mercoledì 26 marzo 2025

Dalla parte del Manifesto di Ventotene. Contro una UE oligarchica, militarista, burocratica e ferma alle logiche della Guerra Fredda. Articolo di Luca Bagatin

 

A proposito del Manifesto di Ventotene, quasi undici anni fa, alla fine del novembre 2014, scrissi un articolo pubblicato dal quotidiano nazionale “L'Opinione delle Libertà” (leggibile qui: https://opinione.it/cultura/2014/11/26/bagatin_cultura-26-11/).

Nell'articolo mi riferivo, in particolare, alla fiction “Un mondo nuovo”, trasmessa dalla Rai e che ricostruiva le vicende storiche degli autori di tale Manifesto.

Antifascisti e liberalsocialisti della prima ora.

Così li ricordavo: “Altiero Spinelli, ex militante comunista che abiura il comunismo per scegliere la strada dell'antifascismo laico; Ernesto Rossi, giornalista di formazione economica, liberalsocialista del Partito d'Azione e fra i fondatori del primo Partito Radicale ed Eugenio Colorni filosofo ebreo, anch'egli di fede politica liberalsocialista”.

Antifascisti confinati dal regime fascista nell'Isola di Ventotene e ove idearono, nel 1941 e in clandestinità, il celebre Manifesto di Ventotene, che – allora utopisticamente – parlava di Europa unita e federale, di popoli europei affratellati e di visione democratica del Continente, senza più Stati sovrani.

Nel mio articolo ricordavo che tale visione “recuperava gli ideali di Giuseppe Mazzini e di Giuseppe Garibaldi, già elaborata nell'ambito della Giovine Europa (1834)”.

E proseguivo facendo presente che “Il Manifesto di Ventotene (...) viene scritto ed elaborato dai tre senza farsi scoprire dalle milizie fasciste dell'Isola e sarà poi diffuso all'esterno grazie al contributo di due donne: Ursula Hirschmann – allora moglie di Eugenio Colorni (e successivamente diverrà moglie di Altiero Spinelli, dopo la morte di Colorni, ucciso barbaramente da una banda di fascisti) – e Ada Rossi, moglie di Ernesto Rossi. Un Manifesto, quello di Ventotene, che sarà destinato a fare clamore sia durante il regime mussoliniano che negli anni a venire, al punto che, nel 1984, Altiero Spinelli propone al Parlamento Europeo – nel quale era stato peraltro eletto nel 1979, come indipendente nelle liste del Pci – un progetto costituzionale per gli Stati Uniti d'Europa che, pur approvato, sarà successivamente bocciato dal Consiglio Europeo”.

Nel mio articolo sottolineavo come le lucide utopie di Spinelli, Rossi e Colorni, “siano state disattese, vilipese ed offuscate dai politicanti, dai burocrati e dai banchieri dei singoli Stati europei che, anziché volere una politica comune europea, su basi democratiche, hanno preferito mantenere gli Stati sovrani ed introdurre una moneta unica che, di fatto, avvantaggia solo le élite economico-finanziarie e politiche, peraltro non elette da nessuno, visto che la Commissione Europea non è un organo elettivo e lo stesso Parlamento Europeo discute unicamente di questioni marginali”.

E aggiungevo: “Chissà che direbbero oggi Spinelli, Rossi e Colorni di questo. Forse che viviamo una nuova stagione fascista, ma molto più subdola, perché ammantata di presunte libertà. E forse i loro spiriti sarebbero lì a suggerirci, ancora una volta, di lottare, ad ogni costo e con ogni mezzo”.

E siamo ancora lì, direi.

Anzi, siamo anche peggio.

Con una UE sempre più oligarchica, geo-politicamente auto isolatasi, la cui dirigenza pretende persino che essa si riarmi.

Sempre più l'opposto del Manifesto di Ventotene, che parlava di una rivoluzione europea socialista: “La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita”.

Il socialismo, invece, in Europa, è stato sistematicamente distrutto e vilipeso a partire dal 1993 e i partiti europei che si dicono tali, nella stragrande maggioranza dei casi, sono diventati liberal capitalisti, blairiani, ovvero hanno deregolamentato l'economia, distrutto i diritti dei lavoratori e sociali e promosso una fantomatica “esportazione della democrazia” a suon di armi.

In particolare, il socialismo democratico e, dunque, anticapitalista, antiburocratico e antimonopolista, del Manifesto di Ventotene, che è e sarà ispirazione dei più gloriosi partiti della Prima Repubblica, ovvero del Partito Socialista Italiano, Partito Socialista Democratico Italiano, Partito Repubblicano Italiano e del Partito Radicale (di Mario Pannunzio e dello stesso Ernesto Rossi) veniva così giustamente definito e così venivano giustamente definite le sue prospettive:

Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma — come avviene per forze naturali — essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze di progresso, che scaturiscono dall’interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica "routinière" per trovarsi poi di fronte all’insolubile problema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le differenziazioni dei salari, e con gli altri provvedimenti del genere dello stachenovismo dell’U.R.S.S., col solo risultato di uno sgobbamento più diligente. Quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità per tutta la collettività.

La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio.

Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali. In essa possono trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei Paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei Paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica. La soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale anche nella coscienza dei lavoratori”.

Ovvero di un socialismo rettamente inteso, originario, democratico e autogestionario, che poneva (come pone) una critica radicale a ogni totalitarismo, sia esso di matrice nazifascista, comunista totalitaria e liberal capitalista padronale.

Un socialismo che metta al primo posto la comunità e le sue necessità, attraverso una pianificazione razionale dal basso, promossa dagli stessi ceti produttivi e nell'interesse degli stessi, che li liberi da ogni forma di oppressione e sfruttamento del lavoro dei ceti padronali e delle élite burocratiche.

Tutto ciò è sempre stato, del resto, l'obiettivo del PSI-PSDI-PRI del dopoguerra e anche di quel piccolo Partito Radicale, fondato da Pannunzio (già liberale di sinistra), che, con gli Amici del settimanale liberalsocialista e laico “Il Mondo”, tentò di creare le basi per quella Terza Forza laica, antimonopolista, liberalsocialista, anticapitalista, anticlericale, multipolarista oltre i blocchi contrapposti, purtroppo mai nata (per quanto ci fosse stato il tentativo denominato “Unità Socialista” alle elezioni politiche del 1948, che raccolse il 7% dei voti, con il simbolo garibaldino e turatiano del Sole Nascente).

Terza Forza di cui, ancora oggi, ci sarebbe necessità.

Terza Forza (sulle cui prospettive e sulla cui storia, chi vi scrive, si è formato in gioventù, avendo letto e approfondito gli scritti di Ernesto Rossi, Mario Pannunzio, oltre che quelli del laicista integrale e nazionalcomunista mazziniano Mario Bergamo, Giuseppe Saragat, Roberto Tremelloni, Randolfo Pacciardi e altri) autenticamente democratica e da sempre o snobbata o vilipesa tanto dai ceti padronali, quanto dai vari fascio-comunismi e clericalismi italiani e europei del dopoguerra, che preferivano rimanere legati a vecchie logiche, che si sono inasprite durante la Guerra Fredda.

Logiche che, ancora oggi, sembrano rimanere tali, con questa mentalità da Guerra Fredda che la neo-militarista e burocratica UE si rifiuta di abbandonare.

E' vero che il Manifesto di Ventotene può, ancora una volta, indicarci la via. Ma non solo. 

Anche le prospettive del socialismo democratico storico, purtroppo in Italia volutamente distrutto a partire dal 1993 e in Europa poco dopo, con il blairismo e con lo svuotamento dei partiti socialisti, trasformati in partiti liberal capitalisti, ovvero in una forma di destra non diversa dall'originale.

Socialismo democratico che, fortunatamente, ha resistito e resiste in America Latina (negli Anni '90 ebbe un nuovo slancio grazie a Chavez, Lula, ai peronisti di sinistra e altri), è sviluppato nel mondo panafricano e in quello riformista cinese, in particolare a partire dalla fine degli Anni '70.

Occorre, dunque, ancora una volta, tornare a parlare di: pianificazione economica; primato del pubblico sul privato; società ordinata e moralizzata (non moralista); cooperazione; dialogo; multipolarismo; sviluppo delle nuove tecnologie a beneficio della comunità.

E di una Europa fondata su quanto scritto nel Manifesto di Ventotene, ovvero sulla “restituzione al popolo degli imprescrittibili diritti di autodeterminazione”.

Luca Bagatin

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martedì 25 marzo 2025

"Noonomia", l'evoluzione dell'economia - a beneficio della comunità - attraverso lo sviluppo della conoscenza. Articolo di Luca Bagatin

 

Le tecnologie stanno portando l'umanità “oltre i confini della produzione materiale diretta”.

Ovvero la conoscenza umana è ormai la risorsa principale di tutto il processo produttivo.

Questa la tesi di fondo di “Noonomia”, saggio dell'economista russo Sergey Bodrunov, edito recentemente dalla Sandro Teti Editore.

La noonomia è un'evoluzione già per molti versi prevista da Karl Marx, come spiega l'Autore, nella seconda metà del XIX Secolo. 

Evoluzione che pone, appunto, al centro di tutto, la conoscenza umana, ovvero lo sviluppo della mente, che consente all'uomo di distaccarsi dalla produzione materiale.

Ciò genera, e ha generato, il superamento del cosiddetto “regno delle necessità”, ovvero del soddisfacimento dei bisogni, per approdare alla fusione fra istruzione-scienza-cultura-produzione.

La produzione meccanizzata – con tanto di utilizzo di relative materie prime - appare ormai un processo superato, secondo Bodrunov.

Le tecnologie hanno permesso tale superamento. Pensiamo ad esempio al fatto che, oggi, uno smartphone o un tablet sostituiscono più prodotti assieme (il vecchio telefono, il televisore, l'orologio, il navigatore satellitare e addirittura un negozio fisico!) e i relativi processi di produzione per realizzarli.

Ciò, ha determinato certamente un calo del PIL, ma, è davvero così importante il PIL, si chiede l'Autore? E' davvero così importante un parametro quantitativo, rispetto a una realtà qualitativamente più rilevante?

La capacità di acquisire nuove conoscenze e renderle disponibili alla comunità è, a parere dell'Autore, molto più importante e centrale rispetto al PIL di un Paese.

E' in questo modo che, i Paesi, si trasformano in realtà ad alta intensità di conoscenza e capaci di rispondere alle sfide del futuro. E saranno in grado di farlo riducendo enormemente, non solo lo sfruttamento del Pianeta e delle relative materie prime, ma inquinando molto meno e realizzando prodotti e producendo servizi a costi decisamente inferiori.

Sergey Bodrunov definisce tutto ciò “Nsi 2”, ovvero “nuova società industriale di seconda generazione”. Fondata, appunto, sullo sviluppo della conoscenza umana, la quale permette non solo di soddisfare bisogni, ma di dare risposte a un'infinità di altre possibilità, qualitativamente migliori.

L'aspetto qualitativo è, nella tesi dell'Autore, elemento fondante e centrale e ciò si può ottenere solamente attraverso la ricerca, frutto della conoscenza umana.

E tutto ciò permetterà all'essere umano di “oltrepassare i confini della produzione”, rivoluzionando l'intera struttura economica.

Affinché sempre più persone non si ritrovino, improvvisamente, senza lavoro, occorre una forma di pianificazione economica, secondo l'Autore, che permetta alle persone di essere reintegrate nella società, individuando fra queste nuove figure professionali, sempre più altamente formate.

L'approccio “nooeconomico” è, dunque, un approccio orientato alla cooperazione e allo sviluppo della società nel suo insieme. 

Un approccio razionale, che superi i bisogni indotti/simulati (come quelli veicolati dalla pubblicità commerciale) e il flusso del capitale finanziario, per soddisfare bisogni reali e volti allo sviluppo della società nel suo insieme, attraverso conoscenza e formazione continue.

Massimizzare i profitti, in sostanza, è ben poco razionale e ragionevole se la conseguenza è, ad esempio, la distruzione del patrimonio ambientale e di risorse vitali per il Pianeta e gli esseri viventi.

Attraverso la conoscenza, invece, si possono porre soluzioni e alternative a tutto ciò – mettendo finalmente fine alla crescita infinita dei consumi e dei bisogni simulati - e ciò grazie all'uso razionale delle tecnologie e di tecnologie ancora da ricercare e sviluppare.

Il tutto a beneficio della comunità nel suo insieme, preservando l'attuale civiltà e diffondendo ovunque una nuova forma di civiltà, più consapevole, evoluta e razionale.

“Noonomia” è un saggio economico su tematiche complesse, reso comprensibile a tutti da un linguaggio il più semplice possibile, usato da Sergey Bodrunov, classe 1958, professore universitario, membro dell'Accademia Russa delle Scienze, Presidente della Libera Società Economica della Russia.

Ideatore, appunto, della “nuova società industriale di seconda generazione”, ha all'attivo oltre 1000 pubblicazioni scientifiche, fra le quali più di 30 monografie.

Con la Sandro Teti Editore ha già pubblicato, assieme all'economista russo-statunitense, Vladimir Kvint, “Strategizzare le trasformazioni sociali: noonomia, sapere, tecnologia”. 

Saggio nel quale, gli Autori, propongono lo studio critico e l'incorporazione delle esperienze socio-economiche della Cina e dei Paesi del Nord Europa, promuovendo così un sistema fondato su una forma di pianificazione efficiente, che combini economia di mercato a sviluppo di un solido sistema di welfare.

Luca Bagatin

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sabato 22 marzo 2025

Battersi contro un liberal fondamentalismo senza libertà. Che veicola distruzione sociale, tifoserie, ignoranza, paura e totalitarismo. Riflessioni di Luca Bagatin

In quest'epoca preda del totalitarismo liberale, ove il danaro e le armi parlano al posto del dialogo, dell'onore, della decenza comune e dell'intelligenza frutto della ricerca e dell'approfondimento libero da dogmi, il convegno “Terzo Millennio: valori e diritti negari”, tenutosi a Roma il 14 marzo 2025, è stata una ventata di aria buona e con interventi di altissimo livello e qualità. Da me riassunto a questo link: https://amoreeliberta.blogspot.com/2025/03/terzo-millennio-valori-e-diritti-negati.html

Antonio Foccillo ha denunciato la cosiddetta “libertà economica”, che ha generato paura nei confronti del domani, mentre le élite economiche hanno iniziato a diffondere informazioni insignificanti che fanno leva sulle emozioni e non sulla riflessione. E tutto ciò ha generato opposte tifoserie inconsapevoli.

Il Sen. Giorgio Benvenuto ha denunciato una UE che, dopo la caduta del Muro di Berlino, non ha costruito una Europa sociale. Anzi, ha utilizzato i Paesi dell'Est per aprire a un mercato sempre più deregolato, anziché tutelarli e rafforzarli sotto il profilo sociale.

L'Avv. Angelo Caliendo ha invitato a lavorare per la costruzione di un ordine mondiale multilaterale volto alla pace, affermando il primato della programmazione, che si può ottenere con una classe dirigente competente e pragmatica, la quale ponga al centro una politica autorevole e responsabile e riaffermi il senso di comunità, coesione sociale e partecipazione.

Tiziano Busca ha puntato il dito contro una società neoliberale che comunica paura e totale perdita del senso di comunità.

L'On. Valdo Spini ha denunciato una sinistra che ha rinunciato a sé stessa per sostenere deregulation economica e una società sempre meno sicura.

Il prof. Luigi Pruneti ha denunciato un sistema politico piatto, fatto di maggioranze e opposizioni grigie e piatte e invitato a battersi contro un “liberalismo senza più libertà”, che ha generato darwinismo sociale.

Tutte cose che condivido da anni e che sono sotto gli occhi di chi vuol vederle e ha voglia di modificare lo status quo.

(Luca Bagatin)

La dittatura, oggi, può arrivare solo per mano liberale, ovvero da parte di coloro i quali, riempiendosi la bocca delle parole "libertà" e "democrazia" non sanno affatto che cosa siano e, nei fatti, censurano o reprimono chiunque non la pensi come loro.

Così, come, nella Storia fecero i nazifascisti, i comunisti totalitari e gli invasati religiosi.

Chi conosce la libertà, ovvero chi l'ha interiorizzata, negli anni, non ha nulla da temere. Perché conosce il significato di Abrahadabra. 

Nessun totalitarismo, sia esso fascista, comunista totalitario, liberal capitalista, religioso fondamentalista potrà toccare colui il quale ha in sé Luce, Vita, Amore e Libertà. Perché nulla è più forte del Potere che tutto questo racchiude. 

Il resto, semplicemente, è illusione creata da menti deboli, ignoranti e folli.

(Luca Bagatin)

Il fondamentalismo (religioso/politico) va di pari passo con l'ignoranza.
Più sei ignorante (e conseguentemente stupido) più ti radicalizzi e finisci per credere nei simulacri e hai necessità di sicurezze esteriori.
Più sei ignorante e, quindi, più sei debole, più ricerchi certezze in qualcosa di esteriore.
Quella attuale è l'era del fondamentalismo, perché è l'era dell'ignoranza diffusa. Il confronto è stato sostituito dallo scontro.
Uno scontro di deboli e insicuri contro altri deboli e insicuri.
Uno scontro di gente, in ogni caso, pericolosa per sé stessa e gli altri.

(Luca Bagatin)

Scendere allo stesso livello dei tifosi e dei fondamentalisti di oggi equivale a perdere potere e controllo su di sé e su ciò che ci circonda.

Il tifoso e il fondamentalista, chiunque egli sia, è un soggetto debole e impaurito.

Che ricerca nei suoi dogmi quelle sicurezze che non ha.

Nessuno di noi ha sicurezze, nella vita. Ma c'è chi ha la consapevolezza che ciò sia del tutto naturale e che solo attraverso il controllo su di sé e sulla propria Volontà si possa superare ogni Abisso. Esplorandolo, senza paura.

Il soggetto debole non ha questa consapevolezza e è privo degli strumenti per raggiungerla.

Per cui crea dogmi e simulacri da adorare. E pretende che tutto ciò che lo circonda si muova attorno a questo.

Ho molta pena per i tifosi, i fondamentalisti e dunque per i deboli.

(Luca Bagatin)

 

giovedì 20 marzo 2025

E infine nacque l'EuNato. Articolo di Roberto Vuilleumier


Mentre le piazze si riempiono di voci che invocano un rafforzamento militare europeo, è lecito interrogarsi sulla lucidità di una simile richiesta, spesso mascherata da una frettolosa e superficiale analisi degli eventi geopolitici.

Molti di coloro che oggi agitano bandiere di guerra sono gli stessi allora padri che gioirono per la caduta del Muro di Berlino, simbolo di quella divisione anche culturale che ora sembrano voler resuscitare.

Oggi come allora fanno emergere una narrazione che enfatizza i valori occidentali come universalmente superiori, trascurando le diverse prospettive culturali e storiche, lo stesso arrogante presupposto che alimentava le divisioni ideologiche durante la Guerra Fredda ed in un mondo profondamente cambiato, che rende queste e quelle presunzioni ancor più anacronistiche.

Per avvalorare la tesi, si dipinge così uno scenario apocalittico di un'Europa minacciata da un'invasione russa, fantasma che la storia raramente ha materializzato.

È interessante notare come questo spettro della "minaccia russa" sia stato evocato più volte nel corso della storia europea, spesso con scopi politici.

Tuttavia, le invasioni su larga scala del territorio europeo da parte della Russia sono state rare. Le guerre napoleoniche e le due guerre mondiali, ad esempio, hanno avuto dinamiche e protagonisti ben diversi. Anzi, sarebbe più onesto riconoscere come le dinamiche espansionistiche, nel continente, abbiano spesso seguito una direzione opposta di nome Nato e di nome Europa.

Dal 1999 al 2020, la NATO ha accolto 14 nuovi membri, molti dei quali ex paesi del Patto di Varsavia. Questo processo ha suscitato preoccupazioni in Russia, che lo ha visto come una minaccia alla propria sicurezza.

Si tende colpevolmente a ignorare il lungo e complesso pregresso che ha condotto al conflitto ucraino, liquidando il tutto con una semplicistica condanna dell'aggressore. Si trascura così la complessità degli eventi che si sono susseguiti nel corso degli anni, il profondo mutamento degli equilibri politici globali e la crescente percezione di 'minaccia' da parte della Russia, posta di fronte a un blocco militare in continua espansione Guerra del Kosovo (1999): la NATO intervenne militarmente nella Repubblica Federale di Jugoslavia per fermare la pulizia etnica dei kosovari albanesi. L'intervento fu controverso in quanto non autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Guerra in Afghanistan (2001-2021): a seguito degli attentati dell'11 settembre, la NATO invase l'Afghanistan con l'obiettivo di rovesciare il regime talebano e smantellare al-Qaeda. L'intervento durò vent'anni e si concluse con il ritorno al potere dei talebani.

Intervento in Libia (2011): La NATO intervenne militarmente in Libia per proteggere i civili durante la guerra civile contro il regime di Muammar Gheddafi. L'intervento portò alla caduta del “regime”, lasciò il paese nel caos e promosse l’instabilità regionale. Dietro la retorica della difesa dei confini europei – come dimostrano i casi dell'Ucraina oggi e le passate discussioni sull'adesione della Turchia, nonostante la sua posizione geografica – si celano spesso mire imperialistiche ed espansionistiche dell'Europa, alla ricerca delle risorse di cui necessita come potenza trasformatrice.

Il riarmo, in questa prospettiva, non è una risposta a una minaccia esistenziale, ma uno strumento per proiettare forza e tentare di garantire l'accesso a tali risorse. Il dibattito sul riarmo, benché ammantato di nobili motivazioni quali la difesa della libertà e della democrazia, è in realtà alimentato dagli interessi di un'industria bellica orientata al profitto.

La prospettiva di riconvertire a proprio vantaggio settori industriali in crisi all'interno dell'Europa-NATO rappresenta una strategia però pericolosa, che rischia di generare una pericolosa dipendenza da un settore intrinsecamente legato al conflitto.

È fondamentale invece riconoscere che un massiccio “riarmo europeo” difficilmente eguaglierebbe la Russia in termini di capacità militari complessive, data la sua geografia, dottrina e risorse. Concentrarsi su una competizione militare diretta rischia di essere una strategia costosa e incerta.

Il riarmo europeo sta portando poi a una sovrapposizione sempre maggiore tra l'identità di difesa dell'Europa e quella della NATO, rendendo difficile distinguere i confini e le responsabilità delle due entità.

Se da un lato la NATO è nata come alleanza difensiva, dall'altro ha intrapreso azioni militari anche al di fuori del contesto strettamente difensivo, in paesi terzi.

Come si può essere certi che un'Europa sempre più militarizzata e integrata nella NATO non segua la stessa traiettoria, trasformandosi in una potenza bellica con ambizioni che vanno oltre la semplice difesa del proprio territorio?

Questo è un pericolo che emerge anche leggendo le conclusioni Consiglio Europeo seduta del Consiglio del 6 marzo 2025 punto 7 “Il Consiglio europeo ricorda altresì che un’Unione Europea più forte e capace nel settore della sicurezza e della difesa contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla NATO, che, per gli Stati che ne sono membri, resta il fondamento della loro difesa collettiva. Invita gli Stati membri che sono anche alleati della NATO a coordinarsi in vista del vertice NATO del giugno 2025. Il Consiglio Europeo sottolinea l’importanza di collaborare con i partner non appartenenti all’ UE che condividono le stesse idee.”

Siamo sicuri che il riarmo europeo, invece di rafforzare la sicurezza del continente, non possa paradossalmente aumentare il rischio di coinvolgimento in conflitti internazionali, alimentando una spirale di militarizzazione e ostilità?

Un'Europa eccessivamente focalizzata sulla dimensione militare non potrebbe finire per emulare le azioni di quelle potenze che in passato hanno perseguito politiche aggressive e imperialistiche?

Coloro che sostengono il riarmo con superficialità trascurano poi principi fondamentali sanciti dalle costituzioni nazionali, primo fra tutti il ripudio della guerra.

L'accettazione acritica di una corsa agli armamenti strumentalmente definiti “di difesa” aggira tali principi, normalizzando una logica che dovrebbe rappresentare l'estrema ratio, non la risposta predefinita.

Questo solleva interrogativi cruciali sul futuro delle unità nazionali e sulla natura stessa dello Stato: reggerà l’unità di quelle nazioni già profondamente divise e sempre più polarizzate da posizioni estreme e contrapposte?

Lo Stato è un'entità al servizio dei cittadini, o uno strumento nelle mani di un'oligarchia, potenzialmente manovrata dai produttori di armi? Invece di investire massicciamente in armamenti e inseguire un paragone militare irrealistico, l'Europa dovrebbe concentrarsi su una diplomazia efficace, sulla comprensione delle dinamiche storiche e sulle reali cause dei conflitti. Solo così si potrà costruire una sicurezza duratura, che non passi attraverso la minaccia e la distruzione, ma attraverso il dialogo e la cooperazione.

Roberto Vuilleumier

I dazi di Trump e gli eventuali sviluppi futuri. Articolo del prof. Giancarlo Elia Valori


Trump aveva da tempo dichiarato che nel suo primo giorno in carica avrebbe imposto tariffe elevate a vari Paesi per incoraggiare la produzione manifatturiera globale a trasferirsi negli Stati Uniti d’America e rendere il Paese di nuovo grande. Tuttavia, dopo il suo insediamento, nonostante avesse imposto tariffe a Messico, Canada e Repubblica Popolare della Cina il 1° febbraio, prima che le tariffe globali fossero implementate, Trump aveva chiesto alle agenzie federali di completare la revisione delle pratiche commerciali sleali di vari Paesi nei confronti degli Stati Uniti d’America prima del 1° aprile e di cercare modi per migliorarle. Contemporaneamente, Trump ha istituito anche l’External Revenue Service, che si sarebbe occupato della tassazione esterna, e ha pianificato di utilizzare queste entrate tariffarie per attuare la politica commerciale America First.
La CNN ha sottolineato che i dazi imposti da Trump a Messico e Canada a partire dal 1° febbraio innescheranno una guerra commerciale trilaterale e causeranno importanti cambiamenti nella struttura commerciale nordamericana. Dopotutto, nel 2024 Canada e Messico rappresentavano insieme il 30% del valore totale delle importazioni degli Stati Uniti d’America e un terzo del valore totale delle esportazioni globali. Sebbene il consigliere commerciale della Casa Bianca, Peter Navarro, abbia ribadito che Trump ha imposto dazi sui questi Paesi per fare pressione sui due governi e impedire l’ingresso di immigrazione illegale e di droghe negli Stati Uniti d’America, la Casa Bianca ha deciso di brandire la spada dei dazi e ha anche confermato che Messico e Canada hanno imposto dazi di ritorsione sulle merci esportate dagli Stati governati da membri del Partito Repubblicano. È prevedibile che l’indice dei prezzi interni negli Stati Uniti d’America salirà inevitabilmente nel 2025, con inevitabili ripercussioni sia sui consumatori nazionali che sulle imprese.
Secondo quanto riportato dalla Reuters, la presidente messicana Claudia Sheinbaum Pardo avrebbe affermato che l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti d’America, Messico e Canada non verrà rinegoziato prima del 2026. Il Messico farà inoltre tutto il possibile per impedire a Trump di modificare i termini dell’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Messico e Canada (USMCA: United States-Mexico-Canada Agreement – Tratado entre México, Estados Unidos y Canadá – Accord Canada–États-Unis–Mexique). In un’intervista alla CNN ha anche sottolineato il rispetto per le relazioni tra Stati Uniti d’America e Messico e ha cercato di calmare la situazione.
Inoltre, il 1° febbraio Trump ha annunciato che avrebbe imposto una tariffa del 10% sui prodotti cinesi. Tuttavia, la Reuters ha sottolineato che Trump avrebbe temporaneamente rinviato l’imposizione di dazi alla Repubblica Popolare della Cina per aumentare le sue possibilità di contrattazione nei futuri negoziati con Pechino. Ma in realtà, nonostante Trump abbia pianificato di visitare Pechino entro 100 giorni dalla sua elezione, sta anche valutando la possibilità di una cooperazione con quel Paese; ma non ha rallentato il ritmo della tassazione alla RP della Cina.
Vale la pena notare che Trump prevede anche di imporre tariffe fino al 20% su altri partner commerciali e ha promesso di utilizzare i dazi come strumento di negoziazione con altri Paesi per aumentare il vantaggio negoziale degli Stati Uniti d’America. Ad esempio, ha fatto pressione sulla Danimarca affinché ceda il controllo della Groenlandia agli Stati Uniti d’America, altrimenti sarebbero state imposte tariffe elevate; allo stesso modo, ha utilizzato le tariffe per cercare di indurre i cinesi a vendere TikTok alle aziende statunitensi.
Ricordiamo che nel suo discorso inaugurale, Trump ha affermato che avrebbe utilizzato i dazi per proteggere i lavoratori e le famiglie statunitensi e che sperava di aumentare le entrate del Tesoro e di proteggere le industrie nazionali attraverso tale mossa. Però la maggior parte degli economisti tradizionali teme che le misure tariffarie di Trump possano riaccendere la crisi inflazionistica degli Stati Uniti d’America e innescare una guerra commerciale su vasta scala. E questo nonostante Trump abbia assicurato che a pagare i dazi sono i Paesi stranieri e non i consumatori del suo Paese. Tuttavia, il Peterson Institute for International Economics ritiene che, poiché le catene di fornitura di varie materie prime statunitensi viaggiano avanti e indietro attraverso il confine nordamericano e vengono convertite più volte da materie prime a prodotti finiti, la politica tariffaria radicale di Trump consente solo agli importatori statunitensi di pagare tariffe elevate e poi di trasferire questi costi sui consumatori, provocando un’impennata dei prezzi negli Stati Uniti d’America.
L’ordine esecutivo di Trump di imporre tariffe a Canada e Messico potrebbe far crollare l’economia statunitense di centinaia di miliardi di dollari e invalidare l’accordo commerciale tra i tre Paesi, violando i termini dell’anzidetto trattato di libero scambio tra Stati Uniti d’America, Messico e Canada.
Inoltre, i dazi elevati potrebbero esercitare una pressione enorme sulle case automobilistiche statunitensi. Perché le loro reti di produzione sono profondamente radicate in Canada e Messico. In breve, poiché le catene di approvvigionamento di Stati Uniti d’America, Messico e Canada sono mature, i dazi unilaterali imposti da Washington avranno sicuramente un impatto sulle economie delle tre parti, per non parlare del fatto che Messico e Canada potrebbero reagire agli Stati Uniti d’America a loro volta con dazi in futuro. Un effetto ciclico così negativo è ancora più dannoso per lo sviluppo economico degli Stati Uniti d’America e persino del mondo.
Tuttavia, non sono tutti commenti negativi. Secondo quanto riportato dalla CNBC: Stock Markets, Business News, Financials, Earnings (canale statunitense di notizie economiche di proprietà di NBCUniversal News Group, un’unità di NBCUniversal di Comcast), l’amministratore delegato di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, ha dichiarato dopo l’insediamento del nuovo presidente che i dazi di Trump sui partner commerciali degli Stati Uniti d’America potrebbero essere valutati positivamente. Ritiene che «la sicurezza nazionale superi un’inflazione leggermente più alta»; ha anche affermato che si può «accettarla e superarla». Inoltre, Dimon non è l’unico CEO di Wall Street ad avere un atteggiamento positivo nei confronti delle tariffe. Il direttore generale di Goldman Sachs, David Solomon ha dichiarato, in un’intervista, di credere che col tempo ciò porterà a un riequilibrio di alcuni accordi commerciali. Se gestito correttamente, un simile riequilibrio può svolgere un ruolo costruttivo nella crescita economica degli Stati Uniti d’America, quindi si deve prestare molta attenzione alle nuove politiche che Trump adotterà gradualmente nel corso del 2025. Sebbene molti siano ancora preoccupati che i dazi proposti da Trump dopo il suo insediamento possano innescare una guerra commerciale globale e un’inflazione interna negli Stati Uniti d’America, il presidente della più grande banca del Paese per patrimonio ha anche asserito che i dazi possono anche essere un’arma economica, a seconda di come vengano utilizzati. Se utilizzati correttamente, queste tariffe possono proteggere gli interessi statunitensi e riportare i partner commerciali al tavolo delle trattative per ottenere un accordo migliore per il Paese.
Però al di là del versante dell’ottimismo di alcuni e del pessimismo di molti, vanno chiarite alcune cose in più.
La strategia di Trump, che utilizza problemi interni come pretesto per avviare guerre commerciali manca di una certa conformità alle leggi di mercato e potrebbe causare gravi ripercussioni sull’economia statunitense e sull’ordine economico globale, come accennato in precedenza.
In primo luogo va ancora detto che le guerre commerciali innanzitutto provocano un aumento dei costi per i consumatori: I dazi aumentano i prezzi dei prodotti importati, conducendo ad un incremento del costo della vita per i consumatori statunitensi. Secondo stime, queste tariffe potrebbero comportare una perdita di circa 1.200 dollari all’anno nel potere d’acquisto delle famiglie statunitensi.
Inoltre bisogna portate l’attenzione a come si ridurranno i profitti aziendali. L’aumento dei costi dovuto ai dazi riduce la redditività delle imprese. Un’analisi della Federal Reserve Bank di New York ha rilevato che le tariffe imposte già durante il primo mandato di Trump (2017-2021) hanno portato a una diminuzione dei valori azionari e sono state associate a una riduzione dei profitti futuri, delle vendite e dell’occupazione per le aziende colpite.
Ci sarà pure un impatto sul settore manifatturiero e sul mercato del lavoro. Le politiche tariffarie hanno perturbato le catene di approvvigionamento, riducendo l’efficienza e la competitività del settore manifatturiero. Già nel febbraio 2025, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è salito al 4,1%, con un incremento di 151.000 nuovi posti di lavoro, al di sotto delle aspettative, indicando una debolezza nel mercato del lavoro.
Le ripercussioni sul sistema commerciale globale e sulla crescita economica saranno notevoli. Si prevede un danneggiamento del sistema commerciale multilaterale. Le misure tariffarie unilaterali degli Stati Uniti d’America indeboliscono il predetto sistema centrato sull’Organizzazione Mondiale del Commercio, alimentando tendenze protezionistiche globali e deteriorando l’ambiente commerciale internazionale.
Per non parlare del rallentamento della crescita economica globale. Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita economica globale per il 2025 dal 2,8% all’l,9%, principalmente a causa dell’escalation delle tensioni commerciali che influenzano la ripresa economica globale.
Ci saranno anche effetti su altri Paesi e regioni, quali le misure di ritorsione dell’Unione Europea. L’UE ha annunciato l’intenzione di imporre dazi su beni statunitensi per un valore di 26 miliardi di euro in risposta alle tariffe sull’acciaio e sull’alluminio imposte dagli Stati Uniti d’America. Questo potrebbe portare a un aumento dei costi nei settori coinvolti e a un incremento dei prezzi per i consumatori, aggravando ulteriormente le tensioni commerciali globali.
Effetti anche dell’impatto sui mercati emergenti. La guerra commerciale ha causato turbolenze nei mercati globali, riducendo la fiducia degli investitori. I Paesi emergenti potrebbero affrontare pressioni dovute a deflussi di capitali e svalutazioni monetarie, mettendo a rischio le prospettive di crescita economica.
In definitiva le politiche protezionistiche in passato hanno spesso avuto effetti controproducenti. Ad esempio, lo Smoot-Hawley Tariff Act del 1930 aumentò significativamente le tariffe, portando a una drastica riduzione del commercio globale e aggravando la Grande Depressione, detta anche Grande crisi o Crollo di Wall Street del 1929 ed anni a seguire. Tutto ciò suggerisce che le guerre commerciali non solo non risolvono i problemi economici, ma possono anche innescare crisi economiche più gravi.
In conclusione, la guerra commerciale avviata dagli Stati Uniti d’America, avrà gravi ripercussioni pure sull’economia nazionale di quel Paese e sul sistema commerciale globale. Le esperienze storiche e i dati attuali mostrano che le politiche protezionistiche sono inefficaci e possono portare a crisi economiche più profonde. Gli Stati Uniti d’America dovrebbero rivedere le loro politiche commerciali, cercando soluzioni attraverso il dialogo e la cooperazione, al fine di preservare la stabilità e la prosperità dell’economia globale.

Giancarlo Elia Valori

martedì 18 marzo 2025

Il 18 marzo 1871 fa nasceva la "Comune di Parigi", ovvero il primo governo socialista della Storia. Articolo di Luca Bagatin

Il 18 marzo 1871, i quartieri popolari di Parigi insorsero e istituirono, per la prima volta nella Storia, un governo socialista autogestionario. Ovvero il primo tentativo di istituire un autogoverno operaio, edificato direttamente dalla classe proletaria per la classe proletaria medesima.

Fu, in sostanza, il primo esempio di rivoluzione proletaria e operaia della Storia. Il primo governo comunista, potremmo dire.

Lontana dalla liberale Rivoluzione Francese del 1789, che pose al governo la classe borghese e liberale, la Comune di Parigi anticipò la Rivoluzione Russa del 1905 e la grande Rivoluzione Sovietica del 1917.

Rivoluzione e rivoluzioni che, per la prima volta nella Storia, si contrapposero non solo all'oligarchia monarchica, ma anche alla borghesia sfruttatrice e al totalitarismo liberale, ancora oggi imperante in tutta Europa e nei Paesi capitalisti.

La Parigi del 1871, già provata dall'insensata guerra franco-prussiana che vide la sconfitta di Napoleone III, insorse e organizzò le prime barricate armate.

Per la prima volta nella Storia, i cittadini presero così il potere, scacciando il governo liberal-borghese di Adolphe Thiers, adottando il colore rosso quale propria bandiera e dichiarando costituita una Repubblica socialista. La Comune di Parigi, appunto, il cui Consiglio fu eletto il 28 marzo.

La Comune, fondata su principi di democrazia sociale e municipale, proclamò – fra le altre cose - la parità di salario fra uomini e donne; promosse l'istruzione femminile; garantì un alloggio per tutti; introdusse norme a tutela del lavoro; garantì libertà di stampa e di parola e la laicità assoluta dell'autogoverno costituitosi.

Purtroppo, come l'esperienza mazziniana della Repubblica Romana del 1849 e quella d'annunziana di Fiume del 1920, altri esempi di profonda democrazia diretta e socialismo autogestionario e laico, anche la Comune di Parigi ebbe vita breve e fu soppressa nel sangue nel maggio 1871, da parte del governo francese, causando un eccidio di almeno 20.000 comunardi in una settimana.

Fra gli eroi della Comune, merita un particolare ricordo l'anarchica e socialista Louise Michel (1830 – 1905). Insegnante e scrittrice, Louise Michel, fu infatti una delle più fervide combattenti fra le barricate.

Con l'accusa di istigazione alla guerra civile e al colpo di Stato, Loiuse fu successivamente condannata alla deportazione e incarcerata per vent'anni.

Tornò in Francia nel 1880 e non smise mai di fare politica, sostenendo l'ideale socialista autogestionario. Nel 1904, un anno prima di morire, sarà iniziata in Massoneria nella Loggia di Rito Scozzese Antico ed Accettato “La Philosophie Sociale”.

E' ancora oggi ricordata, come la Comune di Parigi stessa, da tutti i movimenti di ispirazione socialista, autogestionaria e anticapitalista del mondo.

Luca Bagatin

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Le terre rare sono essenziali per la tecnologia moderna. Articolo del prof. Giancarlo Elia Valori

 

I 17 elementi delle terre rare (Rare-Earths Elements), tra cui il cerio e l’ittrio, sono poco noti al grande pubblico, ma le loro proprietà magnetiche e ottiche li rendono minerali essenziali per la tecnologia moderna, utilizzati nelle turbine eoliche, nelle apparecchiature mediche, nei droni, nei veicoli elettrici, nei display elettronici e molto altro. I predetti elementi chimici sono: cerio, disprosio, erbio, europio, gadolinio, itterbio, ittrio, lantanio, lutezio, neodimio, olmio, praseodimio, promezio, samario, scandio, terbio e tulio.
«Siamo nel XXI secolo con tecnologie trasformative, ma i metalli critici sono essenziali per realizzarle. Sentiamo molto parlare dell’importanza del litio nelle batterie agli ioni di litio, ma le terre rare rientrano in realtà nella stessa categoria», afferma Patrick Ryan, CEO di Ucore Rare Metals Inc., un’azienda mineraria e tecnologica canadese specializzata in metalli critici.
Sebbene vengano chiamate “terre rare”, il problema non è la loro rarità. Come lo stagno, il piombo, il rame e altri, le terre rare si trovano nella crosta terrestre e hanno depositi naturali (luoghi in cui sono concentrati minerali utili) in tutto il mondo. Tuttavia, la loro distribuzione non uniforme e la difficoltà di estrazione lo rendono un problema sia ambientale che geopolitico. Si prevede che questi problemi diventeranno più gravi con l’aumento della domanda di tali elementi.
Immaginate se non avessimo accesso a questi metalli essenziali, se perdessimo posti di lavoro e non fossimo in grado di raggiungere i nostri obiettivi in materia di cambiamenti climatici. In base alle circostanze attuali, si prevede che la domanda di ossidi di terre rare aumenterà di cinque volte entro la fine del decennio 2020, il che potrebbe portare a carenze di approvvigionamento in futuro.
La prima sfida risiede nel processo di estrazione. Le terre rare tendono a trovarsi insieme ad altri minerali nei giacimenti. La bastnäsite, una delle principali fonti commerciali di terre rare, è composta da ossidi di più terre rare e deve essere lavorata per recuperare i singoli elementi. Questo minerale fu descritta per la prima volta dal chimico svedese Wilhelm Hisinger (1766-1852) nel 1838. Prende il nome dalla miniera di Bastnäs vicino a Riddarhyttan, Västmanland, Svezia. La bastnäsite si trova anche come esemplari di altissima qualità nei Monti Zagi, Pakistan. La bastnäsite si trova nel granito alcalino e nella sienite e nelle pegmatiti associate. Si trova anche nelle carbonatiti e nelle feniti associate e altre metasomatiti.
Questi processi estrattivi possono talvolta sollevare preoccupazioni per la salute e la sicurezza, ad esempio a causa della fuoriuscita di materiali pericolosi o radioattivi nelle falde acquifere. Le terre rare di per sé non sono particolarmente tossiche, sono semplicemente combinate con altre cose tossiche, come metalli pesanti e materiali radioattivi.
L’estrazione di una sola tonnellata di terre rare può generare fino a 2.000 tonnellate di rifiuti pericolosi. Ciò accade raramente, ma dappertutto, dove l’estrazione di terre rare è attiva, l’attività mineraria ha portato alla contaminazione del suolo e dell’acqua. Le terre rare hanno la paradossale proprietà che, pur essendo essenziali per le tecnologie a basse emissioni di carbonio, il processo di estrazione dal sottosuolo danneggia ulteriormente l’ambiente.
La seconda sfida è rappresentata dal fatto che i giacimenti minerari e le miniere in cui vengono estratti sono concentrati in determinati Paesi. L’estrazione nella Repubblica Popolare della Cina è pari al 60% dell’attività mineraria e del 90% della raffinazione, e al di fuori della Cina vi sono solo quattro impianti di raffinazione. E ciò comporta gravi rischi geoeconomici, in cui il gigante cinese si cerca di isolarlo, come meglio illustrerò in un mio prossimo libro. Infatti il settore dovrà affrontare delle sfide se non verranno adottate misure più sicure e alla pari fra i paesi produttori. Data la prevista crescita della domanda da parte del settore manifatturiero e l’attuale capacità di estrazione e raffinazione delle terre rare, è certo che si verificherà una carenza di offerta.
Una possibilità è quella di ridurre la dipendenza dalle terre rare. Un esempio è la Toyota Prius. Un tempo la Prius utilizzava circa undici chilogrammi di terre rare per auto, ma a causa del conflitto geopolitico tra Giappone e Cina e dell’impatto negativo dell’attività mineraria sull’ambiente, l’azienda sta ora passando allo sviluppo di motori per veicoli ibridi che dipendono meno dalle terre rare.
Un’altra opzione è quella di sfruttare al massimo le terre rare già estratte e raffinate. Si stanno sviluppando con successo metodi per estrarre elementi delle terre rare dai rifiuti elettronici, dalle ceneri di carbone e dai residui di bauxite senza comprometterne le importanti proprietà elettroniche e magnetiche. È un metodo molto semplice: basta bloccare il materiale di scarto tra due elettrodi e far passare un voltaggio e una corrente elevati per poco meno di un secondo. Non richiede solventi o acqua e può essere fatto su larga scala. Si sta anche cercando di limitare la produzione di rifiuti secondari altamente tossici, lavando continuamente l’area con una soluzione acida molto diluita.
Estrarre terre rare dai rifiuti è un modo per aggiungere valore e riutilizzare le parti utili dei rifiuti, anziché riciclarle. Economicamente, è molto più vantaggioso dell’attività mineraria. Non si scavano grandi buche nel terreno, non si trasportano per lunghe distanze e non si producono rifiuti secondari altamente tossici. L’attività mineraria è costosa e produce molte emissioni di gas serra, ma questo metodo evita tali problemi.
Anche le verdure più comuni, come le patate, possono essere utili. Un team di ricerca dell’Idaho National Laboratory negli Stati Uniti d’America ha sviluppato un metodo innovativo per utilizzare i batteri per recuperare elementi di terre rare da apparecchiature industriali e ad alta tecnologia. Il team ha utilizzato una tecnica chiamata bioleaching, che utilizza microrganismi per trasformare gli elementi. Dando ai batteri l’acqua usata per lavare le patate, hanno prodotto un acido specifico e sono stati in grado di usare le proprietà di quell’acido per rimuovere gli elementi delle terre rare dal materiale circostante. L’utilizzo delle acque reflue delle patate ha ridotto i costi di estrazione del 17% rispetto all’utilizzo del glucosio.
Nel frattempo, i ricercatori stanno valutando se sia possibile utilizzare nuove tecnologie per risolvere le sfide legate alla produzione di terre rare. Ad esempio, Ucore ha sviluppato un metodo proprietario per separare gli elementi delle terre rare che è almeno tre volte più efficiente rispetto ai metodi convenzionali, riducendo così di due terzi l’impatto ambientale degli impianti di produzione. Inoltre, EIT RawMaterials, un progetto finanziato dall’Unione Eropea, sta sviluppando il Circular System for Assessing Rare Earth Sustainability (CSyARES), che mira a utilizzare la blockchain per tracciare l’intero ciclo di vita delle terre rare utilizzate nei veicoli elettrici, per garantire che non causino inquinamento nocivo. La tecnologia blockchain è un meccanismo di database avanzato che permette la condivisione trasparente di informazioni all’interno di una rete specifica. Un database blockchain archivia i dati in blocchi collegati tra loro in una catena. I dati sono cronologicamente coerenti perché non è possibile eliminare o modificare la catena senza il consenso della rete.
Oltre aò CSyARES, un progetto congiunto tra l’Ames Laboratory dell’Università dell’Iowa e la Texas A&M University sta utilizzando l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico per scoprire e prevedere le proprietà dei composti delle terre rare con un’efficienza e un’accuratezza che vanno oltre ciò che gli esseri umani possono ottenere da soli.
Anche i governi di tutto il mondo stanno lavorando per rafforzare la produzione nazionale e le catene di approvvigionamento. Sin dal 2018, la Casa Bianca ha firmato accordi con Australia e Canada per garantire la fornitura di terre rare. Il governo degli Stati Uniti d’America ha inoltre annunciato vari programmi di finanziamento, tra cui una sovvenzione di 35 milioni di dollari alla MP Materials di Mountain Pass, in California, per separare e raffinare le terre rare pesanti nell’ambito di uno sforzo volto a creare una filiera di fornitura completamente nazionale per i magneti permanenti. Nel frattempo, un’iniziativa separata guidata dal Dipartimento dell’Energia ha finanziato 140 milioni di dollari per un progetto volto a recuperare terre rare dalle ceneri di carbone e da altri rifiuti presenti nelle vicinanze delle miniere, riducendo così la necessità di nuove attività estrattive.
Il governo australiano investe in aziende nazionali che cercano di integrarsi nelle catene relative del Paese ed ester. Lynas Rare Earths ha ottenuto una sovvenzione di 14,8 milioni di dollari australiani già nel 2021 per coprire metà dei costi di costruzione di un nuovo impianto di raffinazione delle terre rare nell’Australia Occidentale. Il governo ha inoltre istituito una nuova agenzia governativa, il Critical Minerals Office, per supportare l’industria nazionale e ha annunciato una serie di misure di sostegno nel bilancio, tra cui una sovvenzione di accelerazione di 200 milioni di dollari per i minerali critici e 50 milioni di dollari in fondi di sostegno alla ricerca e allo sviluppo.
In Canada, il governo della provincia del Québec ha stanziato 90 milioni di dollari canadesi per un programma di “nuova economia” legato ai minerali critici e strategici. Nel frattempo, la Commissione europea ha pubblicato le previsioni sulle future risorse minerarie critiche per incoraggiare gli Stati membri ad adottare misure proattive per assicurarsi i minerali necessari allo sviluppo delle industrie del XXI secolo, come quelle delle energie rinnovabili e della robotica. Attualmente sono in corso vari progetti in altri Paesi oltre alla Repubblica Popolare della Cina: circa venti progetti sono in corso in Australia, Canada e Stati Uniti d’America.
Ucore Rare Metals Inc. afferma che queste iniziative governative hanno svolto il ruolo di catalizzatore per le aziende private e le istituzioni accademiche, spingendole a trovare nuovi modi per raggiungere questo obiettivo, che siano allo stesso tempo convenienti e rispettosi dell’ambiente. Ciò è fondamentale per garantire una risorsa sicura e sostenibile per l’innovazione tecnologica attuale e futura.

Giancarlo Elia Valori