, i suoi studi, la compagnia della moglie Emma e della figlia Laura.

Molto lo aveva deluso la politica del tempo, che aveva accantonato una personalità di altissimo livello, che aveva dato molto al Paese e veniva ripagato con l'oblio e l'isolamento. Specialmente da coloro i quali avrebbero dovuto tenerlo in palmo di mano.

Come, del resto, accadde nel Risorgimento all'Eroe dei due Mondi Giuseppe Garibaldi (che si ritirò a Caprera, molto deluso, dimettendosi da deputato) e anche al grande leader e partigiano Repubblicano Randolfo Pacciardi, altro importante Ministro degli Anni d'oro dell'Italia del dopoguerra e che da tempo denunciava la degenerazione della partitocrazia italiana, sempre meno al servizio alla comunità. Ma che il PRI dell'epoca mise in un canto.

Dei migliori, del resto, pensiamo al Ministro socialista della Sanità, Luigi Mariotti, che fece chiudere i manicomi e si adoperò molto per il welfare, era meglio scordarsi, per lasciare spazio alla “mafia dei professionisti di partito”, come la chiamò lo stesso Tremelloni.

Se vogliamo comprendere le ragioni del disastro politico di oggi, italiano, Europeo e Occidentale, della totale irresponsabilità e perdita di qualità del personale politico degli ultimi trent'anni, non possiamo non ragionare guardando al nostro passato.

E non possiamo non onorare non solo la memoria di leader politici come Roberto Tremelloni, ma anche apprenderne gli insegnamenti, i percorsi, la lungimiranza e intelligenza.

Sono fra coloro i quali, pur socialista fin da ragazzino, non credono assolutamente a una rinascita del socialismo in Italia e Europa (e sicuramente non considero socialisti i partitini che si dicono, oggi, tali). E ne ho spiegato le ragioni, più e più volte. Molte di queste le ravvisò già Tremelloni. Molte di queste le ravvisò comunque anche Bettino Craxi, il cui PSI (l'ultimo dei partiti socialisti italiani, esistito fino al 1992) raccolse gran parte dell'eredità socialista democratica, ormai allo sbando.

Ciò che è possibile e necessario fare è studiare, approfondire, ricercare, agire in modo retto, austero, senza pregiudizi, senza tornaconti personali. Elevare ed elevarsi oltre una massa e una politica resa incolta e arida.

“Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico”, di Mattia Granata, scritto benissimo e altrettanto ottimamente documentato, è, in questo senso, un saggio preziosissimo.

Un documento raro, fondamentale, non solo per gli storici, ma anche e soprattutto per le nuove generazioni, siano esse formate da economisti, studiosi, militanti politici, socialisti democratici (se ancora ne esistono, specie fuori da partiti ormai senza alcun valore e fuori da elezioni ormai totalmente inutili), giovani, meno giovani e quanti vorranno recuperare il pensiero e l'azione di un grande uomo quale fu Roberto Tremelloni.

Luca Bagatin

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Al via, a Pechino, il Vertice Mondiale delle Donne. Articolo di Luca Bagatin

 

Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, il 13 ottobre, ha presenziato alla cerimonia di apertura del Vertice Mondiale delle Donne, tenutosi a Pechino, presso il China National Convention Center.

Egli, ricordando come già trent'anni fa, a Pechino, nel precedente vertice, fu fissato l'obiettivo di “agire per promuovere uguaglianza, sviluppo e pace”, ha avanzato quattro nuove proposte, in merito, ovvero contribuire a creare un ambiente favorevole alla crescita e allo sviluppo delle donne; generare una forte spinta per uno sviluppo dell'universo femminile; delineare una governance per tutelare diritti e interessi delle donne e scrivere un nuovo capitolo della cooperazione mondiale in tale ambito.

Il Presidente Xi ha anche sottolineato che, nella Repubblica Popolare Cinese, le donne costituiscono oltre il 40% della forza lavoro totale. Nel settore del web, più della metà degli imprenditori sono donne e il 60% dei vincitori di medaglie nelle ultime quattro olimpiadi sono di sesso femminile.

La Presidente della Nuova Banca di Sviluppo dei Paesi BRICS, nonché ex Presidente del Brasile, Dilma Rousseff, riferendosi a tale vertice mondiale, ha sottolineato, fra le altre cose, che “Emancipare le donne è fondamentale per costruire un futuro giusto, sostenibile e pacifico”. Aggiungendo che “Lo spirito di Pechino ci chiama non a commemorare, ma ad agire con l'urgenza che l'uguaglianza di genere richiede” ed ha sottolineato che “Non dobbiamo solo finanziare la crescita, ma anche plasmare il tipo di sviluppo che perseguiamo: che sia inclusivo, sostenibile ed equo”.

Luca Bagatin

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domenica 12 ottobre 2025

HO VISTO TE. Poesia di Luca Bagatin

HO VISTO TE 

Poesia di Luca Bagatin

Musa nella foto: Vasilisa Semiletova 

Ti ho vista scalza sul marmo sacro 

Ti ho vista al tramonto 

Con un bicchiere in mano, colmo. 

Ti ho vista assorta 

E ho sentito il mio cuore battere 

Quando ho avvertito il tuo profumo 

Che sa di mirto e disobbedienza

 Di bosco selvatico e verità. 

Ho indugiato. 

Ho riflettuto. 

Ho capito che il desiderio 

Non è un peccato. 

Talvolta è una preghiera 

Che non osa inginocchiarsi 

Ma rimane sospesa 

Come un'emozione 

Che tale vuole rimanere. 

Profonda e per sempre. 

Luca Bagatin

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venerdì 10 ottobre 2025

Un Nobel per la Pace a chi sostiene i golpe contro il socialismo. Articolo di Luca Bagatin

 

Il Nobel per la Pace lo diedero anche a Kissinger. Nel 1973.

L'anno nel quale, anche “grazie” a lui, gli USA sostennero, in Cile, il sanguinoso golpe militare di matrice liberal capitalista guidato da Pinochet. Contro il legittimo governo socialista di Salvador Allende.

Bella roba, vero?

A Gandhi invece niente. Mai, nemmeno una medaglietta. Eh... troppo pacifico... troppo nemico dei colonialisti britannici, si vede!

E a Obama? Altro Nobel. A colui il quale farà bombardare la Libia laica e socialista di Gheddafi.

Adesso a chi lo danno?

Al Presidente socialista della Colombia, Gustavo Petro, impegnato a parlare di giustizia sociale, pace e contro il regime bombardatore di Nethanyau? Macché, gli USA gli hanno persino tolto il visto!

A Roger Waters? Altro campione di lotta per i diritti umani e promozione della giustizia sociale nel mondo? Macché! Altro “comunistone”, per gli “amici” a Stelle e Strisce.

E quindi? A chi viene dato?

Alla venezuelana Maria Corina Machado (sic!).

Una che, nel 2002, sostenne il golpe contro il governo eletto, socialista e democratico, di Hugo Chavez. Golpe fortunatamente respinto dalla gran parte della popolazione venezuelana.

Una amica degli USA, impegnata contro i legittimi governi socialisti del Venezuela da decenni.

Una che sostiene la destra liberal capitalista peggiore e più estrema, come quella dell'argentino Javier Milei e del partito di estrema destra spagnolo Vox.

Una che sostiene le privatizzazioni selvagge del patrimonio pubblico del suo Paese. In primis l'industria petrolifera. Privatizzazioni che favorirebbero chi? Le multinazionali USA in primis, ovviamente.

Quegli USA che minacciano da sempre di invadere militarmente il Venezuela (e che da diverso tempo schierano navi da guerra al largo delle coste caraibiche, violando il diritto internazionale). E nel frattempo lo sanzionano.

Perché?

Perché è socialista. Perché il socialismo, in Venezuela, vince le elezioni (comprese le recenti Amministrative) fin dagli Anni '90, grazie al fatto che le risorse pubbliche sono tornate nelle mani dei cittadini venezuelani.

Perché, laddove governa il socialismo, arriverà sempre qualche estremista e fondamentalista liberal capitalista, meglio se sostenuto dagli USA, a volerlo distruggere.

Vi ricorda niente?

Vi ricordano niente i già citati golpe contro Allende e Gheddafi? E quello più recente contro il laico socialista Assad (per rimpiazzarlo con gli islamisti, sic!)? E nel passato? Ne citiamo alcuni.

Contro l'argentino Juan Domingo Peron; contro i governi socialdemocratici del Guatemala; l'ingiusta clava giudiziaria contro il leader socialista brasiliano Lula (tornato fortunatamente saldamente al governo); quella recente contro l'ex Presidentessa peronista Cristina Kirchner e... la falsa rivoluzione di “Mani Pulite” contro Bettino Craxi e i partiti socialisti e democratici della Prima Repubblica Italiana! Che avevano garantito stabilità, welfare, multilateralismo in politica estera.

Ma guarda un po'.

Siamo sempre lì.

Ogni falsa rivoluzione, del resto, necessita dei suoi Capopopolo che siano osannati dai grandi media di riferimento. Ad uso e consumo del sistema consumista. Ad uso e consumo degli esportatori di (pseudo) “democrazia”, ovvero di bombardamenti contro Paesi sovrani (la Jugoslavia... vi ricorda niente? E l'Iraq?). Ovvero di destabilizzazioni di governi legittimi, laici e socialisti.

Fatti passare dai media per governi di “ladri”, “corrotti”, “dittatori”.

Per depredare quei Paesi delle loro risorse e metterci, al governo, fantocci liberal capitalisti di riferimento.

In merito a tutto ciò, fra l'altro, consiglio vivamente la lettura del libro “Parigi-Hammamet”, di Bettino Craxi (qui la mia recensione in merito: https://amoreeliberta.blogspot.com/2020/02/parigi-hammamet-il-thriller-inedito-di.html).

La storia è sempre la stessa. E la conosciamo. Solo che, il Re, è da tempo molto più che nudo.

Il mondo, nel frattempo, ad ogni modo e fortunatamente, è anche sempre più cambiato.

Negli USA governano degli anziani, peraltro sempre meno competenti. Che siano Biden o Trump. E la loro economia è un disastro.

L'UE non ha alcuna leadership seria e si appoggia ancora a degli USA rimasti fermi a una sciocca e controproducente mentalità da Guerra Fredda. E a un'economia fondata su sciocchi e controproducenti protezionismi in stile ottocentesco.

Il resto del mondo, in particolare il Sud del mondo, nel frattempo, rialza la testa. E' stanco di prendere ordini dai bianchi colonialisti di Washington, Bruxelles, Parigi o Bonn e dai loro “amichetti”.

E' il multilateralismo, bellezza. E' il riscatto dei popoli oppressi. E' il nuovo Sol dell'Avvenire.

E le bugie, le falsificazioni, le invettive contro il socialismo ormai, stanno a zero.

Luca Bagatin

www.amoreeliberta.blogspot.it

giovedì 9 ottobre 2025

Nasce la rivista di geopolitica “BRICS & Friends”, per dare voce al Sud del mondo. Articolo di Luca Bagatin

 

E' uscito ufficialmente il numero 0 della nuova rivista di geopolitica, attualità e cultura, “BRICS & Friends”.

La rivista, edita dalla Mario Pascale Editore, che è anche il direttore editoriale, diretta da Riccardo de Paola e con una redazione composta, oltre che dal sottoscritto, anche dalla studiosa di America Latina e del mondo arabo Maddalena Celano e dalla scrittrice e ingegnere Patrizia Boi, si propone di collegare l'Italia all'universo BRICS e dare voce ai Paesi del Sud del mondo.

La linea editoriale di “BRICS & Friends” è, inequivocabilmente, multipolarista, volta all'autodeterminazione dei popoli, all'anticolonialismo ed è votata alla libertà, alla giustizia sociale, alla pace, alla prosperità e al progresso dei popoli del pianeta.

Nel numero 0 sono trattati argomenti quali l'eredità di Dostoevskij; le battaglie della Presidentessa del Messico Claudia Sheinbaum; la competizione turca, egiziana e israeliana nel Mediterraneo; la guerra economico-politica contro il Venezuela socialista; il moderno riformismo del Partito Comunista Cinese (scritto dal sottoscritto); l'intervista all'Ambasciatore Bruno Scapini; l'etnopunk siberiano e altro ancora.

86 pagine dense di geopolitica, Storia, cultura, approfondimenti.

“BRICS & Friends” è indipendente e vivrà di abbonamenti e raccolta pubblicitaria.

L'abbonamento ordinario (sei numeri, più tutti i contenuti online), ammonta a 100 euro annuali.

Quello sostenitore a 200 euro annuali.

Chiunque volesse abbonarsi, può farlo attraverso un semplice bonifico bancario intestato a Mario Pascale, inserendo come causale “Abb. BRICS & Friends 2026 – Spedire a (inserire indirizzo di spadizione”, sull IBAN: IT78F0760103200001070435589.

Come recita lo slogan della rivista, parafrasando l'Eroe dei due Mondi, il socialista repubblicano Giuseppe Garibaldi: “Il multipolarismo è il Sol dell'Avvenire”!

Luca Bagatin

www.amoreeliberta.blogspot.it